And if you have to leave,
I wish that you could just
leave
-Non posso restare, lo sai.
-Lo so… lo
so… ma…
Sapevi che aveva ragione, sapevi come quella soluzione fosse
l’unica possibile per non distruggervi entrambi, per non
rodere le vostre vite in un turbine di colpe e menzogne, ma il saperlo
non rendeva quello strappo meno doloroso. Allora avevi sofferto,
stringevi gli occhi, nascondevi le lacrime dietro le palpebre serrate,
ma sentiva il tremito nel tuo respiro, nelle tue parole, nel tuo
stringere forte le dita nei suoi vestiti. Non potevi fare
null’altro, le labbra sigillate per chiuderti i singhiozzi
nella gola.
Tutto quel che sapevi in quel momento erano le sue mani sulle spalle,
che ti tenevano stretto a quel silenzioso calore che tanto ti sarebbe
mancato. Odiavi percepire quel profumo che ormai ti apparteneva, i suoi
occhi su di te.
Non parlavate, rimanevate stretti l’uno nelle braccia
dell’altro, artigliandovi senza furia, come se fosse
l’unico modo per dimenticare la separazione.
Oh, lo ricordate com’era iniziata?
Un pensiero ricorrente, per entrambi. Ammirazione da un lato;
un’invidia sottile, venata di curiosità
dall’altro. Una cottarella,
così ti dicevi? Con che disprezzo pronunciavi quella parola,
lo ricordi, Takuto? Non era così. Hai amato con tutta la
brutale e irruenta forza con cui può riempirsi il cuore di
un adolescente, lo hai addirittura venerato,
mentre la tua mente urlava. Non solo avevi a fatica accettato di essere
gay, non bastava ancora. Ti sentivi un deviato, un pervertito, celavi
tutto il tuo amore e il tuo terrore nel profondo del cuore, sotto
quell’ossessione così malata ai tuoi occhi grandi
e puri. Cercavi di allontanarla, di buttarla fuori con le lacrime, ma
davvero speravi che potesse funzionare? Il tuo pianto ti strappava
dalle iridi la vita, il sonno, l’energia e il dolore, ma non
quello. Per strapparti quello, una mano avrebbe dovuto lacerarti il
petto, strapparti il cuore e farlo a brani.
E Anche tu, Kidou? Come potresti dimenticare la serpe della
colpa che si generava fra le tue viscere, mordendoti il cuore e
lasciandolo sanguinante a sforzarsi di battere fra i fumi corrosivi del
veleno. Un ragazzino. Sì, lo è. Eppure lo ami. Il
ribrezzo che provi per te stesso non ha fine, sei un malato, uno
schifoso animale, un pervertito. Eppure il sentimento che nutri per lui
è la cosa più pulita, pura, perfetta che tu abbia
mai potuto sentire. Lo sporchi tu stesso, con la morale che si ribella
al solo pensiero. L’essere ricambiato nel tuo peccato mortale
ti ha solo terrorizzato di più. Non puoi rinunciare alle
mani sottili di quel ragazzino che cercano le tue, alle dita lunghe e
perfette che si intrecciano con le tue, ai suoi occhi, a quei capelli
che sembrano solo in attesa di essere accarezzati. Non avresti mai
potuto sfiorarlo. Lo sapevi, quando ti si era dichiarato con voce
tremante, quando aveva pianto ogni sua lacrima al tuo distaccato, falso, rifiuto,
quando aveva scoperto le tue menzogne e nascosto la testa nel tuo petto
caldo.
Avevate passato quel mese di limbo di cupa indecisione in una danza di
semplici e morbide carezze, di sorrisi concessi e di sguardi lunghi che
nascondevano troppo. La vicinanza celata agli occhi del mondo, nascosti
e maledetti come mostri, preoccupati di coprire il loro peccato
piuttosto che di amarsi, ma poi era giunta la fine del sogno. In
quell’ultima sera, si era abbassata la ghigliottina che aveva
tranciato quell’amore nato troppo presto.
Con la morte nel cuore e le valigie già chiuse, avevi in
qualche modo trovato la forza di dire quella certezza che ti aveva
raschiato via l’anima: -Devo andarmene, Takuto.
Lo sapevate entrambi, vero? Avevate temporeggiato senza un
perché, ma il momento doveva arrivare.
-Andare…? Non capisco, dove…?-
-Non posso restare, lo sai.
-Lo so… lo so… ma…
Lo avevi pregato perché non venisse all’aeroporto,
lo sussurrasti quasi, con una debolezza nella voce che non appartiene
all’uomo che sei.
Ma entrambi sapevate che sarebbe comunque stato lì.
