Capitolo
#3
L'uomo
poggiò elegantemente il calice di vino sul tavolo,
rivolgendo uno sguardo penetrante ai due individui appena entrati su
suo ordine nella stanza.
Continuò ad analizzarli per alcuni istanti, cercando di
decidere se dovesse o meno farli fuori per via della loro completa
inutilità.
Di certo non si sarebbe mai posto alcun tipo di scrupolo nel fare una
cosa del genere: aveva sulle mani il sangue di talmente tante persone
che aggiungere due tirapiedi incompetenti in fondo alla lista delle sue
vittime, non faceva davvero alcun tipo di differenza.
La sua non era crudeltà, ma puro e semplice senso degli
affari. Era infatti impossibile diventare uomini temuti e di successo,
se non si era disposti ad eliminare tutti coloro che tentavano in
qualsivoglia modo di ostacolarti.
Ezekiel Dixon si era premurato di seguire fin da giovane quella regola
fondamentale se si voleva sopravvivere in quello che era il suo mondo.
E forse, proprio per questo motivo, adesso era a capo di una delle
più grandi organizzazioni del paese.
I vantaggi del ritrovarsi in una simile posizione erano a dir poco
considerevoli: ricchezza, potere, bella vita.
Certo, se non si stava ben attenti si rischiava di beccarsi una
pallottola nel cervello, ma quello non era mai stato un suo problema.
Pochi erano quelli talmente folli da intralciare o da cercare di
immischiarsi nei suoi affari.
D'altronde, aveva dalla sua tutta una serie di esempi che facevano
sì che chiunque ci pensasse bene prima di mettersi contro di
lui.
Volti di uomini e donne si confondevano nella sua mente; in molti casi
si trattava di persone che avevano visto o sentito troppo, trovandosi
coinvolte in giri di cui non avrebbero dovuto essere a conoscenza.
Eliminando senza alcun tipo di rimorso quelle immagini dalla sua mente,
l'uomo tornò a concentrarsi sugli scagnozzi ancora davanti a
lui.
Nessuno dei due aveva osato emettere neanche una singola sillaba,
troppo impegnati a tener su la migliore espressione contrita a loro
disposizione, sforzandosi evidentemente di non incrementare
ulteriormente il suo disappunto.
Non sono proprio dei
completi idioti, allora.
Li squadrò lentamente e con estrema freddezza, per fargli
avvertire ancora di più il peso dell'attesa del suo
responso; magari sentendosi graziati, la prossima volta - consapevoli
della fortuna sfacciata che avevano avuto - avrebbero svolto il loro
lavoro in maniera adeguata, senza costringerlo ad inutili spargimenti
di sangue che l'avrebbero condotto alla ricerca di nuovi tirapiedi.
« C'è un motivo particolare per cui non sono
ancora in possesso della mia merce? » chiese poi in
tono tagliente quanto la lama di un rasoio, sfiorando con un dito il
bordo del bicchiere di vetro e guardandoli di sottecchi.
I due uomini esitarono per alcuni istanti, quasi stessero cerando di
mettersi d'accordo con la forza del pensiero sul modo migliore di
esplicare i fatti senza essere ridotti a brandelli.
Alla fine uno di loro si fece avanti, con un'espressione timorosa
dipinta in volto.
Difficilmente un qualsiasi passante avrebbe guardato in quel modo un
banale uomo sulla cinquantina, dall'aria impeccabile e il completo su
misura.
Chi però era a conoscenza della sua identità, chi
sapeva quanta spietatezza si nascondeva dietro quegli abiti eleganti,
assumeva sempre quel tipo di atteggiamento in sua presenza.
« Ci sono stati dei problemi, capo. Headley vuole il doppio
del prezzo pattuito per consegnare il carico; dice che gli stanno
addosso, e che se deve rischiare vuole una ricompensa più
elevata. O almeno questo è quello che ha riferito il
suo
intermediario. »
Russ, dopo aver parlato, fece nuovamente un passo indietro, attendendo
la reazione di Ezekiel di fronte a quella notizia.
La cifra, così come il carico di cui si parlava, quella
volta erano tutt'altro che irrisori, e lo aveva visto andare su tutte
le furie per motivi decisamente meno gravi.
