Un
sogno o un incubo? Verità o realtà? Lungo il
cammino tortuoso della selva, Dante mi illuminò su alcuni
argomenti filosofici che aveva maturato dall'aldilà
osservando il mio mondo. Una discussione nata alla vista di una strana
creatura, non pericolosa o agressiva, ma simbolica e singolare, e
dall'aspetto piuttosto malconcio. "Dimmi sommo, cos'è quella
creatura?" chiesi al poeta, e lui con lo sguardo colmo di rancore mi
spiegò "era un bradipo una volta, il suo prezioso sapere lo
ha consumato. Vedi, lui vedeva ciò che ad altri sfugge, la
cosidetta verità, quel mondo che si cela dietro la
realtà, quel momento in cui ci troviamo soli con noi stessi
e ci chiediamo se abbiamo risposto bene a delle domande, se fossimo ben
vestiti, se avessimo potuto fare di più per apparire come
ciò che vorremmo che la gente vedesse in noi, una
realtà costruita sul nostro viso che ha fatto di noi degli
attori in questo mondo. Molti sono vittime di questo circolo vizioso
ignorando che le cose più importanti sono ben altre, alcuni
provano piacere nel celarsi dietro la realtà
perchè si vergognano della verità o la temono, e
altri conoscono il vero ma non lo vivono. Quei pochi come te che hanno
abbandonato le abitudini futili della realtà, non fanno
molto per istruire gli altri a fare lo stesso perchè credono
che non capirebbero o semplicemente per pigrizia, anzi, spesso vi
immedesimate in loro per il timore di essere presi per emarginati.
Quella creatura simboleggia la tua colpa, il tuo peccato, l'errore di
aver avuto paura di mostrare ad altri il tuo sapere ed il tuo esserti
crogiolato in esso con la stessa pigrizia di quel che resta di quel
bradipo, finendo poi per amare la tua solitudine".
Ecco,
ora sapevo perchè il sommo quando ha mosso prima di me i
suoi passi nel mare nero riempì il suo cuore di dubbi, ma
lui fù un uomo importante in vita, poeta, filosofo, politico
non chè cavaliere, tuttavia i suoi dubbi erano fondati. Chi
prima di lui attraversò l'aldilà da vivo
compì in vita azioni memorabili. "Dimmi sommo, non intendo
offendere la volontà divina, ma una domanda mi punzecchia la
mente, se tu uomo politico e filosofo fosti scelto, perchè
ora l'onnipotente sceglie me, infedele, peccatore e senza nessun titolo
onorevole?" e lui mi rispose ancora una volta fermando la nostra
marcia, "fui sorpreso al nostro incontro, io mi ritrovai in queste
terre in un'età matura e piena di esperienza, eppur il mio
animo non fù pronto per intraprendere il viaggio. I tuoi
dubbi sono umani ma non esistono contrapposizioni alla
volontà divina, poichè egli scioglie un nodo oggi
per ricomporne due domani. Il male si è diffuso tra la tua
gente, nel tuo mondo. Le cariche che siedono al dì sopra non
agiscono come benefattori e la corruzione ha raggiunto il limite. La
grazia divina ha dovuto cercare nei meandri del mondo per trovare
qualcuno che ancora avesse il cuor puro e spinto da una motivazione
personale. Egli vide in te un'anima pura ma macchiata
dall'oscurità e decise, combattermo il fuoco con il fuoco".
Concentrai
ancora una volta il mio sguardo verso il bradipo che ancora giaceva
lì sofferente, e dissi "sommo, non mi coprirò di
vergogna come quella creatura, non sceglierò la
neutralità, ora che l'onnipotente mi chiama devo rispondere,
e se servirà a salvare il mondo, darò la mia
stessa vita". Dante accennò un sorriso e riavviò
la nostra marcia. La mia mente pian piano ragionava su alcune parole e
frasi costruite dalla mia guida, e con alcune domane cercai di
congiungere i punti, "sommo, mi hai parlato di una spada" e lui disse
"non così in fretta ragazzo, chi vivrà
vedrà". Deluso dalla sua risposta formulai un'altra domanda,
"sommo, cosa intendevi quando dicevi che le cariche che stanno al
dì sopra nel mio mondo non agiscono per il bene?" e lui "la
curiosità non è peccato, tuttavia ci
può portare a destini crudeli, e alle volte le cose vanno
scoperte al momento giusto". A quel punto non mi permisi di formulare
altri quesiti dato che la sua ultima risposta l'avrebbe potuta
utilizzare per qualsiasi altra domanda.