In quell’ora di sofferenza e mutuo inutile conforto, vi
eravate scambiati l’unico bacio che mai legò le
vostre labbra. Vi soffocavate vicendevolmente in un contatto tanto
disperato quanto puro. Lacrime sul tuo viso, così diverse da
tutte le precedenti, nascondevano uno strappo nella gola, alla bocca
dello stomaco, nel cuore e nelle viscere.
Dita fredde che le asciugavano con più fretta di quanto
avrebbero dovuto. Non potevi trattenerti, vero Kidou? Volevi consolarlo
per l’ultima volta, anche se sapevi avrebbe pianto ancora,
mentre eri lontano.
Il bacio fu affamato, vi eravate lasciati con il fiato corto e quella
sensazione di distacco e debolezza che, sapevate, non vi avrebbe
abbandonato.
Quella notte era stata terribile, non avevate chiuso occhio. Pensieri e
lacrime amare si alternavano nelle vostre menti e sui vostri volti.
Desideri non espressi, promesse non fatte, un futuro così
maledettamente dubbioso da potervi tranciare in due l’animo.
Ma anche quella notte doveva finire. L’alba era venuta di
nuovo.
E ora sei qui, Kidou, a guardare con i tuoi occhi rossi finalmente
scoperti verso quelle mani appoggiate al vetro, verso quello sguardo
che sembra tanto perso, sotto tutte quelle lacrime. Non doveva venire,
lo sapevi, ma in qualche modo sei grato sia lì. Tornerai, un
giorno, tornerai quando il vostro essere uno non sarà
più un peccato, quando potrai amarlo senza colpe.
È una fuga, lo stai abbandonando, tu lo sai, lui lo sa. Sei
un debole, ma sei convinto, o forse ti sei convinto, di aver fatto
l’unica scelta possibile.
Non stacchi un istante lo sguardo da lui, mentre l’aereo
infine lascia la terra, diretto lontano.
Alla fine, in questo momento in cui è ormai tutto finito,
crolli anche tu, Kidou, piangi tutte le tue lacrime in un silenzio
ammorbante, che ti stringe il petto con le unghie.
“Takuto, tornerò, te lo giuro”
Non singhiozzi, non lo hai mai fatto mentre piangi, ma urli nel vuoto
del tuo cuore, che sembra essere rimasto là, su quella terra
tanto distante, fra quelle mani tanto fini di quel ragazzo troppo
giovane.
E questa notte tu urli, Takuto, e urli con tutta la voce che i tuoi
polmoni tengono, urli guardando al cielo, guardando alle stelle,
soffocando il dolore nello sterile abbraccio di un cuscino. Guardi in
alto e piangi, cerchi di farti forza, ma non riesci. Continui a pensare
che lui ora è lontano, senza di te, tu sei qui, prigioniero
in una quotidianità così vuota senza di lui. Non
ti contatterà, lo sai, non nel primo periodo, ne sei certo,
ma non puoi fare a meno di sperarlo, anche se sai che il desiderio
disilluso ti ridurrà a pezzi l’animo.
È dunque questo dolore l’amore vero? Forse, ti
dici fra le lacrime e l’angoscia, è solo una
bugia.
Ma continui a sperare, qualcosa si rifiuta di non pensare, non vuoi
arrenderti all’idea che Kidou ti abbia lasciato solo. Ma
piccolo Takuto, cosa fa quell’uomo adesso, tanto lontano da
te? È adulto, può avere un nuovo amore,
più vero, un’altra vita, più facile,
meno problemi e meno pianti inutili.
Eppure il tuo petto si ribella a una simile idea, vuoi credere ti ami;
forse è follia. Forse è l’unica cosa
che ti tiene in vita, che ti impedisce di tagliarti i polsi e lasciare
che tutto quel dolore scorra via. O forse, semplicemente sai che continua ad
amarti e che un giorno, non sai quanto lontano, qualcosa
cambierà. Ma il dolore è forte. La speranza
lontana.
“Perdonami, ti
prego”
“Non
lasciarmi, torna, ti prego”
Tana
del Drago:
Ebbene eccomi qui!~
Non pensavo sarei riuscita a finirla oggi, eppure, in qualche modo, ci
sono. Ho il terrore di postarla, ma non posso giocarmi anche quest'anno
l'occasione di "celebrare" il 14/09, non vi sembra?~
Spero sia riuscita a farvi un po' emozionare, sebbene questa ship sia
praticamente inesistente ed emani sofferenza da tutti i pori.
Temo di essere davver otroppo esausta per un angolo decente, ringrazio
chi leggerà e chi lascerà una recensione, ma
soprattutto Lea e Sissy, che mi sopportano in una qualche maniera, in
questi giorni di gran delirio più che mai. Vi voglio bene,
girls~
Lady
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