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I Delitti Del Cuoco - Francesco [Vorrei Che...]
{
Disclaimer | I personaggi
presenti nella serie non mi appartengono, ma sono proprietà di Fran
Drescher
e Peter
Marc Jacobson,
che ne detengono tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta
a scopo di lucro. }
{
Note dell'autrice | "La
tata" è probabilmente la prima sitcom della quale mi sia
innamorata – e questo, anche se un po' mi scoccia dirlo, è
avvenuto all'incirca vent'anni fa. Certo, all'epoca non capivo i
doppi sensi e le frecciatine e mi limitavo a ridere per la
straordinaria mimica facciale di Fran Drescher e Daniel Davis. L'ho
però ripresa, recentemente, e ho scoperto che non mi ha mai
abbandonata – e anche dopo vent'anni, è ancora una delle sitcom
più originali e divertenti che abbia mai avuto l'onore di guardare.
Senza contare che soltanto adesso ho imparato ad apprezzare lo
straordinario fascino del signor Sheffield. }
{
Timeline | Post 5x14, "Mille
e una tata" }
Alla
mia socia, DadaOttantotto, perché non so a chi altri
potrebbe
interessare una parola di ciò che scrivo.
E
a Kashmir, che oltre ad essere un'altra potenziale vittima
condivide
il mio amore per tutto ciò che è british.
Confessioni notturne
New York, primavera 1998
Gracie entra in casa
trascinandosi dietro la valigia, ansiosa di raccontare a Maggie e
Brighton ogni dettaglio della sua splendida vacanza in Medioriente.
Rimasto solo con la tata, il signor Sheffield chiude la porta, pronto
a godersi la pace dell'anticamera. Stringe
a sé Francesca, prendendosi un istante prima di dirle ancora che
l'ama, ma quell'attimo di esitazione rivela una strana sfumatura
negli occhi della donna. «Va tutto bene, Francesca?»
«Splendidamente,
ora che sono di nuovo a casa»
risponde lei, piegando gli angoli della bocca in un sorriso radioso.
«Però non posso fare a meno di domandarmi quanto ci vorrà perché
cambi di nuovo idea. Non mi illudo certo che questo ti
amo sia quello definitivo»
aggiunge dopo un istante, mentre il suo bel volto si rabbuia.
Ed
è in questo momento che il signor Sheffield capisce di averla
ferita, di averlo fatto così tante volte e così profondamente da
non meritare alcun perdono. Stringe un po' di più la presa sui suoi
fianchi sottili e si rende conto di non avere scuse, perché cinque
anni sono davvero troppi per ammettere di aver bisogno di qualcuno
accanto, soprattutto quando quella persona è sempre stata lì – ed
è sempre stata lì per te.
«Mi dispiace molto di averti fatta soffrire, Francesca» sussurra,
così piano che non è nemmeno sicuro che lei possa sentirlo. «Sono
stato un grande idiota per la maggior parte del tempo» aggiunge, e
quasi riesce a sentire l'eco della voce di Niles che grida Sì,
signore, lo è stato! «Ma ti
prometto che ora farò del mio meglio per rimediare ai miei errori.»
Poggia lievemente le proprie labbra sulle sue, senza riuscire a
comprendere i motivi che l'hanno spinta a rimanere in quella casa
nonostante tutti i suoi dubbi, nonostante le incertezze, nonostante
le dichiarazioni ritrattate e le innumerevoli occasioni di costruirsi
una felicità sicura. Pensa che deve amarlo davvero molto per essere
riuscita a vincere ogni istinto di fuga.
Sono
le tre di notte, e in casa Sheffield tutti dormono. Tutti dormono, ma
Francesca no. Dovrebbe essere sfinita dal fuso orario, stremata per
il viaggio e frastornata dalla realizzazione del suo sogno di sempre,
eppure non le riesce di chiudere gli occhi e scivolare tra le braccia
di Morfeo. Vorrebbe addormentarsi e sognarsi sposata, o meglio ancora
scoprire di esserlo già quando riaprirà gli occhi, ma c'è qualcosa
che continua a tormentarla – un tarlo che continua a roderle il
cuore e non vuol saperne di lasciarla stare, tanto che sta pensando
di battezzarlo zia Assunta.
Quando
finalmente decide di prendere in mano la situazione e fare qualcosa
per risolvere il problema, sono quasi le tre e mezza. Esce dalla
propria camera in ciabatte e senza nemmeno indossare la vestaglia
sopra il pigiama, ma a metà strada verso la cucina cambia idea,
sicura che ad un'abbuffata di gelato sia preferibile affrontare la
cosa di petto.
Bussa alla porta della
camera da letto del signor Sheffield, senza ricevere risposta.
D'altronde, sono le tre e mezza del mattino – un'ora in cui la
gente normale, di solito, non fa altro che dormire. Scoprendosi
ignorata, Francesca non si fa problemi ad aprire la porta e farsi
avanti nella stanza semibuia, proprio come fosse casa sua. Il signor
Sheffield dorme, e Dio solo sa se lei non vorrebbe vederlo sempre con
quell'espressione così beata e tranquilla. Ma come si fa a stare
tranquilli quando si condivide la casa con un ciclone?
