That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Hogwarts - II.013
- 31 Ottobre 1971
Meissa
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 31 ottobre
1971
Quando mi svegliai, la camera era ammantata dal classico colore
verdastro e subito, come dei rapidi flash, mi passarono davanti agli
occhi le scene della sera precedente, l’allegria per la
vittoria, il divertimento della festa poi lo spavento quando avevo
capito che se le stavano dando, infine l’intervento
dell’insegnante. Narcissa Black mi aveva fatto scendere nei
dormitori di corsa, così non sapevo che cosa ne fosse stato
di mio fratello. Avevo paura per lui, già l’anno
prima, a causa di una zuffa con Malfoy, aveva rischiato di essere
espulso. Mio padre stavolta non gliel’avrebbe fatta passare
liscia, se fosse stato coinvolto in qualche modo. E poi i
Grifoni… Merlino, per tutto il giorno si erano comportati
come dei pazzi… Non capivo che cosa fosse successo. E
Sirius? Chissà se a Grifondoro sapevano qualcosa. Speravo
tanto di riuscire a parlargli, già quella mattina. Entrai in
bagno, mi lavai e pettinai, misi la divisa sopra la tunica di lana ed
entrai in Sala Comune, gli incantesimi di protezione ai dormitori
femminili evidentemente si erano interrotti come sempre
all’alba. Mi guardai intorno, la sala era tornata alle
condizioni abituali, da nessuna parte c’erano segni della
festa e della rissa della sera precedente. Anche il tavolo che si era
distrutto, quando ci era caduto sopra Anthony Cox, era tornato intatto.
Mi mossi per la stanza, diretta verso un paio di occhietti che
sbirciavano da dietro la spalliera del divano, mi aprii in un sorriso e
andai a sedermi accanto a Severus.
“Allora, come se la passa
l’eroe di Serpeverde?”
Snape mi guardò imbarazzato, il solito pallore appena
scaldato da un po’ di rosso sulle guance. Mio fratello aveva
appena detto a Narcissa di accompagnare me e Zelda di sotto, quando
Wood l’aveva colpito con uno
“Schiantesimo” buttandolo a terra, e solo la
presenza di spirito di Severus, che si era messo a sollevare contro i
nostri assalitori tutti gli oggetti che aveva a portata di mano,
così da impedirgli di prendere la mira, aveva permesso a noi
ragazze di raggiungere incolumi la porta dei dormitori. Non avevo idea
di come e quando avesse imparato a essere così abile,
Severus non faceva mai nulla per risultare appariscente. Poi urlando
“Finitem Incantatem!”, l’insegnante mise
termine alla battaglia ed io ero rimasta chiusa con le mie compagne
nella nostra stanza, tutte ansiose di sapere qualcosa di
più. Severus alzò impercettibilmente le spalle,
come se l’argomento non fosse di suo interesse. Da quel poco
che lo conoscevo, sapevo che esisteva, in tutto il castello, una sola
persona capace di farlo aprire un po’: Lily Evans,
l’unica persona capace di farlo persino ridere. Eppure,
quando studiavamo insieme, o quando andavamo insieme a lezione, sapevo
che anche la mia compagnia gli era gradita e che non mi considerava
stupida e antipatica come le altre nostre compagne. Forse
perché per me, prima di tutto, era Severus.
“Che
cos’è successo?”
“Non lo so, Rosier ha
rimandato noi ragazzi nei nostri dormitori, non so cosa sia successo
dopo.”
“Perciò non sai
nulla di mio fratello...”
Fece di no con la testa.
“Ti devo ringraziare Sev. Noi
e Narcissa… ci avrebbero colpite, se
tu…”
“Difendevo solo me stesso,
Sherton… Le Serpi agiscono sempre nel loro interesse,
no?”
Lo guardai, la sua espressione era come sempre misurata e
seria. E impenetrabile.
“Non importa il
perché. Mi hai fatto un favore e… ora sono in
debito con te…”
“Il famigerato senso
dell’onore degli Sherton…”
Questa volta fui io a fare spallucce, mentre lui ghignava.
“Saliamo a far colazione?
Ormai è ora. Magari possiamo sapere qualcosa di
più dagli altri…”
“Non credo sia possibile,
credo che tutte noi Serpi siamo in punizione. E se pensi di andare in
cerca dei Grifoni... Lo vorrei anch’io, ma… non
credo che siano messi meglio di noi. Dobbiamo aspettare Slughorn, per
capire che cosa dobbiamo e possiamo fare... ”
“Noi non abbiamo fatto
nulla… Perché dovremmo stare qui?
Perché dovrebbe punirci?”
“Se la Casa è in
punizione, vale per tutti, anche per chi non ha fatto
niente… Non lo sapevi?”
Lo sapevo eccome, era una delle tante regole che non accettavo: per me
ognuno era responsabile delle proprie azioni, e di quelle soltanto.
Tante volte avevo litigato con i miei fratelli su questo argomento,
loro l’accettavano, io no.
“Lo so! E anche per questo,
odio questo posto e le sue assurde regole!”
Ghignò, con l’aria di sufficienza tipica che
riservava a tutti quelli che si comportavano da bambini
viziati. Immediatamente, la mia faccia prese il colore porpora
della vergogna.
“Parli così
perché non ti rendi conto di quello che hai, della fortuna
che hai, Sherton… nel mondo in cui sono cresciuto, non
c’era magia, tu non puoi immaginare cosa significhi vivere
senza, e cosa voglia dire essere finalmente al proprio
posto… Se ne avessi la minima idea, non ti cureresti nemmeno
se certe regole siano giuste o meno… ”
Lo guardai, era dannatamente serio. Da quel poco che avevo
visto del suo mondo e dai racconti di mio padre…
Sì, aveva ragione… dovevo imparare ad apprezzare
di più quello che la sorte mi aveva donato. E forse iniziavo
a comprendere perché i miei avessero tanto insistito
perché conoscessi il mondo di Severus, annoiandomi durante
l’estate quando facevamo visita a Spinner’s End.
Gliene avrei parlato volentieri ma immaginavo che non fosse facile per
lui pensare a casa. Forse era meglio passare per una stupida, dire
qualcosa di leggero e vanesio, che gli scatenasse di nuovo il suo
classico ghigno sprezzante. Eppure c’era tanta
curiosità in me. Quel ragazzino strano, spesso antipatico e
chiuso come un riccio, era un enigma che avrei voluto in qualche modo
risolvere.
“Forse hai ragione,
ma… Io spero soltanto che Rigel non si sia messo nei guai, e
che stasera possiamo andare alla festa di Halloween… I miei
fratelli mi hanno sempre detto che le feste qui sono
bellissime!”
In effetti, ottenni il suo ghigno, ma anche una nota inconsueta nel suo
sguardo, una nota di strana dolcezza. Col tempo avrei imparato che
veniva fuori solamente quando pensava a sua madre.
“Anche a me, fin da piccolo,
hanno sempre raccontato delle stupende feste di Hogwarts, e, lo devo
ammettere, è stato per tanto tempo uno dei motivi principali
per cui volevo venire qua, il prima possibile…”
“Credevo che anche i babbani
festeggiassero Halloween!”
