Capitolo VI
Capitolo
VI
"A?
Non preoccuparti, sono solo Inez."
Rilassai
di colpo i muscoli, il battito che ancora pulsava nelle mie orecchie.
Era raro che il panico s'impadronisse in quel modo di me, annebbiando
la lucidità con cui avevo imparato ad affrontare i problemi con il
passare degli anni.
Cosa
mi stava succedendo?
Sembrava
che l'arrivo di Miss. Key avesse scatenato i fantasmi che popolavano
da bambina i miei incubi, quelli da cui mi risvegliavo con le lacrime
agli occhi e il cuore a mille.
Faticavo
ad ammetterlo, ma negli anni passati avevo cominciato lentamente a
considerare l'Heddem Institute una casa. Ed era la prima volta da
molto tempo che, là dentro, non mi sentivo al sicuro.
"A?
Ci sei?"
Un
fascio di luce m'investì, strappandomi alle mie riflessioni e
socchiusi le palpebre. Tesi una mano in avanti alla cieca, mentre i
contorni della figura magra di Inez si facevano più definiti.
"Scusa."
mormorò I colma d'imbarazzo. "Ti ho spaventata?"
"No,
assolutamente. Avevo già in programma di rimanere quasi accecata."
replicai ironica.
Le
guance della giovane cameriera s'imporporarono e la torcia le scivolò
via dalle mani sudate, spegnendosi e cadendo con un tonfo sul marmo
delle scale.
"Me
l'ha prestata C, non sapevo fosse così potente." farfugliò
imbarazzata Inez.
Mi
sollevai in fretta da terra, scuotendomi di dosso la polvere.
"Stai
be--"
"Perfettamente."
tagliai corto.
Soltanto
in quel momento osservai Inez. Le ombre le scavavano il viso e
serpeggiavano sui capelli chiari, raccolti sulla nuca. Uno strano
pezzo di stoffa verde le avvolgeva le spalle, coprendo il pigiama
dell'Istituto.
"Ma
voi potete vestire degli indumenti che non siano l'uniforme o il
pigiama con il logo dell'Istituto? C mi aveva raccontato che valeva
pure per voi."
Inez
sgranò gli occhi azzurri, con l'aria di chi è stato sorpreso nel
commettere un furto.
"Con
me puoi stare tranquilla. Non sarò certo io a farti la predica."
la rassicurai, forzando un sorriso.
"È
di mia madre. C l'ha trovato nella mia valigia e l'ha nascosto, in
modo che sopravvivesse all'ispezione." riuscì a confessare,
dopo qualche minuto di silenzio.
Stavo
per aggiungere qualcosa, ma Inez m'interruppe con impazienza:
"Dobbiamo andare. C ti aspetta."
"Dove?"
Inez
non mi rispose. Voltò le spalle e iniziò a salire le scale, i
capelli una scia albina dietro di sé.
La
seguii interdetta.
"Puoi
tornare a dormire, capisco che Corinne non si fidi della mia memoria
ma ricordo dov'è collocata la sua camera."
Inez
si fermò e respirò a fondo, lo sguardo stanco.
"C
non dorme più lì. È stata promossa ad aiuto-cuoca. Quella è la
stanza della nuova coordinatrice delle cameriera, e ti assicuro che
uno scontro con lei non sarebbe piacevole."
Ricominciò
a salire gli scalini, come se la spiegazione scarna bastasse a
soddisfarmi.
"Dunque
andiamo nella sua nuova stanza?" insistetti.
"No."
Ci
ritrovammo presto al bivio dei due corridoi. Mossi con sicurezza un
passo a sinistra, ma Inez mi afferrò per un braccio.
"A
destra?" chiesi dubbiosa.
"Sì."
Inez sciolse la presa, un rossore soffuso sulle guance. "Conosci
la strada meglio di me."
Spostai
l'attenzione sul corridoio, riempito da una fitta trama di tenebre.
"Vuoi
dire che..." Mi bloccai, accorgendomi di essere l'unica nel
corridoio. Inez se n'era andata.
D'altronde
c'era solo una stanza da quella parte.
Presa
da un'impazienza irrefrenabile, corsi a perdifiato lungo l'intero
corridoio. Un'ondata di nausea mi assalì quando la scorsi,
incastrata nella parete grigia, quella porticina sgangherata che da
piccola consideravo il solo limite tra me e il resto del mondo.
Paura.
Nostalgia. Affetto. Un fiume di sensazioni differenti m'invase.
Afferrai
con mano tremante la maniglia, accarezzando con il pollice la vernice
scrostata.
Quella
stessa porta, un po' più levigata.
Quella
stessa maniglia, un po' meno arrugginita.
Quella
stessa bambina, un po' meno cresciuta.
Le
lacrime offuscarono la mia vista, mentre immagini confuse scorrevano
dinnanzi a me.
E
fu con quei ricordi che si sovrapponevano nella testa, e quella
confusione comune che regnava nel cuore, che io e quella bambina
sospingemmo la porta.
Cercai
a tentoni l'interruttore, finché la mia mano non trovò il piccolo
riquadro.
