-Ah, non vedo l'ora di poter andare a dormire: sono distrutto!-.
Mio fratello aveva sottolineato le sue parole con un sonoro sbadiglio e
stiracchiandosi, per poi appoggiare la testa contro la parete
dell'ascensore.
Eravamo di ritorno dalla festa a sorpresa che io, Fujin e Raijin
avevamo organizzato per lui in occasione dei suoi diciotto anni e
avevamo fatto piuttosto tardi.
Avevo evitato per un pelo il suo braccio, in pericolosa rotta di
collisione con il mio mento, e lo avevo abbassato con la mano per
guardarlo meglio in faccia:
-Sul serio? Allora non vuoi vedere il mio regalo?- avevo domandato,
leggermente risentita. Il braccio di Seifer si era fermato a mezz'aria
sotto la mia mano, prima di ruotare dietro di me e circondarmi le
spalle:
-Certo che sì...era solo per dire, no?-.
-Sei ubriaco, maledizione. Vorrei che lo vedessi da lucido,
è più sicuro- avevo constatato nervosa,
realizzando solo in quel momento che eravamo arrivati nella Hall.
-Certo che anche tu non scherzi- aveva commentato lui con una risatina,
ricevendo subito uno spintone che non l'aveva mosso di un millimetro.
-Avanti, sarai anche riuscita a battermi a braccio di ferro, ma non
credi di pretendere troppo?- aveva continuato a canzonarmi, mentre ci
trascinavamo verso i dormitori.
Sì, avevo vinto la sfida a braccio di ferro con lui, ma non
ne ero per niente contenta.
-Mi hai lasciato vincere, scemo- lo avevo rimbeccato infatti,
aggrottando le sopracciglia. In quel momento eravamo arrivati alla
biforcazione del corridoio, che portava a sinistra verso il dormitorio
maschile e a destra verso quello femminile; Seifer mi aveva dato una
spintarella a destra e io di contro lo avevo sospinto a sinistra.
-Insomma, ti decidi?- aveva sbuffato lui quando io lo avevo fulminato
con uno sguardo assassino, le braccia incrociate al petto.
-Lo vuoi questo regalo o no?- avevo sibilato in risposta.
-Scusa, credevo l'avessi in camera tua!- si era difeso lui con aria
offesa.
Per tutta risposta, ero scoppiata a ridere in maniera incontrollata:
-Ma guardati, ci manca solo che scoppi a piangere come un bambino!-
avevo boccheggiato, dopo essermi ripresa. Lui mi aveva squadrato con
aria critica:
-Meno vino, la prossima volta- si era appuntato a bassa voce, prima che
io lo sospingessi verso il dormitorio maschile:
-Taci: il regalo è in camera tua-.
-Posso chiedere come diavolo hai fatto a entrarci?-.
-Non diavolo, ma scimmione.
Qualche volta sa rendersi utile anche lui- avevo risposto
semplicemente, mentre Seifer riprendeva a cingermi le spalle e scuoteva
in contemporanea la testa:
-Sei gravemente
ubriaca, Atra- aveva constatato rassegnato, prima di fermarsi davanti
alla porta della sua camera e voltarsi a guardarmi:
-Devo aspettarmi qualche strano mostro...- aveva cominciato, prima che
io sbuffassi sonoramente:
-Allora?! Qui facciamo mattina!-.
-Beh, non che manchi molto...- aveva commentato Seifer con una
risatina, prima di affrettarsi a girare la maniglia allungando la mano
dietro di sé, una volta incrociato il mio sguardo inferocito.
Mi ero appoggiata allo stipite della porta e lo avevo osservato
arretrare lentamente, lo sguardo ancora fisso nel mio e puntato sul
lento sorriso che mi stava affiorando sul volto non appena avevo colto
il bagliore del primo sole sul regalo di Seifer.
-Mi volto, eh- mi aveva avvisato lui, interrompendo il filo dei miei
ricordi, che mi aveva portato a circa una decina di anni prima, quando
la mattina del mio sesto compleanno avevo trovato sul comodino un...
-...un Gunblade-.
Avevo sbattuto le palpebre per annullare definitivamente quel ricordo e
immergermi nel presente: Seifer era di spalle, in piedi davanti al
letto, e le sue mani tenevano sollevato alla luce il mio regalo di
compleanno per lui.
La lama del Gunblade aveva riflesso il primo sole, così come
quella del mio coltello quando lui me l'aveva regalato
all'età di sei anni, per poi lasciare scivolare via il
raggio di luce quando mio fratello si era voltato, il viso ancora nella
penombra.
-Fodero nuovo, Gunblade nuovo- avevo detto semplicemente lanciandogli
la custodia, che era volata oltre la sua spalla irrigidita ed era
atterrata sul letto.