Improvvisamente
la selva si fece meno aspra e fitta e il terreno più secco e
praticabile. Una luce attirò l'attenzione della mia guida
che si voltò verso di me e mi disse "eccola! Siamo
arrivati". Lui con la sua mano mi aprì la strada verso la
luce e io la raggiunsi. Era una teca di vetro e la luce nasceva dal suo
contenuto, una spada con delle incisioni quasi incomprensibili sulla
lama. Poggiai la mano sul vetro della teca e questo si
tramutò in cenere. Quei finissimi filamenti di cristallo si
riunirono tutti sulle incisioni sulla lama, fino a che quest'ultime si
ravvivarono di un'intensa luce bluastra. Presi il manico della spada e
la sollevai, contemplai quelle strane incisioni che ora parevano
più chiare, e notai che in realtà era greco
antico. Dante mi disse a gran voce "quella spada si presenta con le
gesta che ha compiuto!", io replicai "è già stata
brandita quindi" e lui mi confermò facendomi un gesto con il
capo e assumendo una strana espressione soddisfatta. Chiesi ancora al
poeta "cosa dicono le scritte?" e lui cominciò "la mano di
un re mi ha agitato, la stessa mano che guidò i trecento
verso la morte, e che per questo divenne leggenda, la stessa mano che
non ha tradito il suo onore pur essendo stato costretto a farlo, la
stessa mano che diede la vita per la sua patria". Io riflettei sulle
sue parole "re, leggenda, trecento, greco antico", conoscevo
già il suo precedente possessore ma faticavo a crederci, e
prima che potessi sollevare ogni dubbio Dante mi disse, "questa spada
è stata brandita da Leonida I, re spartano che condusse i
suoi trecento uomini nella battaglia delle Termopili contro il vasto
esercito persiano di Serse. Egli sapeva bene di andare incontro a morte
certa, ma ciò non lo fermò convinto che il suo
gesto avrebbe dato la forza e il coraggio alla Grecia per respingere
l'invasione persiana. Non vendette mai la sua patria nonostante le
promesse lusinghiere di Serse, e impugnando la sua spada, Leonida gli
dichiarò guerra. Quando il re spartano morì il
suo spirito si avvinghiò alla spada che teneva in mano, e
questa ne assorbì il potere, un potere fatto della stessa
materia di cui sono fatti onore e coraggio, forza e dolore,
così da quel momento la spada divenne una sacra reliquia".
Io stentavo a credere a tutto ciò, tenevo nella mia mano
un'oggetto pregiato, secolare, che racchiudeva in sè la
storia, se ci avvicinavo l'orecchio potevo quasi sentire le urla di
Leonida. Chiesi al poeta "sommo, ma come mai ora si trova qui?" e lui a
me "è un dono della grazia divina con il quale potrai ferire
l'artifizio diabolico, e magari ucciderlo". Alla sua risposta fui
pervaso da vari sentimenti contrastanti, ma la mia mente dubbiosa non
venne meno neanche questa volta, così dissi alla mia guida
"sommo, nella mia epoca non è diffusa la scherma, non ho mai
preso in mano una spada fin ora, non so utilizzarla" e lui con sguardo
rassicurante replicò "lo ben so ragazzo, tuttavia io so come
si brandisce una spada e ti insegnerò. Durante il viaggio
nella città dolente saremo costretti a fermarci e in quei
momenti ci alleneremo", così io lo ringraziai con sincera
gratitudine. Non vedevo l'ora di apprendere la scherma dalla mia guida
che sarebbe diventata il mio maestro, non stavo nella pelle al pensiero
di vedere Dante duellare, così gli chiesi ancora "dimmi
sommo, come hai imparato a duellare?" e lui mi rispose "nella mia epoca
era quasi una tradizione di famiglia la scherma, e quando mi esiliarono
ebbi tempo per affinare la mia tecnica". Mi immaginavo che Dante
essendo un uomo intelligente e paziente, preferisse una tecnica
più attendista, con pochi colpi ma giusti. Accanto al
piedistallo dove sedeva la spada, c'era il suo fodero, lo presi, riposi
la reliquia all'interno e proseguimmo il cammino.
