E
poi se n’erano andati, veloci
com’erano arrivati. Avevano lasciato sul campo i corpi dei
caduti, abbandonati al
becco degli avvoltoi o alla pietà dei nemici, ed erano
spariti, inghiottiti
dalla boscaglia bassa e impenetrabile che era la loro casa.
Odeb à Fànur, i
Nati dalla Nebbia. Uomini come tutti gli altri, in
fin dei conti. Solo un po’ più feroci, forse. Si
diceva combattessero a mani
nude, avvolti solo dalla pelle degli animali di cui si nutrivano, e che
cionondimeno fossero in grado di strappare il cuore dal petto
dell’avversario,
squarciandogli il torace con la mera forza delle loro dita possenti.
Zeru,
capitano della Guardia
Reale, rovesciò con la punta dello stivale il corpo di un
uomo che la morte
aveva scaraventato a faccia in giù in una pozzanghera. A mani nude, pensò, scoprendo
i denti in un sorriso più simile a un
ringhio. Alcuni di loro, forse. Altri usavano però tozzi
gladi affilati o mazze
o corte lance adatte alla mischia. Altri ancora erano armati di archi
lunghi;
ed erano stati proprio gli arcieri a coglierli di sorpresa. Erano stati
degli
idioti, non avrebbero dovuto abbassare la guardia in quel modo, cullati
e
rassicurati dalle fandonie che si raccontavano a proposito dei barbari
della
brughiera. Non avrebbero dovuto riporre troppa fiducia nelle loro
armature e
nei loro scudi, illudendosi che questi li avrebbero protetti dalla
furia di
quelle bestie.
Avevano
respinto l’attacco, sì,
ma il prezzo era stato alto. Il soldato distolse lo sguardo dal volto
esanime
del nemico caduto e lo lasciò scorrere attorno a
sé, mentre la sua mente esaminava
con lucida freddezza le perdite subite. Dei cento uomini che avevano
formato la
scorta della famiglia reale ne erano rimasti in piedi una sessantina e
tra
quelli a terra solo una dozzina riportavano ferite facilmente
guaribili: gli
altri erano morti o lo sarebbero comunque stati presto.
Ai
piedi di un albero poco
distante, Zeru scorse Dan e Kyran, i figli gemelli di quello che era
stato il
suo più grande amico d’infanzia: avevano solo
sedici anni, ma già dimostravano
un’abilità non comune nel maneggiare la spada e un
giorno sarebbero diventati
due validi soldati. O, per lo meno, Dan lo sarebbe diventato: Kyran non
sarebbe
sopravvissuto alla ferita che gli arrossava il fianco e che suo
fratello
cercava inutilmente di tamponare, il volto contratto in una maschera
d’angoscia.
Sarebbe
toccato a lui dare la
notizia ad Asam, il padre dei ragazzi: il pensiero gli
procurò un tremito di
dolore, ma subito la sua mente corse a cose più pratiche.
Perché li avevano
attaccati? I Nati dalla Nebbia avevano la fama di essere dei briganti,
i feroci
assalti che sferravano ai rari viandanti che attraversavano quel tratto
di brughiera
erano ben noti a tutti, ma quelli che erano piombati loro addosso non
erano dei
volgari predoni, no. Li avevano attaccati per uccidere, non per
saccheggiare, e
l’avevano fatto in modo estremamente organizzato, seguendo un
ordine preciso.
E
non v’era alcun dubbio che l’obiettivo
non erano i soldati.
Alle
sue spalle un cavallo nitrì
e Zeru guardò con apprensione la carrozza nella quale
viaggiava la famiglia
reale: il re, la regina consorte, la principessa Arina della Piana del
Gigante
e la principessa Marai, la più giovane tra i figli dei
sovrani di Adaval. Poteva
solo pregare gli Dei che i suoi occupanti fossero illesi, o le
conseguenze
sarebbero state terribili: per il popolo, naturalmente, ma anche per
lui.
Se,
come temeva, quello che avevano
subito era stato un attacco volto a eliminare re Yasu e la sua
famiglia, era
fondamentale individuarne il prima possibile i mandanti. Non poteva
trattarsi
di un’iniziativa nata in cuore alle orde dei Nati dalla
Nebbia: per quanto
feroci e brutali, gli Odeb à
Fànur vivevano
in un mondo a parte, in un universo fatto di acquitrini, erica gigante
e
scogliere a picco sul mare; e poco badavano agli affari della capitale.
Non erano
noti per essere mercenari, ma, pensava Zeru, con ogni
probabilità nemmeno loro
erano immuni al fascino del denaro e, forse, qualcuno era riuscito a
comprare i
loro servigi.
Qualcuno che vuole eliminare il re, ma chi?
In
quanto capitano della Guardia
avrebbe dovuto sapere tutto sull’identità di
coloro che mettevano in pericolo
la vita del suo sovrano, ma la politica non era mai stata il suo forte.
Lui si
occupava di tenere l’ordine, di garantire la sicurezza, di
allontanare i
pericoli. Non era solito guardare in faccia nessuno, non gli importava
sapere
il nome e lo stato di chi aveva davanti: se costituivano un problema,
si
preoccupava di far sì che non fossero più in
grado di nuocere nessuno; al resto
non badava.
«Capitano!»
La
voce di un giovane soldato di
cui non ricordava il nome lo distolse dai suoi pensieri. Il ragazzo
zoppicava e
aveva il volto sporco di sangue, ma pareva tutto sommato piuttosto in
salute.
«Il
re vuole parlarti.»
Naturalmente.
Se
il re voleva parlargli,
significava che il re era vivo; e questo era certo un bene. Tuttavia,
l’espressione
del giovane che era venuto a convocarlo era tetra e non prometteva
nulla di
buono.
Il re è vivo, ma le donne?
«Bene.»
Con
un cenno risoluto, Zeru
sorpassò il suo sottoposto, dirigendosi verso la carrozza e
sperando che il suo
passo deciso non tradisse il suo tremito interiore.
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