Disclaimer: i
personaggi citati non sono miei, ma dei legittimi proprietari. Da parte mia non
c’è alcuno scopo di lucro.
Note: questa fanfic si è classificata seconda al contest “Donne
Assassine” di bambi88 e kalanchoe.
È lunga, estremamente lunga, ma
spero che qualcuno riuscirà ad arrivare alla fine ^^”
I won’t lie
Even if I end up broken hearted
I won't lie
I don't wanna hear
goodbye
But either way I'll be alright.
[Anche
se finirò con il cuore spezzato
Non mentirò
Non voglio sentire un
addio
Ma in un modo o
nell'altro starò bene.]
(Don't let me stop
you - Kelly Clarkson)
Il cielo scuro era appesantito da
grandi nubi cariche di acqua, l’elettricità dell’aria si poteva percepire
facilmente per le strade deserte, e l’ora antelucana non faceva che aumentare
il buio e la solitudine di quel luogo. Solo qualche folata di vento sporadica
movimentava la scena, risuonando tetra tra le fronde degli alberi e facendo
riecheggiare il tintinnio di qualche lattina vuota abbandonata nel pomeriggio
sulla via.
Una figura si trovava fuori
l’ingresso di una casa poco appariscente, ferma sull’atrio mentre si avvicinava
un temporale non indifferente, a giudicare dalle scariche elettriche che
percorrevano il cielo plumbeo. La porta era aperta, ma lei esitava. L’alba
quella mattina avrebbe tardato ad arrivare.
“Sono Sabaku
no Temari” si presentò, con voce
incerta e fiera insieme, mentre la luce giallastra del lampo si
rifletteva per un solo istante sulla sua pelle, accendendo di una strana
scintilla gli occhi verdi. “E sono un’assassina.”
E dopo fu solo il fragore del
tuono.
Asuma
la guardò scettico, facendosi da parte.
“Ehm…” provò. “Vuoi entrare?”
*
Temari
aspettava fuori l’ingresso di un ristorante, con le braccia incrociate al petto
e un’espressione che avrebbe fatto scappare all’istante anche un pluriomicida.
“Ehi” si sentì
chiamare stancamente da qualcuno alle spalle, e voltandosi svelta lo fulminò,
riconoscendo la voce.
“Sei in ritardo!” lo
aggredì.
“Lo so, lo so, scusa”
provò il ragazzo, decisamente spaventato e non più tanto sicuro di voler
continuare la serata.
“E pensi che questo basti?”
“Non è colpa mia!” si
difese. “E’ solo che quando sono uscito di casa… ecco…” si fermò, arrossendo.
“Non dirmelo” lei si
passò una mano sul viso, incredula. “Tua madre ha fatto storie?”
“Beh, voleva solo
sapere dove andavo, e con chi…” s’imbarazzò lui, evitando di guardarla.
“Un appuntamento con
una ragazza, non potevi dirglielo?” chiese in modo retorico, mettendolo ancora
meno a suo agio.
“Ci ho messo un po’
per sbarazzarmi di lei” rispose solamente, ritrovando il suo contegno.
“Oh, ma che carino…
La mamma era preoccupata per il suo bel bimbo” lo prese in giro, ridendo,
mentre lui assumeva tonalità di rosso mai viste prima. “Ciò non toglie che sei
in ritardo con me” tornò seria,
sottolineando il problema.
“Scusa… Ma ho tardato
solo di cinque minuti, pensi di poterci passare sopra o mi vuoi uccidere?”
Lei lo guardò,
assottigliando gli occhi. “Shikamaru, è meglio se non
sai la risposta…” minacciò, con voce fintamente calma.
Lui deglutì, ma poi
si riprese del tutto, ritrovando coraggio. “Entriamo?” propose, aprendole la
porta del locale per farla passare per prima.
Lei lo fissò
scettica, per poi incamminarsi. “Lo sai che è maleducazione far entrare per
prima una donna in un posto?” gli fece notare saccente, senza degnarlo di
un’occhiata.
Shikamaru
la guardò mentre lo superava di un paio di passi, poi si riscosse, seguendola.
“Scusa…” ripeté.
*
“Grazie mille” disse Temari, accettando volentieri la tazza di tè fumante che le
veniva porta. L’uomo si sedette poi di fronte a lei, dall’altro lato del
tavolino, incrociando le gambe per terra.
“Allora… Temari”
calcò il suo nome, “continua pure il tuo racconto” la incoraggiò.
“Oh, certo. Dunque, siamo entrati
in questo locale per cenare, ieri sera, era molto carino devo dire, e poi…”
“Con Shikamaru”
puntualizzò lui.
“Sì, l’ho
appena detto. Era arrivato in ritardo” gli ripeté,
mentre sorseggiava il suo tè.
“E… Yoshino sta bene, vero?”
s’informò cauto.
“Uhm?
