Haruka ½
«Mi
spieghi cosa diavolo significa questa, dannato di un Ranma?!»
aveva sbraitato Ryoga in preda ad una crisi di nervi, un pugno chiuso
e diretto verso il muso del coetaneo, mentre nell'altro stringeva con
una spudorata energia qualcosa di cartaceo. Ranma lo fissò
interdetto, scansando il colpo con facilità, tuttavia l'altro
uomo era a dir poco furioso e continuava a cercare di colpirlo con
insistenza, come se desiderasse vederlo in terra tramortito.
«Si
può sapere che diamine ti prende?!» gli chiese il
codinato, deviando un ulteriore colpo «Hai sbattuto la testa o
cosa?!»
«Dannato!
Adesso hai pure voglia di scherzare, eh?!» il corvino dalla
gialla bandana digrignò i denti, mostrando i due canini
affilati e bianchissimi. Ranma, in quell'attimo, bloccò la
mano di Ryoga col palmo d'una mano, fissandolo con serietà.
Dopodiché i suoi occhi si posarono su ciò che Ryoga
stringeva con così tanta rabbia.
“Una
lettera?” pensò
Ranma, aggrottando le sopracciglia,“Qui
c'è qualcosa che non mi quadra affatto...”
Con un'agile mossa, il codinato
diede un veemente calcio in faccia all'amico-nemico, il quale volò
direttamente all'interno del piccolo laghetto adornato da medi massi
massicci. Subito dopo, la lettera ch'egli aveva in meno svolazzò
in direzione di Ranma, che l'afferrò con agile prontezza.
«Ranma, che succede?!»
Akane si precipitò ove i due litiganti stavano animatamente
discutendo: praticamente all'entrata della palestra. Ella si guardò
attorno, poi, a passo spedito, si diresse verso Ranma con le mani sui
fianchi «Ecco, siamo alle solite! Devi smetterla di provocare
il povero Ryoga!»
Ma Akane non ricevette risposta,
poiché il marito sembrava essere del tutto sbiancato per
l'estremo choc che gli aveva causato la lettura.
«Cosa ti prende? Sembra
che tu abbia appena visto un fantasma!» Akane strappò di
mano la lettera a Ranma e, in quel momento, tutti gli altri fecero la
loro apparizione innanzi alla palestra Tendou.
«Akane,
che hai?» Nabiki si era fatta più vicina alla sorella:
quest'ultima aveva gli occhi sgranati e sembrava anche parecchio
scossa. Ranma si scrocchiò le nocche delle dita e, lentamente,
le ossa del collo «TU,
dove pensi di andare, padre degenere?!»
Difatti, Genma stava per
svignarsela via come suo solito, ma Ranma fu più veloce e gli
balzò sulla schiena, incollandolo al pavimento e gonfiandolo
di botte.
«Calmo, Ranma! Lascia che
papà ti spieghi!» Genma cercò di giustificarsi,
ma invano, poiché il figlio lo strinse per la collottola e
avvicinò il viso d'egli al suo.
«Ti ascolto», il
tono alquanto minaccioso e lo sguardo adirato erano carichi
d'umiliazione e vergogna.
Haruka se ne stava con la
schiena incollata al muro e le mani ficcate all'interno delle tasche
dei jeans, mentre Nagisa e Hiroshi arrivavano proprio in quel
momento.
Gli occhi color nocciola della
fanciulla sbatterono fra loro e poi fissarono tutti i presenti, sino
a ché non individuarono il foglio di carta che la madre del
ragazzo dai capelli scarlatti teneva in mano.
“Una...
lettera?”
Ryoga ritornò a passi
svelti e pesanti, incrociando le braccia al petto; del vapore caldo
fuoriusciva dall'acqua che sgorgava dai vestiti e dalla pelle d'egli.
Akari gli era di fianco, sorreggendo con entrambe le mani il manico
d'una dorata teiera.
Genma, dopo esser stato lasciato
dalle grinfie del primogenito, si sistemò meglio i vecchi
occhiali sul naso «E' una lunga storia».