Avevo stretto gli occhi per visualizzare la sua espressione, ma era
ancora troppo buio, così avevo fatto qualche passo in avanti
e avevo allacciato le mani dietro la schiena:
-Allora, mi dici qualcosa?- lo avevo incalzato, dopo un lungo attimo di
silenzio in cui avevo colto solo il nulla assoluto sul suo viso. Seifer
aveva sollevato subito gli occhi, due voragini nere nella penombra:
-Io...non so cosa dirti- aveva ammesso infine con un sussurro flebile e
fioco.
Avevo inclinato la testa di lato, colpita dalla sua reazione:
-Beh...che ti piace?- avevo azzardato con un mezzo sorriso che ero
sicura non potesse vedere. Seifer per tutta risposta si era voltato a
posare l'arma sul letto, con un'accortezza che mi aveva fatto capire
che sì, il mio regalo gli piaceva davvero. Poi si era
voltato di nuovo ed era venuto velocemente accanto a me per chiudere la
porta, che avevo lasciato spalancata; a quel punto la stanza risultava
quasi totalmente immersa nel buio, non fosse stato per il bagliore
grigiastro del mattino invernale che si andava preparando e quello del
cielo nuvoloso, che si rifletteva con il suo biancore sporco sulla lama
perfetta del Gunblade.
Una volta chiusa la porta, Seifer mi era passato nuovamente accanto e
in quel momento la mia mano era scattata sul suo braccio per
trattenerlo, in un gesto istintivo e anticipato solo da un fruscio nel
silenzio della stanza.
Era stato quel contatto a far scattare mio fratello, che si era voltato
altrettanto velocemente ad avvolgermi in un abbraccio che mi aveva
lasciata senza fiato per la sorpresa.
Superato il momento iniziale d'impaccio, mi ero rilassata e avevo
poggiato la testa sul suo petto, ascoltando sempre più
stupita il suo cuore battere come un uccellino impazzito non appena lui
traeva un respiro tremante, per poi rallentare a un ritmo comunque
veloce a ogni sospiro successivo.
Mio fratello non parlava più, il mento poggiato sulla mia
testa e una mano sulla mia schiena a trattenermi delicatamente contro
di lui, come per accertarsi che non mi allontanassi...e non solo
dall'abbraccio.
No, Seifer non dubitava certamente che potessi anche solo pensare di
lasciarlo, ma c'erano molte altre cose in quella sua afasia, c'era
tutto quello che non era in grado di dirmi a voce semplicemente
perché non esistevano parole adatte per farlo, c'era
ciò che non si può vedere né al buio
né alla luce, ma solo nella penombra di una mattina
invernale come tante altre.
In quella penombra non c'erano più Seifer e Atra, ma solo un
fratello e una sorella, perché ciò che contava
più del resto era il loro legame di sangue, rispetto al
quale ogni altra cosa era scontata e superflua.
E subito dopo in quella penombra non c'erano più un fratello
e una sorella, ma Seifer e Atra, che parlavano un linguaggio solo e
soltanto loro, che ascoltavano l'uno il respiro dell'altra quasi lo
sentissero per la prima volta, associandolo al sottofondo senza nome
che aveva accompagnato tutta la loro vita, che probabilmente avrebbero
conservato per sempre quel ricordo da qualche parte nella loro memoria.
Io me lo ero ripromessa in quel momento. Mi ero ripromessa di tenere
quel ricordo da parte per i momenti peggiori della mia vita, per quei
momenti in cui avrei avuto bisogno di guardare indietro per sapere da
dove provenivo, per quei momenti in cui i dubbi sarebbero stati
più forti delle certezze e per quei momenti in cui la
solitudine si sarebbe fatta insopportabile.
Perché noi Almasy siamo duri come pietre e freddi come
ghiaccio, ma siamo carne e anima come tutti gli umani e anche noi ci
imbattiamo in momenti che vorremmo facilmente evitare e da cui ci
difendiamo a colpi di contegno, sfrontatezza, spavalderia. Il nostro
segreto è che questo non ci basta, perciò ci
appoggiamo l'uno all'altra e ci diamo una mano a vicenda; ma quando
ciò non è possibile concretamente, ecco che
sovvengono i ricordi più importanti a rammentarci chi siamo
e dove vogliamo andare, a rammentarci che noi ci possiamo salvare da
soli proprio perché non siamo soli.
Per Seifer sarebbe stato facile ricordarsi di quel momento: la prova
giaceva ancora immobile sul suo letto e sarebbe stata la sua fida
compagna per tutta la vita, esattamente come...
-Atra?-.
Avevo sussultato leggermente e avevo tentato di sciogliere l'abbraccio,
ma le mani di mio fratello si erano posate sulle mie spalle per
trattenermi:
-Aspetta. Ho qualcosa da dirti-.
La sua voce mi aveva fatta tornare di nuovo al mio posto, contro il suo
petto. Lì avevo potuto sentirlo contrarsi, mentre lui
prendeva fiato per parlare:
-Il tuo regalo significa molto per me. E so che è lo stesso
per te-.