Rimase in silenzio. Lo guardai, la nota di dolcezza era sparita,
qualcosa a metà tra dolore e disprezzo, aveva preso il suo
posto.
“Non a casa
mia…”
Non replicai. Avevo capito fin dall’inizio che Severus non
parlava solo di magia, non era solo quello, ciò che mancava
nella sua precedente vita.
“Ora sarà tutto
diverso, Sherton, ora sono finalmente a casa, al mio
posto…”
Annuii, non c’era bisogno di troppe parole. Lo guardai.
Stavolta c’erano speranza e orgoglio nel suo
sguardo. Quando uscì Slughorn, corremmo subito per
sapere che cosa ne sarebbe stato di noi e dei nostri compagni per quel
giorno, dopo la notte di follia appena passata.
“Signorina Sherton, Signor
Snape, seguitemi, il Preside vuole parlarvi…”
***
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 31 ottobre
1971
Avevo colpito a lungo, invano, la porta della McGonagall, senza
ottenere alcuna risposta. Non sapevo che cosa fare, non sapevo da chi
altri andare. Ero annichilito. I miei amici erano in
difficoltà e non potevo fare nulla, non avevo nessuno cui
rivolgermi. Potevo andare da Dumbledore… ma non sapevo come
si raggiungeva il suo appartamento. Inoltre avevo provato a
uscire dal dormitorio, ma il Caposcuola sorvegliava l’uscita.
Però… Forse questo significava che non aveva
fatto passare nemmeno gli aggressori: a quel punto, era
l’unica speranza rimasta… O
forse… Non era possibile che la direttrice della
Casa avesse lasciato nel cuore della notte il suo posto. Non senza una
buona ragione. Qualcuno forse aveva avuto la mia stessa idea: era
possibile che qualcuno, magari per ragioni diverse dalle mie, avesse
avvertito la McGonagall di quello che stava per succedere nei
sotterranei. Alla fine, confuso e spaventato, avevo ripreso la via del
dormitorio. Speravo davvero che qualcuno fosse riuscito a evitare al
posto mio a quel disastro. Perché io non c’ero
riuscito. Non ero stato capace di difendere Meissa. Sarei vissuto
nell’angoscia, fino a che non avessi scoperto la
verità…
Rientrato in camera, avevo trovato gli altri già a letto, ma
ero più che convinto che nemmeno loro
dormissero. Guardai i tre letti, soffermandomi sulla figura di
James. Un senso di vuoto mi prese allo stomaco: in quelle
poche settimane avevo imparato ad apprezzare quei tre ragazzini come
miei amici, con loro avevo superato paura e
isolamento. Possibile che mi fossi sbagliato? Che fossi di
nuovo solo? Che la nostra amicizia fosse già finita? Quei
tre erano dei Grifoni, eppure… L’amicizia
contava davvero meno della fedeltà alla Casa? Remus mi aveva
difeso… mentre James… davvero pensava che le
Serpi, tutte le Serpi, nessuna esclusa, non meritassero amicizia? Se
essere Grifone significava questo, essere nemici sempre e comunque
delle Serpi, io non sarei mai stato un Grifondoro. Non ci sarei mai
riuscito. Ero confuso su quale fosse a quel punto il mio
posto… Meissa… Alshain…
Rigel… Mirzam… Deidra… Non
avrei mai lasciato i miei amici e il mio futuro per un cravattino, quel
cravattino che non stava impedendo loro di rimanermi accanto. Nemmeno
Alshain, al contrario della mia famiglia, aveva ritirato le sue
promesse, dopo che ero finito a Grifondoro.
“Sirius… ti senti
male?”
Mi sollevai sul gomito, dopo essermi rotolato a lungo, insonne, tra le
lenzuola del mio baldacchino. Guardai alla luce della luna Remus, e di
colpo rallentai il respiro: era sempre presente quando qualcuno di noi
era in difficoltà. A volte non sembrava nemmeno un ragazzino
come tutti noi, sempre così serio e maturo.
“No, io…
è che non ce l’ho fatta, Remus, c’era il
Caposcuola alla porta…”.
“Lo immaginavo…
Vedrai che non è successo nulla, Sirius… non
è facile entrare in una casa diversa, bisogna conoscere la
parola d’ordine, evitare i controlli per i corridoi, ci sono
Gazza e la sua gatta, e c’è Pix, e poi...
c’è Slughorn nella Casa delle Serpi, come
c’è la McGonagall qui da noi… stai
tranquillo… non hanno il coraggio di affrontare un
Professore…”
Su questo non avevo riflettuto, non era possibile penetrare davvero in
un’altra Casa, soprattutto perché c’era
anche un Professore che vi risiedeva. Sospirai, leggermente
più sollevato. Remus come sempre era in grado di
farmi vedere le cose nel modo giusto. Anche se altri pensieri ora si
affastellavano nella mia mente.
“La McGonagall non era nel suo
appartamento, Remus, forse qualcun altro è riuscito ad
avvertirla…”
“E’ possibile.
Perché l’idea di assaltare le Serpi era davvero
balzana, oltre che sbagliata. L’avranno pensato in tanti.
Domani ne sapremo di più, stai tranquillo... E riguardo a
James… non avercela con lui… Cerca di capirlo:
non voleva che ti mettessi nei guai con quella banda di
teppisti…”
“Anche lui, però,
deve capire me! Che gli piaccia o no, Rigel e Meissa sono miei amici e
solo perché non sono nella nostra stessa Casa, questo non
significa… loro… James non li conosce come li
conosco io, loro…”
“Lo so, Sirius…. E
lo sa anche James… non intendeva quello che ha detto, non ci
crede veramente… Anche lui ha notato che non tutte le Serpi
sono cattive, come non tutti i Grifoni sono buoni, solo gli ci vuole un
po’ ad ammetterlo. E soprattutto, era preoccupato per te: non
vuole che qualcuno possa dire…”
Allora l’aveva fatto per me, perché non
m’incollassi addosso definitivamente l’etichetta di
spia. Ma era proprio quella la mia natura. Non si può
sfuggire al Destino del Sangue. Lo diceva sempre mio padre.
“No, James e tutti gli altri
hanno ragione, alla prima occasione, io ho cercato di
comportarmi come mi chiede il mio Sangue: se solo ci fossi riuscito, io
avrei fatto la spia, quindi io non sono un Grifone, io non dovrei stare
qui…”
“Sirius…”
“Tutte le Serpi fanno la spia,
Remus, tutte… Solo per puro caso non ce l’ho
fatta, ma Merlino mi è testimone se avrei voluto…
E’ nel mio sangue: che mi piaccia o no, io sono come mio
padre e mia madre… E’ più forte di me,
anche se non voglio. Come forte è in James e in te e in
Peter essere dei Grifoni… E’ così e
sarà così, sempre…”
“Ti sbagli, Sirius: io non ho
una famiglia di Serpi alle spalle, ma anch’io sarei andato
dalla McGonagall per questa faccenda, cosa credi? Ci sarei andato
perché era giusto farlo, Sirius. Ma non ho avuto il coraggio
che invece hai avuto tu. Anche se avrei potuto, perché non
sarebbe stato rischioso, per me, come lo sarebbe stato per
te… Lo capisci perché James ti ha
fermato?”