Mentre
camminavo la mia mente cominciò a formulare nuovamente
dubbi, mi chiedevo se fossi stato pronto al momento giusto, se la spada
mi sarebbe davvero servita per compiere la volontà divina,
se io fossi stato degno della reliquia donatami. Pensavo al fallimento
e ciò che avrebbe scatenato, mi sarei perso, il mondo intero
si sarebbe perso... tutto in totale anarchia.
Oltre
ai dubbi e pensieri, cominciai a sentire la stanchezza, spesso avevo
fitte alla mano ferita, mi capitava di sentire un bruciante dolore al
petto che si faceva sempre più forte man mano che ci
avvicinavamo alle porte dell'inferno. Improvvisamente però,
il dolore al petto divenne insopportabile, tanto che richiamai
l'attenzione del poeta " sommo, ho bisogno di fermarmi", mi accasciai
per terra, la vista cominciò a scarseggiare e l'udito a
venir meno. Per un momento fui convinto che stessi per perdere i sensi,
quando ad un battito di palpebre mi ritrovai in un altro posto, casa
mia. Ero nel mio letto completamente nudo, i muri della mia stanza
pareva che ondeggiassero e c'era un intenso profumo di rose. Nel letto
coperto di petali rossi, c'era una ragazza dalla chioma anch'essa rossa
e splendente, la stessa ragazza scelta dall'artifizio diabolico per
ingannarmi, bellissima con una carnagione chiara e le forme del corpo
attraenti. Lei, nuda come me stesa sul fianco dandomi le spalle, si
voltò guardandomi con espressione dolce e mi disse "cosa
c'è amore mio?". La sua voce era flautesca, incantevole,
tanto che per un attimo dimenticai la selva, Dante e la mia impresa. La
ragazza mise la sua mano dietro la mia testa e mi baciò, in
un modo che non si dimentica facilmente, un bacio che ha il sapore
dell'amore, un sentimento di cui ne avevo dimenticato l'essenza. Mi
guardò ancora e io gli sorrisi, il mio cuore sperava che
tutto ciò fosse realtà, che non stavo sognando e
che la selva fosse solo un brutto ricordo. Ma improvvisamente sul viso
della ragazza apparvero dei tribali, i suoi occhi diventarono
completamente neri e le sue labbra si trasformarono in denti aguzzi, le
sue mani si riempirono di squame e mi disse con voce stridula e non
più dolce "non mi ami più? Non mi ami
più!?". La stanza cominciò ad oscurarsi e la
ragazza trasformata ormai in un mostro orrendo, sedeva sopra di me
bloccandomi le spalle e gridandomi contro, finchè non
sentì una voce che mi gridava "ragazzo! Ragazzo!!". Mi
svegliai ancora nella selva con Dante, che mi stava tenendo la testa.
"Cosa è successo sommo?" gli chiesi io agitato e sudato, e
lui a me "non ne sono sicuro, ho visto la tua rosa che splendeva
più del solito mentre avevi perso i sensi, forse lui
sà", ed io che cercavo di riprendere il respiro gli chiesi
"lui chi? Cosa sa? Cosa stai dicendo?". Dante che era sulle ginocchia
vicino a me, si alzò e disse "ragazzo dobbiamo andare, non
possiamo più perdere tempo", così mi
aiutò ad alzarmi e supportandomi ricominciammo a camminare a
passo svelto.
Ora
i possenti alberi della foresta sembravano senza vita, spogli e
scoloriti, e la mia mano che mi pulsava dolorosamente non mi dava pace.
