In questa fine
agosto, con il rientro al lavoro definitivo ormai vicino (domani) e le
prossime ferie decisamente lontane (Natale?), ecco a voi una storia
romantica e tranquilla.
Questo racconto è ispirato ad un film di qualche tempo fa, che
io ho amato moltissimo. Immagino di non essere la sola a sapere cosa
sia “Lady Hawke”. Per chi non lo conoscesse ed avesse
voglia di trascorrere un paio d’ore davanti ad fantasy romantico,
si tratta di un film di Richard Donner del 1985 con Rutger Hauer,
Michelle Pfeiffer e Matthew Broderick. Non mi addentro nel racconto
della trama del film, perché è ripresa dalla mia storia.
Ho messo l’avvertimento OOC perché i personaggi di
Sherlock si dovranno adattare a quelli del film. Cercherò di
mantenere IC i personaggi della nostra serie preferita, ma non posso
esserne sicura.
I diritti sui personaggi sia di Sherlock che di Lady Hawke non mi appartengono.
Spero che questo racconto non ne ricordi altri, ma sarebbe assolutamente involontario.
Buona lettura.
Strani compagni di viaggio
Non sapeva se fuori ci fosse il sole o se la giornata fosse grigia,
nebbiosa o piovosa. A dire il vero, non sapeva nemmeno se fosse giorno
o notte. Da quando era stata buttata nelle segrete della prigione di
Londra, Mary Morstan aveva perso la cognizione del tempo. Sembrava che
a sua maestà, Re Edoardo I dei Plantageneti, non importasse
molto che i prigionieri sapessero quando sarebbe scoccata la loro
ultima ora.
Mary Morstan era una ragazza di quasi vent’anni magra, non troppo
alta, bionda, con vispi ed intelligenti occhi azzurri, dotata di una
parlantina veramente efficace e stordente. Rimasta orfana, non aveva
parenti che si prendessero cura di lei, così si era trasferita a
Londra, nella città in espansione, per trovare un lavoro.
Purtroppo per lei, nel XIII secolo la maggior parte delle ragazze sole
finivano quasi sempre per fare due lavori. Uno era il mestiere
femminile più antico del mondo. Per quanto non fosse certo una
brutta ragazza, Mary non si sentiva portata a fare la prostituta,
soprattutto perché aveva saputo che si prendevano troppe
malattie. Non le era rimasto, quindi, che adattarsi alle circostanze e
trasformarsi in una provetta ladra. Questo le aveva permesso di
sopravvivere dignitosamente, fino a quando le guardie del Re la avevano
catturata e buttata nelle segrete, da cui sarebbe uscita solo per
essere giustiziata.
Rannicchiata sulla brandina scalcagnata, che le faceva da letto, nella
cella umida e buia, senza nessuno con cui parlare, la ragazza cercava
un modo per salvarsi la vita.
“Ma io sono ancora giovane, Signore. – borbottò al
nulla, in tono lamentoso e leggermente piccato – Non permetterai
veramente che io venga uccisa! Cosa ho fatto di male, in fin dei conti?
Certo, lo so che non si dovrebbe rubare, ma nessuno di quelli a cui ho
sottratto un po’ di soldi morirà di fame! Io, invece,
sarei morta sicuramente, se non avessi alleggerito quella gente di
qualche moneta. È forse giustizia questa? Ti prego, Signore, non
permettere che io sia impiccata. Ti prometto che non ruberò mai
più nulla e che mi troverò un lavoro onesto.”
Non ottenendo nessuna risposta, con un sospiro esasperato, Mary si
alzò dalla brandina, facendo un piccolo balzo. Con sua grande
sorpresa, si rese conto che una delle piastre, che componevano il
pavimento, si era mossa. Incredula, fece alcuni altri saltelli, per
tastare la resistenza della piastra. Si muoveva veramente! La piastra
non era molto grande, ma Mary era sicura che, se fosse riuscita a
rimuoverla, avrebbe potuto passarci, dato che aveva una corporatura
minuta.
