Fuyo
No Haru
If
flowers can teach themselves
of
to bloom after winter passes,
so
you can
**
Quello
era l'inverno più rigido degli ultimi
decenni. La neve li aveva colti impreparati mentre ancora cercavano di
ricomporre i cocci lasciati dalla guerra. Il freddo mordeva le guance,
arrossava le punta delle dita, condensava i respiri e bruciava gli
occhi. Il sole
veniva inghiottito troppo presto dall'orizzonte e la mattina una
cortina di
nebbia gelida galleggiava nell'aria, così che il mondo
pareva alternarsi tra
una notte eterna e un libro bianco e vuoto. La brina congelava gli oggetti e una leggera
lastra di ghiaccio
scivolava sulla strada.
Hinata
aveva le orecchie, il naso e gli zigomi
arrossati; le labbra livide risaltavano sul pallore latteo del sul
viso. Negli
occhi chiari pareva che il freddo avesse congelato delle lacrime. Era
una dei
tanti passati, manichini animati, fagocitati nei propri cappotti, dallo
sguardo
basso e i passi veloci di chi vuole arrivare presto in un posto caldo.
Hinata
no.
Hinata
camminava lenta, con i capelli neri e
lunghi imprigionati nella sciarpa rossa. Lasciava che il freddo
divorasse ogni
pezzetto di lei e congelasse il sangue nel cuore. Ogni battito pareva
più
pesante.
Era
pietosa.
Stava
tornando dall'ennesima nauseante riunione
del clan all'interno del palazzo dell'Hokage. Solo pochi mesi erano
passati
dalla guerra contro Madara e Kaguya, eppure Konoha aveva già
bisogno di
riorganizzarsi e ricomporsi. È questo quello che succede
quando sei un ninja:
non hai mai abbastanza tempo per piangere i morti.
Hinata
non indossava i guanti in quel momento e
faticava a sentire le dita, si sentiva dentro una cappa di vetro. Non
riusciva
a non pensare che accanto a lei, in quel momento, avrebbe dovuto
esserci
Neji-nii, lui avrebbe saputo come fare. Ormai cercava di partecipare
assiduamente alle faccende politiche del clan e del villaggio come
futura erede
degli Hyuuga, ma era ancora troppo giovane e inesperta per riuscire a
muoversi
in quell'ambiente che la confondeva tanto. La maggior parte
dell'assemblea non
la teneva in considerazione, reputandola ancora una bambina troppo
debole per
capire le faccende politiche e la guardavano con disapprovazione,
convinti che
al suo posto ci sarebbe dovuto essere Neji.
Lui sicuramente non si sarebbe fatto mettere i piedi in
testa da nessuno
e avrebbe risolto con facilità e fermezza le
contrapposizioni con la Casata
Cadetta. Lui era nato per guidare gli Hyuuga. Altri, i più
conservatori, erano
felici della sua dipartita e bramavano la giovane ragazza da usare come
fantoccio da manovrare per i loro loschi piani.
Hinata
non voleva questo, voleva essere più forte
per resistere a tutte quelle pressioni, far sentire la sua voce e fare,
finalmente, la cosa giusta.
La
verità è che non si sentiva affatto forte, che
si sentiva solo una piccola ragazzina alla quale avevano tolto l'unica
luce.
Neji-nii
era morto.
Naruto-kun
era morto.
Ed era
restata lei, sola.
Sentì
qualcosa di bollente rotolare giù per la
guancia, l'aria gelida cristallizzò subito la lacrima
impedendole di
precipitare giù.
L'inverno
era impietoso, non permetteva a nessuno
di essere deboli.
Non
permetteva nemmeno di piangere.
*
Pugno,
affondo, calcio laterale. Posizione di
difesa.
Ancora.
Allenarsi
era l'unica cosa che la riuscisse a
distrarre. Per anni aveva fatto solo quello, pensando che bastasse la
capacità
in battaglia a renderla forte, dimenticando che quello che
più debole aveva era
lo spirito. Il suo era un animo incrinato, con lunghe crepe strette e
flessuose,
che raggiungevano il centro del suo cuore. La lasciavano esposta,
permettendo
alle fredde folate invernali di farla rabbrividire.
Si
fermò un secondo, con il fiatone e un rivolo
di sudore che le colava lungo il collo che la faceva rabbrividire. Il
suo fiato
pesante si manifestava in nuvolette pallide e il cuore le batteva
furioso per
lo sforzo. Aveva tutti i muscoli intirizziti.
Hinata
non aveva mai pensato che un cuore
spezzato potesse arrivare a spezzare ogni cosa in lei.
Stava
lasciando che gli altri le rompessero addosso decisioni che non voleva
prendere,
perché per tutti era ancora solo una patetica bambina.
