Capitolo 1
Look in my eyes, what do you see?
-'Sei
bellissima lo stesso'-
Bum. Bum. Bum.
Sbattei più volte la pallina sul muro di fronte
a me, prendendola sempre in modo impeccabile.
Bum. Bum. Bum.
Avevo cercato quella ragazza, Anastasia, ovunque. Non era
su
Facebook, su Twitter, su Instagnam, su Ask, su Shots, su Fahlo, su
MySpace, su YouTube. Avevo persino cercato il suo cognome sull'elenco
telefonico, ma di certo non potevo chiamare più di cento
persone
solo per trovare lei. Perché diamine doveva avere un cognome
così comune? Così comune, ma che addosso a lei
suonava
perfettamente.
Bum. Bum. Bum.
Il mio cuore, ormai troppo ferito, mi pregava di non
pensarla.
La mia testa, invece, faceva il contrario. Il suo sorriso e le labbra
che lo contornavano non smettevano di offuscare i miei pensieri e le
mie facoltà mentali. Cavolo, mi aveva stregato e il solo
pensiero di non riuscire a trovarla da nessuna parte mi faceva andare
in tilt. Mi aveva preso, con una semplice frase e un semplice sorriso.
Mi incuriosiva, volevo conoscerla e sapere qualcosa in più
di
lei. Cosa che andava contro le promesse che avevo fatto a me stesso,
dato che era una ragazza e non volevo avvicinarmi ad una di loro.
Bum. Bum. Bum.
Ma cosa potevo farci, se mi aveva preso così
tanto? Non
riuscivo nemmeno a capire il perché. Era il potere delle
donne.
Era potere delle donne prendere un uomo e farlo diventare il proprio
cagnolino. Senza far niente, mi aveva già stregato e
già
era diventata la regina dei miei pensieri. Da idiota mi stavo lasciando
trasportare ancora, sicuro di ricevere un'altra delusione. Speravo, per
lo meno, che fosse diversa. Anche se infondo sapevo, che tutte le
ragazze sono uguali e tutte le ragazze prima o poi ti pugnalano. Per
qualcuno più figo e con un portafoglio più gonfio
nei
pantaloni. Patetiche.
Bum. Bum. Bum.
-Tesoro,
sai vero che
dalla mia stanza si sente tutto?- mia madre entrò in stanza,
disturbando i miei pensieri. Mi distrassi un secondo, lasciando la
pallina cadere.
-E tu lo sai che stavo facendo un record? Ero arrivato a
trecentosessantasette- mia madre alzò gli occhi al cielo
portando le braccia al petto.
-Trecentosessantasette rotture di scatole, Justin..-
mormorò, sedendosi sul mio letto.
-Simpatica- mi sedetti anch'io, dandole un bacio sulla tempia.
-Non sei felice di aver vinto il premio?- chiese, poggiando le mani
sulle ginocchia. Feci spallucce.
-E' uguale, insomma.. non mi cambia nulla- le sorrisi rassicurante,
nascondendo un velo di tristezza.
-Perché non esci con i tuoi amici?- mi accarezzò
il viso, incontrando i miei occhi a metà altezza.
-Perché devo andare a lavoro, stasera. Ricordi?-
batté una mano sulla fronte, facendomi sorridere.
-Allora va a preparti che sono le sei- si alzlò con
nonchalance, dandomi una leggera carezza sul volto.
Pochi secondi dopo, uscì dalla stanza lasciandomi solo.
Amavo
mia mamma, era la donna più buona che io abbia mai
conosciuto.
Forse l'unica, era davvero l'unica donna che si meritava tutta la mia
stima e la mia approvazione. Mi aveva cresciuta da sola, senza mio
padre. Mi ebbe all'età di diciotto anni, pochi mesi dopo
papà mi lasciò e si ritrovò a dover
portare avanti
una casa, un figlio, una famiglia, tutto da sola. Magari fossero state
tutte donne come lei, magari tutte avessero bene in mente il concetto
di 'amore' come lo aveva mia mamma. Le ragazze pensavano solo a
scherzare e a farsi un nome, non pensavano all'altra parte che magari
rimaneva un vero e proprio schifo. E per altra parte, ritenevo noi
uomini.
Straziato dai miei pensieri, mi alzai dal letto e mi diressi verso il
bagno. Stavo diventando abbastanza monotono e sinceramente, scocciavano
anche me quei pensieri. Dopo essermi dato una sciacquata, presi un paio
di pantaloni neri, una camicia bianca e indossai le mie Supra nere.