“Grazie, Signore! – esclamò, con entusiasmo – Sapevo che non mi avresti abbandonata!”
Con uno sguardo rapido, Mary trovò il cucchiaio che usava per
mangiare, quando si ricordavano di portarglielo. Lo prese ed
iniziò a lavorare per smuovere sempre più la lastra, fino
a quando riuscì a sollevarla. Sotto di lei scorreva
dell’acqua. Era scura e non profumava di fiori, ma era un
passaggio sicuro verso l’esterno e verso la libertà:
“Questo è sicuramente un bel dono, Signore, –
ringraziò, con gratitudine – però sarei veramente
delusa se si trattasse di un canale di scolo delle fogne. Se posso
esprimere la mia preferenza, gradirei immergermi in acque piovane, ma
se tutto quello che puoi darmi sono le fognature, vedrò di
accontentarmi.”
Si guardò intorno rapidamente, per capire se potesse prendere
qualcosa di utile, ma la cella era veramente squallida e spoglia. Senza
pensarci troppo, afferrò il cucchiaio, che decise essere il suo
portafortuna, e si infilò nella piccola apertura, con un
po’ di fatica, cadendo nel vuoto. Il salto non fu molto alto e
l’impatto con l’acqua non fu doloroso. Le acque gelide che
la accolsero erano sicuramente puzzolenti, ma decisamente piovane.
“Grazie, Signore! Sapevo che non mi avresti delusa!” gridò, con entusiasmo.
La corrente iniziò a trascinarla verso lo sbocco del canale di
scolo e Mary si lasciò trasportare, opponendo la resistenza
necessaria a mantenere la testa fuori dall’acqua. Tutto sembrava
procedere nel migliore dei modi. La luce era sempre più forte,
facendole capire che fuori fosse giorno e che la libertà fosse a
portata di mano. Improvvisamente, davanti a Mary si presentò
un’apertura che le permetteva di vedere il fiume,
dall’altra parte, ma un grido di disappunto le uscì dalla
gola, senza che potesse fare nulla per fermarlo: “Ah, no! Questo
no! So che merito, sicuramente, una punizione per le mie azioni non
proprio legali, anche se giustificate dalla necessità,
però, non puoi illudermi, facendomi credere che sarò
libera, poi mi presenti delle sbarre! Mi spieghi a cosa servano delle
sbarre all’uscita di un canale di scolo? Hanno forse paura che
possano entrare i ladri? Gente di poca fede!”
Arrivata alla grata, che ostruiva l’uscita del canale, Mary la
afferrò e la strattonò con rabbia. Si rese conto
immediatamente che i cardini erano corrosi e potevano cedere facilmente.
“Ti chiedo scusa, Signore. – ridacchiò, sollevata
– Avrei dovuto sapere quanto tu mi voglia bene ed avere
più fede. Cercherò di non lamentami, fino a quando non ne
avrò veramente ragione.”
Con il suo inseparabile cucchiaio, Mary lavorò i cardini
febbrilmente. Quando cedettero, lanciò un piccolo grido di
gioia. Spostò, a fatica, una parte della grata e passò,
cercando di non ferirsi con le sbarre arrugginite. Scivolò nel
fiume, facendo attenzione a non farsi trascinare al largo dalla
corrente. Sarebbe stato stupido arrivare fino a lì per morire
annegati. Fortunatamente per Mary, quel giorno il Tamigi scorreva
placido e tranquillo, così lei riuscì a risalire la riva,
senza farsi notare da occhi indiscreti.
La prima cosa che vide, appena arrivata in cima all’argine, fu la
casa di un commerciante, con davanti stesa la biancheria ed un cavallo
con le sacche da viaggio ancora appese.
Mary alzò gli occhi al cielo: “Tu mi capisci, vero?
