CAP.
24
APPUNTAMENTO
SPECIALE
NOTA
DELL’AUTRICE:
Mie adorate e miei adorati, sono
davvero lusingata dalle ben nove recensioni che avete deciso di
donarmi, molte
delle quali sono di nuovi commentatori. Grazie davvero, la storia
procede ed è
sempre bello sapere che l’interesse si mantiene vivo. Vorrei
rispondervi
singolarmente, ma ho impiegato il poco tempo a disposizione per
completare un
nuovo cap. Non me ne vogliate, vi prego, ma non posso proprio
trattenermi, mi
sono collegata solo per postare. Approfitto
dell’aggiornamento per una piccola
comunicazione: Cara Rita, ti ho inviato la mail che ti avevo promesso.
Vi
bacio e vi abbraccio
tutti: i 31 seguiti, gli 85 preferiti e tutti quelli che leggono.
Endif
EDWARD
Seduto
sullo sgabello
del mio pianoforte nel salotto di casa Cullen stavo intonando la
melodia
preferita da Esme in attesa che le ombre della sera si allungassero
abbastanza
da permettermi di rispettare quello che ormai era diventato il mio
appuntamento
serale fisso.
Fremetti
di impazienza
notando gli ultimi raggi del sole perdersi in lontananza tra gli alberi
e
creare dei giochi di colore strani e affascinanti sui mobili del
salotto
esposti alla luce dalla grande portafinestra spalancata. Le mie dita
scorrevano
rapide e sicure sui tasti del lucido pianoforte a coda, gli occhi
chiusi a
godere appieno di un raro momento di pace mentale. Carlisle era in
ospedale,
Esme in giardino a curare il suo adorato roseto, con la mente rivolta
unicamente ai boccioli nascenti, Rosalie ed Alice a fare spese, Emmet e
Jasper
a caccia.
Ed
io ero solo. Sorrisi
tra me e me. Ancora per poco naturalmente.
Dopo
gli eventi un po’
movimentati occorsi negli ultimi tempi, il ritorno alla
“normalità” non era
stato affatto semplice.
Durante
tutta la
convalescenza di Bella in casa nostra mi ero sforzato di mantenermi a
distanza,
rimanendo, però, sempre disponibile e facendole sentire
costantemente la mia
presenza. Ora che sapevo che la parola fine non era stata ancora
scritta per
noi due, avevo cominciato a pensare a come sistemare le cose per il
meglio.
Innanzitutto dovevo riapparire nella vita di Bella agli occhi di un
padre che
aveva visto la figlia soffrire per mesi. Non volevo aggravare il peso
che il
nostro rapporto aveva sulle spalle di lei che, ovviamente, stava male a
dover
mentire di continuo anche per cose banali come una passeggiata, uno
scambio di
parole in classe, o sedersi vicini a mensa.
Iniziai
a corteggiarla
come un innamorato folle e la cosa non mi dispiaceva affatto. Bella
doveva
ricominciare a sentirsi amata e desiderata con ardore dopo aver creduto
per
mesi che non l’amassi più e che l’avessi
lasciata per questo motivo. Pur
sapendo adesso razionalmente che non era la verità, il mio
comportamento aveva
minato la sua fiducia in se stessa e, inconsapevolmente tendeva a
sottovalutarsi più di quanto non facesse già
prima. Paradossalmente questo suo
atteggiamento aveva attirato su di lei le attenzioni di un nugolo di
ragazzetti
col moccio che frequentavano la stessa nostra scuola.
Anche
a questo andava
posto rimedio. Non mi piaceva l’idea che Bella dovesse
scorazzare sola su quel
vecchio macinino che si ostinava a chiamare “la mia
auto”, e volevo che fosse
ben chiaro a tutti che non potevano osare troppo su quella che era la
MIA
donna.
Tempestavo
la sua casa
di telefonate nelle ore più assurde, le inviavo fiori rari,
lettere d’amore …
Bella era di una ritrosia affascinante. Sapevo che si compiaceva di
essere
trattata come una persona speciale, ma mi stupivo ancora di vederla
meravigliarsi di fronte ai miei gesti, a volte anche un po’
troppo plateali,
come amava ricordarmi Alice e sbeffeggiarmi Rosalie.
Come
l’ultimo che avevo
fatto.
“Due
giorni prima le avevo ricoperto il pick-up di petali di rosa rossi e le
avevo
lasciato una poesia sul volante il cui foglio era trattenuto dal gambo
di una
rosa bianca piccola e delicata come lei. Mi ero appostato sul ramo
dell’albero
opposto al vialetto, da cui potevo avere un’ottima visuale
senza rischiare di
venire scoperto. Quando l’ispettore capo Swan era uscito per
recarsi a lavoro
era rimasto cinque minuti buoni con la bocca spalancata, immobile a
fissare la
distesa di fiori. Nei suoi pensieri c’erano fastidio,
irritazione, incredulità,
ma avevo letto anche compiacenza e ammirazione. Poi, scuotendo la testa
si era
infilato nella volante e si era avviato al lavoro.
