Il
Diogene’s era un prestigioso circolo privato maschile,
molto esclusivo e con tradizioni molto antiche, frequentato da uomini
potenti, i cui membri si vantavano del fatto che il club non fosse mai
stato coinvolto in uno scandalo, a differenza di tanti altri.
Mycroft Holmes era iscritto da anni, perché, malgrado non fosse
ben chiara la sua posizione all’interno del governo inglese, i
bene informati sapevano che quell’uomo schivo e riservato fosse
abbastanza influente da meritare un posto di rilievo nel circolo. Era
risaputo che nulla toccasse Mycroft Holmes e che fosse un uomo con
pochi scrupoli, quando la sicurezza nazionale veniva minacciata. Non
aveva amici né amanti, per cui potesse essere ricattato.
Chiunque lo conoscesse, sapeva che sarebbe passato anche sopra al
cadavere della propria madre, pur di raggiungere i propri obiettivi.
Erano pochissime le persone a conoscenza del fatto che questa fosse
solo una leggenda, una diceria diffusa ad arte, per sembrare
invulnerabile ed inattaccabile. In realtà, persino Mycroft
Holmes, l’uomo di ghiaccio, aveva un punto debole, rappresentato
dal fratello minore, Sherlock. Per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa,
che non fosse andare contro la legge. O che, comunque, ritenesse essere
la soluzione migliore per il fratellino. Il rapporto fra i fratelli
Holmes era sempre stato conflittuale, acuito dalla differenza di
età e dalla concezione dei sentimenti che aveva il maggiore.
Sherlock aveva sempre tentato di adeguarsi alle aspettative di Mycroft,
ma si era sentito spesso inadeguato, insufficiente… stupido. Da
parte sua, Mycroft aveva cercato di prendersi cura di Sherlock come
meglio aveva potuto, soprattutto considerando quello che il maggiore
degli Holmes reputava essere il peggiore difetto del minore: la sua
dipendenza dai sentimenti. Dal punto di vista di Mycroft, Sherlock non
era mai riuscito a controllare ciò che provava, ad isolarsi da
quello che gli altri dicevano di lui, dall’essere respinto e
sbeffeggiato, se non insultato, a causa della sua troppa intelligenza.
Era stato con un sospiro di sollievo che Mycroft aveva appoggiato
l’arrivo di John Watson nella vita del fratello. Quel piccolo
medico, ex soldato, solo e quasi disperato, sembrava l’anima
gemella di Sherlock. Era riuscito a vedere e portare in superficie la
parte migliore di Sherlock. Se fosse stato un uomo romantico, Mycroft
Holmes avrebbe potuto dire che fosse stato un colpo di fulmine. Dato
che l’uomo di ghiaccio era tutto fuorché romantico,
pensò che l’incontro fra queste due anime sole fosse stato
un meraviglioso colpo di fortuna. Mycroft stimava John, per il modo in
cui aveva accettato ed accudiva Sherlock. Aveva fatto di tutto per
tenerlo al sicuro, mentre Sherlock era in missione, ma non aveva potuto
salvarlo dallo stesso caso, che lo aveva portato nella vita del
fratello. Dal suicidio di Sherlock, John non aveva mai voluto
incontrare Mycroft, che perciò si meravigliò molto nel
vederlo incedere verso di lui, accompagnato da uno dei maggiordomi e
dal suo fedele cane. Il maggiore degli Holmes non si mosse dalla sua
sedia, sapendo che John non avrebbe apprezzato se si fosse alzato per
aiutarlo. Il dottore era un uomo orgoglioso e fiero, che non accettava
di essere compatito. Attese, quindi, con pazienza, che John lo
raggiungesse, sperando di non doversi difendere dall’attacco di
un uomo invalido. Questo sarebbe stato sicuramente un pettegolezzo, che
avrebbe fatto parlare persino i muti soci del Diogene’s Club.
You’re the One That I Want
John aveva deciso cosa avrebbe fatto, nell’istante in cui la sua
mente aveva realizzato cosa Sherlock gli avesse confessato. Sentirsi
dire da Sherlock che fosse innamorato di lui era stato sorprendente e
sconvolgente. Non avrebbe mai creduto che potesse accadere. Eppure era
successo.
Non
è giusto. Sono vivo. Potrei stare con Sherlock, certo, ma non in
queste condizioni. Lui si tarperebbe le ali, pur di vivere con me. No.
