CAPITOLO 8
Sono le quattro di mattina e John è di turno da ormai sedici
ore
quando il suo cellulare squilla. E' un numero che non riconosce. lo
ignora ficcando nuovamente il viso nel cuscino ruvido nella sala dei
turnisti. Qualche secondo dopo lo schermo si riaccende.
Risponde con fastidio malamente celato.
"Pronto?"
"Sì, salve. Conosce per caso Sherlock Holmes?"
John prende in considerazione l'idea di lanciare il telefono contro il
muro più vicino, ma si contiene.
"Sì. Chi parla?"
"Sono l'Ispettore Lestrade. Non sono riuscito a contattare la signora
Hudson e lei è l'unico altro contatto registrato sul
cellulare,
oltre a Mycroft." c'è una pausa. "E chiamare Mycroft non
sarebbe
l'idea migliore al momento, non credo."
John si alza, stropicciandosi con dita arrabbiate -con troppa violenza-
gli occhi. "Scusa, cosa?"
"Io-" si sente il microfono strofinarsi su del tessuto e la voce
sull'altra linea si interrompe. "Senta, potrebbe passare alla stazione
a prenderlo per caso? Di solito lo porto a casa con me ma sono nel bel
mezzo di un lavoro e non voglio lasciarlo chiuso qui tutto il giorno.
Specialmente non così. E' completamente fatto."
"Cazzo." dice John, perchè, onestamente,cos'altro
c'è da dire.
"Questo è un si?" risponde l'Ispettore.
John comincia a mettersi la maglietta, dimenticandosi di avere il
cellulare all'orecchio, e poi interrompe il movimento.
"Sì, certo. Sto arrivando."
"Dica che sta cercando me quando arriva, va bene?"
"Sì. Ok, ciao."
John finisce di mettersi la maglietta e schiaffa i piedi nelle scarpe,
mentre compone il numero di Stamford.
Risponde al secondo squillo. "John? Che succede?"
"Hey, ti compro il pranzo per un mese se copri il resto del mio turno,
che inizia tra..." lancia un'occhiata all'orologio, "dieci minuti."
"Andata. Ce la fai per il giro di visite o devo coprirlo al posto tuo?"
"Non ne ho idea," risponde.
"Va bene. Buona fortuna, qualunque cosa sia," dice il suo amico.
"Grazie."
John riattacca e corre verso l'anscensore domandandosi
perchè
diavolo stia tirando fuori dei soldi dal portafoglio per un taxi alle
quattro di mattina per recuperare un uomo che non ha nessuna interesse
ad essere salvato.
Il commissariato è quasi vuoto quando arriva, mani infilate
con
forza nelle tasche, sbattendo le palpebre contro la luce improvvisa
mentre entra.
"Sto cercando l'Ispettore Lestrade?" dice, l'affermazione che viene
fuori come una domanda.
La donna alla reception annuisce distrattamente, poi gira la sedia per
urlare dietro di sè. "Hey Lestrade! Il tuo uomo è
qui."
Pochi secondi dopo un uomo attraente con capelli prematuramente grigi
arriva correndo da dietro l'angolo, sembrando sollevato.
"John?" chiede, sporgendosi sulla scrivania per stringergli la mano.
"Greg Lestrade."
"Sì, piacere di conoscerti, senti....vuoi spiegarmi cosa sta
succedendo qui, perchè sono davvero confuso."
"Giusto, sì." Greg piega la testa da un lato ed un attimo
dopo apre il tramezzo, facendo passare John dietro la scrivania.
"Seguimi, ti spiego mentre andiamo."
Vagano per un labirinto di scrivanie vuote, poi passano per una doppia
fila di cubicoli prima di incamminarsi su di una scala.
"Cerco di controllarlo una volta a settimana o quasi," dice Lestrade, "
Niente di formale o cose del genere, solo se sono vicino al suo
appartamento, sai, no? La maggior parte del tempo è al
lavoro ma quando non lo è... be', quando non ha qualche
puzzle da risolvere diventa un po' ingestibile."