La
lampada si accese, emanando un bagliore instabile. Era appesa al
soffitto da un filo di metallo sottile, così sottile che da bambina
avevo temuto cedesse mentre dormivo.
La
stanzetta mi parve ancora più piccola di quanto avessi memoria,
giusto lo spazio perché una bambina di quattro anni riuscisse a
respirare. L'aria viziata stagnava nella camera, l'unica finestrella
circolare serrata. Doveva essere passata molto tempo dall'ultima
volta in cui era stata aperta.
Sulle
pareti spoglie, passate dal bianco originale a un giallino malsano,
erano ancora visibili le sagome dell'antico mobilio.
Ebbi
una stretta al petto. Delle scope spennacchiate e un secchio ossidato
avevano sostituito il mio letto.
La
mia vecchia camera era davvero diventata uno sgabuzzino.
"Sì,
qualche mese fa Miss. Hedd ha deciso che non eri più a rischio e ha
ordinato di buttare il tuo letto e l'armadio."
Un
brivido mi percorse la schiena, nemmeno mi ero accorta di essermi
espressa ad alta voce.
"Corinne!"
la riconobbi.
"In
persona."
Non
feci nemmeno in tempo a voltarmi, che un abbraccio mi travolse.
Un
abbraccio che odorava di limone e tranquillità.
Un
abbraccio che, per quanto ne avessi esperienza, sapeva di famiglia.
Bastò
quello a cancellare l'ansia che avevo provato per l'intera giornata.
All'improvviso
C s'irrigidì e si staccò da me. I suoi occhi castani mi squadrarono
vigili da capo a piedi, come a volersi accertare che ciascuna parte
del mio corpo fosse al posto giusto.
"Inez
mi ha riferito il tuo messaggio." enunciò alla fine, il tono
incerto.
"Era
sospettosa?"
"Perplessa,
direi. Immagino lo sarebbe stato chiunque." ribatté C.
"Quale
bugia le hai raccontato?" Sogghignai.
"Nessuna."
"Cosa?"
Saltai su indignata.
"Calmati."
"Le
hai rivelato tutto." sibilai a denti stretti, incredula.
"L'indispensabile."
mi corresse Corinne indispettita. "Inoltre bisogno di aiuto.
Inez manterrà il segreto."
"Come
puoi esserne sicura?" la attaccai ostile.
"Non
lo sono."
"Come
posso esserne io?"
"Non
lo sei." rispose. "È vero, di questo non sono certa
nemmeno io, ma so che Inez è arrivata all'Istituto appena un anno
fa. So che si è separata dalla sua famiglia d'adozione e dalla sua
terra d'origine. So che ha lasciato in Svezia due fratelli e una
sorellina in procinto di nascere. So che forse non la conoscerà mai.
Ora dimmi, secondo te parlerà?"
Tacqui,
non trovando nulla con cui replicare. Sapevo che Corinne aveva
ragione, seppur la mia testardaggine m'impedisse di parlare.
"Terrà
la bocca cucita." ribadì.
"Sembra
affidabile." le concessi a bassa voce.
Soddisfatta
C schiuse le labbra in un sorriso e domandò: "Di cosa dovevi
parlarmi?"
All'improvviso
mi sentii un verme. Ciò che fino a qualche attimo prima avevo
ritenuto di vitale importanza, mi sembrò frutto di vaneggiamenti
insensati.
"Ti
ricordi il giorno in cui hai visto il mio marchio?" chiesi
titubante.
La
ragazza si morse un labbro, ma non rispose.
"Corinne...?"
la richiamai.
Pareva
essersi persa nei suoi pensieri, come quando da ragazza s'incantava
nel decantare le meraviglie di un mondo che io non avevo mai
conosciuto.
"Amira,
giungi dritta al punto."
Ebbi
un sussulto. Non ero abituata a udire il mio nome da una voce che non
fosse la mia. Sebbene lo avessi svelato molti anni prima a C, lei lo
usava raramente. Preferiva tenerlo per i momenti più solenni, quasi
che pronunciarlo troppo ne riducesse il valore.
"Stamattina
Miss. Key ci ha ordinato di scoprire il braccio destro. E io non l'ho
fatto."
Corinne
non si scompose di un millimetro, limitandosi a mantenere lo sguardo
fisso nel vuoto.
"Hai
qualcosa da dire o ti sembra un comportamento ordinario?"
azzardai.
"Sì,
avrei molto da ipotizzare o domandare. Ma penso che tu non abbia
voluto incontrarmi qui perché ti confondessi ancora di più."
Si
sedette sul pavimento impolverato, la schiena appoggiata a una
parete. Anch'io mi accovacciai, le ginocchia strette al petto.
Restammo
così un'infinità. Entrambe sapevamo che quella conversazione
avrebbe pesato. Non sapevamo su cosa, non sapevamo in che modo, ma lo
sentivamo.
Perché
quei momenti cruciali, quei momenti che si ricordano per il resto
della vita, si sentono. Anche quando non sono ancora arrivati.