– domandò, in tono dispiaciuto – Sai quanto mi
dispiaccia rompere subito la promessa che ti ho fatto solo poco fa, ma
lo vedi anche tu! Se non mi metto vestiti asciutti, posso prendermi una
polmonite e morire. Avresti fatto tutto questo per nulla, non credi?
Per quanto riguarda quelle sacche… insomma… se tu non
avessi voluto che io le alleggerissi, non me le avresti fatte trovare!
Con quei soldi, potrò mantenermi e trovare un lavoro onesto, in
modo da rispettare la promessa che ti ho fatto. Affare fatto?”
Mary rimase in attesa di un segno. Nessuno uscì dalla casa.
Nessuno si avvicinò dalla strada vicina. Non ci furono lampi o
fulmini: “Lo prendo per un sì!” concluse,
soddisfatta.
Mary si avvicinò al cavallo, accarezzandolo e mormorandogli
parole rassicuranti. Il cavallo scalpitò nervosamente, ma non
nitrì, permettendo alla giovane ladra di frugare nelle sacche.
Con un sorriso soddisfatto, si impossessò di un sacchetto, che
sembrava contenere un bel malloppo di monete. Svelta e guardinga, Mary
si avvicinò agli abiti appesi, che erano asciutti e adatti a
lei. La giovane donna si cambiò velocemente e si
allontanò dalla casa e dalla città. Era ora di trovare un
altro posto in cui vivere.
Mary camminò tutto il giorno e tutta la notte, allontanandosi il
più velocemente possibile dalla città. Nel tardo
pomeriggio del giorno seguente, arrivò in vista di una locanda,
costruita in uno spiazzo, vicino alla foresta. Si sentiva sicura ed
invincibile, perché quello era il suo periodo fortunato. Come
poteva non esserlo, quando era riuscita a fuggire dalle segrete di sua
maestà, trovando pure un piccolo capitale, che le avrebbe
permesso di sopravvivere fino all’arrivo in una nuova
città? Mary aveva voglia di festeggiare e di vantarsi della sua
incredibile impresa. La giornata era luminosa e c’erano diversi
avventori seduti ai tavoli, che si trovavano davanti alla locanda.
“Oste porta fuori dalla cantina il tuo vino migliore! –
esordì Mary, a voce alta – Dobbiamo festeggiare! Non
capita certo tutti i giorni di fuggire dalle galere del re e di
sottrarsi al cappio del boia.”
“E chi lo avrebbe fatto?” chiese uno degli avventori.
Mary era troppo entusiasta per notare il tono tagliente
dell’uomo, di cui vedeva solo la schiena, coperta da un lungo
mantello nero.
“Io! Mary Morstan! – rispose, allegramente – Fino a
poche ore fa, ero prigioniera nelle segrete di Londra. Guardatemi! Ora
sono qui! Beviamo alla mia salute, amici! Oggi è una bella
giornata.”
“Non se sarei così sicuro,” sibilò lo stesso uomo, alzandosi dal tavolo a cui era seduto.
Mentre si girava verso Mary, il cappuccio gli cadde dalla testa ed il
mantello si aprì, rivelando la divisa delle guardie del re. Mary
impallidì.
“Ora non fare nulla di stupido. – la avvertì
l’uomo, in tono minaccioso – Stiamo rientrando da un giro
di perlustrazione lungo e faticoso. Siamo stanchi ed arrabbiati,
perché non abbiamo trovato l’uomo che stavamo cercando.
Lasciati prendere e riportare nelle segrete, senza opporre resistenza.
Se lo farai, potrei decidere di non divertirmi con te, prima di
consegnarti al boia.”
Il cuore di Mary batteva impazzito, come se volesse uscire dalla gabbia
toracica. Non poteva finire così! Non poteva tornare indietro!