"Ti riferisci all'eroina?" chiede John bruscamente. L'altro uomo
sussulta, tenendo aperta la porta della tromba delle scale. "A volte,
sì. Ma andava meglio ultimamente, pulito per mesi, da quando
gli è successo l'ultima volta, venire pugnalato e tutto. E'
per questo che sono rimasto sorpreso quando l'ho visto così,
be' così com'è, stanotte."
Indica a John di attraversare le porte scorrevoli di fronte a se', che
conducono ad un altro corridoio semi-fluorescente.
"Come sta, esattamente?" chiede John, nonostante non voglia veramente
sentire la risposta.
"Fuori di se'. Molto. E' ancora nella fase tranquilla, ma in poche ore
starà male sul serio. Ho chiamato la signora Hudson per
vedere se poteva controllarlo, ma non ha risposto e, in ogni caso,
dubito che dovrebbe essere lasciata a gestirlo mentre è in
questo stato. Non so che ruolo tu abbia nella sua vita, ma devi essere
qualcuno di importante se sei nel suo elenco telefonico."
"Importante," ripete John, "certo."
L'altro uomo non sembra notare il sarcasmo.
"Comunque, tecnicamente dovrei sbatterlo dentro ma," scuote la testa
con un'espressione imbarazzata. "be', facciamo tutti delle eccezioni
per Sherlock, credo."
Greg apre la porta di un ufficio, e poi accende le luci. "Se non
menzionassi questa faccenda a nessuno, lo apprezzerei."
John smette di prestare attenzione all'imbarazzato poliziotto non
appena vede Sherlock nell'angolo. E' rannicchiato su se stesso, un
lenzuolo di feltro arrotolato sulle curve del suo corpo magro. La
guancia destra poggiata sul ginocchio sinistro. I suoi occhi sono tutti
pupilla.
"John," dice, sorprendentemente lucido.
"Sherlock," risponde John, accucciandosi vicino a lui.
Sherlock non protesta quando John passa le nocche sulla sua fronte ne'
quando gli controlla il battito.
"Puoi camminare?" chiede John.
Sherlock non risponde, si limita a guardarlo, gli occhi enormi e
malinconici.
"Ho dovuto portarlo io," dice Greg dietro di lui, "il che è
probabilmente una cosa buona in realtà. Se non fosse ridotto
in queste condizioni, non sarei mai riuscito a farlo entrare
nella mia auto."
John si muove in avanti, passando un braccio dietro la schiena di
Sherlock, e facendolo alzare. Greg tiene la porta aperta, poi afferra
Sherlock dall'altro lato mentre tornano nella sala principale.
"Ha qualcosa contro la tua auto?" chiede John, "O contro di te
personalmente?"
Lestrade ride. "Non gli piacciono le auto. Da di matto se lo infili
dentro una macchina. Cammina ovunque o prende la metro."
"Cazzate," borbotta John, "passava tantissimo tempo nei taxi con me
quando eravamo ragazzini."
"Be'," Greg scuote le spalle mentre scendono le scale, lentamente
questa volta. La sua espressione è improvvisamente attenta.
"Non lo fa più."
"Come lo hai conosciuto a proposito?" chiede John. Quasi cade quando
Sherlock improvvisamente volta il viso verso il collo di John. Strofina
il naso avanti e dietro due volte, poi incava la fronte più
vicino, respirando sulla pelle di John.
"Lunga storia," dice Greg. C'è un po' di
incredulità nel suo tono, mentre tiene aperta la seconda
porta. "storia strana. Magari te la racconto quando finisco il turno,
se ti va. Non ho tempo ora. Già così, sto
sfidando la fortuna abbastanza."
Accompagna John ed il suo carico all'uscita, e poi tira fuori il
cellulare. "Vuoi darmi il tuo indirizzo? Posso passare quando finisco
il turno per dargli un'occhiata e, credo, spiegarti un paio di cose."
guarda John di nuovo con il suo sguardo attento. "Sembra che tu non sia
a conoscenza di alcune cose."