«Accorcia»,
sintetizzò seccamente l'uomo dal codino color pece.
Genma sudò freddo,
spostando gli occhi a destra e sinistra, finché non ebbe
Haruka e Nagisa sul suo campo visivo.
«Akane, ti ringrazierei
infinitamente se tu leggessi ad alta voce il contenuto di quella
lettera» fece Genma, non distogliendo lo sguardo laddove
l'aveva appena puntato.
Akane aprì bocca ma tutto
ciò che fece fu boccheggiare, poiché Ryoga l'aveva
prontamente preceduta:
“ Gentilissimo signor
Hibiki, nonché mio carissimo Amico di Penna,
Come concordato anni addietro,
terrò fede al nostro giuramento e, poiché sono
fermamente sicuro che tu farai la stessa cosa nei miei confronti,
sono davvero lieto che mio figlio Haruka, in un armonioso futuro
prossimo, possa prendere in moglie la tua cara e dolce nipotina
Nagisa.
Ti ringrazio, dunque, per i
soldi che tu stesso hai dato a mio padre di persona. Senza di quelli
non avremmo mai potuto permetterci le medicine per curare mia moglie
dalla grave malattia che l'affligge ormai da troppo tempo.
I miei più sinceri e
cordiali saluti,
Ranma Saotome ”
«C'è scritto
proprio così» puntualizzò Nabiki, facendo
capolino dalla spalla di Akane ed indicando quindi la lettera con
l'indice della mano destra.
La bocca di Ranma si spalancò,
ancora incredulo, mentre Ryoga ribolliva dalla rabbia: l'aveva letta
una sola volta ma ogni lettera scritta in quel foglio non l'avrebbe
mai e poi mai dimenticata.
«Da quand'è che va
avanti questa storia?!» Genma ricevette un bel cazzotto sul
capo da Ranma, «Che grave malattia dovrei mai avere?!»
disse Akane, dando in contemporanea con il marito un secondo pugno al
suocero.
«Hai osato persino
simulare la mia firma» esclamò ricolmo di risentimento
il codinato «Non ti perdonerò mai!»
«Non così in
fretta, Ranma!» Genma scansò il calcio che il figlio
aveva cercato di dargli e successivamente lo additò con
l'indice accusatore «Quella firma è autentica!»
I presenti si sorpresero, Nagisa
era rimasta senza parole ed Haruka sembrava tranquillissimo riguardo
alla faccenda.
«Quindi ti sposerai?»
chiese Hiroshi alla sorella maggiore, la quale arrossì
violentemente a quella domanda: «C–cosa?!»
«Ovvio che no, Hiroshi!
Questa è tutta una buffonata!» soggiunse Ryoga,
avvicinandosi velocemente all'uomo col codino, «Vero?»
Genma si mise tra i due uomini,
emise un pesante colpo di tosse, e poi disse:
«Era un giorno alquanto
piovoso, quando...»
{
FLASHBACK }
Ranma entrò in camera da
letto, grattandosi la nuca e sbadigliando lievemente, una mano
rivolta vicino alla bocca.
Happosai era lì, col suo
enorme fazzoletto ripieno di pizzi e merletti dell'amata biancheria
intima femminile: alla collezione, vi erano stati appena aggiunti dei
reggiseni e delle mutandine appartenenti ad Akane.
«Ehi, ciao Ranma! Non
pensavo che Akanuccia tenesse certi completini sexy nel suo
guardaroba!» esclamò malizioso il Maestro, ridacchiando
tra sé e sé. In meno di qualche secondo il vecchio era
già vicino all'uomo e aveva cominciato a punzecchiarlo con
velocità da vari lati, saltellando euforico «Su,
ammettilo, furbacchione! Cos'è che fate te ed Akanuccia
adorata quando non ci sta nessuno in casa, mhmm?!»
Ranma arrossì ed afferrò
con violenza Happosai per il viso, spingendolo con tatto alcuno sulla
lignea pavimentazione «Adesso ti spacco, maledetto porco!»