Lavoravo in un bar e, bene o male, ognuno di noi doveva essere vestito
secondo un certo standard quando andavamo a lavoro. Erano appena le
sette e il mio turno sarebbe cominciato solo mezz'ora dopo,
così
presi le chiavi della moto e mi avviai verso la porta d'uscita.
-A dopo, dolcezza- baciai sulla fronte mia madre che mi sorrise.
-Dolcezza?- alzò un sopracciglio, annuii.
-Hei, sei la mia donna- l'abbracciai, sorridendo.
Ed era vero, era la mia donna. L'unica che veramente mi aveva amato e
che amavo con tutto me stesso.
Mi incamminai verso la porta di casa e varcai la soglia, ritrovandomi
sul vialetto di sassolini grigi. Li calpestai, mentre camminavo
lentamente verso la mia moto. Era un regalo di mio padre, un regalo un
po' eccessivo, forse, dato che era una MV Agusta F3 675. Per quanto
amassi le moto, aveva speso un botto per comprarmela e sinceramente
preferivo mi comprasse una scacchiera. Ma di certo, non potevo
lamentarmi. Hei, avevo la moto di Batman.
Arrivai a lavoro con un quarto d'ora anticipo, il tempo di mettere il
grembiule e di sistemarmi i capelli che si fece ora e dovetti andare al
banco.
-Hey, amico- salutai Chad con una stretta di mano.
-Complimenti per oggi- gli sorrisi, alzando entrambe le sopracciglia.
-Sono Justin Bieber- commentai, scoppiando poi a ridere seguito da
Chad, mio collega nonché mio ex compragno di squadra di
hockey.
Era un portiere ed era anche sensazionale, non faceva entrare un solo
dischetto in porta.
-Allora, mitico Bieber, cosa mi racconti?- presi a lavare dei
bicchieri, focalizzandomi sul renderli lucidi.
-Il solito- feci spallucce, ormai la mia vita era la solita monotonia.
-Hai pure il coraggio di dire il solito dopo aver vinto un premio?-
alzò un sopracciglio stranito, seguendo i miei movimenti.
Ridacchiai e scossi la testa, l'unica cosa che proprio non sopportavo
di lui erano le troppe domande che faceva. Non mi piacevano le persone
che mi riempivano di domande, preferivo stare sulle mie e tenermi le
cose per me. Il mio motto era diventato: meno cose gli altri sanno di
te, meglio è. Avevo imparato a nascondermi dietro ad una
maschera, a mentire e a far credere agli altri che andava tutto bene.
Anche quando tutto bene non andava.
-Mi scusi, può indicarmi il bancone?- alzai di scatto la
testa e mi irrigidii, sentendo quella
voce.
-Se togliessi gli occhiali da sole lo vedresti- ridacchiò
l'uomo, per poi fermarsi improvvisamente. Presi la tazzina contenente
del liquido caldo più comunemente conosciuto come
caffé,
per poi poggiarlo su un piattino di ceramica bianco.
-Grazie- sussurrò la ragazza, sorridendo ad un punto
impreciso della stanza.
-Prego- ricambiò il sorriso, smettendo di toccarle la
schiena.
Ah beh, era ora. Commentò la vocina nella mia
testa.
Guardai quella ragazza, che da ore aveva impegnato i miei pensieri. Era
lì, di fronte a me, con lo sguardo fisso nel vuoto e quello
splendido sorriso sul volto stanco. Gli occhiali da sole non smettevano
di essere presenti sui suoi occhi, impedendomi di decifrarne il colore.
Aveva un viso sottile, la pelle chiara e una folta chioma di capelli
castani. Portava una coda di cavallo alta, proprio come la portava nel
pomeriggio. Era bellissima, anche in quella circostanza. Chad fece per
avvicinarsi, quando lo bloccai di scatto con la mano e gli indicai
l'entrata: erano appena arrivati un paio di ragazzi. Non volevo si
avvinasse a lei, era un tipo che ci provava con tutte e quella ragazza,
Anastasia, mi sembrava così preziosa per essere lasciata
nelle
mani di un ragazzo simile. With love, Chad.
Mi feci coraggio, avvicinandomi e mettendomi proprio davanti a lei.
-Ciao, cosa posso portarti?- le parole mi uscirono lente, quasi in un
sussurro. Non sapevo cosa diamine era successo alla mia voce. Tossii
più volte, sperando che tornasse normale.
