Questa
storia è stata scritta per l’event di luglio del We are Out for Prompts con il
prompt “child!Alec - E' dura essere sempre quello che segue le regole”
di Dadaottantotto. Preston è il ragazzino a cui Alec ha rotto il naso
quando aveva dieci anni durante gli allenamenti di kendō (lo menziona
nella 1x06).
“Do you remember when I was ten?
And there was that kid, Preston, who kept beating the crap out of me in kendo
training?”
“You had perfect form, perfect
technique.”
“That was what was holding me
back.”
Alec
& Maryse, Shadowhunters. Episode 1x06
(Un)Breaking
the Rules;
Gli spogliatoi dell’Istituto erano vuoti,
al di fuori di un paio di ragazzini ritardatari.
Alec si affrettò a sistemare il suo
equipaggiamento da kendō nel borsone, sforzando di ignorare le occhiate
derisorie del suo compagno di allenamenti.
Preston aveva dieci anni come lui, ma
almeno un paio di chili in più, tutti localizzati nei bicipiti.
Non che fossero i muscoli, il motivo per
cui quel ragazzino riusciva sempre a fargli fare la figura dell’idiota agli
allenamenti. In uno scontro alla pari il giovane Lightwood era certo che
sarebbe riuscito a batterlo senza sforzo, tuttavia c’erano le regole –
direttive precise da rispettare, mosse da condurre in un determinato modo.
Preston non aveva problemi a giocare
sporco – a rovinare un po’ la forma pur di portarsi a casa qualche punto –
mentre Alec, cresciuto all’ombra di regole ferree, preferiva perdere piuttosto
che rompere uno schema prefissato. Ed era questo che, la maggior parte delle
volte, Preston lo batteva in pochi minuti, facendogli fare la figura
dell’idiota.
Più volte Alec era stato sul punto di
darci un taglio – di mettere la parte gli insegnamenti del maestro per dargli
una lezione – ma il buonsenso prevaleva sempre.
I Lightwood si aspettavano di avere dei
figli degni del nome che portavano: avevano bisogno di qualcuno che si
impegnasse a rispettare le regole, che portasse prestigio all’Istituto di New
York.
E quel qualcuno non poteva che essere
lui: Izzy faceva spesso di testa sua e Max era ancora troppo piccolo. A volte
trovava ingiusto il fatto che quella responsabilità pesasse sulle sue spalle,
ma non riusciva comunque a fare a meno di obbedire. Le regole delimitavano
ogni posto che frequentava e dentro a quei confini lui si sentiva al sicuro:
oltrepassandoli avrebbe concluso per fare qualcosa di sbagliato, rischiando di
deludere i suoi genitori. Preferiva non rischiare.
“Ehi, perfettino!”
Preston lo stuzzicò con la punta del suo shinai,
ma Alec si sforzò di ignorarlo.
“Che c’è, sei sordo?” insistette,
aumentando la pressione del bastone sulla schiena del ragazzino. “Forse i
troppi colpi alla testa ti hanno dato di volta al cervello.”
“Sta’ zitto, Preston” ribatté Alec, allontanando
lo shinai con un colpo secco della mano. Prese il borsone e si diresse
verso la porta, ma Preston gli bloccò il passaggio.
“Dove scappi?” chiese, spintonandolo
all’indietro. “Non ho ancora finito con te.”
Alec tentò di superarlo.
“Dacci un taglio, idiota” commentò con freddezza, dandogli una spallata.
Preston lo spinse di nuovo.
“E perché? Mi sto divertendo” ribatté, recuperando
lo shinai.
La porta dello spogliatoio si aprì, ma ne
lui, né Alec ci fecero caso. Erano troppo occupati a studiarsi.
“E sarà divertente anche prenderti a
pugni: scommetto che se ci provassi non alzeresti un dito. Non vorrai mica
rischiare di fare arrabbiare la mammina?”
“Lui forse no, ma io sì!”
Qualcuno si frappose fra i due ragazzini
ancor prima che potessero rendersene conto.
Alec fece appena in tempo a riconoscere
due trecce nere e occhi arrabbiati, altrettanto scuri, che la mano di sua
sorella era già volata a colpire la guancia di Preston.
Si udì uno schiocco secco e un’imprecazione
soffocata.