Non lo so, credo di sì” lei scrollò le spalle,
indifferente.
“Ah… ok” si rassicurò.
Al momento, Asuma
non sapeva bene cosa chiedersi per primo. Cosa ci facesse Temari
del Deserto in casa sua di prima mattina, ad esempio, oppure perché mai gli si fosse
presentata dieci minuti prima con quella frase inquietante che gli aveva messo
i brividi. O ancora cosa c’entrasse lui con le beghe amorose del suo allievo.
Si accese una sigaretta, cercando
di fare ordine nella sua testa.
“La può
spegnere? Mi dà fastidio” gli fece notare lei, con
quel tono saccente con cui aveva iniziato a raccontare ciò che le era successo.
“Oh, sì, scusa” pigolò, spegnendo
immediatamente l’oggetto nel posacenere, messo a disagio da quei due occhi
penetranti. E da quel “sono un’assassina” che gli rimbombava nella testa, c’era
da ammetterlo senza vergogna.
“Non sapete dire altro, voi
uomini?” ghignò lei.
Ma forse la domanda giusta da
porsi in quel momento, per Asuma, era perché tutte a me.
“Ehm… Ti serve altro o puoi
continuare?” cambiò discorso.
“Ah. Dicevo, siamo entrati nel
ristorante e abbiamo scelto un tavolo a cui sederci…”
*
“Ma
proprio qui dovevamo sederci? Sembra di stare in
vetrina” si lamentò Temari, notando la grande
finestra al suo fianco che dava sulla strada.
“Se non ti andava
bene potevi scegliere un altro posto invece di far decidere a me” le fece
notare lui, poggiando la guancia su una mano, stanco.
“Mi hai chiesto di
uscire per poi avere quella faccia tutto il tempo?”
“Questa
è la mia solita faccia. E sei tu che hai chiesto a me di
uscire!” precisò.
Lei si limitò a
scrollare le spalle. “Mi annoiavo a morte, e tu eri l’unico disponibile”
chiarì.
“Grazie, eh!” disse
ironico.
“Prego” gli sorrise. E Shikamaru sbuffò.
*
“Ah, quindi ti sei proposta tu…”
notò Asuma.
“Mi annoiavo.
Ed ero affamata da morire” rispose soltanto lei.
“Beh, ma voi
due siete amici, no? Oppure gliel’hai proposto
sperando in altro?” s’informò attento.
Temari
ci pensò su, girando con il cucchiaino la bevanda calda. “Posso avere altro
zucchero?” chiese poi.
Asuma
sospirò, alzandosi per accontentarla. “Intanto prosegui il racconto…”
*
“Non abbiamo mangiato
male” cominciò Shikamaru, mentre la cameriera gli
portava via il piatto vuoto.
“Insomma…”
“Voi donne state
sempre a lamentarvi” borbottò lui seccato.
“Forse diciamo solo
la verità, e abbiamo di sicuro un palato più raffinato
di voi uomini” evidenziò sicura lei.
“Considerando il
miscuglio di carne e pesce che hai fatto stasera, ti devo proprio dare ragione,
Temari” la prese in giro, ridacchiando.
Lei arrossì un po’
dalla rabbia. “Vai a pagare e usciamo di qui!” lo riprese.
“Cosa?
Mi inviti tu e devo pagare io?!” si allarmò.
“Ti piace tanto fare
l’uomo della situazione, ora ne hai l’opportunità” spiegò calma lei.
Shikamaru
sbuffò, prima di mettere mano alla tasca dei pantaloni… per poi passare a
quella sull’altra gamba, con la fronte aggrottata.
“Che c’è?” chiese
lei, accavallando le gambe e fissandolo irritata.
“Niente… solo che…”
provò lui, andando a controllare le tasche presenti anche sulla giacca.
Temari
lo fissò sconvolta, per poi sospirare un ‘ma come mi è
venuto in mente?’
“Ok, questa scena è davvero patetica” si limitò a fargli
sapere.
“Ma no, aspetta un
attimo, non posso aver perso il portafoglio, quando sono uscito di casa c’era.”
“Da ragazzino quale
sei ti sarà caduto per strada mentre camminavi!” lo accusò. “Senti, lascia
perdere, faccio io” e detto ciò si alzò dal tavolo, dirigendosi a passi
misurati verso il bancone, lasciando il ragazzo da solo come un povero scemo.
Shikamaru
poi si accorse delle occhiate delle altre donne presenti nel locale, sguardi
d’intesa e risate in sottofondo. Di certo il tono di voce di Temari non era passato inosservato, si limitò a pensare,
arrossendo.
“Temari,
ti aspetto fuori” le fece sapere, uscendo di corsa dal ristorante e morendo di
vergogna.
*
“Questa è proprio da Shikamaru” ridacchiò Asuma,
mentre Temari lo guardava con un sopracciglio alzato,
seria.
