Capitolo 2) L’espresso
per Hogwarts
-E’ semplice Nathan, tu ci dici dov’è, e
noi chiudiamo un occhio su tutta
questa facenda- intimò una voce fredda e calcolata.
-Ve lo ripeto per l’ennesima volta: non ho idea di dove sia!-
-Dicci dove si nasconde- chiese l’altra persona, insistendo.
-No! Fermi! Non potere farlo, NON POTETE FARLO!-
-Memorarum!-, la voce riecchegiò a lungo, perdendosi nello
spazio e nel tempo.
Nathan
si svegliò di soprassalto, e afferrò la bacchetta
in automatico, tenendola dritta nella mando e guardandosi attorno.
Ma la stanza era deserta, della voce non c’era alcuna traccia.
Era stato solo un sogno.
Ansimando, le mani tremanti, si lasciò andare in un sospiro
di sollievo, appoggiando
la testa sulla scrivania con fare esausto.
Rimase così per qualche istante, riflettendo.
Poi, aprì il suo diario, lo sfogliò fino a
trovare la pagina giusta, e cominciò
a leggere.
Svegliarsi quel primo settembre non fu certamente difficile.
Non erano neanche le 6 del mattino che già ero in piedi
nella mia stanza, a
rovistare nel baule per accertarmi che ci fosse tutto. I libri, il
calderone,
il set di provette in vetro, la bilancia d'ottone, i vestiti, mancavano
soltanto il telescopio e la divisa scolastica: il primo era ancora
montato
davanti alla finestra, dato che avevo passato le sere delle ultime 3
settimane
ad ammirare il cielo e i campi che circondavano Timworth. La seconda,
la stavo
indossando in quello stesso momento.
In piedi davanti al grande specchio della mia stanza, saltellai allegro
facendo
ondeggiare le vesti nere, la bacchetta in mano, agitandola e puntandola
vero i
mobili della stanza facendo finta di scagliare incantesimi.
Mi mossi verso la finestra, e aggiustando il telescopio, lo puntai
verso la
finestra della camera di John, due case più in la. Ma le
imposte erano ancora
serrate, John era solito dormire fino a tardi.
Passai le successive ore ad osservare il mondo mentre si svegliava,
appollaiato
alla mia finestra, il telescopio tra le mani.
Occupato com'ero a smontarlo, non mi resi neanche conto della porta che
si
apriva e di mia madre che entrava nella stanza.
-Nathan, ti avevo detto di mettere tutto a posto l'altra sera-, disse
sbuffando. -E già che eri in piedi, avresti per lo meno
potuto vestirti-.
La guardai per un attimo confuso. -Ma, sono vestito-, dissi indicandomi.
-Non essere sciocco, non possiamo arrivare a King's Cross vestiti da
maghi,
attireremmo troppo l'attenzione, e già in troppi lo fanno.
Rimettiti i jeans e
prendi una felpa, fa fresco stamattina-, e uscì chiudendo la
porta.
La sentii mentre andava a svegliare Tom, poi scese le scale e
sparì.
Con una smorfia, cominciai a cambiarmi, e rimisi la divisa a posto nel
baule.
Feci per posarci dentro anche la bacchetta, ma all'ultimo cambiai idea
e la
infilai nella tasca dei pantaloni. Anche se non ero ancora capace di
usarla,
sentire quel peso premere contro la gamba mi dava un certo senso di
sicurezza.
Scesi di corsa le scale ed entrai nella cucina illuminata dal sole del
primo
mattino.
Tom era già al tavolo intento ad imburrare una fetta di
pane, mentre scrutava
il retro della gazzetta del Profeta che mio padre reggeva penserioso
tra le
mani.
-Notizie dal Ministero?-, chiese mentre prendevo posto accanto a lui e
afferravo la scatola dei cornflakes.
-Le solite, Caramell sta approvando un sacco di nuovi decreti
legislativi-,
rispose lui pensieroso girando pagina.
-Ed è un bene o un male?-, chiesi io. Non ne capivo molto di
politica, ma
cercavo sempre di partecipare ai discorsi tra mio padre e mio fratello.
