Premessa; questa storia è stata iscritta per l’event
di settembre del gruppo Facebook “We are Out for Prompts.” Il prompt a
cui si ispira è “Jace/Alec: Esattamente come quando era bambino, Jace quando
dorme vicini Alec non ha incubi” di mafiaromano. È ambientata
verso l’inizio di “Città del Fuoco Celeste”, mentre Jace è in
infermeria, dopo essere stato trafitto dalla spada di Michele.
«Restare mentre tu mi fai dimenticare gli
incubi. Restare mentre tu dormi accanto a me. Restare mentre tu scacci i brutti
sogni, i ricordi del sangue, dei genitori morti, degli Ottenebrati con gli
occhi nero pece.»
Emma Carstairs, Lady Midnight; Cassandra
Clare
Stay
L’infermeria
dell’Istituto non era mai completamente immersa nel buio: Maryse e Isabelle si
assicuravano sempre di lasciare una stregaluce sul comodino di Jace, prima di
augurargli la buonanotte.
Questo,
tuttavia, non gli impediva di brancolare nell’oscurità ogni volta che si
svegliava di soprassalto: i medicinali dei Fratelli Silenti, che avrebbero
dovuto aiutarlo a prendere sonno, erano potenti generatori di incubi. Jace
aveva incominciato a sussultare ogni volta che apriva gli occhi, incapace di
fare distinzione fra le immagini nella sua testa e quello che lo circondava.
“Alec?”
mormorava a quel punto, cercandolo con lo sguardo: suo fratello era sempre vicino
a lui, sospeso tra il sonno e la veglia.
“Sono
qui” lo rassicurava Alec, quando sentiva la sua mano annaspare per cercarlo.
“Non ti lascio.”
La
sua voce e il le dita del parabatai intrecciate alle sue erano spesso
sufficienti a tranquillizzare Jace: se suo fratello era con lui non poteva
trovarsi ancora con Sebastian.
La
prima volta che Alec non rispose subito al suo richiamo, dopo un risveglio
piuttosto inquieto, il buio lo avvolse a punto tale da minacciare di
soffocarlo.
“Alec?”
chiamò ancora, scandagliando la stanza con lo sguardo. La tensione si allentò
appena quando riconobbe la sagoma del fratello, rannicchiato nel letto di
fianco al suo.
Sgusciò
fuori dalle coperte e lo raggiunse, facendo del suo meglio per ignorare il
brillio insolito che gli pervadeva la pelle.
“Alec” ripeté, sedendosi sul suo
materasso. Alec riposava su un fianco – l’aria serena e il respiro regolare.
Così addormentato – complice la penombra
in cui erano immersi – ricordava il ragazzino di dodici anni che era stato;
l’Alec bambino, che sopportava con pazienza le incursioni notturne del
fratellastro in camera sua.
Ripensò alle tante volte in cui era
scivolato nel suo letto dopo un incubo, per poi tornare nel suo al mattino. A
volte non si prendeva nemmeno la briga di svegliarlo: gli piaceva sentirlo
sussultare quando si accorgeva dell’intruso nel suo letto e il modo in cui il
suo corpo si rilassava nel capire che si trattava di Jace.
Erano ricordi lontani, quelli.
Dettagli di un passato in cui una pietra
di stregaluce riusciva ancora a mascherare il buio.
Prima di Clary e del ritorno di
Valentine, prima di Lilith e del marchio demoniaco sulla sua pelle. Prima di
Sebastian.
“Alec.”
Jace posò una mano sulla spalla del
fratello e lo scosse con delicatezza.
Alec reagì subito: sbatté le palpebre un
paio di volte, disorientato, e poi balzò a sedere.
“Sono sveglio!” farfugliò ad alta voce,
stropicciandosi gli occhi.
Jace non riuscì a trattenere un ghigno.
Lo sguardo di Alec vagò insonnolito dal
sorriso del fratello alla mano sulla sua spalla.