Fissò lo sguardo negli occhi gelidi e duri del capitano delle
guardie. Erano sei uomini, grandi, grossi e probabilmente ben
addestrati. Se avesse tentato di fuggire, non si sarebbero limitati a
picchiarla. Le avrebbero fatto sicuramente di peggio, ma, tanto, non
sarebbe importato a nessuno. Del resto, come poteva essere sicura che
non l’avrebbero violentata ugualmente? Come avrebbe potuto
fermarli? Non aveva nulla da perdere. Doveva provare a scappare.
Mary scattò, cercando di andare verso la foresta, ma il soldato
fu più rapido di lei. L’uomo afferrò il collo della
maglia della ragazza, tirandola verso di sé. Alla ladra
mancò l’aria, ma ne andava della sua vita, quindi si
girò versò l’uomo, cercando di colpirlo con un
calcio. Il soldato la prevenne, respingendo la gamba della giovane, e
con uno sbuffo annoiato le diede una sberla, che la stordì:
“Pensi di andare avanti ancora per molto? – domandò,
irritato – Stai solo rendendo più difficile la tua
posizione.”
Per tutta risposta, Mary affondò i denti nella mano, che la
aveva appena schiaffeggiata. Il soldato lanciò un grido di
dolore, lasciando andare la maglia della ragazza. Mary cercò di
scappare, ancora, ma un altro soldato le afferrò le braccia,
bloccandola e ridendo sguaiatamente: “Anderson, se non riesci ad
avere la meglio su uno scricciolo di ragazza come questa, come pensi di
affrontare e battere il capitano Holmes?”
“Questa piccola vipera mi ha colto di sorpresa, –
sibilò Anderson, furioso, soprattutto per essere stato deriso
dal commilitone – ma ora me la pagherà cara!”
“Davvero un bello spettacolo. – una voce bassa e grave si
levò da un uomo con un mantello nero, seduto ad uno dei tavoli
più esterni – Siete sei uomini grandi, grossi ed armati
contro una ragazzina minuta ed indifesa. Il re deve essere veramente
orgoglioso dei suoi soldati.”
Anderson si girò verso lo sconosciuto. Poteva a stento
sopportare di essere canzonato da un compagno d’armi. Non avrebbe
mai permesso ad un semplice villico di prendersi gioco di lui:
“Chi credi di essere? Vuoi andare a fare compagnia a questa ladra
nelle segrete di Londra?”
L’uomo si alzò, scostando il cappuccio, che gli nascondeva il volto.
Il soldato venne perforato da due occhi di un azzurro chiarissimo,
freddi e duri come l’acciaio. Una chioma disordinata di capelli
ricci e neri li sovrastava, scompigliata dalla leggera brezza
preserale, che si era alzata da qualche minuto. Le labbra erano
serrate, una sottile linea irata. L’uomo, che dimostrava
venticinque anni, era vestito completamente di nero, con abiti che
indicavano chiaramente le sue origini nobili.
Anderson rimase paralizzato dalla sorpresa, quando riconobbe l’uomo che aveva davanti.
Un soldato si staccò dai quattro rimasti vicini al loro tavolo,
per avvicinarsi al nuovo venuto, con un sorriso cordiale e felice:
“Capitano Sherlock Holmes! È un piacere rivederla,
signore. Non credo alle accuse di stregoneria, che le sono state
rivolte, signore. Mi dia un ordine ed io le ubbidirò, senza
esitazione.”
Anderson si riprese in fretta dalla sorpresa. Estratta la spada,
infilzò il soldato, che aveva appena dichiarato la propria
lealtà al cavaliere nero: “Traditore! – gridò
– Questa è la fine che meriti!”
“NO,” urlò Sherlock, ma era troppo tardi. Il giovane soldato cadde a terra, morto.
Sherlock, con un lampo di gelida ira negli occhi, sfilò la lunga
spada dal fodero, che portava al fianco: “Fammi vedere cosa sai
fare,” mormorò, in tono di sfida.
