Cold, cold man { parte uno } di KomadoriZ71 (/viewuser.php?uid=805793)
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cold man 1
Prima di iniziare. . .
Salve
lettore o lettrice, prima di iniziare a leggere questa storia, ho
alcune premesse da fare.
Innanzitutto grazie
per averla aperta, ora è mia premura specificare qualcosa riguardo i
contenuti, dato che non tutti hanno lo zelo di leggersi i vari tag
relativi.
Come ho già
inserito sopra, il genere è "introspettivo, malinconico, triste", il
che significa che i capitoli qui a seguire saranno molto, beh,
"pesanti", lenti, dal momento che descriveranno essenzialmente i
soliloqui in prima persona del personaggio di Cyrus, il boss del Team
Galassia, in preda a profonde riflessioni circa il suo
caotico passato, la sua successiva evoluzione interiore e il
mutamento della concezione che ha di Lucinda, la ragazzina che ha
fermato i suoi piani sulla Vetta Lancia concedendogli una seconda
chance.
Potranno
risultare noiosi, soprattutto i primi capitoli, dunque se siete alla
ricerca di una storia avventurosa e piena d'azione… questa è la storia
sbagliata, potete andarvi a leggere la (sempre nostra)
"Renzoku-tekina", se proprio volete, è davvero carina d'altronde, neh!
* poca modestia *
Ultima cosa, ma non
meno importante: tra Cyrus e Lucinda NON VI È ASSOLUTAMENTE una
relazione di tipo romantico het (ma d'altronde l'ho scritto sopra,
"tipo di coppia: nessuna"), ma voglio evitarmi ulteriori
fraintendimenti.
Credo di aver detto
tutto, dunque buona lettura, se deciderai di proseguire!
Xavier
Anamnesi
Noia.
C'è qualcosa peggiore della noia? No, il tedio è la frustrazione più
disabilitante caratteristica della specie umana. Facciamo di tutto per
non annoiarci, ci troviamo degli interessi, ci divertiamo, stringiamo
amicizie, intraprendiamo una carriera o un lavoro, mettiamo su
famiglia, lottiamo coi nostri Pokémon, creiamo le guerre… e potrei
andare avanti all'infinito a furia di fornire esempi. Ma tutti questi
esempi non sono fini a se stessi, sono praticamente i principi su cui
si basa la nostra intera esistenza, la nostra vita e la nostra dignità.
Ora,
provate ad immaginare l'assenza di tutte queste cose, positive o
negative che siano, e di ritrovarvi, un giorno, senza pensieri, privi
di qualsiasi occupazione mentale, privati di ogni cosa materiale che
possa procurarvi diletto. Terribile.
Vi ritrovereste a combattere coi vostri demoni interiori, con le vostre
paure, con la vostra stessa coscienza, e finireste con l'impazzire,
annegando nel mare di solitudine e disperazione che ribolle quieto e
minaccioso negli abissi dei vostri cuori, pronto a riemergere e
dilaniare ogni brandello della vostra anima coi suoi artigli tenebrosi
e le sue fauci forgiate nell'angoscia, non appena vi sarete ritrovati
soli, abbandonati a voi stessi.
Mi sento
incredibilmente stupido a pensare che io, in questo baratro opprimente
e fatale, mi ci stavo buttando con le mie stesse mani. Volevo ricreare
un nuovo mondo e orbarlo da ogni sorta di sentimento ed emozione,
illuso com'ero, di poter in tal modo porre fine ad ogni conflitto e di
poter vivere sereno, lontano da tutte quelle orribili persone che mi
hanno ferito senza scrupolo e che perseverano nella loro funesta opera,
noncuranti delle sofferenze che inoculano nelle loro vittime prescelte.
Ma quella serenità che mi prefiggevo sarebbe durata appena per quei
pochi istanti di furore che mi avrebbero pervaso alla vista del nuovo
universo, e poi più nulla: silenzio, buio,
smarrimento, oblio,
terrore, disperazione, morte.
Questo inquietante climax di sgomento sarebbe stato l'imminente realtà,
e a quel punto sarebbe davvero stata la fine.
Da sciocco
ambizioso qual ero, commisi un piccolo, semplice, ma letale errore:
credere che la paura fosse al pari di un'emozione, come la gioia o la
tristezza. Mi sbagliavo, la paura è qualcosa di molto, molto più cupo e
profondo, qualcosa che va ben oltre i banali sentimenti fugaci e
illusori nei quali ci lasciamo passivamente cullare ogni giorno e che
possiamo in una certa misura calibrare col giusto ausilio della pura
ragione. La paura, quindi, sarebbe stata un innesto fisico e concreto
conficcato come una spada adamantina nel mio impenetrabile animo di
pietra, duro, freddo, ma al tempo stesso irrimediabilmente fragile.. E
una volta apertasi una breccia, tutta la struttura sarebbe crollata su
se stessa, sgretolandosi in miriadi di frammenti, seppellendomi, una
volta per tutte.