-Beh, potrebbe essere entrambe le cose. E' un bene che Caramell si
occupi di
alcuni problemi nel sistema giudiziario e cerchi di sistemarli, ma se
continua
questa sua politica legislativa in futuro potrebbe arrivare ad avere
troppo
potere e ad emanare decreti come più gli pare e piace. Oh,
no...Emilia...-,
disse all'improvviso cupo, alzando lo sguardo verso di mia madre. -E'
morto il
signor Barnabey...-
-Oh cielo...-, mia madre si avvicinò e diede un'occhiata
alla pagina del
necrologio. -Infarto...almeno non ha sofferto-, disse mentre una
lacrima le
annebbiava gli occhi.
-Aveva 92 anni tesoro, prima o poi doveva andarsene-, mio padre le
cinse la
schiena con un braccio.
-Chi era il signor Barnabey?-, chiesi io lentamente, come temendo di
disturbarli con la mia domanda.
-Era il nostro professore di incantesimi, quando frequentavamo
Hogwarts, una
persona davvero dedicata e gentile-, rispose mio padre sorseggiando il
suo
caffè.
-Una volta siamo rimasti svegli fino alle 4 del mattino
affinché io imparassi
l'incantesimo di appello. Continuavo a lamentarmi del fatto che era
tutto
inutile e che non ci sarei mai riuscito, ma lui non demordeva, dicendo
che
saremmo stati svegli anche fino all'alba se era necessario, ma che fino
a che
quel maledetto cuscino non sarebbe sfrecciato per la stanza, nessuno
dei due
avrebbe chiuso occhio-, raccontò allegro, e mia madre lo
guardò sorridendo,
probabilmente ricordando anche lei altri episodi. -Era sempre stato
molto
affezzionato ai suoi studenti, pochi insegnanti ad Hogwarts avevano la
sua
dedizione-.
Il resto della colazione fu tranquilla, i miei genitori continuarono a
chiacchierare ricordando il professor Barnabey, mentre Tom spulciava il
giornale.
Alle 10.30 eravamo tutti e quattro di fronte al camino del salotto,
dove un
allegro fuoco scoppiettava nonostante fosse ancora estate. Questa volta
mia
madre non aveva voluto sentire scuse, e aveva detto che avrebbe
preferito
correre il rischio di perdere i bagagli piuttosto che farsi di nuovo
tutte
quelle ore di viaggio in treno.
-Bene Emilia, andrai tu per prima con un baule, seguita da Tom e
Nathan, e
chiuderò io la fila portando il resto dei bagagli-,
indicò mio padre.
Mia madre fece un cenno d'assenso con il capo, prese un pizzico di
polvere
scintillante, si avvicinò al fuoco e la gettò tra
le fiamme. Una colonna di
fuoco verde smeraldo s'innalzò all'istante, rischiarando
tutta la stanza.
Afferando il baule di Tom per la maniglia, saltò tra le
fiamme gridando -Paiolo
Magico- e scomparve.
Tom la seguì qualche istante dopo, e in un attimo era
sparito anche lui.
-Ora, ricordati di tenere le braccia strette al corpo, e di parlare in
maniera
chiara, va bene?-, mi raccomandò mio padre porgendomi il
vaso contentente la
polvere.
Io ne presi una mano abbondante facendo di sì con il capo.
Con un attimo di esitazione, scagliai la polvere nelle fiamme, che
diventarono
di nuovo smeraldine. Saltai dentro, e urlai -Paiolo Magico!-.
Ebbi la sensazione di essere risucchiato in un enorme imbuto, e tutto
intorno a
me cominciò a vorticare velocemente. Vidi una serie di
immagini confuse
scorrermi rapide davanti agli occhi, e scrutando attraverso le fiamme
mi resi
conto che erano camini. Dopo quella che mi parve
un'eternità, riconobbi
finalmente l'interno del Paiolo Magico attraverso una delle centinaia
di
finestre. Mi sporsi in avanti, e all'improvviso mi sentii cadere verso
il
pavimento di pietra del locale. Chiusi gli occhi, aspettandomi
l'impatto, ma
invece qualcuno mi prese per le spalle fermandomi all'ultimo.
