Cosa non si fa per una corona

di belle_delamb
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Quella corona doveva essere mia! Mi era stata portata via, rubata, strappata da davanti agli occhi! Tutta colpa del mio indugiare, non mi ero esposta troppo, avevo tergiversato, convinta che in amore vince chi fugge, e alla fin fine era arrivata lei. Per nulla bella, una ragazzina insignificante, nemmeno intelligente. E Mike si era fatto irretire come uno stolto e le aveva chiesto la mano. Tutto era successo in così poco tempo che non me n’ero resa conto fino all’inevitabile. Così un giorno avevo scoperto che il principe non avrebbe più sposato me ma un’altra, una comunissima e orrenda ragazzina.
-Mi dispiace dovertelo dire, ma non siamo compatibili … possiamo rimanere amici?-
Certo, potevo anche farlo a pezzettini, ma la sua amicizia mi serviva per raggiungere il mio obiettivo e dovetti sopprimere il mio orgoglio di donna ferita. –Certamente, Mike, non desidero altro che la tua felicità- e avevo fatto brillare lo sguardo, come piaceva tanto a lui quando mi corteggiava.
-Lo sapevo che potevo contare sul tuo affetto-
Stupido, non sapeva che i piani erano stati ben altri fin dal principio, fin dal giorno in cui ero giunta a corte per conquistarlo fingendomi una ragazzina timida e impaurita, figlia di un nobile decaduto e bisognosa di protezione. Amore per lui come potevo provarne? Tantomeno affetto. Era la necessità che mi aveva spinta fin lì, la fuga da un passato che proprio non riuscivo a dimenticare, la possibilità di realizzare un desiderio del mio povero padre … e ora andava tutto a rotoli! Non potevo proprio permetterlo, non per un’infatuazione passeggera. Ma per ora dovevo mostrarmi tranquilla e dolce, come sempre.
-Potresti essere la damigella d’onore di Sue, che ne pensi?- mi aveva chiesto Mike. A volte mi domandavo se fosse senza cuore o semplicemente stupido. Probabilmente entrambe le cose, ma questa era un’occasione da prendere al volo.
-Mi farebbe molto piacere- e così ero entrata tra le dame di Sue. Mio padre mi diceva sempre che farsi amico il proprio nemico è l’unico modo per potersi vendicare. E io volevo diventare molto amica di Sue, quasi una sorella. Non ci volle molto per conquistarla, era una ragazzina ben più stupida di quanto immaginassi e bastò qualche parolina e qualche sorriso per rendermela amica. E poi si sentiva superiore a me, credeva che io fossi brutta e stupida e mi trattava di conseguenza, come una principessa benevola tratta una serva ottusa.
-Cara, come stai bene- diceva, con tono da essere superiore e mi strizzava l’occhio, quindi si tirava indietro i lunghi capelli biondi, quella chioma che adorava sopra ogni altra cosa, suo orgoglio, e mi chiedeva di pettinarli. E io lo facevo molto volentieri, perché immergevo ogni mattina, prima che lei si svegliasse, il pettine in un liquido che mi aveva insegnato a preparare mio padre. Oh, come godetti quando iniziai a vedere i primi segni del mio operato, il pallore malato del suo volto, il suo affaticamento. Avrei voluto proseguire più in fretta ma dovevo essere prudente, un passo per volta, altrimenti sarebbe stata la fine, nessuno doveva sospettare che fosse in corso un avvelenamento, tutti dovevano credere che la giovane fosse solo inferma. Furono chiamati i medici, ma nessuno riuscì a spiegarsi l’origine della malattia. Furono dati mille consigli, a volte contraddittori, chi diceva di farle prendere l’aria gelida del mattino, chi di tenerla al caldo, chi di farle bere latte d’asino, chi di immergerla in strani liquidi, ma nessun rimedio era efficacie e io gioivo! E poi intervenne Karol, la sorella del principe. La sua amicizia per Sue era immensa e di molto superiore della sua simpatia per me.
-Non capisco perché continua a peggiorare- mi diceva ogni mattina, fingendosi mia alleata anche se sapevo che era a causa sua se il fratello non mi aveva voluto sposare. La odiavo forse perfino più di Sue, perché lei si era messa in mezzo, rovinando i miei piani, senza ottenere nessun vantaggio.
-Probabilmente è solo stanchezza- le dicevo io –presto starà meglio.