« Il doppio? Quel rifiuto umano è per caso
impazzito? Non intendo dare loro una simile quantità di
denaro, tanto più che lui e i suoi uomini sono
già in ritardo sulla consegna. Non se ne parla. »
esordì difatti l'altro, subito dopo.
Ezekiel si alzò di scatto, misurando a grandi passi la
sontuosa sala in cui l'incontro stava avendo luogo: un enorme
lampadario di cristallo a goccia pendeva dal soffitto, finemente
intarsiato; un mobile d'antiquariato dell'epoca di Luigi XV
dall'inestimabile valore copriva gran parte della parete sulla destra,
e vi poggiava sopra un piccolo vaso dalle decorazioni piuttostosto
discutibili. E poi, l'enorme vetrata che dava sul perimetro esterno
dell'abitazione, ben si abbinava al lusso che permeava da ogni altro
oggetto presente.
Non che un simile sfarzo fosse realmente una sorpresa per qualcuno.
Quando si rischiava abitualmente la vita in un giro del genere, essere
ricchi da far schifo era il minimo.
« Siete riusciti ad ottenere qualche altra informazione?
» chiese ad un tratto Ezekiel, arrestandosi sul posto e
scrutando torvamente i due individui.
Se possibile, questi ultimi assunsero un aria ancora più
terrorizzata, facendogli ben intendere che quello che gli avrebbero
detto gli sarebbe piaciuto veramente poco.
L'uomo prese un respiro profondo, facendo appello a tutto il suo
autocontrollo per non mettere mano alla pistola che si portava sempre
dietro, per poi iniziare un tiro al bersaglio alternativo.
La sua vena sadica era profondamente divertita a quell'idea.
Tuttavia, la razionalità e la logica che lo avevano sempre
assistito in tutti quegli anni, garantendogli di non essere mai colto
di sorpresa o battuto in scaltrezza da nessuno, continuavano a fargli
presente che l'uccidere entrambi non fosse una buona idea.
O almeno, non in quel momento.
« Mi degnate di una risposta, o devo appendervi a testa in
giù da qualche parte per convincervi a parlare? »
domandò poi tranquillamente, ma con una tacita minaccia
nella voce.
Ezekiel era perfettamente consapevole di incutere un certo timore nei
suoi uomini con quel tono arcigno, ed era esattamente quello il suo
intento.
Dopo alcuni attimi di silenzio, Russ sembrò ritrovare l'uso
della parola.
« Noi.. non ne abbiamo avuto modo. Abbiamo dato una lezione a
quel tipo, quel Bane, ma poi prima che avessimo il tempo di fare
altro.. »
L'uomo, nel suo quasi incomprensibile borbottio, non aveva alzato
neanche un solo istante lo sguardo da terra: incrociare quegli occhi
freddi, glaciali, quasi inumani, era l'ultima cosa di cui avesse
bisogno mentre cercava di giustificarsi per quanto era successo.
L'altro emise un'espressione di disappunto, accompagnata da una per
nulla velata imprecazione; tutto quel tergiversare stava accrescendo di
secondo in secondo i suoi istinti omicidi.
« Tu,
dimmi immediatamente quello che è successo senza tralasciare
niente. E se ti azzardi a incespicare come questo qui, ti
pianterò una pallottola in testa. »
esordì poi ormai al limite della pazienza, indicando con un
cenno l'altro individuo.
Gli sembrava si chiamasse Aric, non che la cosa gli importasse
minimamente.
Alla fin fine, per quanto lo riguardava, gli scagnozzi erano tutti
uguali: un branco di imbecilli buoni a nulla.
« Russ aveva appena tirato una coltellata a Bane. Stavamo per
prenderlo a calci per ottenere tutte le informazioni che vi potessero
interessare capo, quando un moccioso è sbucato dal nulla e
si è messo in mezzo. Non so' chi diavolo fosse, nessuno di
noi lo aveva mai visto prima. »
Ezekiel guardò l'uomo palesemente scocciato, cercando di
registrare quello che gli era appena giunto alle orecchie.
Aveva davvero appena detto che si erano fatti mettere nel sacco da uno
sciocco moccioso che passava di lì per caso?
Assumendo un'aria a dir poco minacciosa persino per se stesso,
iniziò a girare lentamente intorno ai due individui,
scrutandoli dall'alto il basso.