-Ottimo tuffo, signor Zeller. Ha un po' mancato sull'atterraggio, ma un
8.7 ci
sta tutto-, disse una voce familiare.
Alzai lo sguardo, e mi ritrovai un John raggiante davanti agli occhi.
Alan e Clarice Lane, i genitori di John, mi salutarono allegramente, e
mia
madre mi corse incontrò per assicurarsi che stessi bene.
Qualche secondo dopo apparve anche mio padre con il mio baule, e Alan
gli corse
incontro per abbracciarlo come se non si vedessero da mesi.
Bauli alla mano, finalmente uscimmo tutti quanti dal paiolo magico e ci
incamminammo verso la stazione di King's Cross.
Era una fresca mattina di Settembre, e Londra sembrava più
viva e allegra che
mai.
Decine di famiglie recanti grossi bauli sormontati da gabbie contenenti
gufi,
gatti o rospi passeggiavano per le strade, tutti diretti verso la
grande
stazione.
King's Cross era più affollata che mai. Ovunque sui binari
uomini e donne
indaffarate scorrevano veloci, trascinandosi i bagagli dietro, chi
passeggiando
tranquillo, chi correndo. Io avevo occhi solo per i grandi numeri
disegnati
sulle placche che scorrevano veloci sopra la nostra testa.
3, 4, ancora qualcuno, 5,6, una donna schiamazzava urlando qualcosa
contro una
delle guardie, 7,8 la fila di carrelli scorreva davanti ai miei occhi,
i più
lontani scomparendo improvvisamente nel nulla, 9,10, finalmente,
eravamo
arrivati.
La parete di mattoni rossi svettava immobile tra i binari 9 e 10.
Io e John ci guardammo sorridenti, fremendo dall’eccitazione,
mentre gli altri
da dietro ci raggiungevano spingendo i carrelli carichi di bagagli.
-Alan, andate prima voi?-, chiese mio padre guardando il signor Lane.
-Come preferisci, vecchio mio-, impugnò saldamente il
carrello con entrambe le
mani, diede una rapida occhiata attorno per accertarsi che nessun
babbano
stesse arrivando, e dopo una rapida corsa era già sparito
oltre il muro.
-Andiamo John-, disse Clarice prendendo il figlio per mano.
-Ci vediamo dall’altra parte-, mi disse con un gesto della
testa, e qualche
secondo dopo erano entrambi spariti.
-Posso andare per primo, per favore?-, chiesi girandomi verso i miei
genitori.
Per tutta risposta, Tom mi poggiò una mano sulla schiena,
trascinandomi con lui
verso il muro.
Mio fratello cominciò ad aumentare il passo, sempre senza
mollare la sua presa
su di me, e io feci lo stesso. Chiusi gli occhi mentre la barriera si
avvicinava al mio volto, sempre più veloce, sempre
più vicina, ma non ci fu
nessun scontro.
Sentì il suono del mondo cambiare bruscamente nelle mie
orecchie mentre
attraversavo il muro, come quando si immerge la testa
sott’acqua e per qualche
istante sembra che ogni rumore venga risucchiato in un enorme imbuto.
Ma fu questione di un attimo, e subito il silenzio rumoreggiante della
stazione
di King’s Cross mutò in un caotico vociare di
ragazzi, genitori, e animali.
Aprì gli occhi, e con un sentimento misto di gioia e timore,
mi ritrovai
davanti il grande espresso scarlatto. Sul suo muso torreggiava a grandi
lettere
dorate la scritta ‘Espresso per Hogwarts’, mentre
un perlaceo filo di vapore
usciva dal cunicolo centrale.
-E anche più grande di quanto mi ricordassi…-,
dissi io assente.
-E anche più grande di quanto mi immaginassi-, rispose John
a bocca aperta.
Mi ero scordato che John, non avendo fratelli, non era ancora mai stato
sul
binario 9 e 3/4, a differenza di me che ero venuto ogni anno ad
assistere alla
partenza di Tom.
