Alla
mia Darling,
una
Percabeth
pensata
e scritta appositamente per lei.
Leggila,
mi raccomando!
C'erano
dei momenti dell'estate che Percy Jackson, dopo aver salvato
l’Olimpo per ben due volte, aveva imparato ad apprezzare:
erano piccoli attimi di pigrizia, in cui stava disteso
sull’erba o sulla sabbia senza fare assolutamente niente.
Preferibilmente con Annabeth al suo fianco.
Ovviamente
queste situazioni non duravano molto a lungo, un po’
perché Percy Jackson era pur sempre un ragazzo iperattivo,
un po’ perché qualche altro semidio riteneva
opportuno disturbarlo mentre sonnecchiava.
Quel
giorno, però, sembrava tutto tranquillo: era troppo caldo
perché qualsiasi persona o divinità decidesse di
sua spontanea volontà di muovere un muscolo, così
lui era sdraiato con gli occhi chiusi sul prato vicino al mare, cullato
dal rumore cadenzato e piacevole delle onde. Annabeth era seduta al suo
fianco appoggiata con la schiena contro il tronco frastagliato di un
faggio e, con una matita in mano e un blocco di fogli bianchi in
grembo, stava progettando qualche tempio per Nuova Roma. Le sue gambe
distese, però, non mancavano di sfiorare quelle di Percy,
bramose di avere almeno un minimo contatto con lui.
Il
Fato, però, si sa, non è mai benevolo e sempre
invidioso della tranquillità altrui: in una giornata
pacifica o manda la pioggia, oppure un segugio infernale. Di
conseguenza, il figlio di Poseidone prima vide il sole oscurarsi
attraverso le palpebre chiuse, poi venne lavato a dovere da una
superficie enorme e spugnosa. Annabeth rise brevemente, guadagnandosi
un lieve calcio e la minaccia di ricevere per posta aerea tutta la
saliva che la Signora O’Leary gli aveva gentilmente donato.
Ne sarebbe stato capace: Poseidone era pur sempre suo padre.
Un
attimo… la Signora O’Leary? Percy aprì
d’un tratto gli occhi quando si rese conto che il suo
cucciolone era tornato al campo e scattò in piedi allargando
le braccia e stringendo a sé un pezzettino del collo della
sua enorme palla di pelo nera. Il segugio infernale, dal canto suo,
scodinzolò e abbaiò felice, mentre a tratti
lavava nuovamente il suo padrone con qualche leccatina qua e
là.
Quando
Percy affondò maggiormente la testa nel fitto pelo,
però, si rese conto del fatto che la sua cara Signora
O’Leary puzzava in modo peggiore di Gabe. Annabeth lo
comprese più o meno nello stesso momento, perché
si levò un fresco venticello che portò lontano il
dolce olezzo del segugio infernale.
“Percy,
il tuo cane ha bisogno di un bagno” decretò, e il
ragazzo comprese a malincuore che non sarebbe stato sufficiente mandare
la Signora O’Leary nell’oceano o trasportare
qualche ettolitro d’acqua per via aerea e spedirglielo
addosso.
Era
nei guai.
La
grande impresa, che per fortuna non richiese una capatina
dall’Oracolo prima di essere compiuta, si svolse nelle
vicinanze del falò, nell’unico posto in cui fosse
a disposizione una canna dell’acqua che non fosse utilizzata
dai semidei più accaldati, impegnati in ardue battaglie.
Percy impugnò con decisione il tubo color girasole e vicino
a lui, a debita distanza dalla Signora O’Leary, era
posizionata un’enorme bacinella colma d’acqua e
sapone; Annabeth si godeva la scena la scena a metà tra il
divertito e il perplesso dal gradino più alto
dell’anfiteatro.
Il
segugio infernale la osservava scodinzolando, ignaro degli ettolitri di
acqua che lo avrebbero investito a tradimento di lì a poco,
e guaì e cominciò ad abbaiare indignato contro
Percy quando questi lo inondò. La Signora O’Leary
odiava l’acqua.
“Il
tuo padrone è il figlio del dio del mare, come diamine puoi
essere terrorizzata da due gocce?” borbottò Percy
indignato mentre la strofinava a dovere con l'aiuto un grande
spazzettone. Lei abbaiò più forte, scansandosi e
atterrando qualche semidio di passaggio.
“Signora
O’Leary, no!” la ammonì il suo padrone
mentre correva ad assistere i feriti per portarli in infermeria; non si
accorse, però, della piccola figlia di Ermes che era rimasta
appesa alla coda del segugio infernale e attendeva
l’occasione perfetta per tendere un agguato ai suoi fratelli.
