All about her

di Alley
(/viewuser.php?uid=219023)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


«March 23, 1972, you walked out of a movie theater - Slaughterhouse-Five. You loved it, and you bumped into a big Marine and you knocked him flat on his ass. You were embarrassed, and he laughed it off, said you could make it up to him with a cup of coffee. So, you went to, uh, Mulroney's and you talked and he was cute and he knew the words to every Zeppelin song, so when he asked you for your number, you gave it to him, even though you knew your dad would be pissed. That was the night that you met---» 
«John Winchester.»


 
 










La prima volta che Dean chiede a John della mamma ha sei anni e un foglio bianco da riempire.

Il tema assegnatogli ha una traccia essenziale che, per i più, non risulterebbe di difficile svolgimento: parla della tua mamma.

Dean ha smesso di far parte dei più la notte in cui casa sua è stata divorata dalle fiamme.

Si sono appena trasferiti – di nuovo, per l’ennesima volta – e la maestra non ha ancora avuto modo di scoprire che lui non ce l’ha più, una mamma. Meglio così; se lei ed i suoi compagni ne fossero stati al corrente, quella mattina gli avrebbero riservato le occhiate compassionevoli che tanto detesta ritrovarsi addosso.

Ci sono cose che ricorda di lei. Cominciano ad essere sfumate e questo lo terrorizza – non è sicuro che la tonalità di blu dei suoi occhi fosse esattamente quella impressa nella sua memoria, né che il buonanotte che gli sussurrava prima di baciargli la fronte suonasse proprio nel modo in cui gli rimbomba nella mente – ma sono lì, annidate nell’angolo di cuore in cui si serbano le cose importanti.

Così si siede, e le riversa sulla carta.

La mia mamma è era buona e sempre allegra. Ascoltava la musica a tutto volume. Cucinava delle torte buonissime. Quando mi rimboccava le coperte, diceva che gli angeli vegliano su di me. Non so come sia fatto un angelo, ma sono sicuro che, se ne vedessi uno, sarebbe uguale a lei. Due anni fa è bruciata--

La punta si solleva esitante prima di riabbassarsi a tracciare una linea netta.

--bruciata

---volata in cielo.

Dean s’interrompe, abbandonando la penna sul tavolo in un gesto di resa. I frammenti che possiede non bastano a comporre un tema, non sono sufficienti a restituirgli l’immagine che cerca così disperatamente di ricostruire.

È per questo che va da John.

“Papà” comincia, il foglio stretto tra le mani e la voce piena dell’innocenza che la caccia gli strapperà quando sarà alto soltanto qualche centimetro in più “Mi parli della mamma?”

Il modo in cui l’espressione di John cambia lo colpisce come un getto d’acqua gelida.

Nei suoi occhi appare il lampo di qualcosa a cui Dean non riesce a dare un nome, ma che gli annoda le viscere in una morsa inestricabile – la stessa che avverte quando Sam non smette di piangere, quella che prova ogni volta che gli viene mosso un rimprovero.

Non sa ancora che è una sensazione destinata ad accompagnarlo per il resto della vita.

“Non ho tempo per aiutarti con i compiti” gli dice John, e sparisce lasciandosi dietro una lunga scia di silenzio che esplode nelle orecchie di Dean come un colpo di cannone.

Il giorno dopo, si finge malato per saltare la scuola ed evitare di dover consegnare il compito.

Decide che non chiederà mai più della mamma.

*

La seconda volta ha nove anni ed una domanda a cui s’accorge con terrore di non saper dare risposta.

Il tempo scorre, inesorabile, scandito da addestramenti e traslochi e responsabilità grandi come montagne, e i ricordi continuano a sbiadire. Dean sa che arriverà il giorno in cui perderanno definitivamente i contorni. Ogni mattina apre gli occhi temendo che sia quello, il giorno, che il cassetto in cui li conserva si sia svuotato di colpo – tira un sospiro di sollievo quando constata che il paio di occhi blu e il buonanotte, angelo mio sono ancora lì al proprio posto, ma sa che presto o tardi svaniranno e non potrà fare nulla per impedirlo.

Sam – Sam per il quale è tutto più semplice, perché non ha ricordi da preservare né pesi insostenibili da portare sulle spalle – sta guardando la televisione quando, in modo assolutamente improvviso, gli domanda mi parli della mamma? e, così facendo, sfonda inconsapevolmente una diga. In un istante, Dean realizza di non sapere niente di lei oltre a ciò che ha riportato nella manciata di righe che in prima elementare ha scritto su un foglio ridotto poi in brandelli. Non sa cosa le piacesse fare – oltre a giocare con lui – né cosa sognasse, non sa quale fosse il suo lavoro né cosa abbia studiato da giovane.

La sua mamma era buona ed assomigliava ad un angelo, ma di Mary sa quel poco che basta a non rendergliela una perfetta estranea.

Per qualche motivo, la cosa gli fa salire le lacrime agli occhi.   

È allora che rompe il proposito e va da John – papà, mi parli della mamma? gli domanda, e vede lo stesso, identico lampo balenargli nello sguardo e, adesso, riesce a capire di cosa si tratti: dolore.

La stretta allo stomaco torna a mordere ancor più forte e a troncargli il respiro in gola.

Il cellulare di John prende a squillare prima che lui abbia il tempo di rispondergli – non che Dean pensi che avesse davvero intenzione di farlo.

“Devo andare” gli dice, e il rumore della porta che sbatte chiudendosi lo fa sobbalzare.

Dean rinnova la promessa e giura a se stesso che, stavolta, la manterrà a qualsiasi costo.