Non posso permettere che si sacrifichi ancora per me. Io devo tornare
ad essere l’uomo di cui Sherlock si è innamorato o
rinunciare a lui, anche a costo di spezzargli il cuore.
Con questo pensiero in testa, John era tornato a casa, aveva contattato
il medico, che lo aveva avuto in cura dopo l’incidente, e si era
accordato con lui per fare l’intervento. Ora doveva solo mettere
in atto il suo piano, ma, per farlo, aveva bisogno dell’aiuto di
Mycroft Holmes, l’unica persona che avrebbe potuto tenere
Sherlock sotto controllo… almeno un po’.
A John sembrò di impiegare un’eternità a percorrere
il breve corridoio che portava dalla sala comune allo studio di
Mycroft, che lo stava attendendo pazientemente seduto nella sua
poltrona. John avvertiva la presenza silenziosa del maggiordomo e lo
sguardo indagatore di Mycroft, ma era grato del fatto che nessuno dei
due uomini avesse tentato di aiutarlo e fingessero che fosse tutto
normale. Quando, finalmente, arrivò alla poltrona, posta di
fronte al maggiore degli Holmes, John si sedette, con sollievo, mentre
Honey si accucciava tranquilla al suo fianco.
“Buongiorno, dottor Watson, posso offrirle una tazza di tea?”
“Grazie, accetto con piacere.”
Rimasero seduti in silenzio, fino a quando il maggiordomo, servito il
tea, se ne andò. Mycroft vedeva che John stava riordinando i
propri pensieri, tentando di decidere da che parte iniziare.
“Allora, Sherlock è vivo. È per questo che non
è venuto al suo funerale,” cominciò John,
sorseggiando il tea.
“In realtà, temevo più la sua reazione emotiva alla
mia presenza, che il fatto di partecipare al finto funerale di mio
fratello. Per proteggerlo, avrei potuto benissimo mostrare un dolore,
che in realtà non sentivo…”
“O non mostrare affatto sentimenti. Sarebbe andato ugualmente
bene, dato che nessuno si aspetta che lei provi qualcosa, come un
qualsiasi banale essere umano,” lo interruppe John, in tono
sarcastico.
“Ciò che ho tentato di evitare, era che lei mi prendesse a
pugni, dottor Watson. Le stavamo procurando già abbastanza
dolore, senza aggiungere ulteriore disagio,” riprese Mycroft,
ignorando l’astio di John.
“Veramente gentile, da parte sua.”
“Non volevamo ferirla, ma tenerla al sicuro.”
“Sherlock me lo ha spiegato. Comunque, non sono qui per
ciò che è avvenuto. Ho bisogno che lei faccia qualcosa
per me.”
“Farò tutto ciò che posso per lei, dottor Watson.”
“Ho scritto una lettera a Sherlock. Dovrebbe consegnargliela, ma,
soprattutto, non fare nulla per rintracciarmi e fare capire a Sherlock
che non deve cercarmi.”
Mycroft si irrigidì visibilmente: “Dottor Watson…”
“Spiego tutto nella lettera a Sherlock, non le farò fare
la parte del cattivo, Mycroft, ma ho bisogno che controlli suo fratello
e lo fermi, se capisce che stia tentando di trovarmi.”
“Sarà difficile, John, ma lo farò,” lo rassicurò il maggiore degli Holmes.
“Grazie,” mormorò John, alzandosi faticosamente ed estraendo una busta dalla tasca della giacca.
Mycroft si alzò e prese la busta: “Qualsiasi sia il motivo che la porta via, spero che lei torni presto.”
“Lo spero anche io.”
“Quando parte?”
“Ora. Potrebbe accompagnarmi fuori?”
“Certo.”
Lentamente, John e Mycroft si incamminarono verso l’uscita,
preceduti da Honey, che trotterellava scodinzolante. Poco distante
dall’ingresso del Diogene’s era parcheggiata un’auto,
a cui era appoggiato il tenente Eames, che sorrise all’arrivo di
John: “Maggiore,” lo salutò, con un cenno del capo.
“Tenente, questo è il signor Mycroft Holmes. Mi passerebbe il guinzaglio di Honey?”
“Certo, signore,” rispose Eames, prendendo il guinzaglio
dal sedile posteriore dell’auto e porgendolo a John, che lo
attaccò alla pettorina di Honey.