“Non cercare di fare il
professore con me, Lupin, non ci casco! Io sarei andato, avrei fatto la
spia, avrei messo nei guai i miei compagni…”
“Chiediti il
perché, Sirius… Dicono che le Serpi facciano la
spia per mettere in difficoltà un nemico, ma è
per questo che l’avresti fatto tu? No! Tu l’avresti
fatto per salvare un amico, e perché quello che stava
accadendo era sbagliato… Sei un Grifondoro almeno quanto lo
è James, sicuramente più di tanti esagitati che
hanno generazioni di Grifoni alle spalle e poi si comportano da
teppisti! Ancora sembra che tu non te ne accorga, Black, ma io ti
osservo: non c’è un giorno in cui non dimostri
quanto di Grifondoro c’è in te. Sei un Amico,
Black, è questo ciò che sei…”
Lo guardai. Nessuno mai, prima di Remus John Lupin, aveva preso
così le mie difese, con lo stesso calore, con lo stesso
entusiasmo, credendo così fortemente in me. Nessuno
mi aveva mai difeso così persino da me stesso. Nella luce
della luna, che si avviava placida alla sua pienezza, mi persi negli
occhi caldi di quel ragazzino solo all’apparenza debole, ma
assai più forte di me. E capii che era come
l’avevo sempre immaginato fin dal primo momento, su quel
treno. Spaziai lo sguardo sugli altri. No, non dovevo dubitare, io non
ero più solo. Ero tra i miei Amici.
***
Rigel
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 31 ottobre
1971
Camminavo avanti e indietro, davanti all’aquila di pietra che
nascondeva la scala per l’ufficio di Dumbledore: in due anni
e due mesi l’avevo già vista fin troppo
spesso. Guardai i miei compagni, eravamo tutti preoccupati,
con il caos che si era scatenato la sera prima, Preside e Professori
avevano deciso di convocare anche i nostri genitori. Mio padre odiava
dover incontrare Dumbledore e venire qua, vederlo, parlargli lo
indisponeva per principio, se poi la causa ero io… No, non
si prospettava una bella giornata per me! Sospirai: maledetti Grifoni,
se non si fossero messi in mezzo a quest’ora nessuno si
sarebbe accorto di nulla. A quel punto potevo scordarmela la nuova
scopa da Quidditch per Natale… E se mio padre si fosse
limitato a questo, potevo dirmi fortunato! Mi aveva promesso che alla
prossima che combinavo, nonostante la sicura intercessione di mia
madre, mi avrebbe spedito tra le nevi di Durmstrang a calci. Guardai
Lestrange, si stava ammirando sul vetro, andava proprio fiero
dell’occhio nero che gli aveva fatto Wood. Ogni secondo che
passava mi rendevo conto di quanto fosse idiota! Ecco un altro motivo
per far inviperire mio padre: costringerlo a incontrarsi a Hogwarts
anche con Malfoy e Lestrange… Lucius sembrava piuttosto
tranquillo, probabilmente era talmente ignaro di quello che avevamo
combinato Rosier, Rabastan ed io, che vedeva in tutta questa storia
solo la maniera di mettere in punizione mezza Casa dei Grifoni e
strappargli tanti punti da rendergli impossibile vincere la Coppa delle
Case, per quell’anno, il suo ultimo anno a Hogwarts, ma in
cuor mio pensavo che fosse impossibile che non venisse fuori pure la
storia di quello che avevamo fatto a Slughorn e Pascal… E
quella mio padre me l’avrebbe fatta pagare cara,
anzi… in maniera esemplare. McNair uscì con il
suo vecchio, l’espressione serena, tipica della spia che ha
salvato la situazione andando a chiamare la McGonagall. Eppure qualcosa
non mi tornava: la sera prima, quando l’avevo visto
avvicinarsi con un ghigno soddisfatto ai Professori e a Rosier, avevo
percepito subito qualcosa di strano, ma ancora non mi rendevo conto di
cosa fosse. Come faceva a sapere dell’assalto, se per tutta
la sera non si era visto in Sala Comune? Ritornavo alla sera prima con
la mente, per trovare un dettaglio che mi salvasse le
chiappe… Avevo appena visto Narcissa accompagnare mia
sorella di sotto, ne stavo proteggendo la fuga, quando qualcuno mi
aveva schiantato, ero finito a terra dolorante e immobile, senza
però perdere completamente coscienza. Subito dopo avevo
sentito la voce della McGonagall urlare.
“Finitem incantatem!”
Ero voltato in direzione della porta, vidi di colpo tutti gli
incantesimi e le fatture che ci stavamo lanciando cessare
immediatamente. Osservai le due figure che avanzavano tra i fumi che si
disperdevano, le bottiglie rovesciate, i mobili divelti, i corpi a
terra, postumi di una sbronza colossale. Eravamo in un mare di guai, i
Grifoni forse più di noi, ma eravamo comunque tutti in un
mare di guai: io se non altro per aver introdotto quegli alcolici
proibiti nella Sala Comune degli Slytherin. Rosier
uscì dall’appartamento di Slughorn col Professore,
seguito anche da Pascal. Forse, con un po’ di fortuna,
Azkaban per quella volta avrebbe aspettato.
“Uscite immediatamente da qui,
e seguitemi dal Preside!”
I Grifoni, non eccessivamente pesti e malridotti, poiché non
avevamo quasi posto resistenza, si dileguarono all’istante,
guidati dalla McGonagall, che aveva rapidamente scambiato poche parole
nervose con Slughorn e Pascal:
“Rosier, Black: occupatevi dei
ragazzini dei primi anni, assicuratevi che stiano bene e che vadano
rapidamente a letto, poi venite da me… McNair, Mills:
accompagnate Lestrange, Cox, Sherton e Malfoy in infermeria…
Carrow, Dolohov, Crabbe, datevi da fare a rimettere in piedi questa
manica di pecore sbronze, siete Prefetti no? Beckett, Avery, Rookwood,
voglio sapere come tutto questo sia potuto accadere… e
curatevi quella sbornia, per Salazar!”
Così eravamo saliti da madame Pomfrey e avevamo passato il
resto della notte in infermeria, io a curarmi i postumi dello
Schiantesimo e, già che c’ero, farmi rimettere a
posto gli ultimi effetti della rissa della mattina, Anthony e Rabastan
sghignazzarono a lungo, pur malridotti, scommettendo su quante
settimane sarebbero passate prima che i Grifoni potessero uscire di
nuovo dalla loro torre. Malfoy se ne stava sulle sue, non
c’era nessuno dei suoi amichetti del cuore in infermeria, e
probabilmente ringraziava Merlino che le cose fossero andate in quel
modo, sarebbe stato a dir poco sconviene se i Professori avessero
trovato lui e Narcissa insieme, invece di adempiere i loro doveri di
Caposcuola e Prefetto. Così sembrava che fosse caduto sul
campo, al massimo potevano rinfacciargli che avesse permesso che la
festa andasse troppo oltre… Insomma, riusciva sempre a
cadere in piedi, da bravo Malfoy! Mi riscossi da quei pensieri, il
suono dei passi rapidi e nervosi era inconfondibile, alzai gli occhi e
vidi mio padre in tutta la sua feroce magnificenza. Era
completamente avvolto dal mantello nero, come al solito elegantissimo
in una toga da mago verde scuro, con gli intarsi argentei di Salazar, i
capelli scendevano liberi fino alle spalle, si tolse i guanti e il
mantello, con un gesto imperioso li affidò a
Doimòs, che gli stava dietro a stento, sulle sue gambette
corte. Il cuore mi saltò un battito, aveva
l’espressione che gli conoscevo fin troppo bene, al resto del
mondo sembrava sempre lo stesso, impassibile, ma io riconoscevo
quell’ombra particolare nel suo sguardo, quella severa che
aveva anche il nonno in tutti i suoi quadri.