Si avvicina al letto in
punta di piedi, attenta a non fare rumore. Alza una mano e accarezza
il bel ciuffo grigio del signor Sheffield, sorridendo al pensiero di
quanti mesi ci siano voluti per fargli acquistare quel dettaglio che
lo rende così interessante. «Maxwell» sussurra, chinandosi appena
per farsi sentire meglio. «Maxwell» ripete, e a quel secondo
richiamo il signor Sheffield finalmente apre gli occhi.
«Francesca, che succede?
Ti senti bene? Uno dei ragazzi sta male?»
«No, stanno tutti bene. È
solo che non riuscivo a dormire, e allora ho pensato... ho pensato
fosse il momento giusto per scambiare due parole con te. Scusa per
l'ora.»
«Figurati, hai fatto bene
a venire qui» risponde lui, mettendosi a sedere mentre si strofina
il volto. Fino ad un paio di giorni fa si sarebbe indispettito, ma
ora non più – non dopo che lei si è anche scusata per il pessimo
tempismo. «Siediti e dimmi tutto» aggiunge, spostandosi un po' per
farle spazio. «Che succede, Francesca?» le domanda, accarezzandole
i lunghi capelli sciolti sulle spalle.
«Penso che potresti aver
commesso uno sbaglio, laggiù in Medioriente» comincia lei,
abbassando lo sguardo. «Quando hai detto di amarmi» specifica,
quasi ce ne fosse bisogno. «Forse sul momento ti sembrava la cosa
più giusta da fare, ma temo che potresti aver commesso uno sbaglio.»
«Intendi... intendi forse
come quando ho detto di amarti perché temevo che l'aereo
precipitasse e poi ho ritrattato?»
«Sì, qualcosa del
genere.»
«Ma è passato più di un
anno, Francesca» replica lui con lo stesso tono accondiscendente che
userebbe con la figlia minore. «Non sono più l'uomo che è tornato
da Parigi.»
«Il
punto è proprio questo, Maxwell. Nemmeno io sono più la donna che è
tornata da Parigi» gli fa eco lei, sollevando finalmente lo sguardo
per guardarlo negli occhi. «Se dovessi di nuovo decidere di fare
marcia indietro, questa volta non credo potrei sopportarlo. Sarei
costretta ad andarmene. E non come tutte le volte in cui ho
minacciato di andarmene e poi sono tornata» aggiunge, gesticolando
nella maniera buffa e insensata che ha contributo a fare di lei la
sola donna che Maxwell riesca ad immaginarsi accanto. «Vivere di
nuovo con zia Assunta e zio Antonio sarebbe più sopportabile che
vivere con un uomo che continua a rifiutarmi.»
«Francesca, perché temi
che potrei ritrattare ancora?»
«Perché tu sei fatto
così. Ti piace che il mondo ti veda come un uomo integro e
coraggioso, ma ogni volta che hai l'occasione di uscire dagli schemi
te la fai sotto dalla paura. Non fraintendermi, è anche questa una
delle cose che amo di te. Solo, non credo potrei sopportarla più a
lungo di quanto abbia già fatto.»
Maxwell
smette di accarezzarle i capelli, comprendendo di non aver mai
pensato davvero
ai bisogni della tata, ma soltanto a sé. «Sono stato un grande
egoista, Francesca. Me ne rendo conto soltanto adesso» sussurra
nella penombra della stanza. «Se fossi in te, non so quante volte mi
sarei già preso a schiaffi.»
«Bada, non mettermi in
testa strane idee» sorride lei, riprendendo quell'espressione serena
che tanto le si addice. «Voglio solo essere certa che tu sia sicuro
di quello che stai facendo. Sono sempre stata una che perdona, ma
quando è troppo è troppo.»
Maxwell le si avvicina un
po', cercando i suoi occhi scuri per rivelar loro, finalmente, la
verità che si cela nei propri. «Francesca, credo di amarti da anni.
Da molto prima di Parigi, in effetti. Sei la prima donna che mi abbia
fatto provare il desiderio di ricominciare dopo la morte di mia
moglie. Sei la prima che non sia scappata urlando di fronte ad uno
degli scherzi di Brighton, la prima che sia riuscita a far uscire
Maggie dal suo guscio. E sei anche la sola persona al mondo di cui
Gracie si fidi ciecamente.»
«Se la metti in questi
termini, mi viene da pensare che forse dovrei sposare i tuoi figli»
replica lei, incapace di rimanere seria per più di cinque minuti.
«Proprio perché la metto
in questi termini dovresti renderti conto che non ritratterò»
riprende lui, poggiando la propria mano sulla sua. «Non sei
importante solo per me, Francesca. Sei importante per tutti noi.
Credo che Niles inizierebbe a portare il lutto, se te ne andassi»
conclude, strappandole una risatina. «Spero che tu non abbia
intenzione di andare da nessuna parte, perché io non ho più voglia
di scappare.»
«Dici davvero?»
«Dico
davvero» sussurra ancora lui, prima di avvicinare il proprio viso al
suo per un bacio, con un po' di fortuna il primo di una serie
infinita. Le braccia di Francesca salgono a cingere il suo collo, e
mentre la stringe di più a sé Maxwell sente di non aver più voglia
di tergiversare, di non aver più intenzione di sfuggire a quello
che, ormai lo riconosce, è il suo destino. «Stanotte resta qui»
sussurra ancora, spostando la propria bocca sul lungo collo
aggraziato della donna che sposerà.