“Che esperienza ha con i cani, Mycroft?” Domandò John.
“Assolutamente nessuna. Perché?”
“Dovrà tenerla con un po’ di polso o la farà cadere.”
“Tenere chi?” Chiese Mycroft, decisamente disorientato.
“Honey. La dovrà portare da Sherlock, affinché se
ne prenda cura, fino al mio ritorno. Dove andrò, non mi
permettono di tenerla. Sono sicuro che Sherlock e Honey andranno
d’accordo e si terranno compagnia.”
John porse il guinzaglio a Mycroft, che lo fissò con
un’espressione quasi piena di orrore. Il dottore non
riuscì a nascondere un sorriso beffardo: “Non avrei mai
creduto di poter vedere questa espressione sul suo viso.”
“Non avrei mai creduto che lei potesse affidarmi il suo cane,” ribatté Mycroft, con un sorriso forzato.
“Grazie,” sorrise John.
“Per cosa?”
“Perché so che si prenderà cura di entrambi.”
“Si prenda cura di sé, John, ovunque stia andando. Si
ricordi che qui la aspetta qualcuno che ha bisogno di lei.”
“Lo farò,” annuì John. Fece un’ultima carezza a Honey a salì sull’auto.
Mycroft osservò la macchina, mentre si allontanava. Honey tirava
per inseguirla, ma l’uomo riusciva a tenerla vicino a sé.
Torna presto John Watson. Vivo e vegeto. O il mio fratellino si perderà. E io non so se riuscirò a salvarlo.
Il 221B di Baker Street vibrava delle note basse e malinconiche, che
uscivano dal violino di Sherlock, ritto davanti alla finestra, ad occhi
chiusi, immerso in un mondo che non era quello in cui si trovava
fisicamente. Nel suo mind palace c’era un intero piano riservato
a John, dove Sherlock era entrato, in punta di piedi, come se temesse
di disturbare e perturbare l’ordine che vi regnava. Quel piano
era intriso dell’essenza di John ed era stato il suo rifugio nei
momenti più difficili, passati durante i due anni,
due anni, cinque mesi, diciannove giorni. 889 giorni. 21336 ore. 1280160 minuti,
durante i quali era stato in missione. Non si rese conto
dell’ingresso di Mycroft, che si andò a sedere nella
poltrona di John. Sentì una leggera pressione sulla coscia, che
lo trascinò in uno stanzino, in cui aveva stipato i ricordi di
Redbeard. Sherlock spalancò gli occhi, smettendo di suonare.
Mise a fuoco la stanza e sentì nuovamente quella strana
pressione alla gamba. Abbassò gli occhi e si scontrò con
quelli di Honey.
Perché sei triste?
Si girò di scatto e vide Mycroft. Spostò lo sguardo velocemente, per la stanza, in cerca di John.
“Il dottor Watson non è qui. Mi ha chiesto di portarti una lettera ed il suo cane.”
“Una lettera?”
Mycroft gli porse una busta, che Sherlock non si era accorto che avesse
in mano. Quasi la strappò al fratello e si sedette sulla sua
poltrona, aprendola velocemente e scorrendo le poche righe, scritte
nell’ordinata calligrafia di John.
Caro Sherlock,
forse
penserai che sia da vigliacchi lasciarti questa lettera e fartela
consegnare da Mycroft, ma non posso dirti a voce cosa io abbia
deciso di fare. Non prendertela con tuo fratello. Per una volta,
è veramente solo un ambasciatore senza colpe. Inoltre, pensa che
gli ho messo in mano il guinzaglio di Honey, mentre la lasciavo. Spero
che non gli abbia procurato delle ferite o dovrò guardarmi le
spalle da lui, al mio ritorno.
Non
hai idea di cosa abbia voluto dire, per me, sentirti confessare che mi
ami. Dopo il tuo suicidio, mi sono reso conto di quali fossero i miei
reali sentimenti per te e ciò non ha fatto che accrescere il mio
senso di colpa per non essere riuscito a salvarti. Però, questo
non è il motivo per cui ti sto scrivendo. Cosa io abbia
scoperto, sorprendendo persino me stesso, te lo rivelerò di
persona quando ci rivedremo, anche se, probabilmente, tu lo hai
già dedotto da queste mie poche parole.