Happosai aveva i – finti –
lacrimoni, tirò su col naso, come se la vittima fosse lui, e
fissò Ranma con gli occhioni lucidi da bambinone.
«Non ti vergogni a
prendertela con un povero vecchio!? Guarda che lo dico ad Akane!»
«Tu non dirai proprio un
bel niente» ribatté il corvino, facendosi più
vicino al Maestro «Anche perché adesso esalerai l'ultimo
respiro!»
Detto ciò, Ranma fece per
colpire Happosai più e più volte, ma egli scansava
qualsiasi suo colpo.
Fecero tutto il giro
dell'abitazione, alla fine si ritrovarono entrambi nella stanza ove
dormivano Genma, Nodoka ed Haruka, quest'ultimo in un futon a parte.
Immediatamente, s'udì uno
strano tonfo, simile alla caduta d'un corpo sul pavimento.
«Cosa c'è, hai
paura?» lo provocò Happosai, ghignando altezzosamente.
Ranma s'alzò le maniche
lunghe della maglietta cinese blu-scuro e strinse con maggior
intensità la mano destra, si lanciò poi verso l'anziano
ma questi sembrò come teletrasportarsi altrove, – era
incredibilmente veloce! – quindi l'uomo col codino perse
l'equilibrio e cadde in terra, col palmo della mano bello che aperto
su un cuscinetto intriso di... inchiostro?!
«Accidenti a te!»
Ranma fece per alzarsi ma con un colpo deciso, ad Happosai bastò
sfiorare l'interlocutore con la pipa, che quest'ultimo volò
via.
Improvvisamente, una mano
apparve da dietro all'armadio scorrevole, proprio dove Ranma era
stato fiondato: essa teneva un foglio bianco, fece una lieve
pressione sul palmo dell'uomo e poi scomparve da dove era arrivata.
Happosai,
nel frattempo, se l'era svignata con tutto il suo ben
di Dio.
«Fa che ti abbia
nuovamente sotto mano, e poi vedi come ti concio» ringhiò
alla fine Ranma, rimettendosi in piedi con un fulmineo balzo.
«E questo?» fu
allora che s'accorse d'avere il palmo della mano inchiostrata, ed in
contemporanea, dell'abbondante inchiostro che macchiava un po'
ovunque il pavimento della stanza, accompagnato da altrettanti
oggetti sparsi qua e là.
Ranma s'allarmò,
sbiancando: se Akane e sua madre avessero visto tutto quel casino,
probabilmente si sarebbero arrabbiate come non mai.
Quindi, onde evitare qualsiasi
battibecco con le donne di casa, avrebbe fatto meglio a mettere tutto
in perfetto ordine.
Intanto,
l'artefice di quel genialissimo
piano,
aveva approfittato della fuga del grande e vecchio Maestro, per
darsela anch'egli a gambe levate:
Si era nascosto sotto il tatami,
successivamente aveva spalancato un poco di più la porta
scorrevole già di per sé aperta, ed aveva levato le
tende senza lasciare traccia, come un abile ladro.
{
END OF FLASHBACK }
«E' andata proprio così!»
annuì Genma, come se nulla fosse, indicando il retro della
lettera e facendo chiaramente vedere l'impronta digitale del figlio.
Quest'ultimo gli diede un ennesimo pugno e poi sbraitò: «Come
osi dirlo con così tanta naturalezza?!»
«Dove credi di andare,
tu?» Akane afferrò il nano anziano per il vestito color
bordeaux e poi lo girò verso di sé, la mano opposta già
pronta per spedirlo in alto nel cielo.
«Suvvia, Akanuccia mia,
stavamo solo giocando... Per farmi perdonare ti darò un
bacino!»
Un forte tonfo si procreò
all'improvviso: il piede destro di Haruka premeva contro la nuca
dell'anziano e, infine, come se questi fosse un pallone da calcio, lo
spedì in alto: sperando che oltrepassasse l'atmosfera
terrestre e che non si facesse mai più rivedere.
