Le cronache di Aveiron: Oscure minacce

di Emmastory
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Capitolo XVI

Fuggitiva

Un nuovo giorno aveva inizio, ed ero attonita. Mia sorella ed io avevamo litigato, io avevo pianto amare lacrime per una giornata intera, e come se questo non fosse abbastanza, ora lei non c’era più. La lite che ci aveva di nuovo divise era stata piuttosto aspra, e fermandomi a pensare, ricordai il suono della porta di casa che sbatteva con violenza. Poteva significare solo una cosa. Alisia mi aveva abbandonato. Era fuggita in preda alla rabbia e al dolore, lasciandosi alle spalle il rapporto che da pochissimo tempo avevamo ricucito. Ecco quindi un nuovo strappo nell’arazzo del nostro legame, strappo che avrei voluto ricucire per mezzo di un metaforico ago e di un filo, strumenti a me utili in quel frangente, ma che non avrei potuto trovare né usare a meno che prima non avessi ritrovato lei. Così, con l’arrivo del pomeriggio, Stefan, Terra ed io ci lanciammo alla sua ricerca. Camminando per le strade di Ascantha, chiamavamo il suo nome, ma senza purtroppo ricevere risposta. Stringendo i denti, restavo fiduciosa, sicura che le genti del villaggio l’avessero vista, ma anche in questo caso, niente. Il nulla più totale. Era incredibile, ma mia sorella si era come volatilizzata. Di lei nessun segno in tutto il nostro piccolo villaggio. Affranta, Terra iniziò a piangere, e guardandomi con aria triste, non proferì parola. “Mi fanno male i piedi.” Disse poi, mentre alcune piccole lacrime presenti sul suo volto e nei suoi verdi occhi brillavano con il sole che intanto iniziava a calare. Ascoltando quegli infantili lamenti, provai a prenderla in braccio, e come c’era d’aspettarsi, il mio espediente parve funzionare. “Dì, va meglio ora?” le chiese il padre, regalandole un dolce sorriso. Scivolando nuovamente nel silenzio, la bambina si limitò ad annuire, e posando la testa sulla mia spalla, sbadigliò con fare assonnato coprendosi la bocca con una rosea manina, scegliendo quindi di chiudere gli occhi e cercare di riposare. “Dormi bene, principessa.” Sussurrai, tenendola stretta a me per evitare che cadesse. Già preda del sonno più profondo, la piccola non rispose, ma la cosa non mi sfiorò minimamente. In fin dei conti, aveva solo tre anni, e il sonno, oltre al gioco e all’affetto familiare, era l’unica cosa che nessuno di noi le avrebbe mai fatto mancare. Ad essere sincera, avrei largamente preferito che fosse rimasta sveglia, ma per pura sfortuna non fu così, e di fronte a quella scena tanto tenera da sciogliermi come candida neve al tiepido sole, sorrisi, scambiandomi quindi con Stefan un’occhiata d’intesa. “Dici che la ritroveremo?” chiesi, non avendo desiderio dissimile dall’ottenere un suo parere riguardo all’intera faccenda. “Certo. Adesso vieni, e smettila di preoccuparti.” Rispose, fornendomi con quelle poche e semplici parole un utile consiglio, che sfortunatamente non riuscii a seguire. Difatti, in quel momento lasciavo che la mia ansia mi guidasse, contagiando perfino quelli che erano i miei discorsi. “Ma fra poco sarà buio, e se accadesse qualcosa? Se qualcuno provasse a ferirci? Se…” una frase che mi morì in gola, non potendo aggiungersi alle altre due domande che avevo posto. Quesiti, dubbi, incertezze. Queste le uniche cose ora in grado di galleggiare nel mio animo e nella mia povera mente, non facendo altro che impensierirmi e far conseguentemente aumentare il battito del mio cuore, che in precedenza più calmo e rilassato, aveva cullato la nostra amata bambina fino a farla sprofondare in un silenzioso sonno. “Rain, guardami.” Mi ordinò Stefan, facendosi improvvisamente serio. Spaventata da quella sua improvvisa reazione, e intimorita dai pericoli che avremmo potuto correre, non lo ascoltai, rifiutandomi di farlo e fissando lo sguardo sul sentiero che percorrevamo l’uno di fianco all’altra. “Ho detto guardami.” Continuò, suonando stavolta anche leggermente adirato. Con le lacrime agli occhi, mi voltai verso di lui al solo scopo di obbedire, e fu allora che sentii quella fatidica frase. “Adesso ascoltami bene. Andrà tutto per il meglio. Ritroveremo tua sorella e torneremo a casa, d’accordo?” concluse, per poi pormi quella che io considerai una domanda a dir poco retorica. “D’accordo.” Risposi infatti, convinta e molto più fiduciosa di prima. In quel preciso istante, le nostre mani si strinsero intrecciandosi, e chiudendo gli occhi per un singolo e sporadico secondo, non sentii altro che pace. Grazie al suo aiuto, la meravigliosa sensazione di vuoto mentale che desideravo di provare aveva fatto ritorno, e avendo sgombrato le mie giovani membra da ogni preoccupazione, mi sentii leggera, libera e pronta a tutto pur di ritrovare uno dei membri più importanti della mia famiglia. La mia tanto amata sorella, alla quale ora non potevo che dare l’appellativo di fuggitiva.




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