-Vi consiglio di salire subito e cercarvi un compartimento, se non
volete
passare il viaggio in piedi-, disse Tom trascinando il suo baule verso
una
delle porte.
-Tuo fratello ha ragione Nathan, andate ad esplorare, ci occupiamo noi
dei
bagagli-, disse tranquillo mio padre.
Io e John non ce lo facemmo ripetere due volte e ci dirigemmo di corsa
verso
una delle porte dell’espresso.
Nonostante mancasse ancora un quarto d’ora alla partenza, il
treno era già
affollatissimo. Ragazzi e ragazze correvano ovunque. Molti erano ancora
in
vestiti babbani, ma c’era anche chi non aveva perso tempo e
si era già cambiato
nelle vesti da mago. Ovunque c’erano guizzi di luce colorata
e piccole
esplosioni, mentre gli studenti davano sfogo a tutti gli incantesimi
repressi
in quei due mesi lontani dal castello.
Come aveva previsto Tom, molti dei compartimenti erano già
occupati. I gruppi
di amici si stavano già riunendo, ognuno prendendo residenza
nei vari
compartimenti. Arrivammo davanti ad uno che a prima vista pareva vuoto,
ma che
ad un secondo sguardo rivelò un ragazzino del primo anno con
i capelli
disordinati e degli occhiali aggiustati con lo scotch sugli occhi.
Lo guardai per un attimo incuriosito: indossava dei vestiti babbani, i
quali
erano però ovviamente di qualche taglia più
grossi, e sembravano ricadergli
addosso come una strana coperta.
Stavo per entrare, quando John mi chiamò da qualche metro
più avanti. Mi
avvicinai e mi mostrò tutto soddisfatto un compartimento
deserto.
Ci sedemmo entrambi di fianco alla finestra, uno di fronte
all’altro, e ci
guardammo soddisfatti.
Ci sporgemmo dalla finestra, osservando la frenesia che sembrava
pervadere il
binario.
Non avevo mai visto così tanti ragazzi insieme, ed era
curioso pensare che da
quel giorno li avrei visti quotidianamente, e perché no, ne
avrei anche
conosciuti alcuni.
I gufi si chiamavano l’un l’altro dalle gabbie
appollaiate in cima ai carrelli,
e la folla rumoreggiava del vociare di centinaia di persone.
-Dai, Lee, un’occhiata soltanto!-
Notai una piccola folla che circondava un ragazzo dai capelli ricci.
Questi
sollevò il coperchio di una scatola che teneva tra le
braccia e qualcosa, da
dentro, sporse una lunga zampa pelosa. Quegli che gli stavano attorno
cominciarono a gridare.
-Tutto bene lassù?-, il padre di John si avvicinò
a noi dal binario, seguito
dal resto dei nostri genitori.
-Oh si, alla grande, ancora 5 minuti, e non dovrò
più vedervi per qualche mese-,
gli rispose John con un sorriso.
-Cercate di non cacciarvi in troppi casini voi due-, ci
apostrofò mio padre. -Sopratutto
tu, Nathan. Confido nel fatto che tu segua il buon esempio di tuo
fratello-.
-Mhh, sì, certo-, bofonchiai io. Tom era sempre stato uno
studente modello,
adorato da tutti i professori e soprattutto dai miei genitori. Nessuno
si era
stupito quando quest’estate aveva ricevuto la spilla da
Prefetto, e nessuno si
sarebbe stupito se fosse diventato caposcuola fra qualche anno.
-Fate i bravi, e impegnatevi. A Hogwarts non ci sarà nessuno
a preoccuparsi del
fatto che voi facciate i compiti o meno, quindi per favore, cercate di
essere
responsabili-, ci ammonì mia madre seria.
-Tranquilla ma', tanto ci sarà sempre Tom a starci con il
fiato sul collo.
Sperò solo di non finire in Corvonero, non potrei sopportare
altri 3 anni
insieme a lui-, dissi io con una smorfia.
-Nathan!-, mia madre sembrava arrabbiata, ma mio padre ed Alan ridevano
entrambi.