“Non dovresti stare alzato” domandò poi, riscuotendosi.
“Non fino a quando non ti sarai ripreso del tutto.”
Jace inarcò un sopracciglio.
“Sto bene” disse, mentre Alec lo guidava
verso il letto a fianco. “Sono stato peggio… Sai, una volta sono morto.”
Sorrise sghembo, ma quando intercettò il
suo sguardo truce se ne pentì.
“Non c’è bisogno di ricordarmelo” ribatté
asciutto Alec.
Jace sospirò.
“Volevo solo controllare che ci fossi”
rivelò, sedendosi sul materasso. “Quando mi sveglio è tutto confuso.”
Alec si lasciò cadere sulla sedia di
fianco al suo letto.
“Lo so” mormorò, passandosi una mano sul
volto. “Scusami… non avrei dovuto addormentarmi.”
Jace scosse la testa.
“Non so più cosa è reale e cosa non lo
sia” ammise, appoggiando la schiena alla testiera del letto.
Alec gli prese la mano.
“Io sono reale” lo rassicurò, guardandolo
negli occhi. “L’ infermeria è reale: sei a casa, Jace.”
L’insistenza nel suo sguardo lasciò
gradualmente il posto alla stanchezza, ma la presa delle sue dita rimase salda.
“Clary è a casa.”
Il sollievo incominciò a scavarsi una
zona tutta sua, al centro dell’inquietudine di Jace.
“Ho paura di farvi del male” ammise il
ragazzo, abbandonando il capo all’indietro. Socchiuse gli occhi: la stanchezza
gli gravava sulle palpebre. “Ho paura che questa runa torni a funzionare, che
Sebastian torni nella mia testa.”
Sfiorò le bende che gli coprivano il petto e le scostò prima che Alec riuscisse
a trattenerlo.
Il marchio di Lilith era appena visibile,
sottile e deturpato come una vecchia cicatrice; sembrava sul punto di svanire.
Poco più in basso una nuova linea bianca segnava il suo torace: il segno della
ferita inferta dalla Gloriosa.
Alec si scoprì il braccio destro e glielo
mostrò.
“L’unico marchio che hai in corpo in
grado di vincolarti a qualcuno è uguale a questo” dichiarò, mentre i polpastrelli
di Jace tracciavano il contorno della sua runa parabatai. “Ed io non ti
chiederei mai di fare del male a qualcuno.”
Jace scosse la testa.
“Ma l’ho già fatto” replicò, disfacendo
il resto della fasciatura. “Guardami, Alec: ho sempre pensato che nessuno
avrebbe mai potuto costringermi a fare qualcosa e invece è successo. Mi sono
comportato come Sebastian per mesi: ho agito e pensato come lui. E ho queste a
dimostrarlo.”
Per la prima volta sfiorò con il dito la
ferita che gli percorreva il petto; la sua pelle era traslucida, pervasa dal
solito, fastidioso brillio.
Alec fece come Jace gli aveva chiesto: lo
guardò. Passò in rassegna con lo sguardo il suo torace – il marchio di Lilith quasi
svanito, la ferita in via di guarigione. Risalì fino alle rune sul collo e all’estremità
del marchio parabatai, che s’intravedeva appena dietro la sua spalla.
“Ti sto guardando” disse, tornando a
ricambiare il suo sguardo. “E non c’è nulla di sbagliato in quello che vedo.”
I suoi occhi avevano qualcosa di diverso,
mentre parlava. Qualcosa d’intenso – di reale – che rese la decisione della sua
voce ancora più marcata.
“Non c’è niente di sbagliato in te.”
Jace rimase in silenzio, incapace di
distogliere lo sguardo: erano trascorsi mesi dall’ultima volta che Alec l’aveva
guardato così – con occhi brucianti di fiducia. Dall’ultima volta che chiunque
l’aveva guardato così.