*

La terza volta ha quindici anni ed un occhio cerchiato di nero.

Il bullo con cui s’è azzuffato è messo molto peggio e questo, in qualche modo, lo fa sentire meglio. Il silenzio pesante che grava all’interno dell'abitacolo, però, spazza via ogni traccia di sollievo.

“Non ho tempo per queste cose, Dean” lo rimprovera John, il tono duro e gli occhi fissi sul nastro d’asfalto che si dipana oltre il parabrezza “La prossima volta--”

“Ha offeso la mamma.”

Dean lo scorge di sottecchi, il piccolo fremito che fa tremare le mani di John contro il volante - lo ha visto restare impassibile davanti a creature di cui la maggior parte degli uomini non sospetta nemmeno l’esistenza, ma basta la menzione della mamma per scuoterlo da capo a piedi.

“Lei non avrebbe voluto che ti comportassi così.”

Può giurare d’aver sentito la sua voce incrinarsi per un unico, infinitesimale istante; la morsa allo stomaco diventa una sfilza di denti acuminati che lo sbrana dall’interno. 

“Non posso saperlo” replica Dean, con più risentimento di quanto avrebbe voluto mostrarne. È stanco di sentirsi in colpa – di nuovo, per l’ennesima volta – e di non ricevere risposte nemmeno adesso che il ricordo di Mary è un’eco lontana che fatica sempre più ad udire. “Non è qui a dirmi come vuole che mi comporti. Se mi parlassi di lei potrei farmi un’idea, magari.”

John resta in silenzio per il resto del tragitto. Torna a rivolgergli la parola soltanto dopo aver parcheggiato davanti al motel dove alloggiano. “Sarà meglio per te che non venga convocato un’altra volta.”

È l’unica cosa che dice prima di uscire dall’auto.

*

La quarta volta ha diciassette anni ed il tredicesimo anniversario della morte della mamma da affrontare.

Questa volta è deciso. Questa volta, pretenderà una risposta. Una qualsiasi: la scuola che ha frequentato, la sua paura più grande, il suo colore preferito. Qualsiasi cosa, ma non il muro contro cui s’è ritrovato a scontrarsi ogni volta che, nel corso degli anni, ha tirato in ballo l’argomento. È uscito a bere appositamente per darsi coraggio – affrontare suo padre ne richiede molto più di quanto ne serva per fronteggiare uno stuolo di demoni - e adesso, in qualche modo e per quanto possibile, si sente pronto.

Quel che vede rientrando nel piccolo appartamento che hanno affittato, però, gli blocca in gola le parole già in procinto di uscire.

John è steso sul divano, un braccio che penzola nel vuoto a sfiorare il mucchio di bottiglie di vetro ammassato sul pavimento. Soltanto quando s’avvicina avvista la fotografia che giace accanto alle birre vuote – doveva tenerla stretta tra le dite quando s’è addormentato.

È sdrucita e scolorita – proprio come i suoi ricordi - e ritrae la famiglia al completo.

La mamma è bellissima e lo sguardo di suo padre è sgombro da qualsiasi nube. Non ricorda d’averglielo mai visto addosso, da quando lei se n’è andata. Sam è un fagotto di coperte tra le sue braccia. Lui, invece, è seduto in grembo alla mamma e sembra più felice di quanto non sia mai stato da quando ha imparato a classificare i suoi stati d’animo.

Deposita la foto sul bordo del divano e tira fuori una coperta dall’armadio, torna in salotto e si china per adagiarla addosso alla schiena di John.

Soltanto quando si risolleva s'accorge d'avere le guance bagnate di lacrime.

*

La quinta volta segue la quarta di poche ore ed è quella in cui, malgrado non la chieda, ottiene la sua risposta.

Come ogni anno, sono passati a depositare un fiore sulla tomba della mamma. Come ogni anno, John li ha riaccompagnati a casa senza proferir parola prima di lasciarli soli. Come ogni anno, la giornata è proseguita come se quella data non corrispondesse al giorno in cui le loro vite sono state fatte a pezzi.

Sam si è rintanato nella sua stanza subito dopo aver finito la cena. Ci passa la maggior parte del tempo, le rare volte in cui ne ha una a disposizione. Dean vorrebbe poter fare lo stesso; chiudersi dentro e lasciare il resto del mondo fuori la porta, fingere di non avere alcun dovere almeno per qualche ora.

Sa che si tratta di un lusso che non si concederà mai.

John ha raggiunto il divano e s’è seduto accanto alla coperta che nessuno ha riposto. Dean lo vede lanciarle una rapida occhiata prima di dargli le spalle.

“Era andata a vedere Slaughterhouse-Five.” Le parole lo inchiodano sul posto come una presa invisibile. “Mi ha travolto all’uscita del cinema.” Quando si volta verso John, non trova nemmeno l’ombra di quel lampo sul suo volto – soltanto un sorriso pieno di nostalgia che s’allarga a macchia d’olio, partendo dalle labbra per arrivare agli occhi. “Mi ha buttato all’aria. Letteralmente. Non la smetteva di scusarsi.”

È strano vedere suo padre che sorride a quel modo; lo fa sentire a disagio, e in pace con se stesso, tutto allo stesso tempo.

“È così che ci siamo conosciuti.”

Dean lo raggiunge e sposta la coperta per sederglisi accanto. Il proposito che non è mai riuscito a seguire davvero gli appare davanti agli occhi prima di sgretolarsi. 

“Ti va di parlarmene?”

John comincia a raccontare. 

 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3556399