“Io non ci trovo niente da
ridere, sa?”
E quello sguardo freddo riportò
l’uomo alla realtà, facendolo tornare serio di colpo. “E poi che è successo?”
domandò quindi in un sussurro.
“Poi l’ho riaccompagnato a casa.”
*
“Temari,
sto bene, non mi stare così appiccicata!” si lamentò il ragazzo, cercando di
scostarsi un po’.
Ma la presa della
ragazza sul suo braccio era ferrea. “Siamo quasi arrivati, fa’ silenzio.”
“So camminare da
solo” riprovò.
“Non ne sarei così
sicura…”
Lui sbuffò, lasciandosi
però guidare da lei. “Non c’è bisogno che mi segui fino a casa.”
“I minorenni non
dovrebbero bere alcolici” si limitò a fargli sapere, con un sorrisetto di
sfida.
“Era solo un
bicchiere di sake, che vuoi che succeda?”
“Meglio non
rischiare.”
Si fermò, fissandola
con occhi socchiusi. “Ti diverti, non è vero?”
“Da morire” ghignò.
Shikamaru
alzò gli occhi al cielo, dove le stelle erano velate da qualche rara nube che
andava accrescendosi. Si lasciò trascinare verso casa dalla ragazza,
approfittando in segreto della situazione, e di lei così vicina. Per fortuna la
loro meta non era poi così lontana, e dopo aver svoltato per un paio di viuzze
si ritrovarono davanti al portone antico.
“Se mi lasci il
braccio forse riesco ad aprire la porta” la rimproverò mite, nascondendo il
disagio.
Temari
lo lasciò, guardandolo mentre infilava una mano nella tasca. “Sperando che le
tue chiavi non siano vicine al portafoglio…” lo prese in giro.
Lui la guardò male.
“Eccole” gliele mostrò orgoglioso, lasciando tintinnare il portachiavi in ferro
e aprendo infine il portone.
“Uhm, carina” si
limitò a dire Temari, entrando per prima
nell’abitazione e guardandosi attorno.
Il ragazzo sbuffò, chiudendosi
la porta alle spalle e borbottando qualcosa che suonava come un “è maleducazione
solo quando vuole lei” e un “non sono una femminuccia”.
“Allora?” lo incalzò,
voltandosi a guardarlo.
“Allora cosa?”
“Non mi fai fare un
giro?” gli sorrise curiosa. “O hai paura che i tuoi
scoprano che hai portato una ragazza a casa?” ghignò, spiando divertita oltre
uno stipite per avvistare un’ombra dei suoi genitori.
“I miei non ci sono”
si limitò a farle sapere, superandola e facendole segno di seguirlo. “Di qua.”
“Davvero? E dove sono?”
*
“Ah, giusto, la cena a casa degli
Yamanaka!” esclamò Asuma
all’improvviso.
Temari
lo guardò, seccata di aver dovuto bloccare di nuovo il suo racconto. “Esatto.”
“E’ da una settimana che Ino non parla d’altro durante gli allenamenti, era una cena
celebrativa del vecchio Team…”
“Tra alcool a fiumi e vecchie storie,
interessante…” disse palesemente ironica, mentre spalmava la marmellata di more
su un biscotto di pastafrolla.
“Strano però, Ino
aveva minacciato di morte sia Choji che Shikamaru se non si fossero presentati” ci pensò,
portandosi una mano sotto al mento.
“Forse le mie minacce sono più
pericolose” evidenziò con un ghigno, facendo risuonare con un gesto secco il
coltello sul tavolo.
Asuma
riportò velocemente il braccio sul tavolino, prestandosi all’ascolto. “Continua
pure, Temari-san…”
*
“Vuoi bere qualcosa?”
disse la ragazza, avvicinandosi alla credenza della cucina.
“Fai come se fossi a
casa tua, eh…” si risentì lui.
Temari
aprì la vetrina, scrutando l’interno. “Tu rimani lì come uno stoccafisso,
quindi farò io gli onori di casa” si limitò a fargli sapere con un’alzata di
spalle.
Shikamaru
ignorò l’ennesimo epiteto poco carino della serata, guardandola prelevare con
espressione curiosa una bottiglia dal suo ripiano. E meno male che era stata
lei ad insistere per uscire insieme! Non osava immaginare la fine tra atroci
sofferenze dei poveretti che in passato avevano osato dichiararsi a quella
furia…
“Per me acqua,
grazie” le rispose.
Lei inarcò un
sopracciglio, divertita. “Ma che bravo bambino!” disse, versandosi un po’ di
liquore in un bicchiere. “Certo che tuo padre ha proprio ottimi gusti…”
“Ehm,
Temari? Non credi che sia un
po’ eccessivo?” domandò cauto, notando la gradazione esposta sull’etichetta.