-Beh, qualunque cosa succeda, una cosa è certa: nessuno
separerà voi due-,
disse Alan sorridente.
-Se finiamo in Serpeverde, io risalgo sul treno e me ne torno dritto a
casa,
sappiatelo-, esclamò John serio.
-No, non lo farai. Non fatevi preconcetti sulle case, ragazzi, sono
mondi che
dovrete scoprire da voi, come imparerete nel tempo-, spiegò
mio padre.
Stavo per ribattere, quando un lungo fischio annunciò
l’imminente partenza del
treno.
Sentimmo le porte sbattere con un tonfo sordo, e il vagone
cominciò lentamente
a vibrare.
Le nostre famiglie ci fecero le ultime raccomandazioni mentre il treno
prendeva
piano piano velocità. Sporgendo dalla finestra, salutammo
agitando le mani
entusiasti, finché l’espresso per Hogwarts non
girò a destra, e il binario 9 e
3/4 scomparve dalla vista.
Chiudemmo il finestrino, e ci sedemmo uno di fronte all’altro.
-E così, finalmente, ci stiamo andando per davvero-, dissi
io tutto sorridente.
-Hogwarts, è solo, cosa, tutta la mia vita che aspettavo
questo giorno?-,
rispose John sarcastico.
Scoppiammo entrambi a ridere, ma tutto ad un tratto John
diventò serio.
-Cosa c’è che non va?-
-E se succede davvero?-, chiese lui pensieroso.
-Se succede cosa?-
-Se finiamo davvero a Serpeverde?-.
Lo guardai un po’ sorpreso, colto alla sprovvista da questa
domanda. Ovviamente
ci avevo pensato anche io, negli ultimi mesi, in che casa sarei finito.
-Sinceramente, mi sembra impossibile che tutti i Serpeverde siano
cattivi.
Credo sia solo uno stupido luogo comune-, spiegai io semplicemente.
-Beh, ma…-, John abbassò lo sguardo. -Tu-sai-chi
era un Serpeverde-.
Sbuffai. -Ma sarebbe potuto anche essere un Tassorosso per quel che ne
sappiamo, e sarebbe finito probabilmente nello stesso modo. E poi-,
aggiunsi
abassando la voce. -Non è che Azkaban sia popolata solo da
Serpeverde eh, c’è
luce ed oscurità in tutti noi-.
-Wow-, disse John divertito.-Se la carriera da mago ti va male,
potresti sempre
finire a dirigere la sezione delle poesie del Gazzeta del Profeta-.
-Oh, finiscila-, dissi facendogli un gestaccio con la mano.
All’improvviso la porta dello scompartimento si
aprì, ed un ragazzino alto e
magro dai capelli
neri apparve
sull’uscio.
-Ehm, scusate-, disse imbarazzato.-Tutti gli altri vagoni sono pieni e
mi
chiedevo se…-
-Ma certo!-, disse John ancora prima che potesse finire la frase,
indicandogli
il posto accanto a se.-Accomodati pure-.
Il ragazzo sospirò sollevato e si lasciò cadere
nel posto indicato.
-Piacere, sono Nathan Zeller, e questo è John Lane-, ci
presentai io
tendendogli la mano.
-Samuel Edge, ma tutti mi chiamano Sam-, si presentò lui a
sua volta.
-Hai fratelli o sorelle ad Hogwarts, Sam?-, chiese John curioso.
-Oh no…-, Sam lo guardò per un attimo, sembrando
quasi in imbarazzo. -A dire il
vero, neanche sapevo dell’esistenza di Hogwarts fino a
qualche mese fa-.
-Ohh-, esclamammo all’unisono sia io che John.
-Sei un nato babbano?-, chiese lui.
-Esatto, è stata un po’ una grande sorpresa per i
miei quando abbiamo ricevuto
la lettera. Mia madre stava per avere un colpo quando un gufo
è calato dalla
finestra nella cucina-, raccontò ridendo, e io e John lo
ascoltammo divertiti. -Per
me è stato un grande sollievo, avevo cominciato a fare cose
strane che non
riuscivo a spiegarvi e pensavo di star impazzendo. Una volta, ero
seduto sul
divano e non avevo voglia di alzarmi per prendere un libro, e questi si
è
alzato a mezz’aria ed è volato verso di me!-
-Un semplice incantesimo di appello-, commentò John con aria
da saccente.