“Sherton… mi fa
piacere rivederti…”
Il padre di Dolohov si avvicinò e andò a
stringergli la mano, subito seguito dal padre di Carrow e da quello di
McNair ma, pur affabile e propenso alle chiacchiere formali, vedevo
bene che non mi staccava gli occhi di dosso. Era l’unico che
ponesse sempre la famiglia davanti a tutto, persino di fronte a tanti
vecchi compagni e amici. Li congedò con la sua consueta
grazia, poi si avvicinò a me, mi prese da parte e
iniziò l’interrogatorio.
“Voglio darti la
possibilità di dirmi come stanno davvero le cose…
In che cosa ti sei cacciato stavolta?”
“Io… Noi
abbiamo… abbiamo organizzato una festa per la vittoria sui
Grifoni… a metà della festa, non so come, hanno
fatto irruzione nella Sala Comune, io… io ho chiesto a
Rosier di chiamare Slughorn, a Snape di cercare Malfoy e a Narcissa
Black di portare Meissa e le altre ragazzine di sotto. Sono stato
schiantato mentre le difendevo, poi ho visto entrare la McGonagall e
McNair, anche se non so come l’ha saputo, lui non
c’era stato per tutta la festa…”
“Non m’interessa di
McNair… Mi stai dicendo che non ti hanno colpito mentre
facevi a botte… allora spiegami: perché la
Pomfrey ti ha trovato una costola incrinata?”
Lo dovevo immaginare che prima di parlare con Dumbledore, avrebbe
chiesto come stavo in infermeria. Annuii.
“Abbiamo fatto a botte negli
spogliatoi... ma… io non me le sono andate a cercare, te lo
giuro… io ho fatto solo quello che mi hai detto
tu… mi sono solo difeso!”
“E allora perché
hai quest’aria spaventata e colpevole? Sai bene che se ti
fossi solo difeso…”
Mi guardò furente, era inutile portarla per le lunghe,
meglio che lo sapesse prima che glielo dicessero altri. Cercai di
allontanarmi ancora di più dai miei compagni,
così che non sentissero; mio padre mi capì e non
fece obiezioni, stavo per condannarmi all’esilio nelle nevi
del Nord, con le mie stesse mani.
“Quello che ho fatto
io… forse… forse di quello ancora non si sono
accorti, padre... ”
“Figuriamoci se a quel vecchio
pazzo sfugge qualcosa! Ti conviene non farmi passare per idiota davanti
a quell’uomo, o giuro che stavolta te la faccio
pagare… ”
“Ecco… nei giorni
scorsi, Rosier, Lestrange ed io abbiamo fatto entrare di nascosto a
Hogwarts tutto ciò che ci serviva per fare
festa…”
“E deduco che non fosse
esattamente materiale lecito, visto che vi siete premuniti di farlo di
nascosto…”
Chinai lo sguardo, rosso in faccia. Feci no con la testa.
“Sai Rigel… da
quando mi è arrivato il patronus di Slughorn con la
richiesta di presentarmi qui, stamani, subito mi sono chiesto una cosa,
e credo se la stiano chiedendo anche il Preside e metà del
corpo insegnante: come mai Slughorn e Pascal, pur cenando
nell’appartamento, si sono accorti della presenza dei Grifoni
solo quando già mezza Sala Comune era stata devastata? E
come ha fatto la McGonagall ad arrivare prima di loro? E non
scordiamoci della festa, a quanto pare ben riuscita:
com’è possibile che due insegnanti, a pochi metri
da voi, non si siano accorti di nulla?”
Mi fissava, aveva già capito. Non sapevo, però,
fino a che punto.
“E’ che…
Abbiamo fatto ubriacare anche loro. Prima di dar inizio alla
festa…”
“Abbiamo? Abbiamo? Salazar! E
dimmi… A tua sorella quando ci avresti pensato, mentre tu e
i tuoi amici organizzavate questo bel programmino?”
“Meissa?”
“Sì, Meissa...
Sai… Quella ragazzina di undici anni che ti avevo affidato
prima di partire: te la ricordi?”
“L’ho tenuta
d’occhio per tutta la festa, te lo giuro, non le poteva
accadere nulla!”
“Ah no? In mezzo a una masnada
di adolescenti sbronzi! Non solo non sei andato a dire ai Professori
quello che stava per accadere, ma ti sei reso protagonista di tutto
questo, persino di far ubriacare due insegnanti! Ti rendi conto che lei
stessa avrebbe potuto bere per sbaglio e intossicarsi con qualche
schifezza? Per non parlare del resto! O vuoi farmi credere che tu
avresti organizzato tutto questo divertimento per poi restare sobrio a
controllare lei?”
Era vero. Se Malfoy non avesse messo incantesimi per impedire a chi
aveva meno di quindici anni di fare quello che voleva, io mi sarei dato
alla macchia con Paulette o con le amichette di Lestrange, scordandomi
completamente di mia sorella…
“Questa me la paghi,
Rigel… Scordati di avere più la mia fiducia
incondizionata, d’ora in poi dovrai meritartela…
Ti ho sempre concesso tutto quello che volevi… Una sola cosa
ti ho chiesto in cambio… e tu?”
“Scusami…”
“Le scuse non bastano,
Rigel… Devi imparare a comportarti da persona responsabile,
non sei più un bambino! Di questo parleremo con calma a
casa. Quando entreremo da Dumbledore, tu resterai zitto… e
accetterai senza discutere tutto quello che sarà deciso,
siamo intesi? Spero per te che le tue reali responsabilità
non siano palesi al vecchio… perché stavolta non
ho intenzione di difenderti… ”
Chinai di nuovo lo sguardo…
“Alshain…”
Il vecchio tricheco col suo passo pesante era arrivato fino a noi,
portandosi dietro Meissa e quel ragazzino, Snape: non mi ero accorto
prima che erano arrivati, preso com'ero dai rimproveri di mio padre. Mi
alzai e corsi verso mia sorella, non la vedevo dalla sera prima, non
doveva esserle accaduto nulla perché Cissa aveva fatto in
tempo a nasconderla, ma dovevo assicurarmene.
“Non parli con sua sorella,
Signor Sherton, è una testimone e non va
influenzata!”
Mio padre mi tenne indietro ponendomi il bastone di traverso sul mio
petto, poi con un paio di ampie falcate, raggiunse Meissa che gli
buttò le braccia al collo, infischiandosene
dell’etichetta. A volte la invidiavo davvero, mia sorella:
sembrava che a lei fosse sempre concesso tutto ciò che io e
mio fratello dovevamo sudarci. In fondo, però, non potevo
dire che mio padre, pur avendo un debole per lei, si comportasse in
modo ingiusto con gli altri suoi figli. Li lasciai alle loro smancerie
e aspettai insieme ai miei amici il mio turno: Meissa era felice di
rivedere papà dopo due mesi, mi resi conto che non
l’avevo più vista sorridere come faceva in quel
momento, da quando avevamo lasciato i nostri genitori sul binario di
King’s Cross. Nemmeno quando era stata smistata a Serpeverde
l’avevo vista sorridere come tra le braccia di nostro padre.
