EPILOGO
A TRE VOCI
Dalle
memorie segrete di
Raflesia
Dalla
capsula non proveniva
più alcun suono. Tutti i monitor erano spenti. Era tutto
finito.
Finalmente, lui riposava.
Sul
volto erano ancora
visibili i segni lasciati dalla sofferenza che aveva appena
attraversato, le tracce della nuova trasformazione, durata oltre
dodici ore.
Ho
aspettato che se ne
andassero tutti per avvicinarmi a mia volta alla capsula. Ognuno di
loro aveva sostato a lungo presso il corpo di Harlock come davanti ad
un feretro, prima di lasciare la stanza. Dopo essere stato quasi in
criogenesi, era necessario che si svegliasse lentamente, in modo
naturale, e noi pure avevamo bisogno di riposare dopo la lunga
veglia.
Ero
certa comunque che non
sarebbe stata una lunga attesa: non era da Harlock far aspettare
qualcuno. Perciò sapevo di non avere molto tempo.
Ad
uscire per ultima è
stata la giovane ufficiale di plancia, Yuki Kei. Credevo non volesse
più andarsene e non sapevo cos’altro inventarmi
per fingermi
un’infermiera molto occupata in qualche genere di
attività
post-intervento. Così ho però avuto modo di
osservarla mentre
accarezzava, a lungo e dolcemente, il vetro della capsula, proprio
come se fosse stato il viso di Harlock. Gli parlava sottovoce, ma ho
capito ugualmente cosa diceva.
-
Continuerò ad amarti
anche così, - prometteva, con quell’assoluta
certezza che hanno
solo le ragazze innamorate. - E non m’importa quanti anni
hai, né
quanto tempo dovrò aspettare.
Ero
certa di aver colto nel
segno con lei fin dal momento in cui l’avevo vista entrare
nella
sala operatoria, così trepidante per l’intervento
al quale Harlock
aveva accettato di sottoporsi, e in quel momento le sue parole non mi
stupirono affatto.
Harlock
possedeva il potere,
pericoloso e gestito con negligenza, di affascinare chiunque. Non
faceva nulla di straordinario per ottenere questo risultato. Era
semplicemente se stesso. Chissà quante delle donne che
avevano
incrociato la sua strada aveva lasciato dietro di sé, con il
cuore
spezzato? Di certo Yuki Kei era una di loro.
E
io?
No,
non avevo il cuore
spezzato, perché non c’era più un cuore
da spezzare.
Ero
passata quasi indenne
attraverso l’incontro con lui, e quando tutto fosse finito ne
avrei
serbato il ricordo come si fa con il più grande dei nemici.
Amarlo
sarebbe stato
impossibile, qualunque fossero state le condizioni nelle quali ci
fosse capitato di conoscerci. Se anche non avessi accettato di
diventare la regina spietata che sono ora, comunque non avremmo mai
potuto stabilire un legame, noi due, su nessun piano. Un pirata
reietto e vagabondo non avrebbe avuto niente a che spartire con una
nobile sovrana. Per noi non ci sarebbe stato nulla da condividere, se
non una notte d’amore clandestina.
Eppure
in quel momento
sentivo che proprio quella notte mi sarebbe mancata per sempre.
Yuki
aveva lasciato la
stanza e finalmente potevo avvicinarmi alla capsula. Presto il vetro
si sarebbe aperto da solo (questo lei non poteva saperlo) e il corpo
di lui sarebbe tornato lentamente alla normale temperatura.
Sono
rimasta a contemplarlo
in silenzio per lunghissimi istanti. Era di nuovo l’uomo che
conoscevo. Il mio nobile, implacabile nemico che stava nudo e inerme
davanti a me, e non c’era su di lui nemmeno una delle vecchie
cicatrici. La sua pelle ancora una volta era un universo inesplorato.
Ognuna delle cellule era mutata e sotto ai miei occhi stava un uomo
nuovo.
Fino
a che punto la
trasformazione fosse scesa in profondità, fino a dove fosse
riuscita
a cambiarlo, lo avremmo saputo solo una volta che avesse ripreso
conoscenza.
Per
ora Harlock dormiva un
sonno pallido e freddo.
Infine
il vetro si era
aperto e io avevo allungato una mano verso il suo viso, scostando una
ciocca di capelli. Anche l’occhio destro era di nuovo
integro, la
palpebra incurvata sopra il bulbo, con le lunghe ciglia che
disegnavano un arco scuro. Desideravo poterlo guardare presto in
quegli occhi che, raddoppiando la potenza del suo sguardo,
già
sapevo mi avrebbero penetrata a fondo, in un modo che a lui in quanto
uomo non sarebbe mai stato concesso.