"Cosa?" John aggrotta le sopracciglia, guardando la testa riccioluta di
Sherlock, e poi di nuovo l'ispettore. "Quali cose?"
"Senti," dice Greg scusandosi, mentre chiama un taxi. "devo davvero
andare...indirizzo?"
John glielo da', e poi sistema Sherlock nel taxi che si ferma frenando.
Sherlock ride, e poi si ricompone immediatamente quando John gli
solleva il mento.
"Qualcosa di divertente?" chiede John.
Sherlock allunga una mano, e tocca il sopracciglio destro di John,
lasciando cadere le dita sul suo viso, lasciandole vagare sul braccio
disteso di John, fino a posarle sulla mano del medico che riposa sulla
sua stessa guancia. "John," dice semplicemente, e John sospira,
scanandosi.
"Ti sto portando nel mio appartamento," mormora, spostandosi verso
l'altro lato. "so che probabilmente non sei abbastanza coerente per
capirlo, ma suppongo tu debba saperlo."
Sherlock non risponde ma John non si aspettava che lo facesse.
Gli occhi di Sherlock rimangono fissi sul volto di John per l'intera
durata del viaggio.
John praticamente trascina Sherlock al piano di sopra, ricevendo
un'occhiata di riprovazione dalla vicina del primo piano, che siede sul
piccolo portico sorseggiando tè mentre passano. Una volta
dentro, John prende in considerazione l'idea di lasciare Sherlock sul
divano, ma scaccia il pensiero prima ancora che questo abbia il tempo
di formarsi del tutto. Invece John lo sistema, con il lenzuolo logoro e
tutto, sul letto ancora sfatto, dove Sherlock trascina al petto uno dei
cuscini di John, producendo strani suoni di appagamento. I suoi occhi
finalmente si chiudono e John guarda Sherlock arrotolarsi attorno al
cuscino, la testa pressata sulla parte superiore, le ginocchia nascoste
sotto.
John lo lascia così, la porta della camera aperta, e torna
in cucina per preparare una colazione. Sicuramente sarà una
lunga giornata.
Quando Sherlock incespica fuori dalla camera di John quattro ore dopo,
sembra distrutto.
E non appena vede John, che sta leggendo sul divano, si ferma,
vacillando, un'espressione di totale smarrimento sui lineamenti
marcati. "John?"
"Sherlock," risponde John. Poggia il libro verso cui stava aggrottando
le sopracciglia e si alza mentre Sherlock tenta di compiere un altro
passo senza realmente riuscirci. Finisce sul pavimento prima che John
abbia la previdenza di afferrarlo.
Sherlock lancia un'occhiataccia a John mentre questo lo osserva,
braccia conserte, un metro più in là.
"Sembra che tu abbia avuto una ricaduta," dice John giovialmente.
"Fottiti," risponde Sherlock. La veemenza intesa nell'affermazione si
è tuttavia persa da qualche parte, considerando che il
detective si trova in una pila di lenzuola a terra. "dov'è
il mio cellulare?"
"Immagino l'abbia ancora l'Ispettore Lestrade," dice John, offrendogli
una mano. "E' quello che ti ha affidato a me. Un tuo amico?"
Sherlock arriccia il labbro superiore, ignorando la mano offerta da
John, e dopo un momento John la lascia cadere.
"In ogni caso, non sono sicuro di capire cosa si aspetti che io faccia.
Probabilmente dovrei semplicemente chiamare tuo fratello."
Il volto di Sherlock impallidisce al di sotto dei rimasugli di
un'abbronzatura che ancora indugia sulla sua pelle. Deglutisce una
volta prima di rispondere con una voce considerevolmente intimidita.
"Per favore, no."
"Lo prenderò in considerazione se mi spieghi qualche cosa."
Sherlock trascina le ginocchia al petto, il mento poggiato nella piega
tra di queste e devia lo sguardo dalla luce che proviene dalle persuane
aperte. Chiaramente non ha intenzione di abbandonare il pavimento.
"Chiedi," mormora, chiudendo gli occhi.