E anche lui… non sorrideva mai in quel modo, quel sorriso
era tutto e solo per Meissa. Mi guardai attorno, la maggior parte dei
miei amici discuteva col proprio padre, o con le altre Serpi, alcuni
erano preoccupati, altri meno. Il piccolo Severus, in
qualità di testimone, aspettava dall’altro lato
del corridoio, fermo davanti a Slughorn che gli teneva paternamente una
mano sulla spalla: a detta di Meissa, infatti, si era già
fatto notare per la sua bravura a lezione di Pozioni e, pur provenendo
da una famiglia modesta, il Professore l’aveva adocchiato e
lo trattava come un pupillo, riconoscendogli che era già
bravo quanto sua madre alla sua età. Per tutto il tempo,
però, in attesa di essere chiamato e di conoscere il mio
destino, non mi piacque per niente come gli occhi dei Lestrange
indugiassero insistentemente su Meissa e nostro padre. Di sicuro
avevano qualcosa di losco in mente.
***
Alshain
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 31 ottobre
1971
Era da poco più di un anno che non incontravo Dumbledore a
Hogwarts, appena entrato con i ragazzi, mi guardai attorno: lo studio
era come sempre carico di una miriade di oggetti strani e affascinanti,
di cui io stesso, che pure avevo una buona competenza magica, in molti
casi non sapevo dire a cosa servissero. In particolare, mi
affascinava, da sempre, una specie di astrolabio dorato che teneva sul
ripiano più alto. In attesa che Dumbledore
apparisse, tenevo la mano di Meissa, seduta al mio fianco: sapevo che
l’etichetta, quando si trattava di una famiglia come la
nostra, richiedeva un comportamento distaccato, ma a me non
importava. Non vedevo i miei figli da due mesi e quella
giornata mi forniva almeno l’opportunità di stare
un po’ con loro. Non avrei perso l’occasione per
niente al mondo. Anche Mei si guardava attorno, soffermandosi sullo
strano uccello abbarbicato su un trespolo davanti a noi, accanto alla
scrivania del vecchio: aveva l’aspetto maestoso di
un’aquila reale, con il becco lungo e affusolato, lunghe
zampe e due piume allungate, rosa e azzurra, sulla sommità
del capo. Aveva il piumaggio variopinto: il collo era dorato,
mentre le piume sul corpo erano rosse, la coda azzurra con sfumature
rosee, infine le ali erano in parte dorate e in parte
porpora. Sorrisi: gliene avevo parlato molte volte, ma non ero
ancora mai riuscito, nei miei numerosi viaggi, a procurarmene una per
lei. Risposi subito alla tacita domanda dei suoi occhi.
“Sì, è
proprio una fenice, Meissa, si chiama Fawkes e ormai da tanto tempo
è la fenice del Preside.”
“Posso toccarla?”
“Certo che puoi, signorina
Sherton!”
Non mi ero accorto dell’ingresso di Albus, preso
com’ero da mia figlia. Mentre gli davo la mano con chiara
insofferenza, il vegliardo osservava curioso me e i miei figli:
trattenni subito una frase piccata, non potevo far correre rischi
inutili a Rigel, aveva già fatto abbastanza da solo per
mettersi nei guai, stavolta. Ed ero convinto che mancasse
ancora qualcosa nel suo racconto. Dumbledore si sedette alla scrivania,
le mani pallide ed eleganti a sostenere il suo viso quasi centenario,
gli occhietti cerulei che sembravano come sempre sondare fino alle
profondità della coscienza, una nuvola di capelli
bianchissimi, lunghi fino oltre mezza schiena, almeno quanto la sua
fluente barba. Ghignai tra me: sembrava proprio la
raffigurazione del Babbo Natale babbano, a parte per la toga verde e
per l’assenza di pancia. Sorrise, quasi avesse colto
il mio pensiero poco convenzionale, e offrì ai ragazzi, come
faceva sempre, delle cioccorane, lasciando Meissa basita: non conosceva
ancora i vezzi di quel vecchio pazzo.
“E’ tutta la vita
che Fawkes è accanto a me: per fortuna, la vedi per la prima
volta oggi, a pochi giorni dalla sua rinascita, nella sua piena
bellezza…”
Sollevò il braccio per andare ad accarezzare la testa,
Fawkes chinò il capo, osservando il suo compagno di
avventure con occhi amorevoli, Meissa con un’occhiata mi
richiese il permesso, io acconsentii, si alzò e si
avvicinò al vecchio, accarezzò anche lei la
fenice: i loro occhi sembravano parlarsi, come immaginavo.
“Hai ereditato da tuo padre
anche l’amore per gli animali, a quanto
vedo…”
Voleva apparire a mia figlia come un nonno gentile e affettuoso, faceva
con tutti così, all’inizio, per ottenere la loro
fiducia e non mostrare subito la parte temibile del suo carattere: io
stesso ci ero caduto per molti anni. In lui, da giovane, avevo visto
solo un brillante professore di Trasfigurazione, un uomo pieno di
abilità e carisma, non capivo perché mio padre lo
temesse tanto: era un Mezzosangue, d’accordo, ma era
l’uomo giusto a Hogwarts, in un’epoca in cui
eravamo soffocati dall’inerzia di Dippett. Poi, in
seguito alla storia di Gellert Grindelwald, molti avevano aperto gli
occhi. Li avevo aperti anch’io.
“Sei ancora spaventata per
ieri sera, Meissa?”
“Io non ero spaventata,
signore…”
“Davvero? Come mai?”
“Ero con le mie
amiche… ero… parlavamo su uno dei divani vicini
al caminetto. Non mi sono accorta di nulla fin quando mio fratello mi
ha detto di andare in camera mia…”
“Quindi tuo fratello era con
te quando hai visto per la prima volta i Grifoni…”
Meissa annuì.
“Durante la festa aveva girato
per la Sala, aveva chiacchierato con i suoi amici, e con Severus Snape,
poi l’ho perso di vista per un po’ e, quando
è tornato, era agitato: ha chiesto a Narcissa Black di
portare me e le mie compagne di sotto, e poiché accanto a
noi c’era solo Severus, gli ha chiesto di aiutarlo a
coprirci, mentre scendevano verso i dormitori…”
“Capisco… Quindi
Rigel non stava facendo a botte e non stava istigando i ragazzini del
primo anno a fare altrettanto con gli avversari…”
Meissa negò con la testa, meravigliata: era quello che
volevo vedere anch’io. Vedere lo stupore di Meissa mi
confermava che Rigel era stato sincero con me.
“Ha cercato di convincermi a
scendere di sotto, ma non gli ho creduto, solo quando il Caposcuola
Malfoy è uscito dalla sua stanza ed è stato
colpito alle spalle, ho capito….”