Ho
deciso di sottopormi all’intervento per togliere il frammento che
mi impedisce di camminare. Se qualcosa dovesse andare storto, il minimo
che possa accadere è che io resti come sono, ma potrei anche
rimanere completamente paralizzato o morire sotto i ferri. Comunque, le
probabilità che io riacquisti pienamente la funzionalità
delle gambe è molto alta e vale la pena correre il rischio,
insito in ogni intervento, se significherà tornare da te
camminando sulle mie gambe.
Ti
chiedo di non cercarmi. So che per te sarà difficile accettare
di lasciarmi affrontare tutto questo da solo, ma ho capito che, se ti
lasciassi rimanere al mio fianco, sospenderesti la tua vita, per
aiutarmi. So che saresti capace di non prendere più casi, pur di
assistermi. Te lo ho letto negli occhi, quando mi hai detto di amarmi.
Io non posso permetterti di farlo. Questo finirebbe per distruggere il
nostro rapporto, prima ancora di farlo nascere. Tu sei morto, per
proteggermi e salvarmi. Sei andato in missione da solo e non oso
nemmeno immaginare a quali pericoli tu sia andato incontro. Ora, devi
lasciare che io affronti questa operazione da solo. Devi permettermi di
fare la mia parte, se vogliamo avere una speranza di futuro insieme.
Quando tornerò, avrai al tuo fianco un uomo integro, che possa
essere tuo partner in ogni sfumatura che vorremo dare a questa parola,
come meriti.
So
già che starai storcendo il naso, con quell’espressione
disgustata ed infastidita che fai sempre, quando dico qualcosa che
trovi stupido. È questo il motivo per cui ti scrivo una lettera,
invece di affrontarti di persona. Con la tua parlantina stordente,
potresti convincermi che io stia compiendo una pazzia. Non è
così, Sherlock. Sento di doverlo fare. Per noi. Farò
l’impossibile, per tornare da te. Ho
chiesto a Mycroft di portarti Honey, così avrai qualcuno che ti
tenga compagnia e di cui prenderti cura. Sono sicuro che andrete
d’accordo. Ad entrambi piace passeggiare per la città.
Quando tornerò, sarete inseparabili e non mi vorrete più
fra i piedi.
A presto.
John
Sherlock rilesse la lettera con più calma, mentre Honey si era
accucciata ai suoi piedi, come se avesse avvertito un legame con lui.
Sherlock allungò la mano e le accarezzò la testa:
“Quanto è rischioso l’intervento?”
Domandò, sicuro che il fratello sapesse tutto, anche senza avere
letto la lettera di John.
“Abbastanza, ma mi sono accertato che fossero i migliori chirurghi ad occuparsi del dottor Watson.”
“Ha con sé il suo cellulare?”
“Certamente.”
Sherlock estrasse il proprio telefonino e compose velocemente un messaggio.
[14.05] Non ti azzardare a morire o a rimanere paralizzato. Honey ne
rimarrebbe molto delusa. Penserebbe che tu non voglia veramente tornare
da lei. SH
Il cellulare suonò nella tasca di John, mentre l’auto
percorreva l’autostrada. Il dottore lo estrasse, lesse il
messaggio e sorrise.
[14.07] Tornerò. È una promessa. JW
[14.08] Non verrò a cercarti, ma non puoi impedirmi di scriverti. Non ti lascerò solo. SH
John sospirò. Sapeva che sarebbe stato inutile cercare di convincere Sherlock a desistere.
[14.11] Potrebbero esserci momenti in cui non potrò risponderti.
Forse per giorni. Non devi preoccuparti. È normale, in questo
tipo di interventi. JW
[14.12] Sarò paziente. Ti stupirai di me. SH
[14.13] Non ho dubbi sulla tua tenacia e sulla tua ostinazione. Sarai
paziente, anche solo per dimostrarmi che ho torto a dire che sei
irrequieto. A presto. JW
[14.16] A presto. SH
Sherlock fissava il cellulare, sotto lo sguardo attento del fratello e
del cane. Non sapeva bene cosa dire, quando il telefono si mise a
squillare.
“Lestrade cosa vuoi?”
“Ho un caso che ti piacerà.”
“Dammi l’indirizzo,” ordinò Sherlock,
scattando in piedi, prendendo il cappotto e dirigendosi verso la porta.
Anche Honey scattò in piedi, pronta a seguirlo. Sherlock la
fissò, cercando di decidere cosa fare, poi sorrise, sornione:
“Perché no? Andiamo, Honey. Farò di te il miglior
cane investigativo del mondo!”