Nonostante
restasse una
piccola ruga in cima al naso, traccia della lunga sofferenza che
aveva appena patito, in quel momento pareva riposare sereno, ignaro
di avermi al suo fianco.
Affondai
di più la destra
nella chioma scomposta e con l’altra mano gli sollevai appena
il
viso. La sua coscienza era ancora troppo lontana dalla superficie del
presente per poter reagire. Navigava, forse, in qualche sogno
lontano, fra ricordi veri e fosche inquietudini. Sebbene in quel
momento Harlock fosse del tutto inconsapevole di se stesso, riuscivo
però a percepire la sua personalità, forte e
risoluta, e provavo
una strana emozione a stargli accanto. In particolare era il contatto
con la sua pelle, quel contatto così a lungo paventato e
atteso, a
farmi fremere dalla testa ai piedi, quasi che tutto il gelo
necessario alla semi-criogenesi si fosse riversato
all’esterno, in
quella piccola stanza.
Forse
si trattava soltanto
del piacere delle conquista, della consapevolezza, che mi scuoteva il
sangue, di tenerlo finalmente in mio potere.
Eppure
non volli dare
ascolto a nessuna di quelle voci. Ancora oggi fatico a confessare a
me stessa che l’emozione più potente che provai in
quel momento
non fu la gioia impetuosa del trionfo, ma un sentimento di una natura
così diversa che credevo di non poterlo più
nemmeno riconoscere,
oltre che possederlo.
Così
sono tornata ad
accarezzare il viso di Harlock, in silenzio, dalla guancia alla
mandibola serrata. Era ancora così gelido da sembrare morto.
Allora
mi sono chinata su di lui e l’ho baciato sulla bocca fredda.
E sono
stata felice... felice che non fosse vero.
Dai
file del tablet di
Tadashi
Finalmente
ogni cosa è di
nuovo al suo posto. Forse anche troppo. Per la verità
è come se non
fosse mai successo niente.
La
vita sull’Arcadia ha
ripreso a scorrere con il ritmo consueto, scontri con le mazoniane
compresi, e ognuno è esattamente ciò che
è sempre stato. O finge
di esserlo.
In
questi giorni ho
osservato a lungo il capitano e Yuki, cercando di capire dai loro
gesti se ciò che era accaduto, quello che si erano detti,
aveva
cambiato qualcosa tra loro. Ma non si sono mai rivolti una parola
né
uno sguardo di troppo. O meglio, il capitano non lo ha fatto,
trattando tutti con il consueto, imparziale distacco. Ma io mi sono
accorto di come Yuki restava a fissarlo un secondo di troppo, di come
cercava d’incrociare direttamente i suoi occhi, mentre lui
impartiva gli ordini o assegnava mansioni.
Già,
i suoi occhi. Come se
ci fosse bisogno che li riavesse tutti e due per completare
l’opera
di seduzione. Così, tutto tirato a nuovo, sembrava quasi un
ufficiale che ha appena stracciato l’uniforme per indossare
la
divisa da pirata, e anche se i suoi modi tradivano
l’esperienza di
anni da fuorilegge, con questo aspetto un po’ mutato
esercitava un
fascino inusuale. Non credo fosse quello di cui Yuki aveva bisogno.
Di sicuro non ne aveva bisogno il nostro rapporto.
Anche per
questo alla fine mi sono deciso a parlarle più chiaramente.
Ho
approfittato di un giorno
in cui ci siamo incrociati al simulatore di volo.
Negli
ultimi tempi mi pareva
che non facesse altro che cercare di tenersi occupata, e il
simulatoro o il tiro a segno erano solo alcuni dei diversivi ai quali
ricorreva.
Tuttavia
c’è da dire che,
nonostante l’indifferenza di Harlock nei suoi confronti, fin
dal
principio Yuki non mi era parsa troppo abbattuta. E’ stato il
nostro dialogo a svelarmi il perché.
Anche
se lei non è stata
molto chiara al riguardo, credo che il capitano le avesse accennato
qualcosa prima di subire la seconda mutazione. Intendo qualcosa di
ciò che provavo per lei, perché, quando le ho
parlato, non ha
mostrato molta sorpresa. Anzi, non ne ha mostrata affatto.
Mi
ha ascoltato con grande
tranquillità, solo un’espressione vagamente triste
negli occhi.