“Molto bene… molto
bene… la voce dell’innocenza mi ha chiarito gli
ultimi dubbi... puoi andare, signorina Sherton, tra poco tuo fratello
ti raggiungerà in corridoio.”
Meissa rapida si dileguò, osservandomi preoccupata, io le
feci un cenno per dirle che avremmo parlato poco dopo. Dumbledore si
voltò e fissò negli occhi Rigel, evidentemente
ancora troppo sconvolto per capire che Meissa l’aveva appena
salvato.
“Per come mi era stata
riportata la faccenda, ero propenso a firmare la tua espulsione, Rigel,
perché posso tollerare tutto, ma non che qualcuno metta a
rischio dei ragazzini più piccoli, istigandoli alla
rissa… Per fortuna tua sorella ha fatto chiarezza. Per
quanto riguarda il resto, vista la tua età e la tua
inesperienza, non puoi aver eseguito incantesimi e preparato pozioni
tali da rendere inabili due Professori. Sarai punito, però,
per non aver denunciato quello che i tuoi amici si apprestavano a fare:
spero che questo ti serva a riflettere sulle tue scelte, e che farai
più attenzione alle persone che frequenti e alle amicizie di
cui ti circondi… Inoltre, come il resto della squadra, sarai
punito anche per la rissa del dopopartita: sarai per un mese a
disposizione di Gazza, deciderà lui come utilizzare le tue
ore libere e, naturalmente, non ci sarà più
nessuna uscita a Hogsmeade per te, per quest’anno.
E’ tutto, puoi andare… ”
Dumbledore congedò mio figlio. Lo vidi allontanarsi
sollevato.
“Nella tua scuola entrano di
nascosto alcolici e altre sostanze non esattamente legali, si
organizzano feste previa ubriacatura dei Professori, ci sono risse
negli spogliatoi di Quidditch…”
“Stai pensando che gli anni
passano, i volti cambiano, ma le storie restano sempre le
stesse… dico bene, Alshain?”
Lo fissai, avevamo già avuto un colloquio simile un anno
prima, quando Rigel aveva quasi sfregiato Lucius Malfoy.
“Mi sono illuso a lungo che la
debolezza di Dippett fosse circoscritta alla sua figura, non che si
ereditasse con l’incarico: pensavo fosse giusto mandare i
miei figli nella stessa scuola dove hanno studiato tutti gli Sherton,
ma a volte... In due mesi abbiamo avuto già
l’episodio del giovane Black, ora questo… Non
vorrei essere costretto a ritirare i miei figli e i fondi che
generosamente elargisco… Non posso far correre loro rischi
inutili solo per una vecchia abitudine…”
“E’ strano sentirti
parlare di Hogwarts come di una vecchia abitudine familiare, Alshain.
Di solito i tuoi discorsi sono molto più vividi e personali,
molto più carichi di progetti… Di solito ci tieni
al futuro di quest’Istituzione… Che cosa
è cambiato?”
“Ci tengo ancora, Dumbledore,
non ti preoccupare… E’ ancora presto, per te, per
cantar vittoria…”
Sorrise, mentre il classico sorbetto al limone si materializzava
davanti a sé e mi chiedeva se volessi qualcosa anche per me.
Feci di no con la testa.
“Beh…
Accomodati… Questo è il genere di cose che il
Consiglio non vede l’ora di sbattermi in faccia per farmi
fuori! O no?”
“Della tua sorte non
m’interessa, vecchio, lo sai, quello che conta è
che ai ragazzi non capiti niente…”
“Davvero? Non
l’avevo mai vista così! Non è un
discorso molto Slytherin, il tuo…”
Lo guardai male, mentre i suoi occhi apparivano divertiti.
“Non fare questi giochetti con
me, Dumbledore, con me non attacca, lo sai…”
“Hai ragione. Parliamo di argomenti
più concreti. Non trovi interessante che tuo figlio sia
venuto da me a dirmi il nome dell’aggressore del giovane
Black e, dopo poche settimane, il responsabile del misfatto sia
l’unico che riesce a contattare in tempo la McGonagall e la
fa entrare nei dormitori di Serpeverde? Non trovi che sia una curiosa
coincidenza?”
Lo fissai, si era guadagnato la mia attenzione.
“Mi stai dicendo che Walden
McNair è venuto ad asserire il falso su mio figlio, ovvero
che Rigel pestava i Grifoni con Snape. Perché mi stai
raccontando tutto questo?”
“Perché non abbiamo
ancora individuato il secondo aggressore di Sirius Black e mi chiedevo
se per caso tuo figlio non avesse qualche idea al
riguardo…”
“Se stai insinuando che mio
figlio…”
“No, non è nel
vostro stile, lo so… e Black è il tuo figlioccio,
se non ricordo male, non è un Grifondoro qualsiasi, per la
tua famiglia. Quello che mi stavo chiedendo è piuttosto
quanto sia forte la lealtà dei tuoi figli nei confronti dei
giovani Lestrange…”
“Lestrange? Che diavolo
m’importa di un Lestrange! Se hai sospetti su Rabastan,
indaga! Questo è il genere di cose cui devi badare tu,
vecchio!”
“Mi chiedo soltanto se sia nel
tuo interesse che i tuoi figli siano così intimi di una
famiglia che ti ha sempre giurato morte…”
“I miei figli sono leali a me,
Dumbledore, non ti preoccupare… Togliti dalla testa le tue
assurde paranoie e bada al tuo lavoro, se non vuoi ritrovarti
senza!”
Mi alzai, stizzito, lasciandomelo alle spalle, ero più che
convinto che mi fissasse sorridendo con la solita faccia estatica, per
quanto mi riguardava, io non avevo altro tempo da perdere con lui.
Uscii e senza badare più agli altri genitori presenti e ai
loro figli, andai da Meissa e Rigel, che mi gettarono finalmente le
braccia al collo, senza troppe cerimonie. Mentre mi raccontavano le
ultime novità, accompagnandomi per corridoi, scale, cortili
e sentieri, fino ai cancelli da cui era possibile smaterializzarsi, una
quantità di pensieri turbinosi si accatastava nella mia
mente. Certo, a ben pensarci, poteva essere tipico di un Lestrange fare
una cosa del genere a Sirius: anche quando erano intenzionati a farti
un favore, anche quando volevano salvarti, cercavano sempre, per se
stessi, una forma di violenta soddisfazione. Agivano così da
sempre. Quanto all’amicizia che legava i miei figli
a quelli di Roland, però, avevo troppa fiducia in loro per
temere brutte sorprese.
***
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 31 ottobre
1971
“Quindi hai visto tuo
padre!”
“Sì non ci posso
credere, pensavo che ormai, fino a Natale…”
“Allora non tutto il
male…”
Meissa era troppo felice per arrabbiarsi, ma mi lanciò lo
stesso un’occhiata che non prometteva nulla di buono. Mi
morsi la lingua e non continuai per quella strada,
l’importante era che parlasse con me, se poi non parlava con
gli altri Grifoni, pazienza. La Sala Grande si stava riempiendo, noi
aspettavamo all’ingresso, ritagliandoci ancora qualche
secondo prima di entrare e andare dai nostri rispettivi compagni.
