*
Mi hai Cambiato la Vita*
Da
bambini è difficile essere diversi.
Sono
sempre stata ritenuta matura rispetto alla mia età e per
questo
spesso e volentieri venivo,
volontariamente
e non, esclusa da i miei compagni di scuola durante i momenti di
gioco.
Per
me non è stato semplice, mi sentivo sola e facevo di tutto
per
essere come gli altri per non essere me stessa, fino a che non ho
fatto un incontro, un incontro che mi ha cambiato la vita.
“Bella,
amore ti piace questo vestitino? Ti starebbe benissimo!”
Mia
madre, Renèe, è una persona molto estroversa e
solare, infatti non
le piace vivere Forks, una piccola cittadina nello stato di
Washington, probabilmente il paese più piovoso d'America.
“No,
mamma, non mi piace! Io non voglio fare la ballerina!”
Io
mi chiamo Isabella, Bella per tutti, e ho sei anni. Domani
comincerò
la prima elementare e la mia mamma mi ha portata a fare compere, lei
dice che sarò carinissima, e intanto ne approfitta per farmi
vedere
tutù e scarpette, le piacerebbe iscrivermi a lezione di
danza pur
conoscendo benissimo la mia innata goffaggine.
“Ma
dai tesoro, vedrai che sarai bravissima!”
Insistette
lei abbassandosi per farmelo vedere meglio.
Era
difficile dirle di no quando faceva quella faccia, tante volte
sembrava lei la bimba ed io la mamma.
“Per
favore, fallo per me, ti chiedo solo di provare, se poi non ti piace
prometto che mi arrenderò!”
Esclamò
lei cercando di convincermi.
Io
sbuffai.
“Uffi,
va bene, ci provo allora.”
Le
risposi infine rassegnata, lei mi abbracciò forte e mi
ringraziò,
mi piaceva tanto essere abbracciata da Renèe! Quando lo
faceva il
mio papà, Charlie, non sentivo mai questo innato calore,
certo
sapevo che mi voleva bene, ma era una persona più riservata
rispetto
a mia madre,
gesti
così espansivi li riuscivano difficilmente e io in
ciò avevo preso
completamente da lui!
Tornammo
a casa con una decina di sacchettini e sacchettoni, mio padre
alzò
gli occhi al cielo non appena ci vide, ma evitò di parlare,
ultimamente lui e la mamma litigavano frequentemente,
perciò
era sempre esitante nell'esprimere i suoi pensieri, per il timore che
potesse sbagliare.
Ma
tanto la discussione ricadeva poi ogni volta sullo stesso argomento,
mia madre non voleva rimanere a Forks, voleva andarsene da quel
paesino così piccolo e noioso, non voleva passare tutta la
sua vita
in quel posto, mentre Charlie non intendeva muoversi di li, troppo
affezionato a quella cittadina, troppi ricordi, troppe amicizie,
troppe abitudini e poi c'era il lavoro, Charlie fa il poliziotto,
aspira a diventare il capo della polizia, e ora che c'è
quasi non
vuole rinunciare.
“Hei
tesoro, guarda chi è venuto a trovarti oggi!”
Esclamò
d'un tratto mio padre portandomi in salotto.
“Ciao,
Bella”
Jacob,
il figlio di un caro amico di mio padre, gioco con lui fin da quando
è nato. E' più piccolo di me, lui ha infatti
ancora quattro anni,
ma per la sua età è molto sveglio ed
intelligente, inoltre è un
bambino carinissimo coi suoi capelli scuri lunghi quasi fino alle
spalle, la sua pelle color ruggine tipicamente indiana e i suoi
grandi occhioni scuri. E' particolarmente affezionato a me.
“Ciao
Jake!”
Esclamai
andandogli incontro abbracciandolo teneramente.
Quella
notte non riuscii a dormire bene, mi sentivo agitata e nervosa, non
sapevo cosa mi aspettasse, finalmente avrei iniziato la scuola,
ormai, come mi dicevano tutti, ero grande.
La
mamma come promesso mi vestì al meglio, mi mise una leggera
gonnellina rossa e una camicetta bianca a maniche corte con sopra un
semplice gilet dello stesso colore della gonna.