Il consulente investigativo ed il cane uscirono, mentre Mycroft rimaneva seduto, sorridendo divertito.
Pensi sempre a tutto, vero John? Sapevo che eri l’uomo giusto per Sherlock.
Sherlock arrivò sulla scena del delitto ed oltrepassò il
cordone, che serviva a tenere lontani i curiosi, senza degnare nessuno
di uno sguardo. Honey lo seguiva, trotterellando tranquillamente al suo
fianco, come se fosse sempre stata la sua compagna di avventure. Gli
agenti che lo incrociarono, fecero finta di non vedere il cane, non
volendo essere coinvolti in una discussione, ma Sally Donovan non aveva
alcuna intenzione di sorvolare sulla cosa: “Ehi, strambo,
bentornato fra i vivi. Capisco che ti sia trovato un cane che ti
tenesse compagnia, mentre fingevi di essere morto, ma non puoi portare
quella bestia sulla scena di un crimine.”
“E perché mai? Di animali ce ne sono già tanti,
qui. Honey, almeno, è intelligente, a differenza di certi
rappresentati del cosiddetto genere Homo Sapiens Sapiens.”
“Come…”
“Donovan! Vai in centrale a cercare informazioni sulla vittima,” tuonò Lestrade, irritato.
“Capo, non è giusto! Lui non può…”
tentò di obiettare Donovan, ma l’ispettore la interruppe,
ringhiando minacciosamente: “Donovan, non farmi ripetere
l’ordine che ti ho appena dato…”
La donna sbuffò infastidita, lanciando uno sguardo carico di
disapprovazione all’indirizzo di Sherlock, ma non aggiunse altro
e se ne andò. Lestrade sospirò, spostando
l’attenzione dalla sua sottoposta a Honey, che si era avvicinata,
scodinzolando, felice di vedere un volto conosciuto. Greg si
chinò e la accarezzò, mentre il cane cercava di arrivare
al volto dell’uomo per leccarlo: “Ogni tanto dovresti
ricordarti che Sally gira armata. Non so quanti giudici la
condannerebbero, se ti sparasse, tenuto conto del modo in cui la
tratti.”
“Donovan non riuscirebbe a colpirmi nemmeno se fossi fermo immobile a mezzo metro da lei.”
“Ti sbagli. Sally è molto brava con la pistola.”
“Mi hai chiamato per parlare della dubbia abilità di
Donovan con le armi o per farti lavare la faccia da Honey oppure per
risolvere un caso al tuo posto?” Domandò Sherlock, in tono
secco.
“Vieni, andiamo dal cadavere. Honey, però, non può venire.”
“Lei verrà con noi. John la ha affidata a me ed io non ho
alcuna intenzione di lasciarla nelle mani dei tuoi uomini incompetenti.
Chissà come la tratterebbero. Da ora in poi, Honey sarà
sempre al mio fianco, perché è il mio nuovo assistente.
Se vorrai avere una mia consulenza, dovrai accettare la sua
presenza.”
Lestrade riuscì a nascondere il sorriso, che voleva increspargli
le labbra e sospirò, con finta rassegnazione: “E
sia.”
Insieme raggiunsero il cadavere e Sherlock si trovò finalmente immerso nel proprio elemento naturale.
Manca solo John, ma lui tornerà presto. Molto presto. E tutto sarà anche meglio di prima.
…
[05.30] 19 ore. SH
[05.40] 19 ore da cosa? JW
[05.41] 19 ore e 11 minuti. Dal nostro ultimo incontro. SH
[05.45] Stai contando il tempo che non passiamo insieme? JW
[05.46] Sempre. Sono stato 889 giorni lontano da te per la mia missione.