Con
rabbia si mosse nella figura successiva,
scagliando tutta la sia disperazione contro nemici immaginari, che
avevano la
stessa consistenza di quei pallidi fiocchi di neve.
Neji
sicuramente le avrebbe mostrato la strada
giusta, Naruto sicuramente l'avrebbe sostenuta. Invece doveva fare
tutto da
sola, con le sue sole forze, lei che si sentiva debole come mai prima.
Il
giorno prima e il giorno dopo. Era cambiato
tutto nell'arco di una notte e non capiva come per gli altri tutto si
fosse
limitato a un passaggio lunare. Come se in quell'asso di tempo fosse
solo
cambiata la luna e non tutta la sua vita. Il giorno che aveva capito
che il
domani l'attendeva ancora.
Ma senza
loro.
Il
giorno prima e il giorno dopo; lei stava dando
tutto, anche troppo, eppure pareva che nulla in quel momento potesse
bastare.
Si stava facendo in briciole piano, piano, pezzo dopo pezzo.
La vita
non era mai stata così bastarda.
L'inverno
non era mai stato così gelido.
*
"Ehi,
Hinata-chan!"
La ragazza
sussultò, perdendo l'equilibrio nel salto e rovinando a
terra, la goffaggine la
imbarazzò e sentì le guance accendersi
simultaneamente. Naruto le sorrideva,
aperto e sincero senza nessuna ombra di scherno.
Le tese la mano con gli occhi blu
che
facevano da specchio al cielo dietro di lui.
"Dovresti
fare una pausa ogni tanto, non pensi, ‘bayo?"
blaterò spensierato, mentre
lei timidamente accettava la sua mano per tirarsi su. Averlo sempre
così vicino
era un batticuore e trattenersi dallo scappare o abbracciarlo le
risultava
sempre impossibile. Naruto era un piccolo raggio di sole tascabile.
Scosse la
testa brevemente, ma decisa.
"Voglio
raggiungere il livello di Neji-nii"
Lui
scoppiò
a ridere. "Ma sei già a buon punto!" le assicurò,
accarezzandole la
testa come se fosse un gattino.
La sensazione
delle dita del ragazzo la fece arrossire, se possibile, ancor di
più. Era un
tocco così caldo.
"Ehi,
Hinata-chan!" la chiamò ancora, mentre la luce si
intensificava come se
qualcuno avesse aumentato la luminosità del sole.
Sembrò che tutto stesse
diventando una vecchia fotografia sbiadita. "Combatteremo insieme,
dattebayo!"
Hinata
aprì gli occhi con quell'ultima gioiosa
esclamazione nelle orecchie. Fuori, l'alba sorgeva tra la nebbia bianca del mattino invernale.
*
Faceva
male. Faceva male. Faceva male.
Così male.
Eppure
non si fermò nemmeno un istante, mentre il
freddo le congestionava le dita e i muscoli gridavano di dolore per
ogni minimo
sforzo, la vista era sfocata e manchevole. La testa girava, il mondo
intero
girava.
Ma non
si sarebbe fermata. Non aveva nessuna
intenzione di fermarsi. Lei non poteva permettersi di essere debole.
Fallì
un passo e rovinò a terra sulla neve, si
bagnò i vestiti mentre il fiato le usciva dai denti
affannoso. Sembrava non
avere abbastanza aria. Faceva male. Ogni centimetro del suo corpo
faceva male.
Respirava come se fosse impossibile smettere nonostante gli sforzi.
Voleva
raggomitolarsi lì a terra ad attendere un
coraggio che non aveva ancora, un coraggio in grado di farle
abbandonare mille
ricordi e tutti i suoi rimpianti. Non era stata abbastanza forte. Non
era mai
abbastanza forte per farcela.
Cadere e
non vedere la sua mano pronta ad
afferrarla.
La vita
non era mai stata così vuota. Fredda.
Distaccata. Impietosa. Senza un'estate che potesse sciogliere le nevi e
scaldare il suo povero cuore.
"Ehi,
Hinata-chan!"
Il mondo
sembrò cristallizzarsi, alzò il viso e
vide un volto familiare avvicinarsi a lei e due occhi chiari scrutarla
apprensivi.
Verdi.
Non
blu,
pensò con rammarico prima che il gelo la
sorprendesse del tutto.
*
Quando
si risvegliò, si trovò in un luogo sconosciuto
dal
soffitto rosa. Era distesa su un letto morbido, avvolta da soffici
coperte di
lana e sentiva dolori a ogni muscolo. Cercò di mettersi a
sedere per guardare
la camera in cui si trovava. Era ordinata, semplice e funzionale. Il
colore
rosa lì dentro faceva da padrone.