Anderson lo caricò, ma Sherlock lo disarmò con pochi
tocchi e lo trafisse. Gli altri quattro uomini fecero per avventarsi su
di lui, con rabbia e violenza. Sherlock ne affrontò due, mentre
gli altri due vennero attaccati da un magnifico falco, con un piumaggio
grigio-biondo. Sherlock mise, velocemente, fuori combattimento i suoi
due avversari ed affrontò gli altri due, facendoli finire in
terra.
Mary aveva approfittato dello scontro per fuggire il più lontano
possibile dalla locanda. Stava per arrivare all’inizio della
foresta, quando sentì un rumore di zoccoli avvicinarsi a lei
rapidamente. Tentò di aumentare la velocità, ma venne
afferrata alla maglia, sollevata in aria e depositata, senza troppi
complimenti, di traverso su un cavallo.
“Lasciami andare! – urlò, scalciando – Non è così che si tratta una signora!”
“Ti ho appena salvato la vita. – ribatté una voce
seria e profonda – Potresti essermi un po’
riconoscente.”
“Grazie, ma mettimi giù. Non sono comoda.”
Mary non ricevette alcuna risposta. Il cavallo continuò la sua corsa, mentre il maestoso falco li seguiva.
Cavalcarono per un po’ di tempo, fino a quando trovarono una casa
abbandonata: “Questo posto andrà bene per passare la
notte,” disse il cavaliere, scendendo da cavallo.
Mary scivolò giù, grata di poter cambiare posizione, ma
offesa per essere stata trattata come un sacco: “Non hai ucciso
tutti quei soldati e potrebbero seguirci. Ci sarà luce anche per
qualche tempo, potremmo andare più lontano.”
“Il sole calerà fra poco. – ribatté Sherlock,
in un tono secco, che non ammetteva repliche – Quei soldati non
ci seguiranno. Si staranno leccando le ferite e cercheranno rinforzi.
Striglia il cavallo. Nella sacca troverai qualcosa da mangiare.
Chiuditi nella casa e non uscire. Qui sarai al sicuro, per
stanotte.”
Sherlock si era tolto i guanti ed il mantello, infilandoli in una delle sacche.
Mary lo osservò interdetta, perché sembrava quasi che la
stesse lasciando da sola. Non capiva cosa volesse da lei
quest’uomo così severo e compassato, ma, ogni volta che
Sherlock posava gli occhi sulla ragazza, lei sentiva un brivido gelido
percorrerle la schiena. Quell’uomo portava guai e pericoli ed era
meglio stargli il più lontano possibile. Se l’avesse
veramente lasciata da sola per la notte, avrebbe potuto fuggire.
“Non farti venire l’idea di scappare. – la
ammonì Sherlock – Potresti incappare in quei soldati ed io
non sarei lì a proteggerti. Ci vediamo domani mattina. Dormi.
Domani ci aspetta un lungo viaggio.”
Sherlock alzò il braccio sinistro, tenendo il gomito ad angolo.
Il falco planò dolcemente, appoggiandosi all’avambraccio
di Sherlock, che lo accarezzò. Negli occhi colore del ghiaccio
apparve una luce triste e dolce.
Senza aggiungere altro, Sherlock si allontanò, con il falco.
Rimasta sola, Mary entrò nella capanna, portandovi anche il
cavallo, e cercò di capire cosa fosse meglio fare. I soldati
lasciati vivi dal misterioso cavaliere nero stavano, sicuramente, dando
loro la caccia, anche se era calata la notte. Lei non sapeva se e dove
avrebbe trovato un altro rifugio. Il tenebroso Sherlock Holmes, come le
era sembrato che lo avessero chiamato i soldati, sapeva decisamente
combattere, quindi poteva ritenersi moderatamente al sicuro, con lui.
Certo, non sapeva cosa aspettarsi da quell’uomo, ma non le
sembrava il tipo che andasse in giro a violentare fanciulle indifese.