-Dobbiamo portarla via di qua, un cambiamento d’aria è quello che ci vuole, magari questo affretterà la guarigione-
E ci spostammo nella residenza estiva. Non che questo fosse d’ostacolo ai miei piani, anzi, lì aveva meno servitori, meno occhi che avrebbero potuto vedermi mentre preparavo il veleno, meno bocche che avrebbero potuto parlare. E ormai il piano era quasi completato. Sue stava sfiorendo davanti ai miei occhi e divenne ben presto così debole da non riuscire nemmeno più ad alzarsi dal letto.
-Sto morendo- mi disse una mattina con voce roca.
-Oh, non dire così, cara, sei solo stanca, però la vita da futura principessa sarà ancora più stancante, devi riposarti, recuperare le forze-
-Sei così gentile con me-
-Come potrei non esserla?- le risposi indignata.
-Per quello che ti ho fatto … ti ho portato via Mike -
E cosa m’importava di Mike? –Tesoro, io non porto rancore … ora sistemo i tuoi bellissimi capelli-
Sfortunatamente Karol si rivelò molto più intelligente di quanto pensassi. Ora suppongo che lei avesse sospettato di me fin dal principio e che la sua costante presenza fosse un modo per smascherarmi. Probabilmente non capiva come riuscissi ad avvelenare la sua amica senza che nessuno mi vedesse. Scoprì il modo solo per un colpo di fortuna e non certo d’ingegno. Successe perché, ormai vicina al mio obiettivo e desiderosa di raggiungerlo al più presto, divenni imprudente. La mia stanza si trovava affianco a quella di Sue per permettermi di correre da lei a ogni seppur debole richiamo. Le due camere erano inoltre comunicanti attraverso l’armadio, anche se quel passaggio non veniva usato da molto tempo. Una mattina mi svegliai, come sempre, molto presto perché il veleno doveva essere preparato ogni giorno affinché agisse nel migliore dei modi e non perdesse nemmeno un po’ della propria efficacia. Faceva molto caldo e così decisi di aprire le persiane per far entrare l’aria fresca. Sfortunatamente non sapevo che qualcuno era affacciato alla propria finestra che si trovava sul muro, sfortuna vuole, che faceva angolo con la mia. Preparai il liquido con la solita cura, stando attenta a non versarne neppure una goccia al suolo, quindi immersi il pettine, come sempre, tenendolo per il manico. Fu allora che sentii i colpi alla porta, colpi pesanti. Fui presa dal panico e, rapida, tolsi il pettine e gettai il veleno nel mio vaso da notte.
- Cos’è quest’agitazione?- chiesi aprendo la porta.
Karol era di fronte a me, il volto severo, accompagnata da due delle sue dame di compagnia e da una guardia che pareva più divertita che arrabbiata. –Strega- urlò la mia mancata cognata, spingendomi di lato.
Presa alla sprovvista barcollai e mi aggrappai al muro per non cadere. Me l’avrebbe pagata molto cara.
Iniziarono subito la perquisizione della mia stanza, senza aggiungere altro, ma la guardia non trovò nulla che potesse compromettermi.
-Qui non c’è niente- disse con voce annoiata, come se una parte di lui desiderasse che davvero un tragico avvenimento sospendesse per un po’ la sua monotona vita.
-Impossibile- esclamò Karol e indicò il pettine –è quello l’oggetto incriminato!-
-Il mio pettine?- domandai fingendomi sorpresa e anche un po’ indignata.
-Sì, ho visto che lo immergevi in un liquido-
-Non so cosa stai dicendo-
-Bugiarda- ma non poteva provare nulla e lo sapeva bene anche lei, altrimenti non avrebbe perso tempo in inutili insulti.
Alla fine la guardia sequestrò il pettine, più per fare un piacere a Karol, che perché sospettasse qualcosa.
Quando fui sola sospirai di sollievo e preso il vaso da notte andai a sbarazzarmi dell’unica prova che potesse realmente incriminarmi, ringraziando la mia buona stella che a nessuno fosse venuto in mente di controllare proprio quello.