Gettò
le coperte di lato, notando che indossava anche un
pigiama bianco non suo che le stava abbastanza stretto al petto; a
fatica si
tirò a sedere, trovando accanto al letto della ciabatte di
lana fatte a
coniglietto. Erano così carine che sorrise infilandoci i
piedini.
Non
era difficile immaginare di chi fosse quella camera così
rosa, ma le risultava difficile crederlo, così si mise a
curiosare
attorno.
La
scrivania in legno chiaro era quasi del tutto vuota, sopra
c’erano solo un portapenne con un block-notes e una maschera
ANBU abbandonata
distrattamente. Sulla piccola libreria tutti i libri di medicina erano
stati
impilati ordinatamente sugli scaffali, le armi ninja erano tutte
ripulite e
poste con cura in una cesta e sulle mensole erano posate tante cornici
con
fotografie.
La
maggior parte rappresentavano Sakura – ormai era ovvio che
la camera fosse la sua – da piccola con Ino, quelle
più recenti la mostravano
con Kakashi o Sai. Le si strinse il cuore quando notò quella
del Team 7. Era
posta al centro, nel punto più visibile, come il
più bello e prezioso dei
tesori.
Hinata
si chiese quanto dolore avesse dovuto provare Sakura
quando si era resa conto di aver perso i suoi compagni di team, la sua
famiglia.
Sakura
nella foto sorrideva tra i due ragazzi che si
guardavano in cagnesco, Naruto aveva il sorriso piegato in una
smorfia e le braccia incrociate al petto. Una
nostalgia dolorosissima
le colpì il petto.
“Finalmente
ti sei svegliata”.
La
voce squillante la fece sussultare e, sentendosi come un
ladro colto in flagrante, si allontanò dalla mensola
appoggiando una mano
chiusa a pugno sul petto. Sakura la guardava dall’uscio
tenendo un vassoio con
due tazze di ceramica fumanti. Indossava vestiti informali, un maglione
verde
con il collo a barca, dei pantaloni in tela grigi abbastanza larghi e
teneva i
capelli rosa stretti in due cortissimi codini. Aveva un morbido sorriso
sulle
labbra.
Hinata
la fissò non sapendo cosa dire, mentre si avvicinava e
appoggiava il vassoio sulla scrivania accanto alla maschera. Non aveva
mai
parlato molto con lei, da un certo punto di vista l’aveva
sempre messa in
soggezione: era così aggressiva e rumorosa e sicura di
sé che inevitabilmente
la faceva sentire fuori posto.
“Ti
ho fatto del tè verde” la informò
calcando l’ovvio, la
sua voce vivace era limpida e priva di timidezza. Pareva totalmente a
suo agio.
La
mora fissò le tazze non avendo il coraggio di guardare
Sakura in faccia.
“Cosa
è successo?” domandò con la sua voce
timida. Non
ricordava molto di come fosse svenuta, se non il freddo pungente e
insopportabile.
Il
sorriso della rosa tremò un istante. “Hai spinto
il tuo
corpo oltre il suo limite” spiegò giocherellando
con i nastri della maschera
ANBU. “Fortunatamente ti ho trovato prima che la situazione
diventasse critica.
Ti ho portato a casa mia, spero non sia un problema” .
Scosse
la testa mentre allungava una mano ad afferrare la sua
tazza. Era bollente e la ceramica era stata colorata di
lillà, quella di Sakura
era rosa. Non seppe perché ma la cosa le mise tenerezza.
Sentiva
delle parole sulla punta della lingua e voleva dirle,
ma le parevano indelicate e si vergognava troppo di dare voce ai suoi
pensieri,
così bevette un piccolo sorso scottandosi le labbra.
“Non
dovresti allenarti così tanto. Non in questo periodo, o
almeno andare nella palestre al chiuso” continuava intanto a
parlare Sakura.
Non
l’aveva ancora guardata negli occhi, preferendo di
lasciar scivolare il suo sguardo sulla stanza, in quel momento le
sembrò anche
a lei a disagio.
“Ti
mancano?” si lasciò sfuggire e subito si diede
immediatamente della stupida.
Lo
sguardo di Sakura si velò di malinconia e il sorriso si
fece più piccolo, più nostalgico.
“Più
dell’ossigeno” ammise senza vergogna, senza temere
di
scoprirsi troppo. Stringeva la ceramica con forza nonostante dovesse
essere
bollente, sembrava essere stata catturata da ricordi lontani.
“Ti
stavi allenando per lui, vero?” realizzò ad un
certo
punto con voce amara. “Per Naruto”.
Quel
nome ebbe l’effetto di un pugno sullo stomaco e subito
si sentì senza fiato. Non si affrettò a negare
l’ovvio, preferì che il silenzio
fosse una risposta più che sufficiente.