Nonostante
fossimo a settembre e Forks non fosse il paese più assolato
del
mondo fuori c'era ancora caldo e io ne ero felice. In verità
non
adoravo vestirmi in quel modo, preferivo delle semplici tutine
comode, ma Renèe ci teneva a quelle cose.
Arrivate
davanti a scuola mi sentii subito invasa dal panico, c'erano
così
tante persone, troppe,
e
io da buona figlia di mio padre mi nascondevo timida dietro le gambe
di mia madre, mentre gli altri bambini correvano a giocavano tra
loro. Al contrario mio che avevo frequentato l'asilo di Port Angeles,
che per Renèe era più attrezzato, gli altri si
conoscevano quasi
tutti, era facile quindi per me sentirmi esclusa.
“Non
temere Bella, farai amicizia in fretta.”
La
mamma cercava di tranquillizzarmi carezzandomi dolcemente i capelli,
ma il terrore non passava. Quando suonò la campanella di
ingresso il
cuore cominciò a battermi veloce, non volevo entrare.
Supplicai
Renèe di riportarmi a casa di non lasciarmi li da sola, e
sotto gli
occhi di altri bimbi scoppiai a piangere, fortunatamente non fui la
sola.
Alla
fine presa delicata per mano da una maestra fui portata dentro ancora
con le lacrime agli occhi, ma la mamma mi aveva promesso che ci
saremmo viste da due ore, per cui un po' mi tranquillizzai.
Ci
ritrovammo tutti in un enorme salone con tante piccole sedie e ci si
presentarono diverse maestre e un paio di maestri, preceduti dalla
preside, una signora sulla quarantina d'anni, dall'aspetto docile ma
dal tono severo.
Chiamandoci
per nome formarono le classi e ci accompagnarono nella nostra aula a
pian terreno. Era grande e luminosa con una seconda entrata che dava
direttamente sul cortile interno.
Ci
accomodammo ai banchi disposti a due a due sparsi per tutta la
stanza, mi recai verso uno di questi ma prima che potessi sedermici
fui preceduta da un'altra bambina che si voleva mettere vicino alla
sua amica, allora cambiai postazione ma anche li ricevetti un rifiuto
secco.
“Qui
deve venire la mia amichetta!”
Mi
disse scontrosa con tono quasi minaccioso.
“Puoi
sederti qui se vuoi!”
Mi
voltai per capire da dove provenisse quella voce così dolce.
Era
di una bambina, magra un pochino più alta di me ad occhio e
croce,
anche se da seduta era difficile da stabilire, con un paio di
occhiali sottili e i capelli castani raccolti in due morbide treccine
tenute da due elastici di color rosa pallido, lo stesso del vestitino
che aveva indosso.
Le
sorrisi e mi sedetti.
“Grazie
mille.”
Le
dissi rivolgendole un timido sorriso.
“Non
c'è di che.”
Anche
il suo tono di voce era timido e pacato, questa bambina già
mi
piaceva.
“Il
mio nome è Angela, tu come ti chiami?”
continuò
poi con lo stesso tono di voce.
“Io
mi chiamo Isabella, ma tutti mi chiamano Bella.”
Non
feci in tempo a risponderle che entrò in classe la nostra
maestra
intimandoci gentilmente il silenzio.
Le
due ora passarono in fretta ed effettivamente non fu poi
così
terribile.
All'uscita
mi aspettava la mamma con il suo solito sorriso sulle labbra, gli
occhi però non esprimevano felicità ma rabbia,
probabilmente lei e
Charlie avevano di nuovo litigato.
M
chiese come era andata e dovetti ammettere che era andata abbastanza
bene, la maestra sembrava simpatica e come lei anche la mia compagna
di banco, ora ero più serena.
Quella
sera non appena andai a letto mamma e papà litigarono
nuovamente,
anche se cercavano di trattenere la voce non era difficile capirlo.
Nonostante
ciò mi addormentai, mi sentivo stanca e assonnata dopo la
notte
precedente.
