La Danza della Neve Rossa

di Chihaar
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Splendevano le pallide stelle sul grande piano gelato,
quando il vento freddo cessò e il cielo si fu calmato,
nella mia carne, nelle mie ossa, nel mio cammino,
mi scoprii in quella notte ad essere giunto così lontano.
 
Era solo nulla, intorno ai miei passi, solchi nella neve bianca,
non c’era rumore né respiro, solo la mia fredda voce stanca:
fu allora che la vidi danzare ad un palmo ed un’idea dal suolo,
ma non vedevo bene, dal mio avanzare, pareva che fosse in volo.
 
Occhi di foresta, pelle di luna e un’aurora tra i suoi capelli,
e sangue sparso sopra il terreno, un poco suo, un poco di quelli,
non aveva pace o tregua, ma sfoggiava lo sguardo più splendente,
era abitudine, all’ultimo respiro, o alla morte di un contendente.
 
Ammirai basito una danza di lame, artigli, sangue, gioia e dolore,
ma non v’era odio, non v’era rabbia, tantomeno l’ombra di rancore;
sembrava quasi un rito necessario, un passaggio obbligato per loro,
come se col sangue benedissero il suolo, ad ogni graffio, ad ogni foro.
 
Accesi un fuoco, lontano, in disparte, per esser lì senza disturbare,
e per tutta la notte la osservai divertirsi, combattere e danzare;
poi venne la luce che la notte congeda ed anche essi andarono via,
lasciandomi solo a spegnere un fuoco, insieme a quella magia.




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