Sakura
accanto a lei sospirò, con il respiro rotto, come se
si stesse trattenendo dal piangere.
“Sei
forte, Hinata-chan” la sua voce però era limpida e
vibrante, le accarezzò dolcemente una ciocca di capelli
neri. “Sei forte”
ripeté.
*
Nei
giorni che seguirono Hinata si trovò sempre più
spesso
con Sakura, non sapeva dire se per sbaglio o perché
inevitabilmente i suoi
passi la portavano da lei, seguendo un percorso invisibile.
Ogni
volta che si incontravano per strada Sakura si mostrava
sempre benevola nei suoi confronti, sorridendole e chiedendole se le
andava di
accompagnarla da qualche parte. Inizialmente declinava sempre, troppo
timida,
ma poi cominciò ad acconsentire.
Non
aveva mai avuto un’amica, nonostante fosse la figlia
degli Hyuuga il suo imbarazzo le impediva sempre di stringere un legame
con
qualche altra bambina della sua età, soprattutto quando
erano tutte vivacemente
infatuate di Sasuke Uchiha. Sakura era fra quelle e quindi non aveva
mai
trovato un punto di contatto per conoscerla, nemmeno una volta che
erano
diventate ninja. Sentiva che fra loro due ci fosse una sorte di
voragine, un
divario insuperabile.
Distrattamente,
senza rendersene nemmeno conto, osservò
Sakura. A differenza sua non sembrava che il freddo inverno avesse
paralizzato
il cuore e gli organi, anzi resisteva alle sferzate d’aria
gelida senza piegare
il capo e perennemente in movimento. Era un ANBU,
aiutava Kakashi-sama
nei suoi compiti da Hokage e passava il tempo libero dalle missioni in
ospedale
ad aiutare Tsunade-hime, oppure trotterellava avvolta in un cappotto
rosso con
un cesto pieno di fiori. Andava sempre al cimitero. Aveva sempre
qualcuno da
salutare, a cui rivolgere un sorriso.
“Ciao,
Hinata-chan! Sto andando da Ino a comprare dei fiori,
vieni con me?”
“Ciao,
Hinata! Se stai andando all’ospedale che ne dici di
accompagnarmi?”
“Ehi,
Hinata-chan! Ti va di prendere qualcosa di caldo? Si
gela!”
Da
un certo punto di vista le ricordava molto Naruto, così
piena di vita, ma aveva una nostalgia nello sguardo, un rammarico
incastrato
nell’angolo delle ciglia che rendeva i
suoi sorrisi meno luminosi di
quelli dell’Uzumaki. Era un piccolo sole pallido che cercava
di filtrare oltre
le nuvole.
Nonostante
tutto, la sua presenza era confortante e la faceva
sentire meno sola. Ogni tanto le parlava di Naruto e Sasuke, di quando
erano
ancora dei dodicenni che si blateravano contro e lei cercava sempre di
stare al
loro passo. Era doloroso, le prime volte che pronunciava il suo nome
sentiva
letteralmente il fiato scivolarle dalle labbra, ma era anche un fresco
balsamo,
una medicina un po’ amara, ma che la faceva stare bene.
Sakura
ne parlava sempre con così tanto affetto e trasporto
che le sembrava davvero di vedere quei due piccoli ninja, di poterlo
rivedere
ancora. Ricordare Naruto era meglio che dimenticarlo, come facevano
tutti in
sua presenza, era meno doloroso.
Fu
così che la presenza di Sakura divenne un momento
necessario nella sua giornata, un breve parentesi, una pausa lontana
dall’inverno che fuori congelava le lacrime.
*
“Ultimamente
passi molto tempo con Hinata”.
La
voce rassicurante di Kakashi la distrasse e smise di
ordinare le carte nell’archivio, mentre davanti ai suoi occhi
si delineavano i
dolci lineamenti della nuova amica. Un sorriso spontaneo si
disegnò sulle
labbra di Sakura.
“Mi
piace stare con le” rispose sinceramente, con
semplicità.
Kakashi
sulla scrivania stava firmando meccanicamente una pila
di moduli, senza nemmeno leggerli, desideroso di finire il prima
possibile. Si
interruppe un attimo e l’inchiostro sbavò sulla
carta, fissò quella minuscola
macchiolina con amarezza.
“Sakura”
la chiamò preoccupato.
Non
continuò subito faticando a scegliere le giuste parole;
aveva sempre voluto bene alla piccola ragazzina con i capelli rosa, in
un certo
senso l’aveva associata subito a Rin e per questo aveva
provato sempre un
istintivo senso di protezione nei suoi confronti.