Lei si limitò ad
ingoiare tutto in un solo sorso, lasciandosi poi scuotere da un brivido. “Eccessivo? La notte a Suna
è molto fredda” gli fece sapere, versandosi il secondo bicchiere.
“E bere alcool è il
metodo per scaldarsi?”
“E’ un metodo per scaldarsi” evidenziò,
sorridendo maliziosa al suo indirizzo.
Il ragazzo arrossì,
fissando il pavimento. “Dammi qua” borbottò, sfilandole il bicchiere dalle mani
e bevendone il contenuto a sua volta, sotto lo sguardo divertito di lei.
Temari
poi si avvicinò alla porta del salotto, oltrepassandola. “Da che parte è la tua
camera?”
*
“Ah, ma quindi sei ubriaca” constatò
Asuma, battendo il pugno chiuso sul palmo della mano.
“Ora capisco…” l’intrusione mattutina, il
discorso senza capo né coda, la frase sconclusionata con cui ti sei presentata…
“Mh? Che dice?” chiese, fermando di nuovo il suo discorso. “La
smette di interrompermi?”
“Ah? Ehm, ma certo” concordò.
“Ha mica
qualche altro biscotto?” domandò indiscreta, giocando con il manico della tazza
ormai vuota.
“Vado a prenderteli” sospirò,
alzandosi di nuovo in piedi.
“Al cioccolato sono i migliori”
gli fece sapere, alzando il tono di voce affinché lui potesse sentirla
dall’altra stanza. “Dunque” riprese poi. “Mi ha portato nella sua camera e ci
siamo richiusi la porta alle nostre spalle. Mi aspettavo chissà cosa, e invece
non è un granché…”
*
“Non è un granché”
ammise Temari, guardandosi attorno.
“Chissà perché, ma lo
immaginavo…” rispose sarcastico, andando a sedersi sul letto.
Lei si avvicinò alla
finestra, guardando fuori. “Vista banale sul parco…” commentò, aprendo i vetri
per un attimo e richiudendoli svelta, dopo esser stata investita dall’aria
umida della notte. Troppo umida per
una notte normale.
Continuò poi ad
aggirarsi per la stanza, spostando e scrutando gli oggetti che più la
incuriosivano, sotto lo sguardo fintamente annoiato del ragazzo.
“Hai finito?”
Temari
sorrise, prendendo una fotografia dal comodino e sdraiandosi poi sul letto. “La
foto del tuo Team” disse, osservando le quattro figure sorridere al di là della
cornice.
“Mh”
annuì lui, stendendosi accanto a lei.
“Vicino
la foto dei tuoi genitori e a quella di te bambino… Patetico. Tra l’altro, è una vita che hai sempre la stessa espressione, è un
record!” lo prese in giro ridendo.
“E’ la mia faccia,
non posso cambiarla” dichiarò, leggermente colpito, mentre tentava di
allontanarsi da lei per quel poco che il letto gli consentiva.
“Questo è il tuo sensei?” chiese lei, indicando la figura dell’unico uomo
adulto nella foto.
“Sì…” si limitò a
rispondere Shikamaru, guardandola di sottecchi.
Temari
squadrò meglio la figura, assottigliando gli occhi. “E’ un bell’uomo, ma ha una
faccia da stupido.”
*
“Ehi!”
Kurenai
non gli aveva mai detto nulla del genere! Non poteva essere vero!
“Mh? Che c’è?” chiese innocentemente
Temari, ingoiando un biscotto al cacao.
“Niente… Continua pure” Asuma capitolò.
*
“Ti piace il mio sensei?” domandò atono Shikamaru.
“Te
l’ho detto, è un bell’uomo. E’ alto e robusto, dà idea
di protezione…” cominciò Temari, fissando il
soffitto, divertita.
“Protezione?! Per te?” borbottò lui.
“Sembra anche un tipo
abbastanza intelligente da riuscire a capire la metà di quello che vuole una
donna.”
“Perché l’altra metà
non la sapete nemmeno voi…” sussurrò imbronciato.
“E poi ha il fascino
dell’uomo maturo” ridacchiò.
“Ah, certo… Sempre a
scegliervi uomini più grandi. Come se l’età servisse a qualcosa.”
“Certo che serve!”
s’impuntò lei.
“E a che? Pensi che un uomo con dieci anni più di te sia meglio di uno… con…”
affievolì la voce, imbarazzato, perdendo il filo del suo discorso iniziale.
“Tre di meno?” gli
suggerì.
Shikamaru
arrossì, voltando la testa da un lato. “Non serve a niente…”
“Invece
sì. Un uomo più grande di me di dieci anni avrà forse la maturità necessaria per tenermi
testa, invece uno con tre di meno…” lasciò la frase incompiuta, tirandogli una
guancia con la mano.
“Ahi” si lamentò lui,
tornando a guardarla.
“Ti sei offeso?”
domandò, prendendolo in giro.