-E una volta, ho per sbaglio accesso un fuoco nel giardino. Quella
volta mi ero
spaventato davvero, temevo di essermi trasformato in un qualche mostro.
Quindi
è stato tranquilizzante ricevere la lettera che mi spiegava
che ero un mago, mi
ha fatto capire un po’ di cose-, disse sollevato.-Poi,
c’è stata una volta
quando…-
Ma la frase di Sam fu interrotta a metà dalla porta che si
apriva e
dall’entrare di un ragazzino basso dai capelli color sabbia.
-Grandioso, anche questo è occupato-, borbottò
lui. -Scusate-, e fece per
andarsene.
-Qui abbiamo abbastanza posto, siediti pure se vuoi-, dissi amichevole
indicando il posto di fianco a me.
-Ohh, ti ringrazio-, disse lui richiudendosi la porta alle spalle. -Non
avete
IDEA di quanti vagoni ho già passato. Quelli più
grandi snobbano completamente
i piccoli, e ho provato a infilarmi in un gruppo del primo anno ma fra
poco mi
prendevano a pugni, un ragazzino pallido dai capelli biondi mi ha
praticamente
scagliato contro i suoi due amici che vi giuro, se esistessero dei
troll umani,
assomiglierebbero a quelli-.
-Cosa sono i troll?-, chiese Sam curioso.
-Come cosa sono i troll?-, il ragazzino dai capelli biondi lo
guardò come se
cercasse di capire se lo stesse prendendo in giro o meno.
-Sam è un nato babbano-, spiegò John. -Non
conosce ancora bene il mondo magico-.
La bocca del ragazzo si raccolse in una perfetta O di stupore. -Mio
padre mi
aveva detto che esistevano maghi che provenivano da famiglie babbane,
ma
pensavo mi stesse prendendo in giro!-.
Sam abbassò lo sguardo, di nuovo in imbarazzo. Il ragazzo lo
notò e si rese
conto solo allora di come la sua frase era suonata.
-Ohh, perdonami, non era detto in modo negativo, e solo che non mi era
mai
capito prima d’ora di parlare con qualcuno che non fosse
cresciuto in una
famiglia di maghi. Ho sentito dire che hanno inventato un sacco di cose
incredibili per rimediare all’assenza di magia, è
vero?-.
-Si, la nostra tecnologia è molto più sviluppata,
per esempio non ho visto
niente di elettrico a Diagon Alley-, spiegò lui. Sembrava
che parlare del mondo
babbano lo facesse sentire più a suo agio.
-Cosa diamine è un ‘elettrico’?-, chiesi
io confuso.
Sam ci parlò a lungo del mondo babbano, e di tutti i loro
modi di fare e dire,
e noi gli spiegammo lo stesso del mondo magico. Scoprimmo che il
ragazzo biondo
si chiamava Ernest Macmillan. Aveva dei modi un po’ pomposi e
non ero ancora
sicuro se mi piacesse o meno come persona, ma sapeva anche essere
simpatico
quindi per il momento non me ne preoccupai molto.
Mentre eravamo intenti a chiacchierare, dal corridoio sentimmo
provenire un
vociare confuso, e dopo qualche minuto una donna sorridente apparve
alla porta.
-Desiderate qualcosa dal carrello, cari?-
Tutti e 4 scattammo in piedi e ci avvicinammo al carrello strapieno di
dolci e
dolcetti. Noi tre eravamo abituati a quelle cose, ma Sam guardava tutto
con un
misto di sorpresa e confusione. Io e John gli spiegammo cosa erano le
varie
cose, illustrandogli le gelatine tutti giusti+1, le cioccorane, le
bacchette
magiche alla liqurizia, le gomme bolle bollenti, i zuccotti di zucca, i
ciococalderoni, e molte altre.