Una
mano sulla spalla lo distrasse dai suoi pensieri. La
kunoichi aveva momentaneamente abbandonato il suo lavoro per
raggiungerlo e ora
lo scrutava con gli occhi verdi curiosi. Una volta erano stati
più luminosi,
poi la morte e la guerra avevano rischiato di spegnere tutto
ciò che di bello
aveva. Kakashi se ne rammaricava ogni volta che li incontrava, non era
riuscito
a proteggerla come avrebbe dovuto.
“Non
devi fare tutto da sola” continuò alla fine.
“Non devi
farlo per forza”.
Vide
quegli occhi sfocarsi, come se le sue parole l’avesse
portata con la mente in un altro luogo, in un ricordo lontano.
La
valle era completamente distrutta, piena di macerie e
detriti, irriconoscibile. Naruto e Sasuke erano due punti minuscoli e
il suo
cuore accelerò i battiti dalla paura. Lasciò il
braccio di Kakashi per
raggiungerli, entrambi riversavano in una pozza di sangue.
“Sakura!”
gridò fievolmente Naruto, quando atterrò accanto
a
loro. Subito, notando le loro condizioni, le ferite, il sangue e le
braccia
mozzate capì di essere arrivata troppo
tardi e le lacrime iniziarono a pizzicare gli angoli dei suoi
occhi. Non si permise di piangere e concentrò il chakra
nelle sue mani decisa a
curarli, erano così messi male che non sapeva da dove
iniziare. Le tremavano le
dita dal panico che tentava di arginare. Dio, il loro chakra era
così basso,
impercettibile. Era un miracolo il semplice fatto che riuscissero a
respirare.
“Sakura...
è inutile” disse Naruto cercando di mantenere la
propria voce controllata.
Non
lo ascoltò, cercando di arginare la perdita del sangue.
Dio, c’era così tanto sangue. Avevano perso troppo
sangue e nell’aria c’era
solo quell’odore.
Odore
di morte.
“Sakura...”
quella era la voce più dura di Sasuke.
“Ora
sta’ zitto” lo seccò con la voce che
tremava, non ci
riusciva, non ci riusciva maledizione. “Mi devo
concentrare”.
Dio,
non ci riusciva. Sarebbero morti. Morti. Morti. Non ci
riusciva.
“Mi
dispiace” la ignorò lui, con la voce sommessa come
se non
avesse abbastanza fiato.
“Ti
dispiace... per cosa?” sentì le lacrime lottare
per
uscire.
Maledizione,
stavano morendo, sentiva i loro battiti
spegnersi e lei non poteva fare nulla. Non ci riusciva.
Stupida,
stupida, stupida, stupida e debole Sakura!
“Per
tutto. E per non poter far più nulla”
Silenzio.
Ormai
le lacrime avevano preso il soppravvento sul volto
della ragazza, aveva la vista totalmente appannata. E c’era
così tanto sangue,
oddio stavano morendo per davvero.
“Non
è vero” lo contraddisse con al voce lamentosa di
una
bambina piagnucolante. “Non è vero”
ripeté come se lo stesse dicendo alla morte
in persona. Li afferro sporcandosi le dita di sangue, il suo era un
tiro alla
fune con la morte e non era affatto certa di poter vincere. Ma non
potevano,
non potevano.
“Sakura…
trapianta il mio rinnegan su Kakashi” continuò
Sasuke.
“I
cercoteri vi aiuteranno a terminare lo Tsukiyomi”
terminò
Naruto e disse quello che temeva dal più profondo:
“Non c’è nulla che puoi fare
adesso”.
“Voi
dovete vivere” singhiozzò. “Naruto, tu
devi diventare
Hokage, me lo hai promesso! E Sas’ke-kun… dobbiamo
recuperare questi anni,
dobbiamo tornare insieme, una famiglia… non potete
andare… io…”
Aveva visto così
tante
morti nella sua giovane vita, ma non era mai stata così
terrorizzata, non si
era mai sentita così spaventata in vita sua. Si
accucciò verso di loro
completamente scossa dai singhiozzi, i due ragazzi la fissavano senza
sapere
cosa dire, ormai senza forza per parlare.
“Io
vi
amo, non potete
abbandonarmi” tremò con il volto lucido.
Patetica,
patetica, patetica, patetica e debole Sakura.
L’odore
del sangue le dava la nausea, voleva vomitare e non
riusciva a respirare, le facevano male i polmoni come se le stessero
strappando
il cuore.
“Fatemi
venire con voi” farfugliò illogica.
Stavano
morendo, stavano morendo, Dio, perché. Perché.
“No”
la voce di Naruto vibrò decisa. “Non dire
così
Sakura-chan”.
Lo
guardò con gli occhi verdi sciolti nelle lacrime.