“Figuriamoci… Tanto a
me non interessano le donne più grandi. Anzi, non mi interessano proprio le
donne in generale!”
Temari
lo guardò dapprima stupita, poi ghignò.
“Ho due fratelli, se
vuoi te li presento…” provò, non riuscendo a trattenere la risata.
“Non intendevo
questo!”
“No?!”
“No!” Lei continuò a
ridere, sotto lo sguardo imbronciato e vagamente imbarazzato di Shikamaru. “Non ci trovo niente di divertente…”
“Io sì” affermò,
tornando poi seria. O almeno ci provò. “Il tuo sensei
è libero?”
Il ragazzo sbuffò,
seccato. “No.”
“Che peccato…”
“La smetti?”
“Solo quando mi dirai
che ti piaccio.”
“Cosa?! Scordatelo, non vedo perché dovrei
mentire” si affrettò a rispondere il ragazzo, colto alla sprovvista.
“Lo sappiamo entrambi
che è così, vedrai che dopo avermelo detto ti sentirai meglio” provò, ridendo.
“Non devo dirti
proprio niente, se non che si sta facendo tardi ed è meglio se torni in
albergo.”
“Svii il discorso?”
“Lo chiudo.”
Temari
si avvicinò, sogghignando. “Io. Ti. Piaccio”
sillabò divertita.
“A me sembra il
contrario, da come mi stai appiccicata…” si mise sulla difensiva, arrossendo.
“Non l’ho mai negato,
io” rispose, sorridendo.
Shikamaru
sgranò gli occhi, per poi sentire di nuovo la risata di lei. “La pianti di
prendermi in giro?”
“Solo quando ti
libererai da questo peso” accordò lei.
“Mpf.”
“Mi accontento anche
solo se mi dici che mi trovi molto carina.”
“Carina?! Tu?” borbottò, voltandosi su un fianco.
“Allora dimmi che
sono l’unica che ti fa sentire così” continuò, prendendogli un braccio e
tentando di guardarlo in faccia.
“Così seccato, certo.”
“E se mi dici che…”
“No!” fu l’ennesimo
rifiuto.
“Ma mi sta ascoltando?!”
*
Asuma
si riscosse all’improvviso dai suoi pensieri. “Eh?” si ritrovò a chiedere,
spaesato.
“Le ho chiesto se mi stava
ascoltando!” ripeté Temari, infastidita.
“Ah… ma sì, certamente.”
“E allora ripeta” ordinò lei, con
fare autoritario.
Asuma
si passò una mano tra i capelli, pensieroso. “Beh, siete entrati nella sua
camera, e avete cominciato a litigare per… ehm, qualcosa” spiegò incerto.
Temari
non fu molto entusiasta, ma si fece bastare la risposta. Prese un coltello sul
tavolino, con la punta ancora sporca della marmellata di prima, iniziando poi a
squadrarlo attentamente, vedendo come la debole luce della stanza illuminasse
il metallo.
“Ha iniziato a piovere” gli fece
sapere poi, distraendosi e notando le fini gocce di acqua che rimbalzavano sul
davanzale della finestra.
“Già…” commentò l’altro.
“Continuo?” chiese, con quel
luccichio negli occhi che era apparso poco prima sulla soglia
dell’appartamento.
Asuma
si ritrovò a deglutire a vuoto, dandole il consenso.
*
“E va bene, basta!” Shikamaru si voltò verso di lei, ponendo fine alla
discussione. “Tu mi piaci, ok?” ammise urlando, assumendo una tenera sfumatura
di rosso che tanto ricordava il sangue vivo.
Quella non era
proprio il suo ideale di dichiarazione.
Innanzitutto era
stato costretto. Da una donna.
E poi lei aveva
giocato sull’esaurimento. Di lui.
No, non andava
proprio bene, questo era una di quei segreti da nascondere per sempre ai
nipoti, quando si raccontano le storie di gioventù.
Nel frattempo nella
stanza era calato il silenzio, mentre anche Temari
arrossiva un po’. L’imbarazzo era palpabile, tanto da poter quasi essere
tagliato con un kunai, e i due continuavano a
guardare il soffitto, l’uno affianco all’altra.
“E quindi ora che
facciamo?” chiese Temari, sussurrando.
“Non lo so” fu la
pronta risposta di lui.
La ragazza espirò,
facendosi forza.
Gli sfiorò poi la
mano, intrecciando le dita con le sue.
“Spegni la luce.”
*
“Ehm, non sono sicuro di voler
sapere come continua questa storia…” la fermò Asuma.
“No? C’è gente
che ucciderebbe per arrivare fino in fondo!” ghignò lei di rimando.
“C-continua
pure…”
*
Shikamaru
tastò il muro vicino al letto alla ricerca dell’interruttore, facendo poi
piombare la stanza nell’oscurità.