Alla fine lui comprò una grande confezione di gelatine e
qualche cioccorana, e
rimase decisamente colpito quando aprendole una di questa
cominciò a saltellare
per tutto il compartimento.
Eravamo intenti a mangiare quando la porta si aprì per
l’ennesima volta ed un
ragazzino dal volto rotondo entrò.
-Scusate, avete per caso visto un rospo?-.
-No, ma se vuoi qui ho una rana-, rispose Sam alzando la cioccorana.
-Oh…grazie comunque…-, ed uscì tetro.
-Voi avete portato degli animali?-, chiese Sam. -Io a casa avevo un
pastore
tedesco, ma la lettera non diceva che si potessero portare cani a
Hogwarts-.
-Mhh io no, ma mio fratello Tom ha un gufo-, risposi io pensieroso. -In
effetti
un po’ mi pento di non averne chiesto uno anche io-.
-Tranquillo, se avrai bisogno di un gufo posso sempre prestarti
Hesper-, disse
John mordicchiando una bacchetta alla liqurizia. Hesper era la sua
civetta.
-A cosa servono esattamente i gufi?-, chiese Sam.
-Beh, essenzialmente consegnano la tua posta-, spiegò Ernest.
-Ah, pensavo fosse una cosa che si faceva solo per le lettere di
Hogwarts-,
spiegò lui.
Il pomeriggio prosegui tranquillo, tra chiacchiere e risate. Ernest
cominciò a
vantarsi di come conoscesse già decine di incantesimi, ma
quando gli chiedemmo
di mostrarcene qualcuno, disse che aveva dimenticato la bacchetta nel
suo
baule.
Sam ci mostrò un album di fotografie ritraente la sua
famiglia, dove le
immagini stavano ferme anzichè muoversi come avrebbero
dovuto fare.
La sera stava calando, e le montagne e le foreste si stagliavano contro
il
cielo arancione. Il treno stava lentamente rallentando.
Tutti e quattro ci togliemmo le giacche ed infilammo le tuniche nere,
mentre
una voce risuonò per tutto il treno: ‘Tra cinque
minuti arriveremo a Hogwarts.
Siete pregati di lasciare il bagaglio sul treno; verrà
portato negli edifici
della scuola separatamente’.
Io e John ci guardammo emozionati, mentre il treno finalmente si
fermava.
Ci accalcammo fuori nel corridoio insieme alla marea di studenti, che
procedeva
a spintoni verso gli sportelli, e poi sul marciapiede buio.
Rabbrividì nel freddo della notte e mi strinsi nella veste,
quando
all’improvviso una luce si accese sopra le nostre teste.
Una voce grossa tuonò -Primo anno! Primo anno da questa
parte!-.
Un uomo enorme torreggiava sopra tutti loro, il faccione peloso che
sorrideva
in un groviglio disordinato di capelli e barba.
-Coraggio, seguitemi…C’è qualcun altro
del primo anno? E ora attenti a dove
mettete i piedi. Quelli del primo anno mi seguano!-
Scivolando e incespicando, seguimmo l’omone per quello che
sembrava un sentiero
stretto e ripido. Tutto attorno a noi il buio ci avvolgeva, e la
lanterna
dell’uomo era l’unica fonte di luce in quella
oscurità.
-Fra un attimo: prima vista panoramica di Hogwarts!-,
annunciò l’uomo parlando
da sopra la spalla. -Ecco, dopo questa curva-.
Svoltammo l'angolo, e ci fu un coro di ‘oooooh’!
Lo stretto sentiero si era aperto all’improvviso dando sul
bordo di un grande
lago nero. In lontananza, appollaiato in cima ad una montagna, il
castello di
Hogwarts si stagliava contro il cielo puntellato da migliaia di stelle.
Le
numerose torre e torrette si innalzavano verso l’alto, e le
finestre
scintillavano dorate nel buio della notte.
John mi diede un colpo sul braccio mentre ammiravo a bocca aperta lo
spettacolo.
-Ci siamo-, mi disse tutto sorridente.
-Ci siamo-, ripetei io altrettanto raggiante. -Siamo a Hogwarts-.
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