« Sono vittima di allucinazioni uditive o mi state davvero
dicendo che vi siete fatti prendere a calci da un ragazzino?
» chiese con tono di voce basso, misurato, che li fece
trasalire come se fossero stati appena colpiti da una frustata.
Russ deglutì, evidentemente a disagio.
« Non era un semplice ragazzino. Chiunque fosse era
maledettamente ben addestrato: è riuscito a coglierci di
sorpresa quando eravamo convinti di farlo fuori in due minuti. Non ci
aspettavamo certo che si sapesse difendere in quel modo. »
rispose poi, decidendo di sfidare la possibile ira del suo capo per
spiegare come erano andate davvero le cose.
Era già abbastanza umiliante essere stati battuti
così facilmente, anche senza passare per uno smidollato che
frignava davanti al primo mocciosetto di turno.
Ezekiel si immobilizzò per qualche istante, evidentemente
riflettendo su quanto il suo tirapiedi gli aveva appena detto.
« Credete che fosse uno degli uomini di Headley? »
Dopotutto, quello era un dubbio più che lecito. Magari quel
tizio si era finalmente svegliato e si era reso conto che mandare uno
dei suoi uomini più fidati da solo, contro i suoi, non era
propriamente un'idea di eccezionale furbizia.
I due scossero la testa quasi all'unisono, ponendo immediatamente fine
a quella considerazione.
« No, non credo fosse uno dei suoi. Aveva più
l'aria di essere capitato lì per caso. »
commentò nuovamente Russ, guardando l'altro di sbieco.
L'essere ancora entrambi tutti interi era senz'altro una conquista, ma
era pur sempre meglio tenere un profilo basso e non mostrarsi neanche
minimamente strafottenti.
Non si poteva mai sapere cosa avrebbe fatto definitivamente perdere la
pazienza a quell'uomo dispotico.
« Quindi in giro c'è un ragazzino eroico e fin
troppo di sicuro di sé che, per i miei gusti, si
è già immischiato abbastanza nei miei piani.
» esclamò Ezekiel, accarezzandosi la mascella con
aria studiata.
Russ ed Aric nel mentre continuavano ad osservare il loro capo in
attesa di una sua qualsiasi decisione.
Anche se entrambi immaginavano già quali sarebbero stati gli
ordini a quel punto.
« Bene, sparite. E fate in modo di trovare Bane, voglio
chiudere quest'affare una volta per tutte. »
esordì difatti l'uomo, scacciandoli con una mano.
Dopo avergli rivolto un lieve cenno d'assenso, i due si voltarono
dirigendosi alla porta.
« Aspettate. » li richiamò Ezekiel, un
attimo prima di riprendere a parlare. « Mettete a tacere quel
ragazzino, e fate in modo che il suo corpo non venga ritrovato.
»
« E queste
cosa diamine sono?! »
Alec puntò lo sguardo verso la camera da letto inarcando un
sopracciglio, divertito.
Posò la tazzina di caffè - che aveva preparato
per non riaddormentarsi, dato che con Magnus non c’era
affatto da scherzare - sul tavolo davanti a sé, strusciando
rumorosamente la sedia sul pavimento in legno per alzarsi.
Con calma ponderata aprì l’anta del frigo, per poi
agguantare tra le sue dita lunghe una bottiglia di acqua minerale, che
versò in un bicchiere di vetro qualsiasi preso dalla
dispensa.
Ne bevve un sorso, stropicciandosi gli occhi per scacciare via il sonno
che prepotentemente cercava di strapparlo alla realtà dei
fatti, incitandolo a concedersi finalmente ad una sana dormita.
Poggiando poi anche quello nel lavabo, si diresse in camera, sostenendo
il corpo allo stipite della porta e cercando di trattenere la risata
che stava per nascere spontanea dal fondo della propria gola quando lo
vide alternare lo sguardo dal polso alle sbarre del letto.
« Uhm, una prevenzione direi. » gli rispose, quando
questo lo guardò con rabbia mista a disappunto.
Magnus mosse la mano, facendo tintinnare fastidiosamente la corta
catenella. Con le labbra socchiuse in una smorfia infastidita e con gli
occhi stretti in una linea sottile, lasciò che la parte
irruente di sé venisse a galla.