La
mattina dopo l'agitazione era diminuita e la voglia era cresciuta,
entrai tranquilla in classe dirigendomi subito verso il mio banco,
cioè quello del giorno prima, ma la delusione fu enorme nel
vederlo
occupato, a fianco alla mia amichetta Angela c'era un'altra bambina
che parlava con lei senza sosta e socievolmente, probabilmente
già
si conoscevano.
Dovetti
sedermi al banco poggiato al fianco della cattedra, in tutto eravamo
in tredici, quindi dispari, certo dei posti liberi c'erano, ma in
quel caso preferii starmene sola, tutti gli altri parlavano con
affiatamento, io ero l'unica che proprio non riusciva ad ambientarsi.
I
giorni passavano, dall'inizio della scuola erano passate due
settimane, e le mie amicizie erano ancora scarse, l'unica con cui
parlavo ogni tanto era Angela, ma per poco, perché poi
veniva
richiamata dalla sua amica Jessika per giocare, per cui mi ritrovavo
da sola.
Quasi
tutti mi consideravano strana, mi avevano invitato qualche volte a
giocare a palla avvelenata o altri giochi del genere, ma appena vista
la mia scarsità non mi avevano più chiamata.
Mi
sentivo demoralizzata, in più a casa papà e mamma
litigavano sempre
più spesso, ormai non si trattenevano più neanche
davanti a me dal
discutere se pur in modo passivo, cosa che prima evitavano comunque.
La
sera del giorno dopo, in seguito ad un'altra giornata tristemente
passata, Charlie decise di portarmi assieme a lui e Billy al parco,
naturalmente loro ci andavano perché in serata avrebbero
fatto
vedere su un grande schermo una partita importante e con la scusa
portava anche me,
mi
aveva detto che così mi sarei distratta un po' e che ci
sarebbero
state alcune bancherelle, anche di dolci. Alla fine mi feci
convincere, la mamma mi diede il permesso solo perché il
giorno
seguente sarebbe stato sabato e quindi avrei potuto dormire un po' di
più.
Una
volta arrivata notai che in giro c'erano anche dei miei compagni di
classe, salutai Angela e Mike che giocavano con altri bambini, dopo
di che mi sedetti con mi padre su un tavolino sistemato nel centro
apposta per l'occasione, presi qualcosa da bere e non appena
iniziò
la partita chiesi a papà se potevo andare a giocare sullo
scivolo,
lui acconsentì dopo varie volte dicendomi di non
allontanarmi
troppo. Ormai il sole era tramontato, i miei amici erano andati a
casa e ai giochi erano rimasti in pochi, lo scivolo era completamente
vuoto. Mi arrampicai sulla scaletta in legno verniciato ma la mia
goffaggine ancora una volta intervenne facendomi scivolare su uno di
questi, lasciai la presa e sarei caduta di schiena se qualcuno non mi
avesse aiutata prendendomi la mano.
Riaprii
gli occhi che avevo chiuso per lo spavento e vidi un ragazzo. La sua
presa era gelida ma delicata allo stesso tempo.
Mi
aiutò a salire tenendomi la mano per poi lasciarmela, e una
volta
accertato che ero sopra si allontanò velocemente mettendosi
dalla
parte opposta alla mia.
“Grazie.”
Gli
dissi io, diventando per non so quale motivo rossa in viso.
“Ma
figurati piccola. Stai bene?”
Mi
chiese premuroso, aveva una voce dolce e melodiosa.
Io
annuì sorridendo.
Non
riuscivo a vederlo bene il piccolo corridoio dello scivolo era
coperto da un tetto come una casetta e la luce dei lampioni
già
accesa filtrava appena.
L'unica
cosa che riuscii a scorgere fu il luccichio dei suoi denti
bianchissimi e la sua pelle pallida, ancor più della mia,
che già
non scherzava, lo avevo notato quando mi aveva aiutata.
“Sei
da sola?”
Mi
chiese come in pensiero.
I
miei mi avevano sempre detto di non parlare assolutamente con gli
sconosciuti, ma lui non lo vedevo in quel modo, potevo chiaramente
percepire tristezza nel suo tono di voce, proprio come nel mio.
“No,
il mio papà sta guardando la partita.”
Risposi
sincera.
“D'accordo
allora.”