Aggrappato alla mia guida, gli domandai "sommo, non posso farcela
così, non riesco ad andare oltre" e lui determinato non mi
ascoltò e senza rispondermi continuò a camminare
e a trascinarmi. Ormai muovevo le gambe per inerzia e sentivo di avere
la testa pesante, camminavo con lo sguardo inchiodato a terra e notai
che il sangue che perdevo tracciava la nostra via. Alzai lo sguardo per
un attimo e fù li che le vidi, delle ombre, sagome scure
incappucciate che si muovevano velocemente da albero ad albero. Mi
guardai attorno e notai che eravamo circondati da questi strani esseri,
così cercai di avvisare il poeta "sommo, le ombre ci stanno
inseguendo!!" e lui mi lasciò per terra tempestivamente,
sguainò la mia spada e con un coordinato movimento,
parò l'attacco di un'ombra che brandiva anch'essa una spada.
Dante duellò agevolmente con quell'essere di cui riuscivo a
scorgere chiaramente solo le sue mani nere e putride che agitavano la
spada, il resto del corpo era quasi areiforme e alle volte intravedevo
il suo viso che assomigliava ad un teschio senza pelle. Dante
riuscì a scacciare l'ombra ma altre si fecero avanti,
praticamente ad accerchiare il poeta che si muoveva accanto a me per
difendermi. La situazione si fece tragica, le ombre si avvicinavano
sempre di più, eravamo spacciati, quando senza preavviso un
cavallo bianco che emanava una luce accecante, saltò le
schiere di ombre e con la sua scia luimosa le allontanò.
L'animale si fermò vicino a noi e Dante mi alzò e
mi aiutò a montarlo, poi montò anche lui in
groppa dietro di me e cominciammo a cavalcare velocemente. La vista di
quel bellissimo cavallo servì a ridarmi un pò di
vigore, la sua chioma bianca odorava di buono e il suo pelo era
vellutato. Il mio malessere però, era così
pesante da non riuscire subito a notare che sulle spalle il cavallo
aveva delle ali, e dopo aver preso la giusta velocità, le
spiegò e ci innalzammo velocemente verso il cielo. In volo
ripresi un pò d'aria che allungo mi mancò
giù nella selva, e la vista di quest'ultima dall'alto era
spettrale. C'era il sole, eppure i suoi raggi non penetravano la fitte
rete di rami che copriva la selva, tranne che per la parte spoglia.
Dante mi stringeva forte per evitare che cadessi, ed io non potevo
credere a ciò che stavo vedendo dall'altezza che occupavamo.
Dall'alto quella terra sembrava così affascinante e magica,
un posto che non mi era per niente famigliare. Anche se fossi riuscito
ad uscire dalla selva non sarei mai arrivato a casa, dato che non mi
trovavo più nella mia città. Ragionai e conclusi
che probabilmente mi trovavo da qualche parte proprio a Gerusalemme, se
i miei studi mi avessero correttamente istruito sulla posizione della
selva oscura.
Il
cavallo alato atterrò finalmente in una zona apparentemente
più sicura e meno fitta di arbusti, una pianura circondata
da alti colli, ma carente di vegetazione. Dante smontò e mi
aiutò successivamente a scendere. Il poeta ripose la spada
nella mio fodero e mi chiese "stai bene?" ed io un pò scosso
risposi "credo di si". Dante poi si avvicinò al cavallo e lo
accarezzò quasi per ringraziarlo, così chiesi
alla mia guida "sommo, chi è lui?", e Dante mi rispose
"Pegaso, in una forma angelica però. La grazia divina deve
averci mandato un'aiuto". Ripensai a ciò che successe e
chiesi ancora "sommo cosa erano quelle ombre?" "sentinelle" mi rispose
e continuò "a guardia della selva per volontà
divina, purtroppo queste creature sono oscure e non fanno differenza
tra bene e male, tuttavia nessuno dovrebbe trovarsi in queste terre se
non da spirito, per questo ci hanno attaccato" ed io replicai "a cosa
servono delle sentinelle mandate dall'onnipotente, se in queste terre
non cammina anima viva?", e il sommo ci mise un pò per
formulare la sua risposta ma venne interrotto da una curiosa scena, un
cavaliere in sella ad un cavallo nero che portava un vessillo senza
alcun simbolo o stemma.
|