Fuori c’era il rumore
lontano della tempesta che si avvicinava, le nuvole si scontravano tra loro
provocando un mormorio sommesso.
Temari
chiuse gli occhi per un attimo, sospirando e raccogliendo le forze. Si
voltarono entrambi su un fianco, per avvicinarsi di più. “D’accordo…” disse
lei, a seguito di un suo ragionamento mentale. “D’accordo” sussurrò ancora,
sfiorandogli il petto con una mano.
“Che proponi?” chiese
lui, teso e incerto.
Temari
sospirò, avvicinandosi ancora.
“Penso che potremmo
iniziare così” disse, sfiorandogli la guancia con le labbra. “E magari
continuare così” propose, intrecciando poi una gamba tra le sue.
“Mh,
e poi?”
“E smettila con quel
tono stanco, lo so che non ti dispiace” sorrise, contro il suo mento.
“Mai detto il
contrario” chiarì.
Temari
sorrise, baciandolo piano sulle labbra, in un modo un po’ impacciato ma che
aveva del tenero, per poi abbracciarlo più stretta, aggrappandosi alla sua
maglietta. Fece risalire la gamba tra le sue cosce, che lui prontamente bloccò.
“Sei proprio sicura?”
“Di fare cosa?”
chiese fintamente ingenua. E poté giurare di vederlo arrossire anche al buio.
“Non dobbiamo per
forza....”
“Abbiamo la scusa
dell’alcool” sorrise, riprendendo a baciarlo.
“I tuoi fratelli mi
uccideranno…” provò a dire lui, mentre la stringeva a sé.
“I miei fratelli sono
a Suna, ben lontano da qui” spiegò, mentre gli
accarezzava la pelle della schiena, piano.
“Noi…” provò, ma le
sue labbra lo fermarono ancora. “Temari, noi siamo
amici.”
E lei lo guardò per
un attimo, curiosità mista a divertimento.
“Oh…” sembrò
accettare il suo rifiuto, spostandosi di poco, leggermente infastidita. “Se
proprio non vuoi…” sottolineò.
“Non è che non
voglio” precisò lui. “E’ solo che…” provò a difendersi, ma il visino corrucciato
di lei gli fece cambiare idea. “Come vuoi” capitolò, stringendola di nuovo a
sé.
“Ecco, così va
meglio” sorrise di vittoria, lasciandosi coccolare un po’, tra un bacio sempre
meno casto e una carezza più approfondita. Lui intrecciò di nuovo le loro
gambe, portando una mano a sfiorarle la coscia, alzandole il vestito. Quella
pelle liscia e morbida era meglio di qualunque sonnellino extra previsto per
quella sera.
Lei si strinse più
forte, lasciandosi sfiorare con quella delicatezza. Gli baciò ancora le labbra,
il mento, il collo, mentre lui la faceva scivolare dolcemente sotto di lui. Temari si sentì inebriata da tutte quelle attenzioni, rivolte
solo a lei, lasciò che la mano di lui s’infilasse sotto la stoffa, toccandole i
fianchi, la pancia, arrivando con un’impacciata carezza fino al seno. Arrossì,
nonostante tutto, dalla delicatezza che gli era propria, e strinse le cosce
attorno alla gamba di lui.
“Che c’è?” chiese
lui, fermandosi e guardandola negli occhi.
“Niente” rispose
decisa.
Ma entrambe le voci
erano affaticate.
“Allora posso…?”
chiese il permesso.
“Sì” glielo concesse,
mentre lui riprendeva ad accarezzarla piano, baciandola sul collo.
Era normale sentire
tutto quel calore dentro di lei? Era normale pensare che avere il suo corpo
così intrecciato al suo la facesse sentire in qualche modo completa? Era
normale provare certe emozioni?
Sentiva solo le
labbra frementi di Shikamaru che la baciavano,
labbra, collo, petto, di nuovo labbra, e le sue mani che sfilavano i bottoni
del vestito, lente e tremanti. E sentiva il suo respiro contro il suo corpo,
che le provocava brividi caldi lungo la schiena, e
chissà se anche lui aveva lo stomaco stretto, il cuore che batteva impazzito, e
un desiderio che lo rendeva impaziente e calmo.
E poi…
*
“Basta! Ho già sentito abbastanza!” Asuma si
portò le mani sulle orecchie, tentando di non ascoltare oltre. La
ragazza lo guardò placida.
“Che succede?”
“Ho capito, non c’è bisogno che
ti soffermi anche sui particolari, non interessano a nessuno” spiegò con fare
agitato, vagamente imbarazzato.
“Ah…” Temari
si stupì, scrollando poi le spalle. “Come vuole. Ci vorrebbe qualche dolcetto alla
crema per concludere al meglio questo spuntino, sa?”
Ma Asuma
stavolta non gliela diede vinta. Non più. “No, smettila!