« Mi hai ammanettato al letto?! » gli
gridò contro risentito, arricciando il naso in maniera
piuttosto scioccata.
Quando aveva riaperto gli occhi qualche ora dopo essere crollato
addormentato per la stanchezza, l’unica cosa che gli era
inconsciamente venuta da fare era stata quella di portarsi una mano a
toccare la ferita.
Ma qualcosa l’aveva bloccato.
Alzando poi lo sguardo verso la propria mano, l’aveva trovata
inchiodata alla spalliera del letto con delle stupide manette.
Inutile dire che la cosa lo aveva profondamente irritato.
« Come ho detto, è solo una prevenzione. -
ribadì l’altro, sedendosi sulla sedia girevole
accanto al letto sfatto - Ma ora dovresti darmi alcune spiegazioni.
»
Magnus alzò gli occhi al cielo, sbuffando in maniera
piuttosto rumorosa e senza preoccuparsi minimamente di risultare
maleducato o incivile.
Alec lo ignorò senza alcun pudore, l’ombra di un
sorriso divertito ad abbellirgli le labbra carnose.
Spingendo poi la spalle verso lo schienale in un movimento fluido, si
portò le gambe al petto, trovando una sorta di equilibrio
che gli permettesse di rimanere in quella posizione.
« Mi chiedevo se per caso conoscessi un certo Bane.
» proferì, scrutando attentamente la reazione
dell’altro.
Magnus corrugò le labbra così velocemente e in
maniera quasi impercettibile che Alec si chiese immediatamente se non
se lo fosse solo immaginato.
« Mai sentito. »
La risposta arrivò secca, rapida, come se non avesse avuto
il bisogno di rifletterci su.
Lo sguardo era serio, posato, cauto.
Alec avrebbe creduto senza ombra di dubbio alle sue parole in altre
circostanze, ma non era di certo lì per farsi prendere in
giro.
Annuì, quasi a voler far credere persino a se stesso che
quella era la verità e non una squallida bugia detta per
chissà quale motivo.
Magnus era davvero molto bravo a rigirare le cose a proprio favore o
come più gli aggradava a seconda delle situazioni, ma se
c’era una cosa che Alec aveva imparato bene in tutti quegli
anni di servizio nella base militare, era il saper raggirare a sua
volta le questioni.
« Beh, questo Bane è stato accusato di traffico
d’armi illegali, e tutto l’esercito lo sta
cercando. » asserì, scrollando le spalle
indifferente.
Una breve scintilla passò nello sguardo di Magnus, ma non
poté accertarsene fino in fondo visto che subito dopo questi
sospirò, socchiudendo appena gli occhi.
« Povero incosciente, non vorrei proprio essere nei suoi
panni. » esclamò quasi melodrammaticamente,
puntando nuovamente lo sguardo in quello sempre più
impaziente di Alec.
Cercare di capirci qualcosa con lui stava diventando sempre di
più una vera e propria utopia. Stava persino arrivando quasi
a domandarsi se non fosse inutile cercare di aiutarlo.
Se Magnus avesse avuto anche la più minima intenzione di
uscire da quel giro, a quell'ora avrebbe senz'altro vuotato il sacco; o
perlomeno sarebbe stato disposto a fornirgli una qualche informazione.
Da come però si ostinava a restare chiuso nel suo mutismo,
accampando le più improbabili scuse pur di non farsi
scoprire, non sembrava affatto disposto a lasciarsi salvare.
Sei così
affezionato al crimine da rischiare persino la tua stessa vita?
Scosse la testa energeticamente, come a voler scacciare via quel
pensiero.
Per quanto le cose risultassero difficili, non poteva permettersi di
mollare: aveva fatto una promessa a sé stesso, e in un modo
o nell'altro sarebbe riuscito a tirarlo fuori da quella situazione.
« Sai, riflettevo sul modo inusuale in cui ti ho trovato.
Pensavo che magari avessi fatto o sentito qualcosa che non dovevi,
provocando l’ira di qualcuno. » provò
ancora, cercando di smuovere anche una minima reazione da parte sua, ma
nulla.
L’unica cosa che ottenne, fu un ulteriore sbuffo che ben
esprimeva quanto l'altro fosse stufo di quell'interrogatorio
improvvisato.
« Ancora con questa storia? Per Lilith che noioso. Ti ho
detto che mi hanno rapin- »
« Rapinato, certo.