Mi è sembrata un’eternità. SH
[05.50]
È stato il periodo peggiore della mia vita. Come sta Honey? JW
[05.51] Sta bene. Oggi la ho portata sulla sua prima scena del crimine. Ha un grande fiuto per l’investigazione
e sa ascoltare come te. Sempre meglio di Donovan e di altri poliziotti incapaci, come lei. Sarà il mio assistente, fino al tuo ritorno. SH
[05.56] Non mettetevi nei guai. JW
[05.58]
Se tu fossi qui, potresti controllare cosa facciamo. Ti prometto che ci troverai entrambi qui, quando tornerai. SH
[06.01] Devo andare a fare degli esami. Buona indagine. JW
[06.02]
Non sarà mai buona, senza di te. Buoni esami. Ti scriverò presto. SH
…
[23.28] 204 ore e 58 minuti. Hai finito con gli esami preliminari? Avete stabilito la data dell’intervento? SH
[00.15] 205 ore e 13 minuti. Stai già dormendo? SH
[01.02] 206 ore. Mi sto annoiando. Il caso di Gary era da due scarso. Perché dormi già? SH
[05.25] 210 ore e 25 minuti. Sei sveglio? SH
[05.35] 210 ore e 35 minuti. In quell’ospedale hanno deciso di lasciarti dormire tutto il giorno? SH
[06.00] Perché non rispondi?
Mi stai facendo preoccupare. SH
…
La sveglia era suonata da poco e Mycroft stava correndo sul rullo,
quando il cellulare squillò, annunciando l’arrivo di un
messaggio. Anche senza guardare il mittente, sapeva già chi
fosse e cosa volesse. Attendeva il messaggio dal giorno prima e si
meravigliava che non fosse arrivato durante la notte.
[06.04] Dimmi dove si trova.
[06.07] Buongiorno a te, Sherlock. Sai che non ti posso dire dove sia
John. Immagino che lui non abbia risposto ad un tuo messaggio. È
stato operato ieri. Lo terranno in coma farmacologico per tutta la
giornata. Mi assicurerò che gli permettano di contattarti,
appena sveglio.
Il cuore di Sherlock iniziò ad accelerare i battiti. Operato. E non gli aveva detto nulla.
[06.08] Perché lo so solo ora? Come sta John?
[06.10] John sperava che tu fossi abbastanza impegnato con il caso, a
cui stavi lavorando, da non contattarlo. Se tu non avessi saputo nulla,
non ti saresti preoccupato. L’intervento è stato lungo e
complesso, ma sembra che sia andato bene. Ora aspettano che John si
svegli dal coma indotto, per capire quale sia il risultato che hanno
ottenuto.
Sherlock lanciò il cellulare sulla poltrona di John e congiunse le mani sotto il mento, quasi in preghiera.
Non
fare scherzi, John. Hai promesso che saresti tornato da noi, sulle tue
gambe. Non… ma a chi importa come tornerai? L’unica cosa
che voglio e di cui ho bisogno, è che tu torni. Tutto il resto
è superfluo.
Sherlock si chiuse nel proprio mind palace, nel piano dedicato a John,
richiamando il suo sorriso, la sua risata, i suoi occhi azzurri pieni
di ammirazione per lui. E lì si perse, sentendosi al sicuro e
pieno di fiducia nel futuro.
…
[16.57] 245 ore e 57 minuti. Sto bene. Immagino che tu ti sia preoccupato. Mi dispiace. JW
[16.59] file allegato jpeg
Sherlock aprì la fotografia e sospirò di sollievo. John
era ripreso in primo piano. Sherlock lo osservò attentamente,
ingrandendo l’immagine, fino quasi a renderla sfocata. John era
pallidissimo, con profonde occhiaie sotto gli occhi azzurri. Il sorriso
era tirato e forzato. Sembrava stanco
sfinito.
Oltre ai baffi, una leggera peluria biondiccia gli copriva il volto.
[17.10] Dovrai levare via tutta quella roba che hai sulla faccia. Ti fa
sembrare vecchio. A Honey barba e baffi non piacciono. SH
[17.15] Io pensavo di tenerli, perché mi donano un’aria seria e professionale. JW
[17.16] L’intervento ti ha procurato danni alla vista. SH
John emise una risata strozzata. Ridere gli faceva provare dolore, ma era bello poter ancora scambiare messaggi con Sherlock
il mio Sherlock.
[17.17] Vorrà dire che mi raderò. JW
[17.18] Mi manderai una foto? Così la mostro a Honey. Sente la tua mancanza e spera che tu torni il prima possibile. SH
[17.22] Anche io sento la sua mancanza. Ce la metterò tutta per tornare presto. JW
[17.23] file allegato jpeg
[17.24] Così non ti dimentichi come siamo fatti. SH
John aprì la fotografia che ritraeva Sherlock e Honey, nel
salotto di Baker Street. L’immagine era un po’ mossa e
sbilenca. John sorrise, pensando che la signora Hudson avesse scattato
la fotografia. Ingrandì l’immagine il più
possibile, concentrando la propria attenzione su Sherlock. Era sicuro
che l’uomo si prendesse cura di Honey, ma non era altrettanto
certo che lui stesso mangiasse e dormisse a sufficienza. Non gli
sembrò più magro dell’ultima volta in cui lo aveva
visto.