Ma
l’espressione di Bella quando era uscita rimaneva davvero
impagabile. La sua
deliziosa sbadataggine l’aveva portata persino ad aprire la
portiera di quel
vecchio macinino prima di notare la distesa di petali che le cadeva
innanzi e
che stava calpestando. Il suo sguardo aveva seguito la scia
dall’asfalto, alle
ruote, al copri motore e al parabrezza. Come suo padre la bocca le era
rimasta
spalancata per qualche minuto, l’aria imbambolata. Con una
mano aveva sfiorato
un piccolo petalo in bilico sullo specchietto laterale. Poi, notata la
rosa ed
il biglietto all’interno dell’abitacolo, aveva
aperto un po’ di più lo
sportello. Vi si era infilata a mezzo busto e preso entrambi con la
mano che le
tremava leggermente. Si era appoggiata al sediolino con le gambe ancora
di
fuori. Da dove mi trovavo potevo notare ogni dettaglio: il soffuso
rossore alle
guance che si andava man mano intensificandosi, il respiro un
po’ più
accelerato, gli occhi luccicanti …
Era
emozionata, e nel notarlo avevo sorriso anch’io del suo
stesso fremito.
Nello
stesso momento in cui aveva aperto il biglietto l’avevo
sentita inspirare
profondamente.
Cercava
il mio odore. Ma il suo olfatto umano non avrebbe potuto distinguerlo
nel mezzo
dell’intensità del profumo delle rose, al
contrario di me che avvertivo il suo
dolorosamente chiaro.
Quasi
la sentivo sussurrare mentre leggeva piano le righe che poche ore prima
avevo
trascritto e che le avevo dedicato:
Alle
nozze sincere di due anime
impedimenti
non so. Non è amore
l’amor
che muta se in mutare imbatte
o,
rimovendosi altri, si rimuove,
oh
no: è faro che per sempre è fisso
e
guarda alle bufere e non dà crollo,
amore,
è stella ai vaganti navigli,
nota
in altezza, nel valore ignota.
Non
è zimbello al tempo, s’anche a
teneri
labbri
s’incurva quella falce e chiude,
non
tramuta con l’ore e i giorni brevi
ma
inoltra sino all’estrema sventura
Se
errore è questo, e su di me provato,
io
mai non scrissi, e mai nessuno ha amato.
E.
L’avevo
vista e sentita sospirare. Poi, come
improvvisamente riscossasi da un sogno, si era raddrizzata e aveva
cominciato a
scrutare con occhi attenti il bosco proprio dalla mia parte. Non sapeva
che ero
lì, ma lo sentiva. Dopo pochi minuti, scuotendo un
po’ il capo era salita in
macchina ed era partita per la scuola.”
Sentii
in
lontananza il rumore della nuova auto di Alice avvicinarsi a casa. La
sua mente
era tanto gioiosa da sovrastare persino il turbo di un motore
così potente
quale poteva essere quello di una Porsche. E, il colore, poi …
“Mi
era balenata in mente, solo la vaga idea di
comprarle quell’auto e valutavo indeciso l’eventuale colore, che lei si era
fiondata sulle mie
spalle con leggiadria. Con quelle due piccole e affusolate morse
d’acciaio che
aveva al posto delle braccia mi aveva arpionato il collo e, scoccandomi
un
bacio sonoro sulla guancia, aveva sussurrato solo una parola:
«Gialla» ed era
fuggita via come una saetta.” Questo
accadeva dieci giorni prima.
Adesso
mi
trovavo ad osservare, attraverso la mente di Esme, il loro arrivo al
garage. Sorrisi
vedendo mia madre scuotere impercettibilmente il capo
all’esaltazione di questa
figlia un po’ scapestrata che cantava a squarciagola le
parole di una canzone
pop le cui note si diffondevano già alte nell’aria.
Mi
alzai e mi
diressi velocemente verso l’uscita opposta, ossia la porta
d’ingresso. Se ero
abbastanza fortunato …
Di
partenza eh fratellino?
Continuai a
correre senza degnarmi di rispondere ai suoi pensieri.
Si,
decisamente
giallo era il colore che si addiceva ad un mostriciattolo come Alice
…
BELLA
La
mia
ossessione, il mio tormento, il mio punto debole.
Tutte
queste
cose insieme erano per me la trigonometria, una materia che per quanto
tempo e
sforzi le dedicassi, sfuggiva inesorabilmente ed inevitabilmente alla
mia
comprensione.
La
finestra
spalancata per fare entrare la freschezza della sera, me ne stavo
rinchiusa dal
primo pomeriggio in camera mia, con una matita che mi infilzava i
capelli
tirati su in una specie di chignon da cui ricadevano ciocche ribelli, e
un’altra che rosicchiavo disperatamente tenendola tra i
denti.