Non restai sorpresa del fatto che Karol fosse corsa dal fratello. Mike però si limitò a farmi visita e a scusarsi per il comportamento della sorella. –Sai che è fatta così-
-Oh, non ti preoccupare, capisco benissimo-
-Sapevo che avresti compreso, ma ora dimmi, come sta la nostra Sue?-
Nostra Sue? A volte avevo proprio l’impressione che lui volesse provocarmi. Ispirai a fondo e mi sforzai di assumere un’espressione triste, addolorata. –Sfortunatamente sembra non stare meglio-
Mike sospirò e notai la stanchezza sul suo viso. Se avesse scelto me io avrei potuto renderlo felice, mi sarei anche sforzata per farlo, ma ormai era troppo tardi. Il mio obiettivo non prevedeva nessuno scrupolo. E poi mi volevo anche vendicare.
-Stai tranquillo- dissi –cercherò di aiutarla il più possibile-
-Sei un vero angelo-
Per un attimo quel complimento mi colpì come una freccia nel cuore, non me lo aspettavo e soprattutto sapevo di non meritarmelo. Angelo io? No, non la ero. Stolto se lo pensava per davvero. E se non la ero la colpa era principalmente sua.
-Di qualsiasi cosa tu abbia bisogno fammelo sapere- mi disse Mike, stampandomi un bacio sulla guancia, sospettosamente vicino alle labbra. Cosa significava quel bacio? E aveva davvero una qualche importanza? Lo guardai allontanarsi. Ora dovevo pensare a qualcosa d’altro.

I giorni seguenti furono opprimenti. Karol non mi lasciava un attimo da sola e si occupava lei stessa non solo di pettinare Sue ma anche di tutto ciò di cui quella stupida aveva bisogno. Io cercavo di mostrarmi tranquilla. Il vero problema però era che la sciagurata stava migliorando. Ora si alzava già in piedi, seppur aiutata. Il medico che l’aveva visitata si era mostrato scettico al riguardo, per lui era solo il miglioramento di chi è destinato a morire presto.
-In qualsiasi caso il cuore è danneggiato irreparabilmente- aggiunse quando Karol gli fece notare che Sue non dava segni di essere moribonda.
Nel frattempo io pensavo a come risolvere quella situazione. E adesso il mio obiettivo non era solo più uccidere Sue, ora volevo anche vendicarmi di Karol. E alla fine capii come fare.
Mio padre mi aveva regalato un libro quando avevo compiuto dodici anni. Era un libro di stregoneria, della tipologia di magia più nera che esista. Lo tenevo nascosto sotto il cuscino, con la copertina di un romanzetto rosa, uno di quelli che devono leggere le dame come me. A onor del vero non lo avevo mai usato prima, non ne avevo mai avuto la necessità e poi il prezzo da pagare per usare quei sortilegi poteva essere molto alto. In quel momento però avevo bisogno di qualcosa di efficace e non mi sarei fermata di fronte a nulla pur di ottenere ciò che desideravo. Aprii il libro e iniziai a sfogliarlo. Non sapevo esattamente cosa stessi cercando, lo avrei compreso solo una volta trovato. Non c’era neppure un indice in quel libro, nulla di nulla, ci misi quindi un po’ a scovare ciò che mi serviva. Era un incantesimo di particolare complessità, ma le difficoltà non mi avevano mai fatto paura. La preparazione mi portò via due notti, ma la terza volta che scesero le tenebre potei procedere senza nessun intoppo a portare a termine l’incantesimo. Quando ebbi pronunciato l’ultima parola un’ombra apparve riflessa nello specchio della mia toilette.
-Vai- le dissi e quella attraversò l’armadio che conduceva nella stanza di Sue.
Ciò che successe in quella camera, in realtà, non lo so neppure io. Avevo solo detto cosa volevo, come ottenerlo non era affar mio. Posso giurare su qualsiasi cosa che nessun rumore provenne dalla stanza della mia vicina, nulla di nulla, tanto che temetti seriamente che l’incantesimo non fosse andato a buon fine. Resistetti però all’impulso di andare a vedere, sapendo quanto ciò avrebbe potuto essere pericoloso. Le regole erano ben chiare e andavano seguite senza nessuna riserva. Mi occupai così di sistemare le mie cose e finito ciò mi misi a letto. Stranamente piombai subito in un sonno agitato, popolato dagli incubi.