-
Sai quanto sia difficile
per me parlare di queste cose, – ho balbettato, tentando di
spiegarmi come meglio potevo. - Beh, forse non lo sai... ma
è
proprio perché il nostro rapporto è
così importante per me che ho
esitato per tanto tempo. Però ultimamente sono successe
delle cose
che mi hanno fatto capire che... insomma, forse dovevo essere
più
chiaro, con te, più sincero. E dovevo esserlo anche con me
stesso.
Yuki
mi fissava in silenzio,
in viso quella stessa espressione un po’ triste. Sapeva cosa
le
stavo per dire prima ancora che parlassi, ma non ha fatto niente per
impedirmelo. Forse voleva che mi togliessi quel peso, come si fa con
un sasso dentro lo stivale.
-
Vedi, io... - ho
continuato. - Tu... sei molto importante per me. Tutti
sull’Arcadia
sono importanti, siete stati la mia nuova famiglia. Ma tu lo sei in
un modo speciale, sei molto più di una semplice sorella o di
un’amica. Con te è sempre stato tutto molto
naturale, come se ci
conoscessimo da una vita. E’ solo da un po’ di
tempo che ho
iniziato a riflettere su questo, a fare caso alla nostra
famigliarità. Non lo so, forse tu te ne eri già
resa conto... di
quanto il nostro rapporto fosse naturale, intendo. Io ero troppo
preso dal mio rancore per le mazoniane per accorgermene, o forse ero
semplicemente troppo giovane. So che ora, con le mie parole, potrei
cambiare tutto, ma preferisco correre il rischio e fare queto salto.
Un salto nel buio, ma verso di te.
Per
il resto del discorso,
io e Yuki non eravamo riusciti a guardarci direttamente negli occhi.
Yuki dopo un po’ aveva preferito soffermarsi sul buio spazio
oltre
la finestra. In quel modo però io potevo vedere il suo
riflesso. Era
così pensosa, ma le mie parole... le mie parole non parevano
averla
emozionata.
-
Tadashi... ti ringrazio
per la gentilezza dei tuoi sentimenti e per avermene voluto parlare.
Capisco benissimo che nons ia stato facile. Non è facile
nemmeno per
me. Confessare ciò che proviamo per una persona è
complicato e
preferiremmo che se ne accorgesse da sola e che piano piano iniziasse
a ricambiare il nostro affetto. Ma non è quasi mai
così che
succede.
Mentre
parlava, mi resi
conto che Yuki non si stava riferendo a me. Pensava a se stessa.
Pensava ad un altro uomo.
-
Vorrei semplicemente poter
accettare ciò che mi offri, davvero, - ha aggiunto. - Ma
io... io
sto ancora aspettando. E non voglio arrendermi, non ancora. Non
finché lui è qui. Capisci,
vero?
Era
la risposta che temevo,
quella che sempre si era aspettato da lei. Eppure non mi fece male
come credevo, forse perché c’ero preparato, o
forse perché ero
più forte di quel che immaginavo. E neppure la mia reazione
fu
quella che tante volte mi ero figurato.
Non
battei in ritirata, né
rimasi muto a fissarla come uno stoccafisso. Capivo benissimo di chi
parlava e sapevo che tra me e lui non c’era confronto. Non
ancora.
Ma non per questo mi sarei arreso.
-
Anch’io continuo ad
aspettare, - dissi soltanto. - Non mi sono ancora stancato di
aspettare.
La
guardai: mi sorrideva.
Sperai con tutto me stesso che un giorno quel sorriso sarebbe
diventato un sì.
Dal
diario di bordo del
capitano
Ogni
cosa sembrava essere
tornata al suo posto, alla più banale normalità,
ma non era così.
Una volta che si è provocato un cambiamento, nulla
può ritornare
come prima. Soprattutto quando il cambiamento avviene in noi. E di
cambiamenti ce n’erano stati tanti, accuratamente mascherati
dietro
le più salde apparenze.
In
questo di certo ero il
più abile io. Sapevo da molto tempo come si porta un manto
di oscura
freddezza e sapevo anche quanto pesa. In questo, lo riconosco, io e
Raflesia eravamo simili.
Raflesia.
In quei giorni il
pensiero di lei perseguitava i miei sogni ed ero in sua compagnia
più
spesso di quanto avrei voluto.
L’ultima
trasformazione mi
aveva lasciato spossato in un modo che né io né
il dottor Zero
avevamo previsto. I primi tempi restavo a lungo nella mia cabina e
dormivo più del solito. Il dottore diceva che non poteva
farmi che
bene e che il riposo avrebbe aiutato il mio corpo a rigenerarsi. In
realtà mi sembrava piuttosto di perdere le forze,
perché nei miei
brevi sogni agitati continuavo ad incontrare lei. E avevo anzi
l’impressione che si trattasse di ben più che
semplici sogni.