Ma insomma, si può sapere che ci fai tu qui e a quest’ora?” chiese
esasperato, alzando il tono di voce, di solito sempre troppo calmo.
Il volto della ragazza si
rabbuiò, mentre le sopracciglia si avvicinavano, pensierose. Capì che il tempo
per giocare era finito, ed era ora di fare le cose seriamente. Se aveva scelto
proprio Asuma, che oltretutto conosceva poco, il
motivo era chiaro.
“E’ per quello che è successo…” sussurrò
calma.
“Che gli hai fatto?!” si ritrovò a chiedere lui con tono più alto del dovuto,
un po’ spaventato, mentre sgranava gli occhi.
Era tutta la serata che si
chiedeva che stesse succedendo, e cosa fosse veramente accaduto qualche ora
prima. Ormai era stanco, i nervi stavano cedendo, voleva solo sapere se il suo
allievo preferito stesse bene. Se fosse vivo, ecco.
Che quella ragazza oltremodo
fastidiosa l’avesse soffocato col cuscino? O magari l’aveva sfiancato troppo…
Sì, guardandola bene poteva essere.
Morto per eccessiva stanchezza, era la fine degna di Shikamaru,
a ben pensarci…
“Io niente!” si difese lei,
sicura e leggermente imbarazzata, riportando l’attenzione su di sé.
Asuma
la guardò, ricomponendosi subito e rientrando nella sua aura di assoluta calma.
“Ti ha fatto qualcosa che non hai gradito?” domandò cauto, tornando pacato come
al solito.
“N-no,
non proprio” ammise lei, incerta, fissandosi le mani intrecciate.
“E allora cosa…?”
“E’ per quello che è successo dopo” spiegò meglio.
*
Temari
guardò le nuvole addensarsi oltre il vetro della finestra, mentre il vento che
si rafforzava si andava ad infilare tra gli stipiti, creando spifferi
fastidiosi che soffiavano precisi contro la sua tempia. Shikamaru
era accoccolato contro di lei, tenendo stretta la schiena della ragazza al
proprio corpo, mentre con una mano le accarezzava piano i capelli, e con
l’altra cingeva la sua vita, in modo che lei potesse tenere strette le sue dita
tra le proprie.
Il lenzuolo li
copriva appena, ma bastava il respiro di lui contro la sua spalla a dare a Temari un senso di enorme calore. E di calma, e di
stanchezza, e di pace…
“Temari…”
poi lui la chiamò piano, con il tono fiacco
di chi è in uno stato di dormiveglia, ma ha ancora qualcosa di importante
da dire prima di dimenticarlo.
“Mh”
lo incoraggiò stanca e con gli occhi socchiusi, mentre lo sentiva sbuffare,
probabilmente per i suoi capelli biondi che lo infastidivano sulla pelle del
viso.
La notte era scura,
qualche lampo lontano squarciava il cielo come un sottile filamento d’argento.
E poi
quelle parole sussurrate appena, prima di scivolare in un sonno sereno, mentre Temari apriva gli occhi, agitata.
“… Credo di essermi
innamorato di te.”
L’alba sarebbe sorta
tra poco.
*
Concluse il discorso con gli
occhi ancora bassi, insicura per la prima volta in vita sua di fronte ad
un’altra persona.
Asuma
pensò a tutto quello che avrebbe potuto dire in quel momento, lui era un uomo
sensibile sotto quella scorza da duro, la sua dolce Kurenai
glielo diceva sempre. E ora che aveva più bisogno di lei, si ritrovava da solo.
A tentare di consolare una
ragazza.
Una ragazza dal cuore spezzato e
non aveva ancora capito bene a causa di cosa, a dirla tutta.
“Ah…” si limitò a dire, come a
rafforzare la sua presenza in quella stanza. “Beh… E’ stato gentile da parte
sua dirtelo, no?” provò.
“No” fu la secca risposta di lei.
Asuma
sbuffò. “Non avete passato una serata molto romantica, e l’unica cosa che non
ti va bene è quando Shikamaru ti dice di amart-”
“Non doveva dirmelo.”
Lui la guardò scettico. “Avresti
preferito che ti avesse usato come una qualunque?”
“Sì!” s’intestardì.
“Ma non è da
lui! Dovresti conoscerlo ormai, per che razza di
persona lo hai preso?” s’infervorò, tentando di difendere il suo pupillo.
“Non doveva dirmi niente, non gli
ho chiesto nulla” si ostinò lei.
“Non dovresti giocare così con i
sentimenti delle altre persone” la accusò con tono serio.
“Questi non sono affari suoi!” si
difese lei, evitando di rispondere.
Ma Asuma
non lasciò cadere il discorso, infastidito da quel modo di fare. “Lo sono se
coinvolgono i miei allievi.”