La
mia tenuta di
battaglia consisteva in un corto pantaloncino grigio da ginnastica e un
vecchio
ma comodissimo toppino azzurro. Era la mise dei momenti difficili, una
di
quelle in cui mi ci trovavo veramente a mio agio. Alice sarebbe
impazzita se mi
avesse sbirciato in una delle sue visioni. Sorrisi maligna. Almeno in
camera
mia non aveva potere decisionale.
Mi
agitai
nervosa sulla sedia dinnanzi alla scrivania ed appoggiai la testa di
lato, sul
palmo di una mano. Il movimento creò ombra nel cono di luce
proiettato dalla
mia lampada da studio, e per un breve attimo il problema di trigo su
cui
rischiavo di bruciarmi gli ultimi neuroni sani, si oscurò
anch’esso nella mia
mente che prese a battere destinazioni più piacevoli.
Decisamente
più
piacevoli.
Aprii
il
cassettino laterale della scrivania e da sotto una pila di quaderni di
scuola,
estrassi l’ultima poesia che Edward mi aveva mandato il
giorno prima.
L’avvicinai al naso aspirando il profumo di carta pergamena
ed un vago sentore
di miele …
Che
dolce che
era stato a dedicarmi uno dei miei sonetti preferiti, quello che viene
citato
anche in Ragione e Sentimento, uno dei miei libri prediletti. E lui,
non
tralasciava niente, nemmeno il più piccolo dettaglio.
L’auto ricoperta di
delicati petali di rosa poi, un vero tocco di classe …
Gettai
uno
sguardo alla rosa bianca che aveva posto come fermo al foglio sul
cruscotto e
che avevo posizionato in un bicchiere sulla scrivania di fronte a me.
Candore,
purezza, innocenza ... Forse era così che lui mi vedeva, ma
io mi sentivo
ardere di desiderio. Dopo che eravamo stati
“interrotti” nel pieno delle nostre
confessioni, gli eventi erano precipitati vertiginosamente. Il mio
ritorno a
casa era avvenuto non appena mi ero rimessa in salute, ma troppo
rapidamente
per i miei gusti. Per tutto il tempo Edward era stato presente, ma non
quanto
avrei desiderato. Era sempre attento ad ogni dettaglio, ad ogni mia
necessità,
ma era come se rimanesse in disparte in un certo senso. Non
accennò neanche di
sfuggita a ciò che era accaduto, a quello che ci eravamo
detti, anzi che avevo
detto, agli strani lupi … I miei ricordi del seguito erano
sfocati, sbiaditi,
avvolti in una nuvoletta di nebbia fitta e, tecnicamente, non eravamo
più
rimasti soli.
Sapevo
da
Charlie che Jacob aveva deciso di prendersi un po’ di tempo
da trascorrere via.
Non chiesi dove e lui non si domandò come mai Billy fosse
stato così evasivo.
Chiusi
gli
occhi. Ripensare a Jake mi faceva male al cuore, ciò che gli
avevo detto, la
sua reazione alle mie parole … In effetti avevo sulla punta
della lingua un
milione giusto di domande, ma ero anche
molto
presa dai nuovi eventi che si sovrapponevano ai vecchi interrogativi.
Non avevo
tanto tempo per riflettere e giravo per casa in ogni momento libero con
un
libro o degli appunti tra le mani. Tuttavia, Edward non permetteva che
mi sentissi
mai sola. C’era sempre un biglietto, un fiore, una poesia da
qualche parte che
mi aspettava: in cucina, nell’auto, in camera mia.
Mi
sentivo
lusingata. Era come un farmi partecipe, con il massimo della
delicatezza e
della grazia, che ero sempre nei suoi pensieri in ogni istante della
giornata.
Lui aveva un terrore maniacale di essere troppo pressante, ed io non
avevo il
coraggio di rivelargli che, invece, volevo proprio questo. Anelavo ogni
minuto
del tempo che potevamo trascorrere insieme, ogni respiro che potevo
fare in sua
presenza, ogni sguardo che avevo la fortuna di potergli lanciare. Ero
io che
avevo paura di svelare una natura eccessivamente ossessiva nei suoi
confronti.
Ecco
cos’era per
me. Un’ossessione allo stato più primitivo. E
adesso che ero sotto pressione lo
era diventato ancora di più.
Guardai
distrattamente l’orologio sul comodino. Le nove e ventisette.
Già così tardi e
non avevo combinato granchè … Sobbalzai mentre mi
rigiravo verso la scrivania,
perché nel farlo la finestra era entrata nel mio raggio
visivo e mi ero accorta
che non era l’unica cosa che vedevo in quella direzione.
Appoggiato
al
davanzale della finestra con una grazia ed un’indolenza
tipiche dei più
affascinanti ed eleganti felini mai esistiti, Edward Cullen mi guardava
con
un’espressione assorta, negli occhi un fuoco ed un calore che
avrebbero potuto
bruciarmi già da lontano, tanto erano intensi.
PS:
Ovviamente la poesia è un sonetto di Shakespeare…!
endif
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