Acqua

di Calya_16
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Non respiro. Niente aria.
Acqua mi entra in bocca, esce in piccole bolle e più mi impongo di chiudere la bocca e smettere di inspirare, più lo faccio.
Panico, ecco cos’è. Panico e istinto di sopravvivenza.
Ho gli occhi spalancati e sono ancora abbastanza lucida da vedere altri corpi attorno a me: qualcuno è già morto, altri combattono ancora, come me.
Percepisco i capelli galleggiarmi attorno al volto, e penso a come sono belli in acqua, a come saranno l’ultima cosa che continuerà a volteggiare elegantemente quando sarò morta.
Tocco il fondo, sento le alghe sotto il palmo di una mano. La superficie è lontana, i contorni attorno a me stanno iniziando ad essere sfocati, le forze mi lasciano.
Non avevo immaginato così la mia fine, ma va bene.
Forse non troveranno mai il mio corpo, ma non mi importa: la gente continuerà a chiedersi dove sia finita, qual è la mia storia. Sarò un fantasma più presente che da viva.
Finalmente chiudo gli occhi e non penso più a niente.
Un suono, lontano. Stringo forte le palpebre, non voglio tornare a lottare.
Il suono, un trillo, si fa sempre più vicino e intenso; non mi rimane che aprire gli occhi e capire, è più forte di me: la mia camera, il mio letto, la sveglia.
Sospirando la spengo e rimango ancora alcuni minuti a pensare al sogno: un’altra giornata, la solita gente, il solito lavoro.
Ma un giorno qualcosa cambierà, o moriremo tutti. Siamo tutti attratti verso il fondo, e ci arriveremo.




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