-Justin?- aggrottò le sopracciglia e arricciò il
naso. Non era contenta
di vedermi? -Non pensavo lavorassi qui, non ho mai
sentito la tua voce-
-Be', non so come sia possibile dato che ci lavoro da tre anni, tesoro-
poggiai entrambe la braccia sul bancone, sentendola ridacchiare. Aveva una splendida risata.
-Forse sarà perché io mi siedo
sempre infondo
mentre è Lea che prende le ordinazioni per me- fece
spallucce,
girando come una bambina sullo sgabello girevole.
-Lea sarebbe la ragazza con cui eri oggi pomeriggio?- le chiesi,
cercando di intravedere i suoi occhi dal vetro scuro degli occhiali.
Nemmeno la luce mi aiutava.
-No lei era Bernadeth, Lea è una ragazza.. be', molto
simpatica
e chiacchierona- annuii. -Ci sei ancora?- chiese, facendo un giro
completo sulla sedia.
-Sì, piccola, sono sempre qui- ridacchiai, attirando
nuovamente la sua attenzione.
Aveva ragione Chaz, quella ragazza era strana ma allo stesso tempo
tanto dolce e carina. Mi piaceva parlare con lei, anche se avevamo
scambiato giusto un paio di parole. L'unica cosa che proprio non
sopportavo, era non poterla guardare nei occhi. Quando parlavo con una
ragazza la cosa che più mi piaceva era poterla guardare
negli
occhi per capire il suo stato d'animo o semplicemente per distinguere
una bugia dalla verità. Con lei, non poterlo fare, mi
mandava in
crisi.
-Mi porteresti un..uhm..cosa mi potresti portare?- prese il meno tra il
pollice e l'indice, assumendo un espressione pensierosa.
-Posso portarti il listino, se vuoi- mi allungai col braccio prendo un
listino che era a pochi centimetri da lei, porgendoglielo.
-Una birra andrà benissimo- si affrettò a dire,
sorridendo innocente.
-Almeno hai diciotto anni?-
-Passati da tre anni, ormai- riese lievemente, portandosi dietro
l'orecchio una ciocca che le era uscita dalla perfetta coda di cavallo.
-Alla spina o in bottiglia?- le chiesi, guardandola sott'occhio. Teneva
lo sguardo fisso davanti a sé, fissando un punto impreciso.
Poggiai lo sguardo sul punto che fissava, era una parete vuota.
-Alla spina, penso sia più buona..- fece spallucce
mordicchiando
un'unghia, era adorabile, davvero. -Fai tu, io non me ne intendo-
Annuii ancora, prendendo un calice piccolo e portandolo sotto un
tubicino di metallo. Lasciai che il liquido giallastro riempisse il
bicchiere, per poi porgerglielo. Titubante, mosse la mano cercando il
bicchiere. La vidi deglutire e abbassare lo sguardo verso il bancone,
per poi sorridere soddisfatta non appena prese il bicchiere. La guardai
aggrottando le sopracciglia, quel suo comportamento strano mi
incuriosiva. Avvicinò il bicchiere alle labbra, lasciando
che
queste si poggiassero sulla superficie liscia. La pressione le
schiacciò, facendo notare ulteriolmente la loro morbidezza.
Prese un piccolo sorso di birra, per poi allontanare il bicchiere e
leccarsi le labbra con la lingua. Sorrise, guardando lo stesso punto
davanti a sé.
-E' buona- annuì, bevendo un altro piccolo sorso.
-Qui alla Hause's Coffee abbiamo solo alimenti di prima scelta- la vidi
incurvare le labbra in un sorriso, per poi scuotere la testa.
-Voi ragazzi ve la tirare sempre per qualasi cosa?- chiese trattenendo
una risata, ancora senza guardarmi. E voi donne siete sempre
traditrici?
-Be', quando si tratta della verità, sì- feci
spallucce e
ridacchiai, pulendo il bancone e poggiando una tazzina sporca nel
lavabo. -Ti va di aspettare che finisca il mio turno?- le chiesi,
stupendo me stesso.
Era la prima volta che avevo una conversazione così lunga
con
una ragazza, cercavo sempre di evitare la loro compagnia da quando
anche Hayley mi aveva lasciato. Solo che quella ragazza mi aveva
stregato e cavolo, avevo passato quasi due ore intere a cercarla su
internet. Avevo un desiderio enorme di conoscerla meglio, andando
contro tutti i principi che avevo costruito nel corso degli ultimi due
anni. Cosa potevo farci se mi aveva attratto così tanto?
