The Magic Really exists

di 20florina01
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1° CAPITOLO
 

Piccoli imprevisti

 
Mi girai nel mio letto e mi misi a pancia in su per guardare i disegni sul soffitto della mia camera. Spiccava, dipinto con gli acquerelli, un libro rosso dalla copertina rigida. In essa c'era una scritta in latino che diceva magicae est in vobis, cioè, la magia è in te.
Non mi ci soffermai più di tanto: sapevo a memoria ogni singolo tratto di quel dipinto da quante volte l’avevo guardato. Abbassai lo sguardo verso la parete: era di un azzurro particolare, del colore del cielo. Era semplice e non aveva poster o altro a parte un piccolo quadro con la cornice in legno di ciliegio.
Rappresentava due persone. Una bambina, cioè io più o meno cinque anni prima, dai capelli castano chiaro fino alla spalla e occhi azzurro quasi grigio. In testa avevo un cappello bianco e fucsia che mi teneva su la frangetta, una semplice maglia bianca, dei pantaloni blu e delle scarpe rosa. Avevo una margherita in mano e nell'altra stringevo la mano di mio fratello.
Lui, aveva i capelli, per il colore, uguali ai miei ma gli occhi erano marrone. Un bel marrone, ‘marrone nutella.’ Aveva una maglia blu e dei pantaloni marroni, fino al ginocchio. Con l'altra mano stringeva un bastone che, secondo quello che ricordavo, aveva trovato nel bosco.
Ci ripensai... Non lo aveva trovato lui ma io e non per terra, ma mi era volato in mano. A pensarci mi venne da ridere: non poteva essermi volato in mano, anche allora lo sapevo ma non ci avevo dato peso: ero troppo piccola, ‘avrò avuto cinque o sei anni.’
Lasciai stare quelle idee bizzarre sulla magia e mi concentrai per mettere in moto il mio corpo. Era ancora addormentato.
Dovevo alzarmi, ma non volevo. Sentii la solita scossa mattutina che partiva dal piede sinistro e si espandeva per il mio corpo riscaldandolo tutto e facendomi perdere la voglia di restare nel mio caldo lettuccio.
Guardai l'orologio.
Erano le sette e mezza di mattina del quindici settembre: il primo giorno di scuola.
Il primo giorno di scuola!
‘Perché la zia non mi aveva svegliato?!’
Forse mi ero sbagliata: forse non era oggi il primo giorno di scuola, forse era un altro giorno, forse l’orologio era impostato all’ora sbagliata.
Mi alzai e andai verso la scrivania. In mezzo ai disegni c’era un calendario tutto scarabocchiato. Lo aprii e andai alla pagina di settembre. Vidi il giorno quindici cerchiato in rosso e sotto, la scritta scuola.
Scuola!
Mi lavai e mi vestii in fretta e furia, con quello che mi capitava in mano, presi lo zaino e tutto l’occorrente per la scuola, e uscii dalla mia camera.
Corsi verso il soggiorno, presi una mela dal tavolino –assicurandomi che non fosse una di quelle finte – e corsi a prendere la mia bicicletta. Montai in sella e volai per le strade, cercando di arrivare in tempo a scuola.
Fortunatamente non c’era traffico, così arrivai a scuola in orario.
Dopo aver messo la catena alla bici, andai verso le mie amiche della scuola elementare.
«Flora!» mi salutò Beatrice.
«Oddio, oggi si inizia!» feci un urletto, anche se il fiatone me lo impedì.
«Già, come mai tua zia non c’è?» era molto agitata, stringeva i pugni e si toccava freneticamente i lunghi capelli neri raccolti in una coda.
Durante l’estate era diventata parecchio alta, però ero sempre più alta di lei. ‘Perché?!’ I suoi capelli si erano schiariti col sole estivo, e ora aveva delle ciocche bionde in mezzo alla solita massa si capelli rossicci.
«Ehi, ci sei?»
«Scusa, stavo pensando ad altro. Cos’hai detto?» dissi strofinandomi gli occhi.
«Come mai tua zia non c’è? Non che sia necessario portarsi dietro i genitori o parenti o tutori, ma avevi detto che veniva.»
«È vero!» mi battei il palmo della mano sulla fronte «Adesso la chiamo» mi tolsi una bretella dello zaino dalle spalle e lo girai, aprii la taschina più piccola e ci frugai dentro.
Niente.
Controllai di nuovo.
‘Nada.’
Guardai la mia amica. Lei mi restituì lo sguardo. «Cosa c’è?» chiese «Hai dimenticato il telefono?» continuò.
Continuai a guardarla...
«Ok» prese il suo telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni e me lo porse.
Appena lo presi digitai il numero di mia zia.
Il telefono squillò qualche volta... «Segreteria telefonica. Il cli-» premetti il tasto rosso, interrompendo quella odiosa voce.
Digitai il numero di casa e avvicinai il telefono all’orecchio. «Segreteria telefon-» attaccai.
Mi stavo irritando: perché la zia non rispondeva?
La campanella suonò.
«Mi sa che è meglio entrare» disse Beatrice.
Annuii restituendole il telefono e incamminandomi verso l’entrata della scuola.
 
La bicicletta andava veloce, abbastanza veloce da farmi fare un incidente, ma in quel momento non era importante: volevo andare a casa e dirne quattro a mia zia.
Appena arrivata misi la bicicletta nell’entrata e corsi su per le scale sperando che ci fosse.
Andai verso la cucina, dove stava di solito alla mattina, non c’era.
Andai in camera sua e la trovai lì. Era girata verso lo specchio, non mi vide entrare, anche se avrebbe dovuto vedere il mio riflesso, quindi la chiamai.
«Zia, perché non mi hai svegliato sta mattina? Oggi è il primo giorno di scuola!» nessuna risposta.
Non si muoveva nemmeno. Le misi una mano sulla spalla. Nessuna reazione. ora che ci pensavo aveva una strana posa: aveva le mani a coprire la faccia come se una luce fortissima le avesse colpito il viso. L’espressione era spaventata anzi terrorizzata. E già da questo capivo che era uno scherzo.
«Zia, dai non è un bello scherzo, non sono in vena.»
Ma lei non si mosse. ‘Devo dire che questa volta però è stata brava’: era in equilibrio precario su una gamba sola come se volesse scappare, i suoi occhi guardavano un punto fisso sullo specchio. Seguii il suo sguardo che puntava al  riflesso dietro di me.
Vidi delle squame verdi e grigie dietro di me e un enorme serpente entrò nella stanza spostando, con la sua massa, mobili e sedie.
‘Oh, cavolo!
Un basilisco!?’
 
 

 




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