“Io
senza voi non ce la faccio” ammise senza vergogna, le
sembrava che qualcuno le stesse strappando il cielo.
Stavano
morendo sotto i suoi occhi e non poteva fare niente.
n
o n p o t e v a f a r e n i e n t e
Patetica
Sakura.
“Ti
prego, Sakura-chan,” continuò
il biondo, “promettimi
che vivrai e che proteggerai il Villaggio anche per noi. Promettimi che
aiuterai Kakashi a fare l’Hokage, che non smetterai di
sorridere e che resterai
forte. Promettimi che ti prenderai cura di tutti. Che ti prenderai cura
di
Hinata-chan”.
Ma
chi si prenderà cura di Sakura?
“Non
morite, non morite” supplicò. “Non
morite”.
Provò
ancora ad attivare il chakra, ma era come cercare di
afferrare il vento, erano completamente spezzati.
“Sakura...”
ancora la voce di Sasuke. “Grazie”
Spalancò
gli occhi mentre percepiva l’ultimo battito in
sincrono dei due cuori.
Poi
silenzio.
Sakura,
grazie.
No,
non ancora. Non ancora. Perché doveva sempre finire
così?
“NARUTO!
SAS’SKE-KUN!” gridò graffiandosi la
gola, ma ormai
entrambi non potevano più sentirla.
Patetica.
Debole.
Stupida.
“Sakura”
la voce di Kakashi la riscosse da quell’orribile
ricordo. Sbatté le palpebre, sentendo una lacrima rotolare
giù dalle ciglia. Si
portò la mano al viso per strofinarsi gli occhi.
“Scusami,
non volevo ricord...”
“Va
tutto bene, Kakashi-sensei” lo rassicurò anche se,
forse,
non era propriamente vero. Le faceva male il cuore, come se sentisse
ancora un
vuoto. “Sono abbastanza forte”.
Kakashi
si alzò dalla sedia e l’avvolse in un abbraccio
confortante e caldo.
“Lo
so. Sei la donna più forte che abbia conosciuto. Ma non
fare nulla che possa farti male, per favore”.
*
Incontrò
Hinata mentre tornava dal negozio di Ino, con borse
piene di fiori e semi, era ancora scossa dalla
piccola conversazione
con il sensei così quando la vide non la chiamò
subito.
I
primi tempi dopo la morte di Sasuke e Naruto la vita era
stata un inferno e faceva tutto un piangersi addosso. Un pianto e un
passo,
quasi non fosse possibile fare altrimenti. Si era sentita vuota dentro,
senza
nessuno scopo, senza più nessuno da amare e proteggere, un
orologio difettoso
che aveva perso la sua corsa con il tempo.
Tardi,
era arrivata troppo tardi. Non aveva voglia di uscire,
non riusciva a dormire, non riusciva a respirare, sentiva che stava per
morire.
Briciole,
resti, polvere, dolore, lacrime.
La
vita era stata così bastarda a farle vederle in sogno chi
non avrebbe mai più rivisto, come se non fosse successo
nulla. Non riusciva ad
abbandonare tutti i suoi rimpianti.
Se
solo....
Aveva
tolto tutte le foto, tutto ciò che le ricordasse Naruto
o Sasuke, ogni cosa andava cancellata prima che a essere distrutto
fosse il suo
cuore. Una vita vuota, senza nessuno da amare.
Poi
piano, piano aveva alzato lo sguardo e piangere non le
era sembrato più abbastanza. E aveva ripreso a camminare.
Naruto le aveva
chiesto qualcosa, un’ultima cosa e lei non poteva permettere
di essere così
debole da non mantenerla.
Piano,
piano si era alzata sulle gambe tremanti e si era
messa a correre per raggiungere il tempo sprecato a piangersi addosso.
Doveva
proteggere ciò che più caro avevano i suoi
compagni,
almeno questo. Doveva proteggere quel sogno al quale avevano dato la
propria
vita.
“Hinata-chan!”
la chiamò squillante e Hinata si voltò verso
di lei facendo spuntare un piccolo sorriso.
C’era
stato un tempo in cui Sakura aveva invidiato la piccola
Hyuuga: invidiava la sua delicatezza e la dolcezza, il suo corpo
prosperoso e
il suo trasformarsi da una gattina timida in una tigre elegante per
proteggere
chi amava.
Ora
invece capiva che avevano lo stesso cuore spezzato. In
quel momento capì cosa intendeva Naruto quando diceva di
capire il dolore di
Sasuke.
Lei
e Hinata erano uguali, legate dallo stesso identico
dolore e sentiva di non voler essere allontanata, dentro di lei era
maturato un
forte affetto che le scaldava il cuore.