Fu una dama di Sue a svegliarmi la mattina seguente. Urlò che dovevo assolutamente uscire perché era successa una cosa orrenda alla principessa. Io mi precipitai fuori in camicia da notte, certa che la donna stesse esagerando. Solo quando entrai nella camera della mia vicina capii che orrendo era un eufemismo. Della ragazza che un tempo era stata Sue non restava assolutamente nulla. Pezzi del suo corpo erano sparsi dappertutto e il pavimento era ricoperto da qualcosa di simile a un tappeto di un rosso cupo, che solamente in un secondo tempo compresi essere sangue. Fui colta dalla nausea quando vidi che il suo cuoio capelluto giaceva ben lontano dal mucchio di ossa schiacciate che erano ora la sua testa. Incredibile che non avessi sentito nulla mentre quel massacro avveniva. La dama al mio fianco svenne. Uscii di lì immediatamente, sentendomi soffocare. -Chiamiamo una guardia- dissi per poi accorgermi che ero l’unica persona cosciente lì presente.

Quello che successe dopo avvenne rapidamente. Furono convocate le guardie che perquisirono il luogo del delitto e una di queste trovò una collana in mezzo al sangue, una collana che tutti sapevano essere di Karol.
-Dovremmo parlare con il principe- mi disse una di loro, non sapendo a chi altro rivolgersi.
-Non dobbiamo arrestare la principessa?- chiese il suo compagno, più giovane e più imprudente.
-Aspettate un attimo- intervenni io. Dovevo fingermi dalla parte di Karol, dovevo mostrarmi buona. –Non potete arrestare la principessa, non avete prove a parte quella collana-
La guardia anziana sospirò. –Credo che anche voi capiate che è una prova sufficiente per provocare dei dubbi-
Solo dubbi? Cosa volevano per accusarla? Una dichiarazione scritta e firmata? – Karol non può aver fatto del male a Sue, lei le voleva molto bene e … - proprio in quel momento riuscii a farmi scendere una lacrimuccia giù dalla guancia. Un vero colpo da maestra! Mi complimentavo con me stessa, un’attrice nata. Ma ora dovevo portare avanti la recita senza indugio. –Mi rifiuto di credere che possa essere stata lei- sostenni infine.
-Questa faccenda verrà chiarita- disse la guardia più anziana. E io lessi nel suo sguardo la ferma convinzione che Karol fosse coinvolta in quella storia. E a me bastava il sospetto, per il momento non chiedevo altro.

Karol non era nelle sue stanze quando andarono a cercarla. Perquisirono tutto il castello e alla fine la ritrovarono ricoperta di sangue, il vestito strappato, il viso e le braccia graffiate, che vagava in stato confusionale in giardino. Non ricordava com’era finita lì e soprattutto non aveva più la sua collana.
Non sapendo cosa fare le guardie la chiusero nelle sue stanze. Io nel frattempo avevo scritto personalmente una lettera per avvertire Mike dell’accaduto. In realtà all’interno di essa ero stata piuttosto reticente, semplicemente gli comunicavo che era accaduto qualcosa di terribile a Sue e che Karol non si sentiva bene, quindi lo invitavo a venire il prima possibile. Probabilmente avrebbe letto la lettera solo a pomeriggio inoltrato, troppo preso dai suoi impegni come principe per dare importanza a una mia missiva, anche se riportava sulla busta la scritta: urgente. Poco male, non c’era fretta, il più era stato fatto e io avevo bisogno di riposare un poco prima di vederlo. Ordinai che la stanza di Sue fosse lasciata com’era e chiusa in attesa che fosse fatta luce sulla faccenda. Improvvisamente mi ritrovai al comando della situazione. Era una sensazione inebriante quella di poter fare quello che volevo e soprattutto di poterlo far fare agli altri. Come previsto Mike arrivò solo a notte inoltrata, quando ormai tutti, tranne le sentinelle, eravamo a dormire. Volle subito vedermi e fui svegliata dai suoi colpi disperati alla porta e dalla sua voce rotta dai singhiozzi. Aprii in camicia da notte, le gambe e le braccia ignude, i capelli lasciati sciolti sulle spalle. Lui era pallido oltre ogni dire e capii subito che doveva aver bevuto parecchio.
- Cos’è successo?- mi chiese.
-Entra- gli dissi io.
E lui ubbidì. Quello che successe dopo, beh, devo ammettere che non era programmato, semplicemente ideai il piano sul momento, ricordando un’antica leggenda che raccontava come nella notte di mezza estate si potessero concludere matrimoni fatati. Non posso dire che lo sedussi, non sarebbe il termine adatto, semplicemente quando lui si strinse a me per consolarsi io non lo rifiutai.