[17.45] Non potrei dimenticarmi di voi nemmeno volendo. State benissimo
insieme. Non strapazzatevi troppo o vi sgriderò, quando
tornerò. JW
[17.47] Non facciamo nulla che non approveresti. Riposa e torna presto. SH
Entrambi chiusero il programma dei messaggi e riaprirono le fotografie
appena ricevute, accarezzando il volto dell’altro con un dito.
Presto. Saremo di nuovo insieme. Presto.
…
Il caso era stato da cinque. Non male, tenuto conto di quello che gli
aveva propinato Lestrade, fino a quel momento. Sherlock aveva capito
che l’ispettore lo stesse tenendo occupato, per non fargli
sentire troppo la mancanza di John, ma questo non evitava sbuffate ed
insulti, nemmeno troppo velati, che Greg incassava senza fare una
piega. Per questo caso, Sherlock era discretamente soddisfatto, anche
se non lo avrebbe mai confessato a Lestrade. Non vedeva l’ora di
arrivare nell’appartamento per scrivere a John e raccontargli
tutto. Era diventata la loro routine, anche se non avevano un orario
prestabilito. Si scambiavano decine di messaggi al giorno
come due adolescenti innamorati
raccontandosi quello che avevano fatto. Sherlock parlava delle indagini
e di Honey, mentre John spiegava i progressi che stava compiendo,
grazie alla terapia fisica. Il consulente investigativo aprì la
porta del 221B di Baker Street, impaziente e stava per correre su per
le scale, quando notò che Honey lo aveva preceduto,
precipitandosi sulla porta del salotto, guaendo ed abbaiando, raspando
sull’uscio, come se cercasse di abbatterlo. Sorpreso, Sherlock la
raggiunse ed aprì la porta. Honey passò con irruenza e si
precipitò verso l’uomo seduto nella poltrona di fronte a
quella di Sherlock.
“Honey! Come sono contento di vederti! Oh, lo sei anche tu? Su,
da brava… così mi lavi la faccia…”
Sherlock rimase paralizzato sulla porta ad osservare la scena. John era
seduto sulla sua poltrona e Honey gli era volata addosso, drizzandosi
sulle zampe posteriori, appoggiando quelle anteriori sulle ginocchia di
John e leccandolo allegramente e convulsamente in ogni lembo di pelle
che riusciva a raggiungere. John le aveva preso il muso con le mani,
accarezzandola e cercando di arginare il gioioso assalto, che stava
subendo, mentre rideva divertito. Sherlock non riusciva a muoversi,
incredulo e felice, provando una profonda invidia per il cane, che
riusciva a manifestare la propria gioia, senza curarsi delle finte
rimostranze di John.
Perché
non riesco a saltargli addosso, come sta facendo Honey? Sono contento
di vederlo quanto e più di lei! Cosa è che mi blocca, che
mi impedisce di correre da lui e stringerlo a me, fino a togliergli il
fiato? Baciarlo, spogliarlo, amarlo… John non mi ha mai detto di
amarmi. Potrebbe essere venuto a prendere Honey ed andare via.
Eppure… nella sua lettera ha scritto che ha capito cosa provasse
per me, anche contro ogni sua aspettativa. Questo non significa che
anche lui mi ami?
“Ciao,” sussurrò John, vicinissimo a Sherlock, che
si riscosse dai propri pensieri, annegando negli occhi azzurri del
dottore, che lo fissava interdetto.
Quanto mi sono mancati questi occhi, così profondi, sinceri ed onesti.
“Non ti ho detto che sarei tornato, perché volevo farti
una sorpresa, ma, vista la tua reazione, forse avrei fatto meglio ad
avvisarti,” continuò John, iniziando a preoccuparsi.
Solo in quell’istante Sherlock notò che il dottore gli
stava davanti in piedi, reggendosi sulle proprie gambe ed appoggiandosi
ad un bastone, forse lo stesso che aveva quando si erano conosciuti.
