Mia Moglie
Mia
moglie.
Non avevo mai considerato la sua importanza prima di allora, mi ero
reso conto dei miei sentimenti soltanto davanti a quella stupida lapide. Il destino mi
aveva riservato un oscuro tiro mancino.
Era una giornata di fine autunno quando mia moglie è venuta
a mancare, era impegnata a portare nostro figlio all'asilo al
momento dell'incidente. Pioveva a
dirotto e la foschia del primo mattino faceva da padrona in un contesto
già deprimente di suo, era una donna prudente e guidava con
calma perché aveva il timore di mettere in pericolo il
nostro bambino, ma la nebbia non l'aveva aiutata a intravedere il
pirata della strada che
proveniva in contromano dall'altro senso di marcia.
Il rumore
assordante del clacson.
Il frastuono agghiacciante dei copertoni che stridono sull'asfalto
bagnato.
E la
morte, lenta e silenziosa, se la portò via risparmiando la
vita di mio figlio.
La sua scomparsa non portò niente di buono nella nostra
famiglia, la depressione si impossessò di me. Non ero in
grado di assistere alla crescita del piccolo Lukas, che con il tempo si
trasformò in un uomo in miniatura impegnato con le prime
esperienze da
adolescente, ero troppo occupato a imbottirmi di alcoolici per
mandare avanti il mio ruolo da genitore. Ero un vigliacco senza spina
dorsale che tentava inutilmente il suicidio, ero talmente egoista da
non considerare le persone che mi stavano a cuore.
Non ero capace di rimpiazzare il lavoro che avevo lasciato con un altro
e, se non fosse stato per il cuore gentile di mia madre, a quest'ora
mio figlio sarebbe
cresciuto insieme a una famiglia diversa. Gli assistenti
sociali...Me l'avrebbero portato via.
Ma non ci potevo, non ci posso fare niente.
La
situazione cambiò il decimo
anniversario della sua morte.
Non capisco come mai avevo il vizio di dare così tanta
importanza a un giorno simile, non c'era niente da festeggiare.
Percorrevo quella strada maledetta ad alta velocità sotto
l'effetto
dell'alcool, pioveva a dirotto e la nebbia non mi
permetteva di vedere più in là del mio naso. La
strana concidenza non destò il mio interesse, ero
lì per porre fine alla mia vita da miserabile e niente aveva
il permesso di distrarmi. Tuttavia non riuscivo a capire il motivo che
impediva alla mia macchina di sbandare, la controllavo con perfezione e
imboccavo le curve con una destrezza da pilota professionista.
Però...
Nessuno che mi potesse controllare...
Nessuno che mi potesse fermare...
Tutto questo mi portò alla mente una strana sensazione di
deja-vu, come se avessi già assistito a quella scena in un
momento passato della mia vita.
Al primo tratto pericolante la luce dei fari colpì una
sagoma, una figura nera che se
ne stava immobile al c'entro della strada. Pensavo che si trattasse di
un animale selvatico che aveva perso l'orientamento, così
inchiodai e la macchina sbandò come desideravo,
roteò su
se stessa con uno stridio grottesco ma familiare. Andò a
sbattere contro un
albero e con un frastuono pazzesco, ma l'incidente non si
rilevò fatale.
Ero riuscito a
salvarmi ancora una volta, avevo fatto del mio meglio solo per
procurarmi un taglio sulla fronte.
Stordito dall'impatto abbandonai la mia vettura e
cominciai a camminare in mezzo alla nebbia, girovagai in
preda alla confusione, per una mezz'ora buona ero rimasto
lì a cercare quella sagoma che aveva provocato l'incidente.
La pioggia che mi bagnava creava uno scenario mistico e glaciale, il
soffiare del vento sembrava più un sussurro che un agente
atmosferico.
Un brivido, un brivido cominciò a
salirmi lungo la spina dorsale.
Una mano... mi toccò, passò
in mezzo ai capelli.
Sobbalzai sul posto, girandomi di scatto per
osservare ciò che mi circondava.
Ma niente, attorno a me non
c'era niente.
Se non...
Il suo viso.
Il suo sguardo
docile.
La sua bocca con quelle labbra rosee pronte ad essere
baciate.
Quel meraviglioso corpo che un tempo baciavo e
accarezzavo, ricoperto di sangue.
Mi scrutava
con...
Un ghigno malefico.
Alzò le braccia verso di me e si
avvicinò.
La
morte.
Non credevo che fosse un'esperienza così dolce e
veloce, non dopo ciò che avevo trascorso. Ma alla fine ero
riuscito a capire che la mia non era depressione, ma un profondo e
agonizzante senso di colpa.
Ero io il pazzo ubriaco che quel lontano
giorno d'autunno girava contromano per strada.
|