» lo interruppe prontamente, passandosi una mano tra i
riccioli corvini e scompigliandoseli inconsciamente, quasi come se quel
gesto avesse potuto in qualche modo scacciare via la stanchezza.
Magnus lo guardò stranamente divertito, arricciando le
labbra in una smorfia per impedirsi di scoppiare a ridere.
Non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma nonostante quella
situazione lo stesse decisamente stressando, era anche un minimo
incuriosito da tutto quell’interessamento.
« Ricordo benissimo quello che hai detto. Quel che non so
è il perché avrebbero dovuto fare a te una cosa
simile. Ah già, non lo ricordo perché non me
l’hai detto. » continuò, ignorando
l’occhiataccia che l'altro gli lanciò.
Magnus ammutolì sul posto, per la prima volta senza una vera
risposta da fornirgli; il che era assai strano visto che lui sapeva
sempre cosa dire e come dirlo.
Passandosi la mano libera sul viso segnato dalla stanchezza,
sospirò per quella che poteva senz’altro definirsi
l’ottocentesima volta negl’ultimi trenta minuti.
« Senti, non so cosa speri di ottenere da me, ma non so
nulla. - ribadì, come un mantra - Ma se mai dovessi venire a
conoscenza dell’identità di questo fantomatico
Bane di cui parli, sarai il primo a saperlo. » concluse,
facendo un vago cenno con la mano come a voler allontanare un insetto
decisamente fastidioso.
Alec notò quanto fosse effettivamente grande la sua mano,
con quelle dita lunghe e affusolate e con quel palmo ampio.
Lo sguardo percorse poi l’avambraccio, il braccio,
immagazzinando ogni possibile dettaglio dell’arto, messo
ancora più in evidenza dalla posizione rigida in cui si
trovava.
Si ridestò improvvisamente quando sentì lo
sguardo bollente dell’altro sul proprio viso, così
si schiarì la voce, diventata improvvisamente roca.
« Perché sento di non dovermi fidare? »
gli domandò, poggiando i piedi sul pavimento in mattoni
bianchi.
Un sorrisino fece capolino sul volto semi-illuminato di Magnus, che si
premurò di scacciarlo immediatamente via, veloce
così come era apparso.
Alec non ci fece caso, intento a guardarsi i palmi delle mani quasi
fossero la cosa più interessante che avesse mai visto.
« Perché infatti non dovresti, non mi conosci
nemmeno. »
Oh, invece ti conosco
più di quanto immagini, avrebbe voluto dire,
togliendogli definitivamente quell’aria saccente dal viso.
E l’avrebbe anche fatto, se non fosse stato per la sua parte
razionale che lo spingeva sempre ad una lunga riflessione prima di
agire.
« Non dovrei fidarmi eh? Allora ammetti di star mentendo. Tu
sai benissimo di chi si tratta, non è vero? » gli
domandò, senza giri di parole e sperando con tutto il cuore
che cedesse.
Lo guardò fisso negl’occhi, e per un breve
istante, verde e azzurro si fusero assieme, obbligati a dipendere
l’uno dall’altro come un tossicodipendente ha
bisogno della sua droga.
Magnus fu il primo a distogliere lo sguardo, puntandolo poi sulla sua
mano, ancora appesa.
« Voglio che mi togli queste cose immediatamente. »
proferì, sfidandolo a dirgli ancora di no.
Cosa che ovviamente Alec fece.
« Non se ne parla nemmeno, non ti lascio andare fin quando
non mi dici come sono andate realmente le cose. » si
impuntò, più per orgoglio che per altro.
Sapeva benissimo che almeno al momento non sarebbe riuscito a venire a
conoscenza di niente, ma ciò non spengeva la sua speranza
ossessiva di riprovarci fino al suo cedimento.
« Guarda che chiamo la polizia. » provò
Magnus, cercando di apparire serio ma fallendo miseramente.
Gli occhi gli brillavano di una strana luce divertita e il tremolio
leggero delle labbra erano un chiaro segno del suo trattenersi a stento
dallo scoppiare al ridere.
Alec sbuffò, ormai sempre più conscio che
insistere non sarebbe servito a nulla se non a fargli venire una crisi
di nervi isterica.