Non lo ammetterò
mai a me stesso, mai a nessuno, che a salvarmi sia stata una ragazzina
di appena dieci anni. A salvare me, a salvare tutte le persone, i
Pokémon…
Avevo
impunemente dato la colpa a Martes e Giovia per gli insuccessi
all'Impianto Turbine e ad Evopoli, ero arrabbiato con loro per aver
sottovalutato un oppositore qualsiasi, veterano o immaturo che fosse. "Ma
capo, aveva solo dieci anni! Noi non sapevamo, noi non volevamo, noi
non potevamo, noi non pensavamo..." e mille altre scuse che
mi parevano tanto assurde quanto irritanti. Che giustificazione era
quella? Ridicolo, assolutamente ridicolo.
Quella creatura
così gracile ed innocente la incontrai per la prima volta al Monte
Corona, quando ancora la mia utopia era agli albori e il suo Empoleon
nientemeno che un pulcino che sbucava dal cesto della sua bici. E lei
mi guardava coi suoi occhi grandi e vivaci, profondi e cristallini come
il fondo del Lago Valore,colmi di curiosità, mentre le esplicavo i miei
ideali di perfezione. Ero quasi infastidito, in soggezione,
sentendomeli addosso; perché mi stava ascoltando con un certo interesse
e… ammirazione, forse? Non
capiva neppure una
parola di quello che stavo dicendo, probabilmente, ma il suo sguardo
lasciava intendere che ci saremmo rivisti ancora e che i nostri futuri
incontri non sarebbero stati fugaci ed effimeri come gocce di rugiada
distese sul manto erboso al primo mattino. Lucinda, sì, la piccola e
meravigliosa promessa del palcoscenico delle competizioni Pokémon,
giovanissima e con un sogno da realizzare, deviò la sua rotta per
seguire ogni mio misfatto, sventare ogni mio complotto, difendere ogni
mia vittima, raggiungermi. E ce la faceva, sempre, spazzava via come
niente intere squadriglie di reclute perfettamente organizzate,
comandanti compresi, arrivava al mio cospetto e mi puntava con un
indecifrabile atteggiamento d'ingenuo orgoglio, capriccioso e
ricalcitrante, quasi mi avesse fatto un semplice dispetto a mandare a
rotoli i miei piani. Non riuscivo neppure ad arrabbiarmi con lei, la
sconfitta mi bruciava dentro, ma quel grazioso visino e la sua tenera
età riuscivano a farmi chiudere un occhio, e mi ripromettevo ogni volta
che quella sarebbe stata l'ultima grazia concessa. Non mi sfiorò mai
neppure per un istante l'idea di farla entrare nel mio team, data la
sua bravura innata nei combattimenti, poiché era fin troppo bambina e
mi rendevo inconsciamente conto che il suo destino era ben diverso da
quello di sottufficiale alle mie dipendenze, la sua indole brada e
ribelle non avrebbe mai accettato quegli ordini infami che sarebbero
inevitabilmente andati in contrasto coi suoi ideali liliali e puri da
fanciulla qual era. Doveva restare libera,
non avevo in alcun modo il diritto d'intorbidire un'anima così candida
e limpida coi miei vagheggiamenti chimerici insozzati e anneriti dalla
lurida pece del mio passato e delle mie esperienze, che ancora stingeva
e macchiava il mio presente.
Quell'innocuo
fiocco di neve sospinto dalla brezza dell'avventura, come usavo
definirla per acquietare le preoccupazioni di tutti i membri, nonché di
me stesso, s'era trascinato ben oltre le mie aspettative, giungendo
addirittura alle porte di Rupepoli, dove avevo installato il mio
quartier generale e fatto costruire un enorme grattacielo nel quale
decisi di stanziarmi stabilmente coi miei Pokémon per trovare un po' di
pace, dopo tutti quegli eventi e il fallimento. Nei laboratori
sotterranei si stava procedendo all'estrazione dei cristalli da Azelf,
Mesprit e Uxie che avevo precedentemente fatto prigionieri, quando
eccola lì, la paladina della giustizia guidata dall'amore, che arrivò
da me col pretesto di liberarli. Non ne capivo il motivo, ma quella
volta c'era qualcosa di diverso nel suo modo di porsi, era furibonda e
mi si rivolse con un aspro tono di rimprovero, alzandomi contro la
voce, ma senza mancarmi di rispetto. Provava compassione verso quei tre
Pokémon ancora legati ai rispettivi macchinari. Già, compassione, una
di quelle cose che non capirò mai, il più ipocrita e inutile dei
sentimenti… Ma compassione per cosa, esattamente? Per la loro
sofferenza? Ah, se dovessimo provare tutti compassione per ogni essere,
umano o Pokémon, che soffre in silenzio all'ombra del proprio
carnefice, sarebbe davvero la fine. Accettatelo, una buona volta per
tutte, che il dolore fa parte delle vostre stesse insulse vite, e che
la colpa è solo vostra, deboli inetti, che vi fate dominare dalle
vostre scialbe e insignificanti emozioni, consegnandovi sul piatto
d'argento nelle mani dei vostri boia. A nessuno importa di voi, nessun
falso sorriso verrà a tendervi la mano quando ne avrete bisogno, e quei
pochi ai quali importerà di voi lo faranno solo per proprio tornaconto.