Certo che lo sapeva, lo aveva capito perfettamente. Non serviva dirgli
che quel regalo era la promessa che sarei rimasta sempre accanto a lui,
per aiutarlo a combattere i suoi nemici, i pregiudizi, chiunque gli
avesse dato fastidio.
Non serviva dirgli che anche io, come quel Gunblade, avrei abbattuto
per lui ogni ostacolo alla sua felicità.
Ma non serviva nemmeno dirgli che non ero disposta a mentirgli, che, a
differenza di quell'arma, io ero manovrata da una volontà
diversa dalla sua, come era giusto che fosse.
Non serviva nulla di tutto questo e Seifer lo sapeva, perché
non aveva atteso una mia risposta e aveva proseguito:
-Parlare di promesse mi rende sempre inquieto, perché
sembrano anticipare sempre la fine di qualcosa-.
Nemmeno io ho mai amato particolarmente le promesse e per questo non
siamo mai stati soliti scambiarcene, oltre al fatto che non ne abbiamo
mai avuto bisogno.
La testa di Seifer si era improvvisamente spostata e ora era la sua
guancia ad essere appoggiata sui miei capelli. Mi ero voltata
leggermente anche io a seguire con lo sguardo ciò che aveva
attirato la sua attenzione, ma non avevo scorto nulla.
-Cosa hai visto?- avevo sussurrato, così a bassa voce da
credere non mi avesse sentito. Invece Seifer mi aveva risposto subito:
-Uno stormo di uccelli; solo uno stormo di migratori-.
Infatti avevo colto in fretta ciò di cui stava parlando: gli
uccelli viaggiavano in formazione a V e non erano molti; volavano verso
l'orizzonte nuvoloso, neri e in netto contrasto con il cielo grigio
chiaro.
-Presto sarà così anche per noi e saremo liberi-.
Liberi.
Come suonava strana quella parola, dopo tanto tempo passato chiusi nel
Garden. Avevamo cercato la libertà a modo nostro, ma nulla
era comparabile alla sensazione di non avere più un posto
concreto a cui dover tornare...ma questo solo se avevi il tuo posto, il tuo riferimento.
-Nulla dice che saremo insieme-.
-Seifer...- avevo mormorato immediatamente, cogliendo appieno il
significato delle parole con cui aveva introdotto questo discorso,
costruito a fatica su frasi spezzate e difficili da liberare.
-Shh - mi aveva zittita lui, accarezzandomi la schiena - Dico solo che nulla dice che
saremo sempre insieme, ma...mi auguro di poter volare alto con te
ancora per un po'-.
Detto questo, Seifer aveva posato un leggero bacio sui miei capelli,
per poi sciogliere l'abbraccio in silenzio e allontanarsi di un passo
per guardarmi.
Un'espressione confusa e insieme intenerita gli aveva attraversato il
viso in un lampo:
-Oh, non sei tu a dover piangere, Atra-.
A dire la verità, non mi ero nemmeno accorta di star
piangendo, immersa com’ero in un senso di dolorosa nostalgia,
di frenetica ricerca di una ragione per cui credere fermamente che il
mio posto fosse sempre accanto a Seifer, di pungente impotenza di
fronte a un futuro che non potevo decidere e a cui non potevo
prepararmi.
Mi ero riscossa subito, asciugandomi la lacrima dalla guancia prima che
potesse farlo lui:
-Scusa- avevo risposto d'istinto, sapendo che lui odiava vedermi
piangere. Seifer aveva sollevato una mano per darmi un colpetto al
mento:
-Fa' la brava, dovrei essere io a commuovermi per il tuo regalo, no?-.
Avevo annuito lentamente, tornando a guardare il Gunblade; nello stesso
momento mio fratello aveva sgranato gli occhi, folgorato da un pensiero:
-Prima mi hai detto che non era sicuro mostrarmelo da ubriaco; credevi
davvero che io...-.
-Stavo scherzando, Seifer - lo avevo interrotto subito, sollevando gli
angoli della bocca in un mezzo sorriso - Non temevo affatto che me lo
rivolgessi contro- avevo continuato, leggermente stupita che avesse
avuto anche solo il bisogno di chiedermelo.
-Non che ne dubitassi, eh...- aveva chiarito infatti lui, muovendo la
mano in un gesto di sufficienza.
Avevo soffocato una risata, prima di illuminarmi a mia volta:
-Accidenti a me, non ti ho ancora detto come si chiama il modello-
avevo detto, sedendomi sul letto e invitandolo accanto a me per
mostrargli il marchio.
-Dimmelo, allora- mi aveva incalzato lui, gli occhi improvvisamente
brillanti di entusiasmo.
Le mie dita avevano trovato in fretta il nome del modello, inciso alla
base dell'elsa, e lo avevano sfiorato leggermente, prima che io
riportassi lo sguardo su Seifer e sfoderassi un sorriso compiaciuto e
complice insieme:
-Il tuo Gunblade ha il soprannome di Giove: Hyperion-.
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