La sensazione di essere amato – di avere
qualcuno così leale nei suoi confronti – scavò in profondità dentro di lui,
schiacciando tutto il resto: era la prima cosa vera e genuina che avvertiva da
quando era partito insieme a Sebastian.
“Adesso cerca di dormire” mormorò infine
Alec, interrompendo il gioco di sguardi. “Essere confinato a letto serve a ben
poco se non ti riposi.”
Jace tornò ad abbandonare il capo sul
cuscino.
“Dormo solo se resti” mormorò, chiudendo
gli occhi.
Alec tornò a stringergli la mano.
“Non
vado da nessuna parte.”
Jace
scostò le lenzuola e si spinse verso destra, liberando metà del letto.
“Resta”
ripeté, battendo la mano sulla parte di materasso vuota. La richiesta echeggiò
nel suo sguardo, rendendo visibile tutto ciò che Jace stava cercando di dire,
condensandolo in un’unica parola.
Resta
mentre tu mi fai dimenticare gli incubi. Resta mentre tu dormi accanto a me.
Resta mentre tu scacci i brutti sogni, i ricordi del sangue, degli Ottenebrati
con gli occhi nero pece.
Alec
gli rivolse un’occhiata esitante.
“Vuoi
che dorma con te?”
Jace
abbozzò un sorrisetto.
“No,
sto battendo la mano sul materasso solo perché mi piace sculacciarlo” scherzò,
strappandogli una risata. “Sei
l’unica cosa sana che mi rimane, Alec” aggiunse, tornando serio.
Alec
sostenne il suo sguardo per qualche istante, prima di annuire.
“D’accordo”
mormorò, tirando indietro la sedia per salire sul suo letto.
Si
stese accanto a lui, sforzandosi – come sempre – di occupare il minor spazio
possibile.
Jace
sentì i muscoli rilassarsi, man mano che il respiro di Alec di fianco a lui si
regolarizzava.
Il
suo odore, i tocchi involontari, il calore della sua presenza a un soffio di
distanza: tutto ciò che Jace sentiva incominciava e terminava con Alec.
Non
c’era più spazio per nient’altro, incluso il ricordo dell’ultimo mese. Le sensazioni emanate dalla loro
vicinanza erano rimaste pure e incorrotte come sempre: il pensiero di Sebastian
non poteva accedervi.
Jace
rimase sveglio ancora a lungo, vegliando sul sonno del fratello così come Alec
aveva fatto con lui le notti precedenti.
Lo
ascoltò addormentarsi e poi sussultare quando, svegliandosi all’improvviso,
aveva avvertito la presenza di qualcuno contro la sua schiena – qualcuno che
non era Magnus.
Jace
aveva poi percepito lo sguardo di Alec su di sé e la tensione nel corpo del
fratello allentarsi, come succedeva spesso quando erano piccoli.
A quel
punto, proprio come quando erano bambini, Jace si addormentò di colpo – lo
sguardo rilassato e la fronte appoggiata alla schiena di Alec.
Gli
incubi non tornarono più.
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So
che nei libri viene detto che il marchio di Lilith scompare quando Jace viene
trafitto dalla Gloriosa. Però mi piaceva l’idea che ci fosse ancora il segno,
un po’ come a volergli ricordare quello che è successo. Perciò ho scelto di
immaginare che il marchio sia sparito gradualmente, durante la guarigione di
Jace. Ringrazio tantissimo mafiaromano per il prompt: ho amato tantissimo la
scena di CoHF in cui Alec e Izzy vegliano su Jace al suo risveglio, dopo che è
stato trafitto, e poco più avanti viene detto che in quei giorni Alec dormiva
nel letto di fianco a lui, perciò ho pensato di unire le due cose al prompt. Inoltre,
era da tantissimo che sognavo di inserire un parallelismo fra loro due e la
questione del “restare” di Julian e Emma, perché adoro il passaggio che ho
citato a inizio storia. Grazie a chiunque abbia letto questa storia, spero tanto
che possa esservi piaciuta!