L'altruismo, il filantropismo e la fratellanza sono soltanto valori
astratti, non esistono e non trovano riscontro nel mondo reale, laddove
vige la legge del più forte, ed esser forti significa imporre un ferreo
dominio sui propri sentimenti, forza è sinonimo di atarassia, così come
debolezza lo è di sensibilità.
Avevo voglia di
testarla, la sua forza, con una lotta Pokémon nei corridoi limitrofi al
laboratorio; avevo atteso per tanto tempo un'occasione simile e sarebbe
stato un peccato sprecarla. Quella minuta nana bianca che brillava di
luce propria in un punto sperduto dell'universo ben presto esplose in
un'inaspettata supernova, d'un fulgore talmente incandescente e
abbagliante da accecare quella che reputavo l'irrefragabile e suprema
luminosità del mio "sole". Piplup si era evoluto e non pareva più
insicuro e indifeso come la prima volta, mise in difficoltà Sneasel con
un acquagetto e lo finì con un ferrartigli ben piazzato. Il suo
Pachirisu, dulcis in fundo, non ebbe grossi problemi a fulminare Golbat
e Murkrow, e così mi ritrovai senza più Pokémon utili.
Ad ogni modo, il
lavoro con i tre guardiani era terminato, non mi servivano più, ergo le
indicai il tasto che avrebbe dovuto premere per disattivare i sistemi
di sicurezza dei dispositivi che li mantenevano segregati. "Sicura di
volerlo fare? Sei un'allenatrice e per quello che posso vedere hai
anche un Pokédex. Potresti cogliere l'occasione al volo e catturarli
senza problemi. Liberissima di scegliere". Quello che avevo detto la
fece imbronciare ancor di più, sebbene fossi stato gentile a proporle
una tale offerta senza nulla in cambio, ma mi aspettavo che almeno dopo
ciò mi lasciasse in pace.
"Sei
cattivo Cyrus, non
puoi comportarti così con loro tre! E se fossero stati i tuoi Pokémon?
Li avresti trattati allo stesso modo?"
"Forse non
comprendi, e non te ne faccio una colpa visto la tua tenera età, che i
Pokémon sono soltanto delle macchine da cui ricavare energia e potenza
esclusivamente per i nostri bisogni. Non mi sono risparmiato neppure
coi miei, eppure ho perso. Perché? Qual è il tuo segreto quindi? Da
dove lo trai tutto quel potenziale?" Strinse i pugnetti e gonfiò le
guance alle mie parole, la sua voce
tremolava in un misto di dispiacere e rabbia e mi pigolò contro.
"Come fai a dire
queste cattiverie? Loro ti amano e hanno lottato solo
per te! Io amo i miei ed è per questo che superano loro stessi sul
campo di battaglia". Tutte le cose che uscivano dalla sua bocca mi
parevano bislacche bazzecole talmente fasulle che credetti mi stesse
prendendo in giro per celare il vero segreto di tanto furore. E
continuava, e continuava… " da quant'è che non spazzoli il pelo del tuo
Sneasel? E le penne di Murkrow? Sono tutte arruffate! Dovresti
coccolare di più Golbat, solo così riuscirai a farlo evolvere.
Promettimi che te ne prenderai più cura, da oggi in poi…"
Quella sera,
proprio nel bel mezzo di questa anamnesi degli eventi passati, udii
qualcuno che bussava insistentemente alla porta del mio ufficio privato
posto sull'ultimo piano del grattacielo di Rupepoli, ex quartier
generale del Team Galassia. Ormai vivevo lì appunto e quel posto era
diventato un centro di ricerca scientifica all'avanguardia, avevo fatto
assumere nuovo personale qualificato, avevo fatto anche ristrutturare i
laboratori e acquistato altre apparecchiature per l'osservazione e lo
studio dello spazio e delle meteore. Comunque, mi irritai e non poco
per quel modo impertinente di battere alla mia porta, chi mai poteva
essere? Non di certo i miei comandanti inferiori, mi conoscono bene e
sanno che ci sono modi più ortodossi per venirmi ad informare sulle
novità che scoprono giorno dopo giorno. Mi alzai dalla scrivania e
Weavile, svegliatosi per il rumore, mi seguì innervosito fino all'uscio
d'ingresso, laddove mi fermai per chiedere chi fosse mai a disturbare a
quell'orario.
"Avanti Cyrus,
apri! Devo dirti una cosa bellissima! Non farmi aspettare qui fuori!"
Riconobbi
subito quella vivace voce di ragazzina e la mia mano rimase lì
congelata sulla maniglia, mentre Weavile cercava il mio sguardo, anche
lui insicuro sul da farsi. Era passato molto tempo dall'ultima volta…
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