II
A reason
to fight
I’ve
got a reason to fight
Every
day we choose
We
might win or lose
This
is the dangerous life
«I
miei complimenti!»
Duncan
non si sprecò nemmeno ad alzare lo sguardo dal suo boccale
di birra, conosceva
perfettamente quella fastidiosa vocina melliflua e non aveva alcuna
intenzione
di incrociare lo sguardo del suo possessore.
«Sei
a un passo dalla finale» continuò quest'ultimo,
imperterrito «Il modo in cui
sei riuscito a battere l'Assassino Bianco è stato davvero
magistrale.»
Duncan
aveva un vago ricordo del famigerato Assassino Bianco: un arrogante
pallido e
biondo che estraeva pugnali dalla palandrana scura e li lanciava a
velocità
impressionante; purtroppo non era stato abbastanza veloce per deviare
il
fendente che gli aveva staccato la testa dal collo, con grande
entusiasmo del
pubblico.
«E
tu sei a un passo dall'avere i tuoi soldi» rispose il nano in
tono aspro.
«Suvvia,
perché queste maniere così brusche?»
L'uomo
che sedette davanti a Duncan era alto e ben vestito: indossava
un'elegante
giacca di velluto bordeaux con code, rifiniture di seta nera e bottoni
dorati,
abbinata ad un panciotto di seta nera da cui proveniva il lieve
scintillio
dorato di una catena di orologio;il cappello a cilindro e un bastone da
passeggio dal pomolo in ottone potevano far pensare che si trattasse di
un
ricco e raffinato borghese, ma Loyd lo Sciacallo era tutto
fuorché un raffinato
borghese.
Nessuno
avrebbe potuto sospettare che quell'uomo magrolino, dall'aria distinta,
lo
sguardo mite e i capelli candidi, fosse in realtà il
peggiore usuraio di tutta
Westlebrook, il più meschino e spietato, che aveva fondato
il suo ingente
patrimonio sulla disperazione altrui e la speculazione disonesta.
Come
sempre era accompagnato da due scimmioni armati di schioppo, che si
posizionarono ai lati della sedia su cui Loyd prese posto; l'uomo
appoggiò il
bastone al tavolo e ordinò alla cameriera che gli passava
accanto un bicchiere
di whisky.
«Non
annacquato, per favore. L'unico posto dove tollero l'acqua è
il bagno» ci tenne
a precisare, prima di tornare a puntare i suoi piccoli occhi di un
azzurro
slavato su Duncan.
«Forse
perché sono indebitato con te di almeno ventimila grifoni
d'oro e non perdi
occasione per ricordarmelo» riprese il discorso il nano.
Le
labbra sottili di Loyd si piegarono in un sorriso sgradevole, creando
una
ragnatela di rughe sul viso pallido, rasato di fresco.
«In
realtà, il debito è salito a ventimila grifoni e
duecento... Per gli interessi,
sai» lo corresse con noncuranza.
Duncan
si trattenne dallo strozzarlo con il fazzoletto di seta che gli
avvolgeva il
collo: prima di potersi anche solo avvicinarsi all'usuraio si sarebbe
trovato
un proiettile piantato in fronte. Così il nano si
limitò a digrignare i denti
sotto lo sguardo divertito dell'altro.
Loyd
sapeva che il suo lavoro poteva, la maggior parte delle volte,
risultare
pericoloso e sgradito, per questo si era munito di quei due scimmioni
che aveva
l'ardire di chiamare "guardie del corpo"; non tutte le persone con
cui aveva il piacere di trattare erano ragionevoli e calmi, anzi, per
la stragrande
maggioranza si trattava di teste calde imbottite di alcol e
disperazione, con
una spiacevole tendenza a prendere in mano più velocemente
il coltello del
portafogli.
«Non
c'è alcuna necessità di essere così
scontroso nei miei confronti. In fondo io
non c'entro nulla: tu sei venuto a
cercarmi, è stata una tua
scelta.
L'unica persona che puoi biasimare e con cui prendertela è
te stesso» gli
ricordò Loyd, prendendo un sorso del suo whisky.
Duncan
si trovò costretto ad ammettere che aveva maledettamente
ragione.
Più
volte si era domandato cosa lo avesse spinto a rivolgersi proprio a
lui: la
disperazione, probabilmente, e la totale mancanza di un appiglio. Dopo
essere
fuggito dai campi del Westeron, Duncan si era ritrovato privato del
titolo di
Cavaliere e di tutti i privilegi annessi a esso, era diventato un
comune
soldato, povero, mutilato, in fuga e con una taglia sulla propria
testa. Loyd
era stato il primo relitto capace di farlo galleggiare che si era
trovato
davanti, e per non affogare si era aggrappato a lui con tutte le sue
forze.
E
ora lo Sciacallo chiedeva di essere pagato per averlo salvato.
Duncan
aveva creduto che non sarebbe stato un problema restituire i soldi
presi in
prestito, ma a quei primi cinquemila grifoni, necessari per poter
ricominciare,
se n'erano aggiunti sempre di più, i debiti si erano
accumulati e assommati,
mentre gli interessi erano saliti alle stelle, fino ad arrivare a dover
restituire a Loyd più del doppio di quanto gli avesse
prestato. All'inizio
l'usuraio credeva che Duncan l'avrebbe pagato presto e senza problemi,
sapeva
che era un uomo d'onore e di parola; ma quando dopo mesi non era
arrivato
ancora nulla, aveva aspettato fino a quando non si era sistemato,
dopodiché si
era premurato di ricordare al suo debitore a quanto ammontasse il
favore che
gli doveva e grazie al quale possedeva una casa confortevole e tutto
ciò di cui
aveva bisogno per vivere decentemente.