E solo l’Angelo sapeva quanto era vicino al punto di non
ritorno.
« Tremo al solo pensiero. » gli rispose, accennando
un sorrisino che non sfuggì all’altro.
Magnus notò che quando le sue labbra andavano ad incurvarsi
verso l’alto, gli si creava una leggera fossetta
all’altezza dello zigomo.
L’avrebbe trovata addirittura adorabile, se non fosse stata
del ragazzo che ormai da ore era diventato il suo carceriere.
« Beh, dovresti infatti. » ribatté.
Uno strano silenzio piombò nella stanza, a scandire il tempo
solo l’incessante ticchettio dell’orologio a muro.
Poi, mantenendo quella quiete, Alec recuperò la piccola
chiave nella tasca dei suoi pantaloni, per aprire subito dopo le
manette con un leggero scatto metallico.
« Non riuscirò a sapere nient’altro da
te, vero? » gli chiese, riponendo accuratamente
l’oggetto nel cassetto della scrivania.
Magnus si portò una mano al polso, decisamente molto
più leggero libero di quelle cose.
Si trascinò a sedere con la schiena verso la spalliera, per
poi scoprirsi dei lenzuoli con un movimento fluido.
Notò con piacere quanto il male fosse diminuito: sebbene
sentisse ancora un po’ di bruciore, questo era di certo
più sopportabile del dolore lancinante provato fino a poche
ore prima.
Era veramente grato ad Alec per essersi preso cura di lui, ma di certo
non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce.
Ricordandosi poi della domanda che gli era stata posta, si decise
finalmente a rispondere: « La verità
è quanto ti ho detto, niente di più niente di
meno. » disse, poggiando i piedi nudi a terra.
Trattenne a stento un leggero brivido che gli percorse la spina dorsale
quando la pelle riscaldata dalle coperte entrò a contatto
con il pavimento completamente gelido.
« Merda.
Così è tutto più complicato.
» si lasciò sfuggire il moro, frustrato.
Si alzò di scatto dalla sedia, buttandosi letteralmente le
mani tra i capelli in un gesto nervoso.
Solo allora si rese conto che probabilmente era davvero l’ora
di mettere fine a quell’interrogatorio: ne stava uscendo
pazzo persino lui.
Magnus incurvò un sopracciglio verso l’alto,
scettico: « Prego? »
Alec scosse la testa, come a voler incitare l’altro a non
dare peso a ciò che aveva appena detto.
« Niente. Forse è meglio che vai a lavarti prima
di cenare, puzzi di urina di cane. » disse, sorridendo appena.
Poi, senza aggiungere altro, prese dal suo armadio una maglietta a caso
e un altrettanto a caso pantalone, gettandoli senza troppe cerimonie in
direzione dell’altro.
« Oh, che cavaliere.
» lo stuzzicò allora Magnus, prendendo al volo
ciò che gli era stato appena lanciato.
Odiava ammetterlo visto che era sempre perfetto, ma aveva davvero
bisogno di una doccia.
Il sudore si era mischiato all’odore del sangue e
dell’immondizia, creando un aroma per nulla piacevole al suo
bel nasino francese.
Chissà che poi non avesse davvero ricevuto le attenzioni da
qualche randagio; il solo pensiero gli fece venire brividi di disgusto.
« Smettila di chiamarmi così. »
sbuffò Alec, aprendo la porta del bagno e incitandolo con la
mano ad entrare.
Magnus a quel punto si indispettì. Lo raggiunse in poche
falcate e, comprimendo il dito indice contro il pollice, lo
lasciò andare in uno scatto contro la fronte bianca
dell’altro, gustandosi l’espressione sorpresa che
gli riservò.
« E tu smettila di dirmi cosa devo fare, sta diventando
snervante. » ribatté poi a quel punto, infilandosi
nella stanza.
Era piuttosto grande per essere un bagno, e Magnus capì
subito il perché: difatti, oltre al semplice e classico box
doccia, c’era una grande vasca idromassaggio che occupava un
bel po’ di spazio.
« Ti vizi bene. » disse, facendo per aprire
l’acqua.
Alec gli fece la linguaccia.
« Fila a lavarti e basta, principessina.
» lo schernì, indugiando nel guardare le sue
gambe, quando questo si sfilò i suoi jeans davanti a lui
senza problemi.