Aveva
qualcosa, che mi spingeva a cercarla. Qualcosa, che mi diceva che di
lei potevo fidarmi.
"La conosci appena,
Justin" continuava a ripetermi il cuore.
"Fidati di lei,
è diversa" ripeteva la mia testa.
Avete presente l'angelo e il diavolo? Non avevo loro sulle mie spalle,
ma avevo un cuore parlante ed una mente contorta. M'impauriva questa
situazione.
-Di notte ho paura di camminare da sola- guardai fuori dalle porte, era
già buio pesto.
-E' già buio..- sussurrai, andando per un secondo alla
cassa.
-Due dollari, grazie- un uomo mi porse una banconota da cinque, gli
diedi il resto per poi tornare a guardare Anastasia che torturava il
suo labbro e si girava e rigirava il bicchiere tra le mani.
-Allora, uhm.. se mi accompagnerai a casa, sì- gli occhi mi
si illuminarono, sorrisi.
-Volerai sulla mia splendida moto- mi misi di fronte al suo volto,
ancora una volta non mi degnò di uno sguardo. Abbassai lo
sguardo e mi scostai, probabilmente non le faceva piacere la mia
compagnia quanto a me faceva stranamente piacere la sua.
-Non vedo l'ora- ridacchiò, bevendo un altro sorso dal suo
bicchiere. -Penso che nel frattempo avrò bisogno di un'altra
di
queste- indicò il bicchiere vuoto, poggiandolo piano sul
bancone, il più vicino possibile al suo corpo. Lo fece
scorrere
piano, firno a farlo arrivare a metà bancone.
La guardai sorridendo, presi il suo bicchiere e ne riempii un altro,
mettendolo affianco alle sue dita lunghe. Lo afferrò
saldamente,
prima di portarlo alle labbra e ripetere quel procedimento straziante.
Era troppo bella e quelle labbra erano troppo provocanti. Morsi
l'interno guancia e mi sforzai di non guardarla, concentrandomi sugli
altri clienti. John desiderava il suo solito spritz, Candice il suo
solito caffè per restare sveglia, Colin stranamente
desiderava
un mojito anziché la sua vodka alla fragola.. Insomma, la
solita
monotonia della serata. Anche se, a differenza delle altre serate,
avevo una ragazza seduta a gambe conserte su uno sgabello che stava
aspettando me per poter tornare a casa. Mi piaceva parlare con lei e
sorridere, ogni qual volta sorrideva lei.
Il tempo, parlando e ridendo, passò in fretta.
-Vado a cambiarmi, aspettami qui- le sfiorai la mano con le dita,
facendola sussultare.
-Aspetta, devo pagare le due birre- prese la borsa e
cominciò a
frugarci al suo interno. -Quanto ti devo?- chiese, prendendo il
portafogli tra le mani. Mi avviai alla cassa-
-Quattro dollari- dissi in un sussurro, osservando le sue dita.
Aprì il portafogli, tirando fuori una banconota da cinquanta
dollari. -Non ne avresti una da cinque?- le chiesi, cercando di
incrociare ancora una volta il suo sguardo.
-Oh, ho di nuovo confuso i sue lati..- borbottò tra
sé e
sé, riposando la banconota da cinquata e porgendomene una da
cinque dollari. -A destra quelle alte, a sinistra quelle basse. A
destra quelle alte, a sinistra quelle basse- sussurrò tra
sé e sé, sospirando. La guardai confuso per un
secondo,
porgendole il resto. Restai col braccio alzato per un paio di secondi,
finché non mi schiarii la gola.
-Ehm, il resto lo vuoi?- chiesi, trattenendo un sorriso.
-Oh, sì- le sue gote si colorarono di rosso, allungando
titubante la mano e porgendomi il palmo.
-Arrivo subito, aspettami qui- diedi un ultimo sguardo all'orario,
lasciando il mio posto a Leonard e andando a cambiarmi.
I suoi atteggiamenti, erano insoliti. Parlava da sola e sembrava con lo
sguardo assente, sempre e costantemente. Sembrava una ragazza che aveva
la testa tra nuvole, come se fosse stata in una realtà
parallela
e tornasse alla reltà solo quando veniva chiamata o
interpellata. Nonostante questo, aveva un sorriso mozzafiato e un senso
dell'umorismo che non ero riuscito a riscontrare in nessua ragazza.
Era riuscita a far ridere me, ed erano anni che non ridevo a causa di
una ragazza. Mi stava stregando, e non riuscivo a capire come.