Purtroppo
Duncan non era ancora riuscito a racimolare la cifra necessaria e aveva
chiesto
a Loyd più tempo, l'usurario gliel'aveva concesso e il nano,
lentamente e a
fatica, aveva iniziato a estinguere il suo debito: circa tre quarti di
quello
che guadagnava con il suo lavoro di mercenario e gladiatore finiva
nelle casse
dello Sciacallo, lasciando a Duncan e alla sua compagna lo stretto
indispensabile per non morire di fame.
Il
debito, però, si era ingrossato sempre di più:
più veniva trascinato negli
anni, più gli interessi crescevano, creando un circolo
vizioso da cui Duncan
non sarebbe mai riuscito a uscire; Loyd era un osso duro che non
mollava
facilmente la presa e aveva continuato a pretendere che quei soldi gli
venissero restituiti, fino all'ultimo cacio di rame.
«Mi
sembrava di essere stato abbastanza chiaro allora: do
ut des, io ho aiutato te e ora tu ripaghi me per l'aiuto che
tu
mi hai chiesto» gli ricordò per l'ennesima volta
Loyd.
E me ne pento
ogni singolo giorno della mia vita pensò
Duncan, guardando in tralice
l'usuraio, che si era messo comodo sulla sedia sgangherata, una mano a
reggere
il bicchiere di peltro e l'altra a giocherellare con un bottone della
giacca,
con un sorriso sornione che si allargava sulle labbra, consapevole di
avere il
nano in pugno.
«Vorrei
ricordarti che non c'è solo la tua vita in gioco»
continuò, infatti, l'usuraio
dopo qualche momento di silenzio, bevendo l'ultimo goccio di whisky.
Loyd
era totalmente privo di scrupoli e morale: per far sì che
Duncan restituisse i
soldi che gli doveva, con annessi interessi, era stato capace di
arrivare a
rapire Selene e ricattare il nano, per dargli un "incentivo", come
diceva lui. L'incentivo lo aveva spinto a partecipare al torneo:
ventimila
grifoni erano un premio spropositato, ma era quanto serviva a Duncan
per
saldare, finalmente, il conto che aveva con lo Sciacallo e liberare
Selene.
«Se
hai osato torcerle anche solo un capello, giuro che ti stacco le mani e
te le
faccio ingoiare!» si accese Duncan, balzando in piedi; i due
energumeni misero
subito mano agli schioppi.
«Non
mi sembri nella posizione per potermi minacciare» rispose
pacatamente l'uomo,
facendo cenno agli scimmioni di abbassare le armi «Selene sta
bene ed è al
sicuro, e vi rimarrà fino alla fine del torneo, quando
verrai da me con la
somma pattuita. In contanti sonanti, mi raccomando... Altrimenti, sai
perfettamente cosa ne farò di lei» aggiunse in
tono lugubre.
Il
nano si risedette, mordendosi le labbra fino a farle sanguinare: se
Duncan non
avesse restituito in tempo il denaro, Selene sarebbe stata venduta come
schiava.
Duncan
non poteva sopportarlo: Selene era la sua unica figlia e l'unica
persona cara
che gli fosse rimasta dopo la morte di Althea. Avrebbe fatto qualsiasi
cosa pur
di sottrarla alle grinfie di quell'uomo avido e infido, persino
lasciarsi
coinvolgere in quell'assurdo bagno di sangue che avevano l'ardire di
chiamare
spettacolo, un ricettacolo di criminali e disperati che pur di ottenere
quei
ventimila grifoni erano disposti a mettere in gioco la propria vita.
Ma
a Duncan non era importato quando si era iscritto, ciò che
aveva contato
davvero per lui era che il torneo si era presentato come una
possibilità per
salvare Selene, impossibile e mortale, ma l'unica fino a quel momento,
e lui
l'aveva afferrata senza pensarci troppo.
L'aver
vinto gli incontri gli aveva acceso la speranza che non fosse
un'impresa così
irrealizzabile come aveva pensato all'inizio, forse sarebbe riuscito ad
arrivare alla finale e a guadagnare quei dannati ventimila grifoni.
«Avrai
i tuoi soldi, Loyd, e tu dovrai mantenere la parola: non appena avrai
in mano i
tuoi grifoni me la restituirai, e spera che non le sia successo nulla
nel
frattempo» sibilò il nano con tono deciso e
minaccioso.
«Quando
mai ho mancato alla mia parola?» rispose Loyd con il suo
solito sorriso
enigmatico.
L'usuraio
cercò di racimolare le ultime gocce di whisky dal fondo del
bicchiere e non
riuscendoci sbuffò, gettò un paio di caci
sbeccati sul tavolo e si alzò.
«Buona
fortuna per il prossimo incontro, Cavaliere della Luna» lo
salutò lo Sciacallo
recuperando il bastone «E ricordati per chi stai
combattendo.»
La
bocca di Duncan si piegò in un sorriso amaro: nessuno si
sarebbe spinto a quel
suicidio senza motivo, più o meno tutti i partecipanti ne
avevano uno; per lui
era Selene: era sceso in campo per lei, era lei che lo faceva sentire
invincibile,un terremoto, potente come un maremoto, era lei che lo
rendeva
forte e lo faceva resistere. Ogni volta che era caduto nella polvere
dell'arena, il pensiero di lei l'aveva fatto alzare e continuare a
lottare.
Era
lei la ragione per cui combatteva.
Ho una
ragione per lottare/ ogni giorno che scegliamo/ potremmo vincere o
perdere /questa
è la vita pericolosa (Skillet, Feel invincible)
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