John sospira, spostandosi per sedersi vicino a lui.
"Cosa hai preso?"
"Eroina," risponde piatto. "domanda stupida."
"Come?"
"Endovena."
"Quanta?"
"150 milligrammi."
"Maledizione, Sherlock." John inspira lentamente attraverso il naso,
espira dalla bocca. Si passa le mani sulla fronte. "Prima di oggi,
quando è stata l'ultima volta che ti sei drogato? E intendo
qualsiasi cosa, non solo eroina."
"Io uso solo
eroina," mormora, sembrando insultato.
"Da quanto?" ripete.
"Cinque mesi, tre settimane, quattro giorni. Dimmi che ore sono e ti
calcolo anche ore e minuti."
John ignora il tono maligno dietro le parole. "Perchè oggi?"
chiede, "Quasi sei mesi pulito, cosa ha causato questo?"
"E' un Martedì," risponde Sherlock, come se questa sia una
risposta accettabile.
"Perchè dovrebbe importarti?"
"Perchè sì. I martedì sono noiosi."
John resiste, seppure a fatica, all'impulso di schiaffeggiarlo. "Sono
serio, Sherlock."
"Lo sono anche io."
"Spiegami allora. Perchè questo Martedì?
ci sono stati altri martedì negli ultimi sei mesi."
Sherlock avvicina le ginocchia ancora più vicino,
dondolandosi leggermente sulle punte. "Non posso spiegarlo. Non a te.
Non hai idea di come sia, essere torturati dalla propria stessa mente."
"Davvero?" dice bruscamente, e il tono di voce di John deve sbloccare
qualcosa in Sherlock perchè questo apre leggermente gli
occhi, osservando il volto di John.
"Mi dispiace," sussurra, e sembra che sia sincero.
Sherlock osserva John, gli occhi socchiusi più del
necessario alla luce del pomeriggio e poi sbatte le palpebre,
lentamente.
"Ti hanno sparato."
E' un'affermazione, non una domanda, e non c'entra assolutamente nulla
con la situazione in cui si trovano, ma John risponde comunque.
"Sì."
"A distanza ravvicinata."
"Sì," concorda nuovamente.
"Dove?"
John alza un sopracciglio. "Suppongo che tu, tra tutti, sia in grado di
capirlo da solo."
"Spalla." risponde prontamente. "Ovvio." i suoi occhi spaziano,
catalogando il corpo di John con una serie si veloci movimenti.
"Zoppichi quando sei stanco però. Psicosomatico?"
"Questo è quello che dice la mia terapista."
"Oh." e la lieve esalazione è quasi impercettibile. "Posso
vedere?"
"No."
"Perchè no?"
"Perchè no."
John si alza, muovendosi verso la cucina così da non dover
più guardare Sherlock. Usa come scusa
l'ospitalità.
"Vuoi qualcosa da bere? Da mangiare?"
Non risponde e John gli lancia un'occhiata. "Sherlock?"
"Acqua," dice, e poi, piuttosto a disagio, "penso di avere bisogno di
dormire ancora un po'."
"Bene."
John gli riempie un bicchiere, poi si muove verso di lui, porgendogli
la mano. "Ti aiuto a tornare a letto."
Questa volta le dita di Sherlock si stringono intorno alle sue senza
domande.
"Hai intenzione di chiamare Mycroft?" chiede.
John lo osserva, appoggiato al suo fianco, mentre si tiene in piedi
più grazie a John che a se stesso, e sospira.
"No. Non adesso, almeno."
Sherlock non dice grazie mentre viene sistemato sotto le coperte, ma
l'espressione sul suo volto basta come ringraziamento.
"Dormi bene. Sono in salotto sei hai bisogno di me."
Non ricevendo una risposta nemmeno a questo, ritorna al suo libro con
un sospiro, le dita che inconsciamente si muovono a stringere il
ciondolo.
Che diavolo stai facendo?
Si chiede.
Per quanto gli riguarda, non sembra essere in grado di darsi una
risposta soddisfacente.
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