Non aveva
quello sguardo viscido e lussurioso che le riservava
quel
tipo di uomini. Il soldato ucciso dal commilitone aveva parlato di
stregoneria. Ecco. Questa cosa la spaventava. Anche tanto. Con quegli
occhi, quel portamento regale e gli abiti neri, Sherlock Holmes avrebbe
potuto essere un potente stregone. Per non parlare del bellissimo
falco, che lo aveva aiutato e che li aveva seguiti. Aveva sentito
parlare della falconeria, era un’attività da nobili, lo
sapeva benissimo. Però… però… il modo in
cui Sherlock aveva accarezzato e guardato quel falco aveva qualcosa
di… di… romantico ed infelice. Non trovava altro termine,
per descrivere ciò che aveva visto. E ciò la faceva
rabbrividire.
“Non ti dispiace, se decido di andarmene, vero? – chiese,
rivolta al cavallo – Nulla mi fa più paura della magia.
Preferisco affrontare tagliagole e stupratori, piuttosto che essere
invischiata in queste cose bizzarre, strane e pericolose. Sono sicura
che lui tornerà molto presto e che ti darà una bella
strigliata. Io vado.”
Aprì la porta. La notte era illuminata dalla luna piena, che le
avrebbe permesso di capire dove stesse mettendo i piedi. Aveva fatto
pochi passi, quando un maestoso e grosso lupo nero le sbarrò il
passo. Mary fissò gli occhi color del ghiaccio del lupo:
“Buono, cagnolino. – mormorò, senza riuscire a
nascondere la paura – Tu sei buono, vero? Non sei affamato.
Guardami! Sono tutta ossa! Non ti sfameresti troppo, se mi
mangiassi.”
Mentre parlava, Mary cercò di spostarsi verso la casa, ma un
ringhio profondo la paralizzò. Non sapeva cosa fare, quando una
voce dolce arrivò dal buio: “Smettila di comportarti in
modo così feroce. La stai spaventando e non è certo una
grande minaccia.”
Mary, con un enorme sforzo di volontà, alzò gli occhi dal
lupo. La luce fredda della luna piena illuminò i capelli biondi
di un uomo, non troppo alto, ma ben proporzionato, che si stava
avvicinando al lupo. L’uomo dimostrava più o meno la
stessa età del cavaliere nero ed indossava degli abiti comodi,
ma fabbricati con stoffe pregiate. Mentre si avvicinava, rivolgeva un
sorriso rassicurante alla ragazza e non sembrava per nulla preoccupato
dalla presenza del grosso lupo nero. Mary aprì la bocca, senza
riuscire ad emettere un solo suono, mentre si perdeva negli occhi color
dell’oceano profondo del misterioso visitatore.
“Torna pure dentro. Nessuno di farà del male,” sussurrò l’uomo, con voce dolce.
Raggiunto il lupo, appoggiò una mano sulla testa
dell’animale, che alzò il muso, guaendo dolcemente.
Insieme, si allontanarono nel bosco.
“Questa è magia!” sbottò Mary, terrorizzata e
corse dentro la casa, barricandovisi dentro. Era meglio attendere la
luce del sole, per fuggire o prendere qualsiasi decisione. In questa
strana notte, troppe forze misteriose erano all’opera, per
trovarsi, da sola, nella foresta.
Angolo dell’autrice
Vorrei fare una piccola precisazione sul personaggio di Mary. Lei
“interpreta” Philippe Gaston (nel film era impersonato da
Matthew Broderick) che aveva questo particolarissimo rapporto con Dio,
che ho riproposto nel racconto. Quindi, mi scuso, se qualcuno dovesse
trovarlo inappropriato, ma ho solo ripreso una delle caratteristiche
fondamentali di uno dei personaggi del film.
Ogni commento è sempre benvenuto.
A domenica prossima.
Ciao!