“Sakura-chan”
la salutò quando le fu abbastanza vicina da
udire la sua vocina fina. Aveva il naso completamente rosso per il
freddo con
gli occhi chiari simili a fiocchi di neve. Li sbatté
perplessa, quando vide di
come fossero accesi di determinazione quelle verdi.
“Hinata”
ripeté, piantandosi con le gambe sulla strada,
facendo cadere le borse a terra. “Diventerò
Hokage!”
Lei
la guardò confusa, spalancando la boccuccia, ma non
riuscì a continuare perché Sakura la precedette.
“Voglio
che il sogno di Naruto diventi realtà e voglio che
nessuno debba più sopportare quello che ha patito
Sasuke-kun! Anche se sono
morti, quello che mi hanno insegnato vale ancora, sono ancora la mia
famiglia,
e per questo farò in modo che non sia stato tutto inutile.
Diventerò Hokage e
risolverò tutto al posto loro, farò diventare
realtà quel sogno al loro posto”
terminò con l’affanno.
Aveva vomitato quella
parole l’una dopo l’altra come se non potesse
più trattenerle dentro di sé.
Hinata
la guardava meravigliata, con le gote arrossate, come
se fosse scoppiato improvvisamente un fuoco d’artificio.
Le
prese le mani, stringendo forte, lo sguardo sempre più
determinato.
“Aiutami,
Hinata-chan! Non smettiamo di credere nel suo sogno
e realizziamolo insieme”.
Si
ritrovò a ricambiare la stretta, le mani di Sakura erano
tiepide, non gelide come le sue. Annuì, sentendo un calore
risalire dalla
pancia al cuore, sciogliendo il gelo che lo intrappolava.
“Lo
farò” promise, poi si corresse. “Lo
faremo insieme”.
Non
si aspettò l’abbraccio di Sakura, ma si
ritrovò a
ricambiarlo senza nessuna incertezza
“Ti
va di venire a casa da me?” le domandò Sakura
spontaneamente
Strofinò
il mento sulla sua spalla, ormai la timidezza aveva
lasciato spazio a una dolce familiarità.
“Vengo”
assicurò.
*
Una
volta a casa Haruno, Hinata la spiò mentre sistemava i
fiori presi quel giorno in vasi con gesti carichi di affetto e amore.
Sfiorava
i gambi con delicatezza e affondava le dita pallide sulla terra umida e
scura.
Erano
piccoli movimenti che catturavano lo sguardo rapito
della Hyuuga.
“Perché
tieni dei fiori in inverno?” domandò curiosa.
Sakura
si voltò a guardarla, i capelli rosa volteggiarono
attorno a lei come un piccolo ventaglio.
“Mi
piacciono” rispose con semplicità.
“Non
hai paura che l’inverno li uccida?”
Sakura
andò a sedersi vicino a lei sul divano. “
Sì,”
ammise, “ma se mi prendo cura di loro non
succederà”.
Ascoltò
quelle parole attentamente e pensò che l’affetto
di
Sakura era come la primavera, teneva lontano il gelo della neve. Poi si
rese
conto che quell’affetto così genuino e
disinteressato era rivolto anche verso
di lei, soprattutto verso di lei; si sentì come uno di quei
piccoli fiori, che
tra le mani attente di Sakura era stato protetto dall’inverno
ed era fiorito.
Quel
giorno il cielo era più bello, ieri no, un mese fa
nemmeno. Non sapeva sarebbe arrivata una primavera in pieno inverno,
non sapeva
che non sarebbe stato sempre bianco.
Erano
mesi che non si sentiva felice, con qualcuno che la
facesse ridere così, che la facesse sentire così
protetta. Erano anni che non
le capitava una primavera come Sakura.
Ripensò
alla dichiarazione che aveva fatto in mezzo alla
strada, pensò al modo in cui l’aveva abbracciata e
ripensò a Naruto. Ma si
accorse che il dolere era attenuato, sorretto dall’affetto
che le aveva donato
Sakura.
Voleva
realizzare quel sogno, voleva che ciò in cui aveva
creduto la persona che aveva amato si avverasse, perché
c’era ancora qualcosa
in cui credere, una primavera da aspettare.
Qualcuno
da amare.
Lasciò
che la testa si appoggiasse alla spalla di Sakura, incastrandola
sotto il collo, e ispirò il suo profumo fiorito che
ultimamente sapeva sempre
più di casa. Da quando stava con lei non era più
difficile realizzare che
Naruto non esistesse più, faceva male, ma andava bene
così. Lo lasciava nei
ricordi, tra le lettere che non gli avrebbe mai inviato, nelle se
stessa
nascosta del passato che a volte di notte riaffiorava ancora.