L'azzurro degli occhi del
giovane andarono ad incontrare quelli del nonno; gelido e
irremovibile gli andò incontro. Genma impallidì,
portando le mani in avanti, «Dai, Haruka, nipote mio:
parliamone!»
Ma nonostante quello che si
poteva pensare, il rosso non fece niente: egli si fermò
innanzi al nonno e, semplicemente, rimase a guardarlo.
«Non ho intenzione di
sposarmi. Tanto meno fidanzarmi con una come quella lì»
mise in chiaro il ragazzo, dopo un breve attimo di silenzio «Tra
l'altro,» egli non poté che enfatizzare la cosa,
guardando la fanciulla di sottecchi: «non è il mio
tipo».
A Nagisa sembrò come se
centomila coltelli affilati le venissero conficcati sulla schiena.
Ella deglutì e strinse le mani sul petto: ecco che, senza
neanche pensarci, s'era messa a guardare in terra.
Non poteva certo immaginare, che
la vera natura di quelle parole fosse un'altra: Haruka odiava... le
donne. Le odiava perché lui stesso lo era, lo era per metà,
gli era stato ereditato e lui, sfortunatamente, non poteva farci
niente.
“Sei
diverso, siamo diversi.
Non
sarai mai un bambino normale,
Haruka. Vedi non dimenticarlo”.
Suo nonno Genma era stato molto
chiaro, quella volta, sebbene all'epoca il figlio di Ranma avesse
solamente cinque anni: questo lo aveva a tal punto traumatizzato, da
portarlo verso l'attuale strada.
In sostanza, era tutta colpa di
Genma se il nipote era cresciuto con tali pensieri fissi e
intoccabili. Ranma non lo aveva ancora perdonato, per questo.
Haruka fece per andarsene, ma
ecco che da dietro egli sbucò l'uomo col codino, il quale lo
strinse fortemente per le spalle.
«Una promessa è una
promessa», affermò Ranma, sospirando piano, «Quindi,
figlio mio, comportati da uomo e prenditi le tue responsabilità».
«Caro, non agitarti, ti
prego» Akari stava trattenendo il marito per un braccio, la
teiera che prima aveva in mano era ormai finita in terra, la calda
acqua che bagnava il duro asfalto «Vedrai che andrà
tutto bene».
Ryoga strinse i denti e, a
fatica, proclamò con un tono abbastanza carico di nervosismo:
«E va bene,» una
vena pulsava insistentemente sulla tempia destra «ma se osa
soltanto farle del male, io giuro che lo rispedisco all'altro mondo!»
Haruka si staccò dal
padre con un secco movimento della braccia proiettate in avanti e,
senza dire niente, s'incamminò. Passò vicino a Nagisa,
che lo guardò per pochi attimi, distogliendo poi in maniera
fulminea lo sguardo altrove.
«Stammi alla larga»,
gli sussurrò egli, una volta abbastanza vicino a lei, e
dopodiché la sorpassò, ritornandosene dall'altra parte
della casa, dove vi erano rimasti Soun, Kasumi, Tofu... e i nuovi
arrivati Tatewaki e Youichi.
Nagisa cercò di
trattenere le lacrime: in fondo, perché avrebbe dovuto
versarle? Quel ragazzo, alla fine fine, neanche lo conosceva.
«Nagisa!» Ryoga
allungò una mano in direzione della ragazza, ma quest'ultima
era già scappata via.
Ranma
si mise di fianco al coetaneo, «Lasciala stare. Vorrà
rimanere sola, immagino». Ryoga gli lanciò
un'occhiataccia, poi rivolse lo sguardo laddove la figlia era
scomparsa. Anche Akane ed Akari parvero fare lo stesso, mentre i due
corpi di Genma ed Happosai erano stesi al suolo e si lamentavano per
il dolore subìto – Happosai ritornato indietro come un
boomerang dal calcio del giovane rosso, e Genma pestato dai violenti
colpi del figlio Ranma.
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