A passo svelto, entrai nel camerino riservato ai dipendenti, appesi il
grembiule, presi il cappotto e lo indossai, per poi uscire. Attraversai
il piccolo corridoio color sabbia, come l'interno del locale. Era una
caffetteria, tutto doveva bene o male assomigliare al colore del
caffé. Dal colore delle pareti, al colore delle sedie. Una
volta
uscito dal camerino, mi avvicinai alla ragazza poggiandole una mano
dietro la schiena. Sussultò irrigidendosi, sembrava quasi
che
non si fosse accorta di me quando invece il suo sguardo era puntato
verso la porta da dove ero uscito. O più semplicemente, non
voleva essere toccata.
-Andiamo- sembrò rilassarsi, non appena sentì la
mia
voce. Annuì posando qualcosa nella borsa, non
riuscii a
capire cosa fosse ma ugualmente non le chiesi nulla.
-Mi porti a casa?- sentii le sue mani sottili stringermi piano il
braccio. Questa volta, fui io ad irrigidirmi. Non la faceva nessuna
ragazza, da troppo tempo ormai.
-Sì- mi scostai, avvicinandomi a passo svelto verso la
porta. La
aprii e la vidi lì, immobile e spaesata. Mosse il primo
passo
lentamente, poi un altro e un altro ancora. Sembrava avesse paura di
camminare. La vidi deglutire, prima di stringere tra le mani la stoffa
della borsa e camminare più velocemente. Morsi il labbro e
mi
sentii in colpa, non sapevo nemmeno io per cosa. Così
bloccai la
porta e mi avvicinai al suo corpo, le poggiai lentamente la mano dietro
la schiena e le sorrisi. -Meglio?- le chiesi, notandola camminare
più velocemente e più sicura.
-Molto- annuì lei, per poi abbassare lo sguardo. -Scusa,
è solo che io..- sospirò, stringendosi le braccia
al
petto.
-Non preoccuparti- le accarezzai piano il viso, sentendo una scarica di
adrenalina scorrermi lungo il corpo. Alzò nuovamente le
braccia
verso di me, tastò il mio petto per poi spostarsi sul
braccio e
stringersi a questo, come aveva fatto poco prima. -Hei piccola,
già vai dritta al punto?- risi lievemente scherzando,
sorrise
anche lei.
-Ne ho bisogno- la sentii sussurrare, abbassando poi la testa verso il
pavimento in cemento sicuramente freddissimo.
Ne ho bisogno. La
sua era
sembrata pià una supplica che un'affermazione. Annuii
impercettibilmente, trasportandola con me verso la mia moto. Non era
tanto male dopotutto, tenerla aggrappata a me come una bimba si tiene
impaurita aggrappata al papà quando ha paura di qualcosa di
astratto. In quel momento, Anastasia sembrava tanto una bambina
impaurita, l'uinco problema era che io non sapevo tanto fare l'uomo
forte come lo sono
solitamente i papà. Ero tutt'altro che forte. Ma averla
vicino,
mi infondava una certa sicurezza.
Una volta arrivati affianco alla mia moto, presi le chiavi dalle tasche
e mi fermai un secondo a contemplarla. Nonostante fosse nera, brillava
sotto la luce della luna.
-Ti piace?- le chiesi, contemplando la bellezza del mio gioiellino.
-Cosa?- aggrottai le sopracciglia, guardandomi intorno. C'era solo la
mia moto e una macchina qualche isolato più avanti. -Sai
com'è, con gli occhiali neri non vedo..ehm..nulla..-
sospirò ancora, portando poi lo sguardo alle punte dei suoi
piedi.
-Toglili allora, se non riescono a farti vedere la bellezza della mia
bambina- ridacchiai, rialzandole il viso tra le mani.
Deglutì e
si giro, camminando piano verso la direzione della mia moto.
Allungò una mano, tastando la superficie fredda.
-Sembra molto bella- continuò a toccarla con entrambe le
mani,
tastò per bene l'intera sella, i comandi. Si
abbassò,
toccando poi la marmitta e il lato. -E anche potente, suppongo- si
alzò e si girò verso di me, sorridendo.
-E' potentissima-la raggiunsi, montando in sella. -Sai salire da sola o
hai bisgono di una mano?- mi toccò una spalla e poi la
sella,
per poi scuotere la testa più volte. -Ho capito- soffocai
una
risata scendendo dalla moto e prendendola per i fianchi. Era leggera
come una piuma. L'aiutai a salire, per poi salire anch'io. -Ti
farò vedere quanto veloce riesce ad andare-
-Magari potessi- sussurrò contro la mia schiena, lasciandomi
perplesso. -Però posso sentire il suo rombo-
continuò,
tenendo stretta la sella.