John aveva notato cosa stesse guardando Sherlock e sorrise: “Devo
fare ancora qualche seduta di terapia, per rafforzare meglio i muscoli
delle gambe, dopo tanti mesi di inattività. Il bastone mi serve
solo per mantenere il giusto equilibrio, ma presto lo potrò
lasciare. In breve tempo, potrò tornare ad aiutarti a correre
dietro a criminali, pazzi ed assassini, coprendoti le spalle, come
facevo prima del tuo finto suicidio.”
Con il cuore che batteva impazzito, Sherlock afferrò il viso di
John e lo baciò. All’inizio fu qualcosa di caotico ed
impacciato, ma l’esperienza di John lo trasformò presto in
un bacio profondo ed appassionato, con le loro lingue che si
rincorrevano, si sfioravano ed intrecciavano, giocando gioiosamente,
mentre le mani facevano sì che i loro corpi si stringessero
l’uno all’altro. Quando si staccarono, erano quasi senza
fiato.
“Wow! Questo sì che è un bentornato,” sorrise John.
“Io… volevo che ti ricordassi che ti amo.”
“Quando ti credevo morto, ho avuto molto tempo per riflettere sui
sentimenti che provavo per te e ho capito che ti amavo, anche se
continuavo a dire a tutti di non essere gay. Solo che pensavo di averlo
compreso troppo tardi e questo mi stava distruggendo, facendomi sentire
in colpa per il tempo che avevamo sprecato a fingere di non provare
nulla l’uno per l’altro.”
“Quindi?” Domandò Sherlock, trattenendo il fiato.
“Entrambi abbiamo attraversato l’inferno, ma ora siamo qui,
insieme, consapevoli di ciò che proviamo l’uno per
l’altro. Io non ho intenzione di andare da nessuna parte. Vorrei
tornare a vivere qui, con Honey, naturalmente.”
“Naturalmente,” annuì Sherlock.
“Un rapporto a due si costruisce con il tempo e con pazienza, giorno per giorno.”
“Non capisco,” mormorò Sherlock, confuso e timoroso che John lo stesse respingendo.
“Non ho dubbi. So cosa hai sempre pensato dei sentimenti, ma
cercherò di farti capire cosa siano e come si gestiscano,
trascorrendo con te ogni istante del resto della mia vita, come amico,
assistente, confidente ed innamorato, se sei d’accordo”
“Completamente. Ora siamo fidanzati?”
John inclinò la testa, ridacchiando sommessamente:
“Entrambi pensiamo che l’altro sia interessante e che ci
piacerebbe conoscerlo meglio, più profondamente di chiunque
altro. Ci frequenteremo, andremo fuori a cena, parleremo, ci baceremo e
poi…”
“E poi…”
“Sarà quello che vorremo che sia.”
I due uomini si fissarono negli occhi, sorridendo felici.
“Io so che tu sei l’uomo che io voglio,” confessò John, senza riserve.
“Io so che tu sei l’uomo che io voglio,” ripeté Sherlock, in tono altrettanto sicuro.
Londra. I suoi milioni di abitanti. I suoi milioni di turisti. Le voci, le macchine. I parchi, i monumenti. La nebbia, il sole.
Londra respirava e viveva intorno a John Watson e Sherlock Holmes, ma
loro non la sentivano. I suoni di Londra si erano allontanati dal 221B
di Baker Street, facendosi ovattati e discreti, come se la città
stesse ritirandosi in silenzio, per non disturbare due anime sole, che
si erano riunite ed avevano trovato la felicità.
Angolo dell’autrice
Anche questa storia è giunta alla fine. Naturalmente, fra la
partenza ed il ritorno di John trascorrono mesi, ma non mi è
sembrato il caso di seguire tutta la convalescenza, perché,
secondo me, avrebbe appesantito il racconto. Così ho optato per
quella breve parte di text fic, per fare capire che il tempo passava,
ma che John e Sherlock continuavano a restare in contatto.
Credo che abbiate riconosciuto sia il titolo della storia che quello di
questo capitolo, ma, nel caso non sia così, sono entrambi titoli
di due brani di “Grease”.
Spero che la storia vi sia piaciuta.
Grazie a chi la abbia letta e segnata in qualche categoria.
Grazie ad emerenziano per la recensione allo scorso capitolo. Prima o poi riuscirò a rispondere a tutti!!
Se volete lasciare un commento, sarà sempre il benvenuto e vi ringrazio fin da ora.
Ciao!!!