Per un attimo si perse nell’osservare i muscoli sodi delle
cosce, immaginando quanti anni gli fossero serviti per renderle
così toniche.
Magnus, intercettando il suo sguardo, sorrise in maniera maliziosa,
infilando i pollici nell’elastico dei boxer.
« Vuoi strofinare la mia regale schiena per caso? »
Alec divampò di colpo, sentendo il sangue affluire troppo
velocemente verso la testa.
Con una velocità disarmante sbatté la porta
dietro di sé, urlando un: « Neanche morto!
»
Jace imboccò il viale di casa sua con la sua bellissima
nuova macchina.
Sul sedile affianco era poggiato un sacchetto marroncino contente due
porzioni di cibo preso da Taki, per lui e Clary.
Parcheggiando poi nel suo solito posticino, agguantò la
confezione e fece scattare la chiusura dell’auto quando ne fu
uscito.
Il granulato accompagnò ogni suo passo, tintinnando ogni
qual volta alzava il piede per compiere un nuovo movimento, in una
leggera sinfonia.
Si passò una mano tra i capelli biondi, diventati
decisamente troppo lunghi per i suoi standard, sospirando appena.
Stava per infilare la chiave nella toppa quando il suo cellulare prese
a squillare, facendogliela cadere a terra.
« Pronto? » rispose, raccogliendo quanto gli era
caduto, per poi appoggiarsi contro la porta.
« Jonathan.
» la voce austera di suo padre giunse alle sue orecchie,
velata da una punta di preoccupazione.
Jace aprì la bocca, alquanto sorpreso di sentirsi chiamare
con il proprio nome di battesimo e non con il suo diminutivo.
Oramai non c’era praticamente più nessuno che si
rivolgesse a lui in quel modo, perché tutti sapevano quanto
disprezzasse quel nome troppo antico e poco adatto a lui.
Le uniche volte in cui suo padre lo chiamava così, sapeva in
automatico di trovarsi in grossi guai.
E Jace spero con tutto il cuore che non ce ne fossero, almeno per
quella volta.
« Papà, è successo qualcosa?
» gli chiese infatti, spostando il peso del proprio corpo da
una gamba all’altra.
Una strana sensazione di disagio cominciò a far breccia nel
suo petto, stringendolo in una morsa quasi soffocante.
Raramente Robert Lightwood si scomponeva, essendo un uomo serio e
pacato, eppure sentiva qualcosa di strano nel suo respiro regolare,
come se fosse agitato per qualcosa.
« Oh no,
volevo sapere se per caso avessi sentito Alexander, ultimamente.
» disse, e lo sentì sospirare.
Jace corrugò le sopracciglia, formando una ruga verticale al
centro della fronte, leggermente interdetto.
Non capiva proprio cosa centrasse Alec ora.
« Oh sì, lo sono andato a trovare giusto
stamattina, perché? » rispose, mantenendo un tono
calmo.
Dubitava infatti che Robert avrebbe continuato ad avere il solito
sangue freddo, se solo avesse fatto trasparire un minimo di incertezza.
E l’unica cosa che non avrebbe mai voluto rivedere in
quell’uomo, era proprio l’agitazione.
« Ti
è sembrato normale? » chiese, con un
tono di voce leggermente più disteso di prima.
Jace rifletté qualche momento sulla domanda appena postagli.
Se Alec gli fosse sembrato normale? Da quando esattamente lo era?
Il biondo aveva sempre pensato al proprio fratello maggiore come una
specie di eroe, perfetto in tutto ciò che faceva.
Era la sua spalla destra, il suo confidente, il suo migliore amico, suo
fratello,
sebbene non ci fosse alcun legame di sangue ad unirli.
Ricordava che quand’era piccolo passava le giornate sui libri
a studiare e studiare, e quando non lo faceva era sempre intento negli
allenamenti asfissianti che gli erano stati imposti già
all’età di sette anni.
Non l’aveva mai visto divertirsi per davvero, uscire con
qualcuno o fare normali esperienze da adolescente, e la cosa non poteva
che rattristarlo.
Per questo lui ed Iz molto spesso lo convincevano ad unirsi a loro in
qualche festicciola di quartiere, perché speravano che
potesse godersi la vita com’era giusto che fosse.