Accadde
tutto troppo in fretta: il figlio di Poseidone notò la
piccola Emily proprio mentre la Signora O’Leary notava lo
spazzettone ritornare a testa alta e decideva che sarebbe stata
un’ottima idea fuggire. Così Annabeth e Percy la
osservarono sparire nell’ombra, diretta chissaddove.
“Ci
hai provato” commentò lei rassegnata, alzando le
spalle, quando lui la raggiunse; il suo ragazzo aveva, però,
una faccia strana: era pallido come un lenzuolo e sembrava
terrorizzato.
“La
Signora O’Leary è abituata a viaggiare
nell’ombra: prima o poi ritornerà”
provò a dire per tranquillizzarlo.
“C'era
una figlia di Ermes appesa alla sua coda!” esclamò
a quel punto Percy, allarmato, al che Annabeth strabuzzò gli
occhi, chiedendosi se dicesse sul serio.
Corsero
da Chirone, chiesero aiuto al Signor D (“Emelline
chi?”) e si rivolsero a Nico, ma nessuno seppe aiutarli; in
compenso, si creò un grande scompiglio.
“Se
ricompaiono sani e salvi, zio Ade, prometto che non farò mai
più la doccia alla Signora O’Leary”.
Percy sospirò dal molo, i piedi a penzoloni sull'acqua, la
testa tra le mani: era successo un disastro e, come sempre, la colpa
era sua.
“Non
ne combino una giusta” borbottò tra sé,
abbattuto.
“Hai
salvato l’Olimpo per ben due volte, se non erro”
commentò Annabeth sedendosi al suo fianco a gambe
incrociate, appoggiando la testa sulla sua spalla e cingendolo con un
braccio.
Il
suo ragazzo, però, sbuffò, ricordando a entrambi
che era stato lui a risvegliare Gea, seppur involontariamente.
“Ok,
è vero, combini tanti, troppi, guai, ma alla fine sai sempre
come rimediare”.
“Questa
volta no”.
“Piantala
di fare il melodrammatico, Testa d’Alghe: non sei tu.
Dov'è finito il mio Percy? Quello che quando combina qualche
guaio ci ride sopra e prova subito a rimediare, anche se spesso e
volentieri fa più danni di prima?”
osservò lei, retorica, tra il dolce e il piccato.
“Tanto la Signora O’Leary ricomparirà
con Emily appesa da qualche parte e verrà fuori che quella
piccoletta si è divertita da matti: pensa a quante storie
potrà raccontare!”.
A
quell’affermazione, per la prima volta da qualche ora Percy
si lasciò sfuggire un sorriso e ritrovò ben
presto il buonumore.
“Grazie”
sussurrò prima di baciare Annabeth. Poco dopo,
però, la guardò negli occhi tempestosi e si morse
la lingua nel tentativo di reprimere una risata, al che lei
alzò un sopracciglio.
“Anche
tu non sei normale, oggi: ho fatto un danno e tu non mi stai sgridando,
Sapientona!” le spiegò lui a quel punto quasi
ridendo. Lei gli tirò un pugno su una spalla, ma il figlio
di Poseidone notò con la coda dell’occhio che
stava sorridendo.
In
quel momento un abbaio contrariato invase l'aria, mentre la Signora
O’Leary ricompariva con i piedi sul bagnasciuga: il segugio
infernale scomparve all’istante, ma prima Emily lo
guardò dritto negli occhi e si fece promettere che presto
avrebbero viaggiato di nuovo assieme nell’ombra. Subito
sparì anche lei: corse fino alla casa di Ermes, ansiosa di
attirare l’attenzione di tutti con il suo aneddoto insolito.
Percy
osservò scioccato la scena, mentre Annabeth rise e si
alzò in piedi:
“Ora
non riuscirai più a lavarla: devi stare attento a quello che
prometti agli dei!” esclamò.
Il
figlio di Poseidone sbuffò, ma non replicò:
sapeva che la sua ragazza aveva ragione.
“Potresti
lavarla tu” propose.
“Neanche
per i-”. Il resto della frase si perse nel vento, tra le loro
risate e il fiatone per una corsa che non vide né vincitori,
né vinti, ma solo due corpi che si abbracciavano stretti
stretti.
Angoletto
di Hope-barra-Gio:
che
dire? Mi lasciate un parere piccolo piccolo?
Ho
paura di essere caduta tremendamente nell’OOC
nell’ultima parte: Percy mi sembra troppo
depresso… che dite?
Un
abbraccio, alla prossima!
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