-Ti conviene tenerti a me..- le passai un casco, che
indossò.
Menomale che ne avevo ancora uno di riserva. Era di Selena. -..andremo
molto veloce-
Non le diedi nemmeno il tempo di contrabbattere che sfrecciai, veloce.
Sentii le sue braccia stringersi attorno al mio corpo in meno di un
secondo, sorrisi a quel suo tocco. Il cuore mi batteva e non per la
velocità, ero ormai abituato anche a toccare i duecento
chilometri orari. Averla così vicina, praticamente incollata
al
mio corpo, faceva un certo effetto. Insomma, non avevo un contatto
fisico con una ragazza, se non con mia madre, da due anni. Era strano
per me sentire un corpo femminile così vicino al mio. E non
un
corpo qualsiasi, tra l'altro, ma il corpo di quella ragazza che mi
aveva affascianato dal primo momento che l'avevo vista. Per quanto
strana potesse essere, mi piaceva la sua compagnia.
Le chiesi, quasi urlando, dov'è che abitasse. Sembrava
assorta
nei suoi pensieri, infatti ci mise un po' prima di dirmi la via.
Volendo stare più tempo con lei, feci il giro più
lungo.
La sentii staccarsi leggermente, lasciando che il vento le
scompigliasse i capelli -dato che aveva sciolto la coda per poter
mettere il casco-. La guardai da uno specchietto ed era bellissima, per
quel che riuscivo a vedere dato che quei dannatissimi occhiali da sole
erano ancora lì, a coprire i suoi occhi.
Una volta arrivati, mi sentii mancare.
-Qual'è casa tua?- le chiesi, scendendo dalla moto e
aspettando che facesse lo stesso.
-E' una villetta gialla..- rispose vaga, guardandosi intorno.
Deglutì, abbassando poi lo sguardo. -Potresti, uhm..- si
grattò la tempia imbarazzata, guardando a destra e a
sinistra,
ancora. -..indicarmela tu?- continuò, lasciandomi spiazzato.
-E perché io? Non riesci a riconoscere casa tua?- risi
lievemente, facendola sospirare.
-No,- serrò le labbra in una linea. -non ci riesco-
sospirò ancora.
-E perché?- chiesi ancora, aggrottando nuovamente le
sopracciglia.
-Perché non ci vedo, Justin..- quasi sussurrò,
levandosi
gli occhiali. -Sono cieca- continuò, guardando un punto
dritto
davanti a sé.
Incrociai finalmente i suoi occhi, l'azzurro era quasi impercettibile
dato quel velo bianco che lo copriva.
La sua espressione era impassibile, non lasciava trasparire nessuna
emozione.
Mi sentii in colpa, dannatamente in colpa per averla presa in giro.
Presi il suo viso tra le mani, avvicinandomi piano al suo volto.
-Sei bellissima lo stesso- deglutii, sentendomi morire.
Avevo appena preso in giro una ragazza cieca e le avevo pure detto che
era bellissima.
Justin, penso che
stasera ti sei proprio superato.
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Buonasera, tesori miei.
Anche se sono circa le
cinque, fuori è già buio ed è
bruttissimo vedere il tempo così.
Sopratutto col mio stato
d'animo, ma traslasciamo.
Purtroppo i problemi ci
sono e più di provaread affrontarli, non posso fare.
Ma ho delle persone
stupende vicino, per cui le ringrazio davvero di tutto.
E voi? Come state?
Sapete, vero, che per
qualsiasi cosa io ci sono per voi?
Qualsiasi, giuro.
Infondo, noi Beliebers siamo una famiglia.
E le sorelle si aiutano.
L'unica cosa che proprio
mi rende felice, è sapere che Justin ci ama.
E ce ne ha dato la
certezza al concerto, dicendo esplicitamente 'I love my italian
Bliebers'.
Io non c'ero, ma so che
quelle parole erano indirizzate anche a me.
Come a tutte voi, che da
casa lo avete seguito tesori miei.
Parlando della storia,
ecco che abbiamo capito una cosa importante della nostra protagonista:
è una non vedente.
E sembra che al nostro
Justin questa cosa non dispiaccia.
Cosa
succederà?
Be', continuate a
seguirmi.
Al prossimo capitolo, bellezze.
Much love.
-Sharon.
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