"Amira?"
Forse
era passata un'ora quando Corinne si azzardò a chiamarmi. Forse
erano passati solo cinque minuti.
"Abbiamo
rimandato troppo a lungo questa conversazione. Sappi che quello che
conosco è davvero poco. Troppo poco." sussurrò.
"Non
te ne faccio una colpa."
"Lo
so." La voce di Corinne tremò. "Fammi una promessa.
Promettimi che, qualunque cosa ti rivelerò, tu non commetterrai
l'errore di sentirti imprigionata."
"Ma
io sono imprigionata. In questo Istituto, in questa stanza, in questo
marchio, in questa lettera." dissi con amarezza.
Corinne
volse il volto verso di me, gli occhi lucidi di lacrime, i ricci
appiccicati al volto.
"E
lo sarai per sempre. Non smetterai mai di essere imprigionata. Ma
promettimi che non concederai mai a te stessa di sentirti tale."
Sembrava
così decisa, così disperata, che annuii senza riflettere.
"Bene."
Si rasserenò e tornò la fiduciosa, ferma C di sempre. La sporgenza
del dirupo a cui mi ero aggrappata per non cadere nel vuoto.
"Sono
pronta."
"Bene."
ripeté la giovane donna. "Da dove vuoi cominciare?"
"Dal
Marchio. Perché si trova a sinistra e non a destra?"
Sfiorai
inavvertitamente la pelle su cui, impresso come un disegno, c'era il
marchio che mi perseguitava dalla nascita.
"Sai
come siete chiamati, tu e il resto degli studenti?"
"Marchiati."
risposi di getto.
"Il
termine in realtà è inesatto. Per Marchiati s'intendono tutte le
persone che portano quello scarabocchio sul braccio, su qualunque
braccio."
Lo
stupore si fece strada sul mio volto, mentre una strana adrenalina mi
attraversava come una scarica elettrica.
"Questo
significa che--"
"Sì
A. Non sei da sola." m'interruppe, un sorriso malinconico
dipinto sul viso.
"E
gli altri dove stanno?" Mi trattenni a stento dall'urlarlo.
"Fuori.
Esistono delle Comunità, a quanto so. Ma A, non è il posto dove si
trova il Marchio a determinare la categoria a cui appartieni, quella
è una mera formalità." spiegò Corinne.
"E
cosa allora?" la incalzai, gli occhi brillanti d'entusiasmo.
"Come
ne fai Uso." disse in un soffio.
"Uso?
Significa che loro non trasformano la materia in...?"
"No,
non trasformano la materia in non-materia. Loro..." Indugiò,
mordendosi un labbro.
"Loro?"
Quell'attesa
era esasperante.
"Loro
si staccano dalla realtà." disse alla fine con un filo di voce.
"Non
capisco." Agrottai le sopracciglia.
"Nemmeno
io ne so tanto a dire il vero. Ho udito Miss. Hedd parlarne con i
miei genitori, poco prima che venissi spedita qui." svelò a
bassa voce. "Poi ho udito qualche conversazione occasionale,
nulla più. Tra queste quella che si svolse tra Miss. Hedd e un
professore di cui non ricordo il nome."
"Sul
serio?"
"Sì.
Dovevo portare una tazzina di caffé nell'ufficio di Miss. Hedd. Lui
stava dicendo che saresti diventata una di loro, che se si
apparteneva alla nascita a loro, si sarebbe appartenuti a loro fino
alla morte." narrò Corinne.
"E
Miss. Hedd?"
Corinne
assunse un'espressione grave e distolse lo sguardo.
"Lei
ha detto che ti sarebbe stato impossibile nell'Istituto, che lei te
lo avrebbe reso impossibile." rispose dopo qualche minuto,
riluttante.
Io
aprii e richiusi la bocca, incapace di proferire parola.
Perché
quel professore credeva che sarei diventata una di loro? Cosa avevo
di diverso rispetto agli altri alunni, eccetto la posizione del
Marchio che, a quanto sembrava, non aveva valore?
"A,
non allarmarti. Ci sono io e ti aiuterò, qualunque sarà il tuo
desiderio." promise, la voce traboccante di sicurezza.
"Penso
sia tardi." mormorai fredda.
"A
ma--"
"Penso
sia tardi." ripetei con veemenza. "Devo tornare nella mia
stanza, la solita."
"D'accordo."
si arrese C, incominciando a frugare nelle sue tasche.
Io
mi avvicinai alla finestra e la spalancai, forzando il meccanismo
arrugginito. Il vento fresco filtrava nel mio pigiama leggero. Mi
sarei beccata un raffreddore forse, ma non m'importava poi tanto.
Avevo bisogno di respirare aria pulita, aria chiara, aria priva di
punti interrogativi.
"Trovate!"
esultò debolmente Corinne alle mie spalle, riportandomi alla realtà.
Richiusi
la finestra con un colpo secco.
Corinne
mi lasciò scivolare una chiave nella mano e con noncuranza aggiunse,
le labbra accostate al mio orecchio: "Vengono
chiamati Neroveggenti."
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