Perchè aldilà dei doveri, c'era anche molto altro.
Capiva perfettamente che ormai aveva dedicato la sua intera esistenza
ad altre cose, come ad esempio l’esercito, che amava come una
seconda famiglia, ma doveva fare anche altre esperienze.
Perciò no, normale non lo era mai stato. Non come lo
intendeva lui, per lo meno.
« Non più del solito direi. Ma non capisco dove
vuoi arrivare, ha detto o fatto qualcosa di strano? »
domandò, scompigliandosi i capelli in un gesto casuale.
Lo sentì sospirare attraverso il telefono, e
immaginò che si stesse passando due dita sulla barba,
com’era solito fare quando rifletteva.
« Beh non so,
mi ha chiamato poche ore fa farfugliando strane storie su principesse e
torri glitterate. Oppure era il contrario? Ad ogni modo mi è
parso davvero strano un simile atteggiamento da lui.
» disse, lasciandolo letteralmente in stato di shock.
L’unica spiegazione che poteva dare ad una simile
circostanza, era che Alec fosse stato portato verso la via della droga.
Chi è che andrebbe in giro a farfugliare di principesse e
glitter?
Scosse vigorosamente la testa a quel pensiero: era impossibile che
facesse ricorso a quella stupida roba, non era nemmeno in grado di
reggere un po’ di alcool, figurarsi altre cose.
E poi sembrava perfettamente in grado di fare discorsi coerenti,
avevano perfino parlato del..
Oh merda.
« Ora che mi ci fai pensare mi ha cacciato da casa sua
perché il suo gatto odia i biondi. » disse,
sbattendo gli occhi sorpreso per le sue stesse parole.
Non era assolutamente da Alec una cosa del genere, c’era
sicuramente una spiegazione più che logica.
« Jace, cerca di capire
che cos'ha e appena scopri qualcosa richiamami, ora devo andare.
» disse, tornando al suo solito tono gelido.
Jace annuì inconsciamente, come se suo padre avesse potuto
in qualche modo vederlo.
O forse era più un modo per convincersi che tutto
ciò era solo una barzelletta, detta così in un
momento di noia.
« Non preoccuparti, me ne occupo io. »
asserì, poi richiuse la chiamata.
C’era solo un unico modo per capire fino in fondo cosa stava
succedendo.
Scorrendo tra i contatti in rubrica, pigiò sul tasto
chiamata dell’unica persona in grado di essere folle quanto
lui, tanto da sfondare persino la porta di casa di Alec pur di capirci
qualcosa.
« Pronto, Izzy? Abbiamo un problema. »
Hello! :D
Ed eccovi qui anche il terzo capitolo! <3
Prima di parlarvene, volevamo fare dei chiarimenti sul capitolo prima
riguardo lo sfogo di Alec a telefono con il padre. Magari qualcuna di
voi l'avrà ritenuta esagerata e controproducente quella
chiamata, ma era proprio questo lo scopo! Ora Robert
comincerà a farsi molti dubbi da come avete potuto leggere
in queste ultime righe, ragion per cui dovrà indagare sul
comportamente del figlio. Ed è fondamentale questa cosa. Non
aggiungiamo altro altrimenti vi spoilereremo l'intera faccenda xD
Quindi, tornando a questo capitolo, le cose iniziano ad ingranare. E'
stato un po' introdotto l'ambiente in cui si trova Magnus e con chi ha
a che fare, nonchè il nuovo ordine di strategia.
Bwahahhaha, guai in vista :D
Per quanto riguarda invece il rapporto tra Magnus e Alec, qualcosina si
sta smuovendo, e con il prossimo capitolo, che avrà uno
stacco di alcuni giorni, una certa complicità
comincerà a nascere. Anche se Magnus non vuole vuotare il
sacco xD
Bene, che altro dire, speriamo che il capitolo vi sia piaciuto e che ci
facciate sapere cosa ne pensate se vi va <3
Grazie a tutte le persone che seguono la storia e che ci hanno espresso
il proprio parere, vi adoriamo davvero! <3
Come al solito vi lasciamo il link per il gruppo facebook, se
siete interessati a leggere di eventuali spoiler ed a fare conoscenza
con delle bellissime persone!
Il link è questo ----> https://www.facebook.com/groups/1695283824068412/
Bye! <3
|