La
mano di Sakura risalì sulla sua schiena fino a sfiorarle i
capelli lunghi, era bello sentirsi così stretta e coccolata.
Così amata.
Alzò
il viso verso l’altra ragazza e le baciò un angolo
delle
labbra, il cuore le batteva nelle orecchie come impazzito per
l’emozione. In
quel momento non c’era spazio alla ragione, era solo quel
calore dentro lo
stomaco a guidarla, quel bisogno di scacciare la solitudine che per
troppo
tempo le aveva stretto le viscere, affamata com’era
d’amore.
Sapeva
che se Sakura si fosse tolta ne sarebbe morta, perdendo
l’ultimo trampolino verso il cielo.
Non
si spostò, inclinò solo di poco il volto per
permettere
alle labbra di collidere meglio e lasciare che i respiri si
mescolassero.
Sakura
ricambiò il bacio e Hinata chiuse gli occhi,
abbandonò
i rimpianti, le debolezze dietro di sé. Si lasciò
spogliare di vestiti e dubbi,
fu un salto nel buio.
Si
lasciò baciare le palpebre, la punta del naso, il profilo
della gola, le spalle e le clavicole; lasciò che le mani
vagassero sul suo
corpo delicate e accorte come se stessero accarezzando i petali morbidi
di un
fiore.
Non
sentiva più il freddo, solo un piacevole calore tiepido
che le solleticava lo stomaco.
Finalmente,
l’inverno lasciava posto alla primavera.
*
L’aria
era frizzante, ma il cielo sereno, un azzurro pastello
che sfumava sul verde nella riga del’orizzonte.
Hinata
non era mai stata alla sua tomba, non ne aveva mai
avuto la forza, ma ormai era arrivato il momento di chiudere il passato
alle
spalle. C’era inciso il suo nome, Uzumaki
Naruto, e accanto c’era quella di
Uchiha Sasuke.
Iniziò
a parlare con la voce dolce, un po’ tremante per
l’emozione:
“Io
ti amavo sai? Non credo che tu possa capire che quando
dico che ti amavo, ti amavo davvero tanto, con tutta
l’innocenza di chi
vede l’amore la prima volta. Sei stato il mio primo amore e
ora capisco perché
tutti ne parlano e scrivono poesie, perché bello quanto
doloroso.
Sai,
non credevo di poter parlare di te senza scoppiare a
piangere, ora sorrido per questo amore finito. Finito... non credo che
un amore
come questo possa finire; forse può essere solo chiuso in
cassetto e tenuto in
disparte. Ma resterà sempre il tuo ricordo.
Io
ti amavo, e forse mi considererai pazza, ma ti giuro che
lo rifarei anche conoscendo già la fine, amore come questi
ti segnano per anni
interi. Ti ho amato, ma è andata così, non poteva
andare peggio ma è stato
bello. Credevo che non sarei mai riuscita a superarti, credevo che
senza te
sarebbe stato solo inverno, la tua assenza mi consumava e pensavo che
ne sarei
morta. Non sono morta, ho trovato una persona che può
capirmi e curarmi, che
non mi lascerà indietro.
Faremo
vivere quel sogno che ci hai donato, crederemo per te
e faremo in modo che diventi realtà. Perché sei
stato tu a donarci questo
sogno, sei stato tu a darmelo. Avevo solo bisogno di una persona che mi
donasse
coraggio sufficiente per raccoglierlo. Sakura… Sakura
l’ha fatto e per questo
lo realizzeremo insieme
Quindi
adesso si va avanti e magari tornerà l’inverno, ma
ora
per me è primavera”.
Per
tutte le persone arrivate fino a qui: grazie di cuore!
Questo
è il secondo tentativo di Sakuhina,
anche se più serio del primo.
Mi ha fatto piangere, inserirle nel mondo canonico è stato
difficile. D’ora in
poi solo AU per loro xD
Spero
che vi sia piaciuto,
che non abbiate pensato che sia una grande cazzata perché a
questa storia ci ho pensato molto e ci ho speso anche molto quindi
spero non
sia stato tempo (e lacrime) buttato^^
“Fuyo
no Haru” significa letteralmente “primavera
in pieno inverno“ (grazie google translate xD) che
è praticamente quello
che è Sakura per Hinata. Ho la fissazione dei parallelismi,
così mi piace
pensare a Sakura come la primavera e a Hinata come l’inverno.
Ed ecco la storia
xD
Volevo
farla arancione, ma andiamo per gradi^^
Non ho mai scritto yuri e non
voglio
sparare cavolate, prima mi informo x’’
Nel
caso vi sia piaciuta o meno, mi piacerebbe
sentire una vostra considerazione^^ Regalo caramelle e mele alle
persone che
recensiscono io u.u
A
presto!
Hatta.
|