Forse
davvero veniva a farmi
visita mentre dormivo, quando persino Mime lasciava la stanza? Erano
reali le mani che qualche volta mi sfioravano, riuscendo ad infilarsi
fin sotto le coperte, facendomi svegliare di soprassalto?
O
forse si trattava soltanto
di un’allucinazione, il frutto del turbamento lasciato da
quel
bacio (reale o immaginario) che era riuscita a prendersi poco prima
che mi svegliassi, là dentro quella capsula?
Perchè, per quanto
fossero annebbiati i miei sensi, io sono certo di averla vista
chinata su di me, i lunghi capelli come rampicanti scuri che
scendevano sul mio corpo nudo quasi a volerlo rivestire.
Da
allora lei ha
perseguitato indisturbata molte delle miei notti, spezzando il sonno
e lasciandomi talvolta ad ansimare nel letto, gli occhi aperti nel
buio, senza voler raccontare a nessuno cosa mi accadeva quando
cercavo di dormire. Non ne ho parlato mai neppure con Mime. E il
perché è semplice, anche se forse non tutti
possono comprenderlo.
Ma era una cosa tra me e la mia nemica. Il nostro conto in sospeso
che pagavo un poco alla volta. Il prezzo per aver accettato il suo
aiuto.
E’
stato durante una di
queste notti che Yuki è venuta a farmi visita, molto
più reale del
fantasma di Raflesia.
Era
da poco passata la
mezzanotte. Lo ricordo bene perché, uscendo dalla doccia
dopo uno
dei consueti incubi, avevo guardato la pendola sul fondo della
stanza. Poco dopo qualcuno aveva bussato. Credevo fosse Mime e avevo
pensato di farla entrare senza lasciarla ad attendere sulla porta,
anche se addosso avevo soltanto l’accappatoio.
L’ho
riconosciuta dopo,
dalla voce.
-
Oggi compio diciotto anni,
- ha detto Yuki, avvicinandosi un poco. Trasalendo, mi sono voltato
verso di lei. Indossava un abito lungo e reggeva fra le mani una
bottiglia di rosso dall’etichetta ricercata, qualcosa di
pregiato
tenuto in serbo per le occasioni speciali.
-
Posso festeggiarlo con te,
il mio compleanno? - aveva posato la bottiglia sul tavolino di fianco
al letto e si era avvicinata. - Soltanto un brindisi.
Il
suo compleanno, Yuki non
l’aveva mai veramente celebrato. Una volta Masu-san, credendo
di
farle piacere, le aveva preparato una replica scipita della torta che
cucinava sua madre, mentre l’anno scorso proprio Tadashi le
aveva
organizzato una piccola sorpresa, in sala mensa, appendendo un grande
striscione con la scritta “Happy Birthday” sopra la
tavola. Per
cena c’era solo minestra, ma anche in quel caso mi hanno
riferito
che Yuki ne era stata ugualmente felice. Me l’hanno detto,
sì,
perché io non c’ero né la prima
né la seconda volta.
Adesso
invece voleva
festeggiare solo con me.
Diciotto
anni non si
compiono tutti i giorni, ma forse non era soltanto questo che le
interessava. Un pretesto? Ci avevo pensato, per un istante, ma
ugualmente non l’ho mandata via. Avrei dovuto farlo, come
capitano.
La verità è che avevo piacere che lei fosse
lì con me, e non per
via degli incubi causati da Raflesia.
Avevo
piacere di fare quel
brindisi, e di vederla. Era bella come una nuova stella e profumava
più del vino. E non l’ho mandata via. Mi rendevo
sempre più conto
che, dopo la nuova trasformazione, nulla era cambiato nei sentimenti
che provavo per lei. Tutto ciò che i miei quindici anni
avevano
risvegliato era ancora lì dentro di me, vigile e pronto come
una
tigre rimasta troppo a lungo sedata. E la tigre, in quel momento,
faceva le fusa.
Quello
che è successo dopo
non può essere scritto, e quello che accadrà da
qui in avanti
nessuno di noi può ancora saperlo. Tutto in apparenza scorre
come
prima, ma siamo su strade aperte ancora da percorre, Yuki, Tadashi
ed io. E anche Raflesia. Ognuno sta su di un sentiero che ogni tanto
si biforca verso direzioni impreviste, ma cosa ci sia alla fine
nessuno riesce ancora a vederlo. Però questa volta non
voglio pormi
troppe domande.
Resterò
su questa strada e
farò come ho sempre fatto: cercherò di godermi il
viaggio.
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