-Quello che è successo è orribile-
-Non devi più temere nulla- gli sussurrai io, cingendogli il corpo con le braccia.
-Quanto mi sei mancata, io … sono stato uno stupido a lasciarti andare-
No, era stupido ora a tornare. –A volte le persone possono sbagliare-
Mi passò una mano tra i capelli, come faceva un tempo, quando speravo che ci potesse essere un sentimento sincero da parte sua. –Mi potrai mai perdonare?-
-Ti ho già perdonato-
E a quel punto mi baciò. Provai una leggera nostalgia per quel tempo lontano in cui lui mi baciava in quel modo. Non potevo però farmi coinvolgere, mio padre mi aveva insegnato che non dovevo proprio permettere al passato di rovinare il mio futuro.
-Quando sarai cresciuta tu porterai avanti il piano, costi quel che costi, tu sei la prescelta, ricordatelo, è un onore-
Sì, un onore, dovevo ricordare questo, per la mia gente, per la mia famiglia e soprattutto per me stessa, per ciò che Mike mi aveva fatto.
Quella notte mi concessi a lui. Non pensai al suo corpo sul mio, ai suoi baci, alle sue carezze, ma solo a quel compito che mi era stato affidato quel giorno lontano. Lo accolsi dentro di me quasi con indifferenza. E proprio allora iniziai a sussurrare l’evocazione.
-La notte di San Giovanni le fate sono su questa terra- mi aveva detto mio padre e mi aveva insegnato come chiamarle. Non aveva mentito. Loro vennero e me le ritrovai di fronte, piccole luci nella stanza buia.
Mike, ubriaco, cadde al mio fianco, ancora ansante.
-Siate testimoni della nostra unione- dissi io.
Una delle fatine mi venne di fronte e potei vedere che aveva un piccolo corpicino da donna, con pelle dorata e ali simili a quelle di una libellula.
-Cosa sono?- domandò Mike che finalmente si era accorto della loro presenza.
-Siate testimoni- ripetei.
-Siamo testimoni di questa unione- disse la fatina con voce sottile –ora e per sempre essa vi terrà uniti e nulla potrà dividere ciò che il popolo fatato ha unito- quindi fece cadere della polvere dorata su di noi.
-Cosa vuol dire?- chiese Mike, guardandomi con i suoi begli occhi azzurri sgranati e rossi per l’alcol.
-Sono tua moglie, contento?- gli dissi e improvvisamente scoppiai a ridere come una pazza.

Sei mesi dopo

Seduta sul trono fissavo lo spettacolo che era stato messo in scena per me. C’era voluto del tempo, certo, ma n’era valsa la pena. Mi spostai un po’ e il rassicurante peso della corona mi fece sorridere. Mike al mio fianco guardava di fronte a sé, l’espressione tesa. Si sarebbe abituato alla situazione, soprattutto ora. Certo, quello non era un momento felice per lui, ma alcune cose si devono pure fare, sono inevitabili. E poi finalmente l’attesa finì e tutto ebbe iniziò.
Karol fu portata in catene al centro della piazza. Era impallidita di molto dall’ultima volta che l’avevo vista e le ossa sporgevano dalla sua pelle. I capelli, un tempo voluminosi, ora erano radi. Indossava un vestito dozzinale, non adatto a lei. Cadde una volta, ma fu subito rimessa in piedi dalle guardie. Un palo di legno l’aspettava. Fu legata senza troppe cerimonie, senza che nessuno dicesse nulla. I suoi occhi vacui incontrarono i miei. Ormai era morta dentro. Fu sistemata la paglia ai suoi piedi, molta affinché facesse in fretta, quindi il fuoco fu appiccato senza indugio. Karol cercò di resistere per qualche secondo, poi urlò, un folle urlo che squarciò il cielo. Mike al mio fianco sobbalzò. Anche il bambino si mosse. Appoggiai una mano sul pancione per rassicurarlo. Doveva stare tranquillo, avevo fatto tutto quello per lui dopotutto.
-Porterai in grembo il figlio della Congregazione- mi aveva detto mio padre –lui sarà il Prescelto, lui governerà su questo mondo e sull’altro-
Ma per avere così tanto potere doveva essere figlio un re. E Mike era il candidato perfetto. Non avrei voluto che le cose andassero in quel modo, ma non c’era stata proprio altra scelta. Osservai Karol che bruciava, la carne viva esposta e sorrisi. Avevo vinto.




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