“Izzy, ma che diavolo…”
Alec si affrettò a trascinare la
sorellina dietro di sé, umiliazione e rimprovero a contendersi il suo volto.
L’ultima cosa di cui aveva bisogno era una bambina di otto anni che combatteva
le sue battaglie per lui.
“Fuori di qui!” ordinò, mentre Preston –
ancor più umiliato di Alec– si buttava verso di loro per ricambiare il colpo di
Izzy.
Questa volta il ragazzino non si fece problemi a intervenire: le regole
perdevano significato, quando c’erano di mezzo i suoi fratelli.
Placcò il pugno dell’avversario e lo
spinse all’indietro, facendolo inciampare sul suo borsone.
“Bel colpo!” osservò Isabelle, sorridendo
serafica. Alec recuperò la sacca e prese la sorella per mano, trascinando
entrambe fuori dallo spogliatoio.
Camminò a passo serrato fino a quando non
incominciò a intravedere qualche persona e, a quel punto, rallentò l’andatura:
perfino un idiota come Preston avrebbe evitato di fare a botte di fronte agli
adulti.
“Che diavolo ti è venuto in mente?”
sbottò, lasciando andare il polso di Isabelle. “Da quando mi segui per fare a
botte al posto mio?”
“Non ti stavo seguendo!” ribatté seccata
Izzy, roteando gli occhi. “Vi ho sentiti per caso…”
“Quindi sei entrata per caso nello
spogliatoio dei maschi?” replicò Alec, scoccandole un’occhiata di rimprovero.
Izzy sbuffò.
“E va bene, vi ho seguiti!” ammise, dando
un calcio al borsone di Alec. Il ragazzino la guardò storto e lo spostò
sull’altra spalla. “È che quel Preston non lo sopporto, so che agli allenamenti
ti dà sempre fastidio. E quando ho capito che eravate rimasti da soli nello
spogliatoio ho pensato che…”
“Iz…” la interruppe Alec, smettendo di
camminare. “… Nel caso te lo fossi dimenticato, sono io il fratello maggiore.
Non mi devi controllare, non sono Max.”
“Ma voglio farlo comunque” ribatté Izzy,
la voce intrisa di cocciutaggine infantile. “E comunque, devi incominciare a
picchiarlo, a quello lì: altrimenti non la smetterà mai di prenderti in giro.”
Alec si diede un’occhiata intorno con
fare nervoso, prima di stringersi nelle spalle.
“Non ne vale la pena” rispose voi,
abbassando la voce. “Se facessi a botte con lui mi butterebbero fuori dalle
lezioni di kendō.”
“E allora?” osservò Izzy, facendo
spallucce. “Tanto quel corso nemmeno ti piace: così avresti più tempo per
allenarti con l’arco, no?”
Alec inspirò con forza.
“Mamma e papà si arrabbierebbero molto”
le fece notare.
Isabelle tornò ad alzare gli occhi al
cielo. Alec provò una fitta d’invidia, nel vederla reagire a quel modo: ancora
una volta, avvertì sulle spalle l’ingiustizia di quel peso che si portava sulle
spalle.
Anche lui avrebbe voluto roteare gli
occhi e fare qualche capriccio, ogni tanto.
Anche a lui sarebbe piaciuto ridere di
qualche marachella fatta assieme alla sorella e infischiarsene del pensiero di deludere
i genitori.
Ma Alec non era così: quando gli veniva
chiesto di fare qualcosa ubbidiva senza lamentarsi e, se combinava qualcosa, si
aspettava di venire punito.
Gli sarebbe piaciuto assomigliare di più
a Izzy, ma non era possibile.
Alec era il maggiore: quello responsabile
doveva essere lui.
A costo di fare la figura dell’idiota
durante gli allenamenti di kendō.
“Beh, se non lo picchi mi arrabbierò
molto io” concluse Izzy, prendendo per mano suo fratello.
Nonostante tutto, Alec non riuscì a
trattenere un sorriso.
Essere il fratello responsabile non era
sempre facile, ma era fortunato ad avere al suo fianco qualcuno come sua
sorella. A Isabelle non importava se lui fosse un perfettino: lei gli prendeva
la mano in ogni caso, che rispettasse le regole o meno.
E forse
era anche per quello che lui aveva accettato di portare tutto quel peso sulle
spalle: avrebbe sopportato anche di peggio, pur di tener libere quelle di sua
sorella.