Vedevo già da lì la bellezza delle decorazioni,
come avevano detto Meda e Cissa, le feste a Hogwarts erano sempre
grandiose: tutta la stanza era ammantata dal caldo colore arancio e dal
nero più oscuro, su tutti i tavoli c’erano candele
all’interno delle classiche zucche, ritagliate con la faccia
di Jack O’Lantern, ovunque c’erano raffigurazioni
di finti ragni, finti gatti neri, scheletri, rospi e ogni altro essere
legato alla tradizione di quella festa. Meissa sbirciava dentro,
meravigliata: mi chiedevo se, a Herrengton, Halloween si festeggiasse
in quel modo, perché dopo aver visto la festa di Yule,
credevo che tutte le feste del Nord fossero diverse da quelle degli
altri maghi.
“Poteva finire peggio, se
è questo che vuoi dire, temevo davvero che stavolta mio
padre avrebbe spedito Rigel a Durmstrang!”
“Ma lui non ha fatto
niente!”
“Non lo so, deve aver
combinato qualcosa, perché papà è
uscito furioso dallo studio di Dumbledore, ma non ho idea di cosa si
tratti.”
“L’importante
è che sia rimasto qui. Anche se… Voglio
dire…”
“Sì, non
è facile, lo so: un mese da Gazza, niente visite a
Hogsmeade, i punti guadagnati ieri azzerati, trecento punti di meno sia
a voi, sia a noi… Appena gli sarà passato lo
spavento, sarà furioso!”
“E gli altri?”
“Tutti i Prefetti e il
Caposcuola sono nei guai, inoltre ci sono Rosier e Lestrange che hanno
una punizione speciale e un’ammonizione: se ne combinano
un’altra sono subito fuori…”
“Il motivo?”
“Non lo so… Non ne
ho idea… I Grifoni invece?”
“La squadra è in
punizione come tuo fratello, in pratica quest’anno il
campionato di Quidditch e la Coppa delle Case saranno una questione tra
i Tassi e i Corvi. Noi, come voi, siamo fuori. Inoltre i ragazzi
trovati nei sotterranei sono anche loro ammoniti e rischiano
l’espulsione alla prima mossa sbagliata…
Però, secondo me, sotto c’è qualcosa di
strano…”
“Che cosa vorresti
dire?”
“Da noi si dice che i Prefetti
di Serpeverde e Malfoy usciranno da Hogwarts anche con una nota di
demerito, che Pascal sarà allontanato alla fine
dell’anno e che Dumbledore ha vietato a Slughorn le serate
del suo club per tutto l’anno… Insomma
c’è qualcosa che Dumbledore solo sa, e che
coinvolge tutte queste persone…”
“Non ho idea di cosa possa
essere, Sirius… Io credevo fosse solo questa festa di
Slughorn, per ovvi motivi, a essere andata a monte… A parte
questo, però, ieri sera metà della Casa era
davvero uscita di testa, forse qualcuno ha messo qualcosa di strano
nelle bibite…”
Feci spallucce: visto che razza d’individui bazzicavano nei
sotterranei, mi sembrava il minimo, ma mi pareva strano che personaggi
come mia cugina o Malfoy si mettessero agli stessi livelli,
compromettendo la loro carriera. Cambiammo discorso, mi diede una
lettera di suo padre per me, e ci accordammo per passare insieme il
resto della serata, appena finita la cena: fu allora che vidi Remus,
James e Peter, accodati agli altri Grifoni, che si preparavano a
entrare. Feci a meno di guardare James, a Meissa la cosa parve subito
strana e sospetta.
“Che novità
è questa?”
“Quale
novità?”
“Non sei più amico
di Potter?”
Non c’eravamo parlati, quel giorno, anche se io avrei voluto
chiarire la cosa il prima possibile e, dalle occhiate che mi lanciava,
sembrava che lo volesse anche lui. Eravamo troppo orgogliosi, entrambi,
così diceva Remus: nessuno dei due voleva fare il primo
passo.
“Abbiamo bisticciato, aspetto
che mi chieda scusa…”
“E se non te lo
chiedesse?”
Sospirai. Meissa mi strinse la mano e mi trascinò dentro. I
fantasmi stavano imperversando nella Sala e tutti i ragazzini erano
entusiasti di quello spettacolo esaltante, a parte quelli che
casualmente si ritrovavano sulla loro scia e sentivano il gelo
improvviso causato dal loro passaggio.
“Ci vediamo più
tardi, Sirius, cerca di far pace con James! Così, poi, la
festa ti sembrerà più bella!”
Corse via, allegra, lasciandomi con un senso di felicità che
pareva espandersi dalla mano che finora aveva tenuto stretta nella sua.
Andai a sedermi al mio posto, accanto a James, con il sorriso stampato
ancora in faccia, Remus e Peter erano seduti di fronte a me, il Preside
ci augurò buon appetito e ci invitò darci da
fare, mentre all’improvviso i piatti si riempirono di ogni
leccornia. Per un paio di volte, mentre cercavo di prendere
qualcosa sul tavolo, intercettai la mano e lo sguardo di James, ma
nessuno dei due fece la prima mossa: Remus era sempre più
nervoso, ormai si tratteneva a stento dal dirci qualcosa
perché la smettessimo di comportarci da stupidi. Io sapevo
che aveva ragione, ma… ogni volta che provavo a parlare,
sentivo la voce morirmi in bocca. Peter intanto si strafogava senza
alcun pudore, ma dovevo ammettere che aveva ragione, per la festa, gli
elfi delle cucine avevano dato il meglio di sé e guardandomi
attorno, sia al mio tavolo, sia tra quelli delle altre Case, ovunque
vedevo ragazzini, più o meno grandi, in visibilio per la
quantità e la bontà delle pietanze. Io
non vedevo l’ora che finisse però, e che
finalmente si arrivasse alla festa vera e propria che Dumbledore aveva
concesso a tutti noi più piccoli e ai Corvi e ai Tassi. Non
avevo idea di cosa avesse ideato ma, dopo il week end agitato che era
appena trascorso, mi sarei accontentato anche di stare seduto,
purché Meissa fosse accanto a me.
“Avevi ragione,
Sirius…”
Alzai gli occhi su James, che continuava a fissare il suo piatto. Non
credevo che l’avrebbe mai fatto, non credevo che
l’avrebbe fatto sul serio.
“Continuo a pensare che le
Serpi se la siano cercata, che la partita non dovesse finire a quel
modo e che… sì, credo che… la maggior
parte… delle Serpi non meriti nulla di buono. Ma avevi
ragione tu, Black, quello che hanno fatto quei Grifoni stanotte era
sbagliato, nei dormitori c’erano tanti ragazzini come noi che
non c’entravano niente e comunque, a parte questo…
Lo ammetto, come ci sono Grifoni idioti, così ci sono Serpi
che sembrano... anzi, no… aspetta… che
sono… sì… che sono migliori delle
altre…”
Ora il suo sguardo dorato stava fisso nel mio. Gli sorrisi. Gli era
uscito un discorso contorto, anzi proprio confusionario, ma capivo
benissimo il senso, capivo la sua mortificazione e capivo che era una
grande concessione quella che mi aveva appena fatto. Soprattutto per un
Grifone tutto d’un pezzo come lui.