Dicendo
ciò fece per andarsene ma fu fermato dalle mie parole.
“Che
hai? Sei triste?”
Continuai
poi con la tipica spontaneità di un bambino.
Lo
sentì ridere, una piccola risata e lo vidi sedersi a
distanza.
“Si,
un po'.”
Ammise,
e potei vedere la sua testa voltarsi verso di me.
“Come
mai?”
Quel
ragazzo mi incuriosiva.
“Ho
perso una cosa molto importante, e senza di essa mi sento come...
vuoto e.. diverso.”
Sapevo
che era la verità ciò che mi stava dicendo.
“Che
cosa hai perso? Un regalo?”
Domandai
istintivamente.
Ancora
quella risatina triste.
“No,
in verità non è proprio un oggetto..”
“E'
un sentimento?”
domandai
io interrompendolo.
Mi
guardò curioso e sorpreso.
“Si,
qualcosa del genere.”
Mi
rispose lui con tono un po' più sicuro.
“Anche
io sono triste sai?”
Confessai
d'un tratto incrociando le braccia.
“Davvero?
E come mai?”
Mi
chiese sinceramente incuriosito.
“Perché
io sono diversa.”
Affermai
decisa, sapevo ciò che dicevo.
“A
scuola non mi parla nessuno perché mi considerano strana, e
io
faccio di tutto per essere come loro ma non riesco, rimango sempre
…
diversa.”
Avevo
bisogno di sfogarmi, fin ora non lo avevo fatto neppure con mamma e
papà, con questo ragazzo mi veniva spontaneo invece.
“Sai
una cosa piccola?”
Lo
guardai incuriosita e impaziente disfando le braccia da
quell'incrocio.
“Tu
non devi cambiare per piacere agli altri, e sai
perché?”
“No
perché?”
Di
nuovo il mio sguardo curioso.
“Perché...
hai presente quella cosa che io ho perso..?”
Annuì.
“Ecco,
tu ne hai veramente tanta invece, e solo chi si accorgerà di
ciò
sarà degno di esserti amico.”
Le
sue parole mi colpirono, per quanto potessi essere piccola capii in
pieno ciò che voleva dirmi.
“Non
devi cambiare per nessuno piccola, se non per te stessa.”
Continuò
lui con lo sguardo rivolto al pavimento.
“Anche
tu ce ne hai tanta sai?”
Alzò
gli occhi sorpreso guardandomi stranito.
“Una
persona che dice queste cose è piena di tutti i sentimenti e
i
sentimenti sono frutto dell'anima.”
Tu nei hai tanti, non ne hai perso nemmeno uno!”
Esclamai
sperando di tirargli su il morale.
“Bella!
Bella! Dove sei?”
Mio
padre mi chiamò preoccupato.
“Ora
vado. Ricorda piccola, non sei diversa, sei speciale, e …
Grazie.”
Dicendo
ciò scomparve in meno di un secondo, e in quello stesso
istante mio
padre comparve sulla scaletta.
“Bella!
Perchè non mi hai risposto mi stavo preoccupando!”
“Scusa
papà.”
“Va
bene, ora però vieni li con noi.”
Io
non ho mai saputo chi fosse quel ragazzo, non ho mai saputo
perché
fosse così in pena ne cosa avesse perso realmente e non lo
ho mai
più rivisto in quanto pochi giorni dopo la mamma
miportò con se in
Florida, l'unica cosa che so è che quelle sue parole mi
aiutarono ad
avere più fiducia in me stessa, l'unica cosa che so
è che
quell'incontro mi cambiò la vita.
Ciao
a tutti! Bo, non so come mi sia venuto in mente se ve lo state
domandando, non so neanche se ha senso in verità! Vi avverto
che non
ricordavo l'età in cui Bella è andata via con sua
madre, ho
inventato tutto, però mi piace pensare che Edward nel suo
vagabondare abbia avuto un piccolo aiuto nel ritrovare se stesso,
(anche se è successo anni e anni prima1!) e
chissà che questo aiuto
non li sia stato dato proprio dalla sua 'anima gemella' piccola!
Be
spero vi sia piaciuto, fatemi sapere!
Bacioni!
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