“E poi ci sono Grifoni, James,
che sono i migliori di tutti. E sono i miei amici. So che
l’hai fatto per… per impedirmi di mettermi nei
guai…”
Sorrise, non serviva aggiungere altro, ci eravamo puniti a sufficienza
con quel giorno di assurdo silenzio e ora volevamo solo abbracciarci.
Anche se erano passate poche ore, mi era mancato davvero tanto: non
l’avrei mai creduto. Vidi Remus e Peter che ridacchiavano,
finalmente sereni, allora mi staccai cercando di ridarmi un contegno e,
con voce impostata e ghigno tipicamente Black, feci subito capire che
non mi ero rammollito di colpo, che restavo sempre il solito cane
sciolto.
“… ma ti avverto,
Potter… preparati… perché la prossima
volta… la prossima volta che proverai a darmele, non mi
lascerò più mettere sotto tanto facilmente da
te!”
Ridemmo, finalmente sereni, mentre i piatti vuoti sparirono, i tavoli
scomparvero nel pavimento per ricomparire ammassati alle pareti e
lasciare un ampio spazio libero adatto a ballare: dal soffitto
iniziarono a scendere festoni orrorifici e tanti coriandoli, sulle
tavole apparvero tutti i dolci di Halloween non presenti durante la
cena e tanto succo di zucca da poterci annegare dentro. I ragazzi
più grandi, che erano solo del Tassorosso e del Corvonero,
iniziarono a ballare, noi piccoli assaltammo i dolci, come se fossimo
ancora digiuni e non reduci da una cena pantagruelica: in breve noi
Grifoni ci mescolammo ai Tassi e i Tassi ai Corvi, le Serpi rimanevano
un po’ sulle loro, ma presto furono avvolti dal clima festoso
che imperversava in Sala Grande. Anche alcuni piccoli tentarono qualche
passo di danza, per la verità piuttosto impacciati: si
alternavano musiche più classiche, che ben conoscevo, ad
altre che, prese dal mondo babbano, non padroneggiavo per niente. Vidi
Meissa venirmi incontro, felice, sembrava apprezzare quella musica, le
sorrisi: aveva dei coriandoli colorati tra i capelli.
“Scommetto che tu conosci
questa musica, non è così?”
Mi fece segno di tacere, mi prese per mano e mi costrinse a seguirla,
m’irrigidii perché mia madre mi aveva insegnato a
ballare per le cerimonie, ma non sapevo niente di musica babbana e non
era da Black far figuracce in pubblico. Per fortuna la meta di
Meissa non era la pista da ballo, ma un angolino tranquillo, senza
troppa gente che potesse rompere le scatole, il posto adatto per
parlare.
“Allora la conosci questa
musica, vero?”
“Si chiamano Beatles, e sono
di Liverpool. E, secondo me, hanno scritto le più belle
canzoni esistenti nel mondo babbano…”
Sorrisi. Era molto carina, nella sua bella divisa da strega, con tanto
di cappello a punta.
“Ti ha fatto bene rivedere tuo
padre…”
“Che cosa vuoi dire?”
“Che non eri così
raggiante dai giorni che abbiamo passato a Herrengton.”
Sorrise anche lei, sapevamo entrambi che era vero.
“Allora con James? Mi sembra
di avervi visto abbracciati, prima, al tavolo dei
Grifoni…”
Arrossii e annuii… Non volevo che mi credesse una mammoletta.
“Te la posso rubare un
attimo?”
“James! Non puoi andare a
rompere da un’altra parte?”
“Scusa amico, ma…
Ho cercato di invitare la Evans e per poco non rimediavo qualche
legnata, allora mi son detto, se proprio devo, meglio prenderle da chi
già me le ha promesse, no?”
Ci guardava con la sua solita faccia da ragazzino pestifero e
divertito, io sospirai rassegnato. Meissa non disse nulla, si
limitò a seguirla divertita fino alla pista e…
brutto stupido ranocchio occhialuto…
L’orchestra magica iniziò a suonare, proprio in
quel momento, una musica lenta da ballare abbracciati. Mi dissi tra me
che quel borioso occhialuto non poteva ballare meglio di Sirius Black,
e che si sarebbe messo in ridicolo di fronte a tutti, ma con sgomento
vidi invece che se la cavava davvero bene. Avrei voluto schiantare
l’orchestra solo per farli smettere! Non che James si stesse
comportando male con Meissa, non che le stesse appiccicato come avrei
cercato di fare io, se solo mi fossi deciso a invitarla, ma…
Mentre la stessa gelosia che avevo scoperto di provare sul treno mi
portava a strani pensieri, la musica finì e James, tutto
soddisfatto, me la riportò indietro.
“Eccomi qua, Black, ora fammi
vedere di cosa sei capace… Se vuoi, puoi arrenderti subito e
confermare la mia superiorità anche in questo
campo!”
Meissa si mise a ridere, gli diede la mano per salutarlo, ma la
ritrasse subito, come se avesse preso la scossa, rimanendo
all’improvviso pallida e ammutolita.
“Che cosa succede,
Mei?”
La guardammo entrambi, preoccupati, mentre Meissa sembrava riprendere
lentamente colore.
“Non lo so…
ho… ho avuto un capogiro… forse mi sta arrivando
la febbre…”
“Non sei calda,
però…”
Le avevo messo una mano sulla fronte, nonostante il caldo della sala,
era persino più fredda di me.
“Ti accompagno dalla Pomfrey,
almeno ti cura subito… Per favore, puoi dirlo tu alla
McGonagall, che andiamo in infermeria, James?”
Potter fece un rapido cenno di assenso e si allontanò
rapidamente ancora preoccupato e stranito a sua volta, io e Mei uscimmo
dalla sala e iniziammo a salire le scale.
“Che cosa è
successo Mei?”
“Non lo
so…”
“E’ vero che ti sei
sentita male? Non sei calda!”
“Io… Non so che
cos’è… Ho avuto una sensazione simile
solo una volta, a casa di tuo zio…”
“Ovvero? Io non so nulla! Che
cosa è successo a casa di mio zio?”
“Io… Io sono andata
a sbattere contro una porta, da cui sono usciti Abraxas Malfoy e un
uomo vestito di nero… Quando mi ha toccato per farmi alzare,
ho avuto una sensazione strana e ho sentito una voce in
testa…”
“Una voce?”
Mi guardò con occhi disperati e furiosi insieme. Io ero
basito, ma volevo crederle: Meissa non diceva mai bugie, era per questo
che mi piaceva tanto.
“Non sono pazza, Black! Ho
già raccontato tutto a mio padre…”
“E lui?”
“Ha detto che devo fargli
sapere se mi succede ancora…”
“Anche stavolta è
andata così?”
Chinò lo sguardo. Stava piangendo. L’abbracciai
per farle coraggio.
“Mei?”
"Ho avuto paura... Non ho sentito
molto..."
"Che cosa hai sentito, Mei?"
“Solo un uomo che urlava “Prendi Harry e scappa!
E' lui! Scappa! Corri! Io cerco di trattenerlo!" (1). E qualcosa di
verde, una luce o un fumo verde, tutto intorno a me...”
Non capivo. Non aveva senso.
L’unica cosa che potevo fare era asciugare le lacrime dalle
sue guance.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
1) tratto da "Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban" - J.K. Rowling,
ed. Salani, pag.205
Valeria
Scheda
Immagine
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