Temari
si chiuse ancora di più in se stessa, posando con forza il cucchiaino sul legno
e alzando lo sguardo fiero negli occhi di lui. “Lei non sa niente di me!” urlò.
“E allora dimmelo!” tuonò lui,
sbattendo una mano sul tavolino, facendola sobbalzare. “Ti ritrovo a casa mia
all’alba e mi parli di cose che non hanno un senso logico, ma che vuoi da me? Che vuoi da te stessa!”
“Non sapevo che altro fare!”
strillò, per poi espirare profondamente e ricomporsi. “Non sapevo come fargli
capire che…”
Asuma
sospirò, passandosi una mano sugli occhi stanchi. Che aveva fatto di male per
meritarsi questo?
“Temari”
cominciò, allungando una mano fino a sfiorare le sue, ancora intrecciate.
“Che fa?” lo aggredì lei,
ritirando il braccio. “Se ne approfitta?!” lo squadrò
con quei suoi grandi occhi indagatori.
“No… Volevo solo… Ah, lascia
perdere!” disse, alzando gli occhi al cielo.
Era sempre la solita. Un po’
infantile, un po’ aggressiva, un po’ insicura. Doveva fare un bel discorsetto a
Shikamaru su come scegliere le donne, appena lo
vedeva.
“E’ meglio se levo il disturbo”
ammise lei.
“Aspetta” la fermò. “Dimmi almeno perché me.
Perché sei qui?” chiese, calmo.
Lei lo guardò per un attimo,
prima di rispondere. “Non ho una vasta scelta, eh! Sola e in
terra straniera, se non se ne fosse accorto” gli fece notare con il suo
ritrovato tono saccente. “E se fossimo stati a Suna
non ne avrei di certo parlato con i miei fratelli, sono cose personali!” E Shikamaru non
sarebbe tornato intero a Konoha.
“Ah… Hai ragione” si limitò a
dire.
“E solo un uomo può sapere cosa
passa nella mente di un altro uomo” continuò lei.
“E perché non…?”
“Meglio lei che il padre di Shikamaru, non trova?” chiese in modo retorico.
Asuma
rifletté, increspando la fronte. “Già…”
Temari
lo guardò, ancora un po’ nervosa per il discorso precedente, e per quella che
tanto sembrava una sfuriata paterna. Una di quelle che ti fanno odiare il
genitore che hai davanti, sulle prime, ma che poi reputi tremendamente giusta. E
ti senti così stupida per non averci pensato subito a chiedere un consiglio in
modo normale. “Secondo lei…” provò, leggermente incerta.
“Sono sicuro che sai già cosa devi fare” la rincuorò.
E ripensò a come l’aveva trovata
fuori la porta di casa sua, prima, con quell’espressione seria e preoccupata. E
spaventata.
E poi come aveva iniziato a
raccontare la sua storia, falsamente sicura e superiore. Ma ricordava anche
come le sue labbra fossero impegnate con del cibo, o con le unghie, quando non
proferivano parola. Nervosa.
Lui l’aveva capito subito e
assecondata. Come aveva capito che se lei aveva scelto proprio lui come persona
affidabile da cui recarsi in quel momento era perché l’uomo era l’unico che conosceva
Shikamaru così a fondo, alla stregua di un genitore. Asuma di sicuro voleva soltanto il bene per il suo allievo,
e aveva la maturità necessaria per affrontare quella strana situazione con
obiettività. Temari sapeva che su di lui poteva
contare per avere la sua risposta. E che di sicuro sarebbe stata quella giusta.
In fondo, condividevano lo stesso
affetto per Shikamaru, anche se con sfaccettature
diverse.
“Certo che sei davvero
un’assassina!” scherzò, cercando di risollevarle l’umore.
Lei rise, abbassando lo sguardo.
“Già…”
L’uomo la guardò, comprendendo
appieno le sue parole iniziali, ora. “Anche volendo quel poveretto non sarebbe
stato capace di tenerti testa. Hai ucciso tutto quanto, dall’inizio alla fine,
ogni momento intimo, ogni azione definita normale, ogni parola dolce o carezza
gentile… Tutto.”
“Tranne Shikamaru”
sottolineò lei, con le labbra tirate in un sorriso.
“Tranne Shikamaru”
confermò lui. “E meno male…” sospirò, e sorrisero insieme. “Ti riaccompagno in
albergo, vuoi?” propose poi, alzandosi.
“Lascia stare, ci penso io.”
Entrambi si voltarono sorpresi e
agitati alle loro spalle, verso quella voce che proveniva appena oltre la porta
del piccolo salotto.
E il proprietario era lì, con la
spalla appoggiata contro lo stipite della porta e le braccia incrociate.
“Shikamaru,
ma come sei entrato?” chiese l’uomo, che non riusciva a credere di non
essersene accorto. A quanto pare quella biondina aveva risucchiato tutte le sue
energie. E pensare che era ancora mattina…
“La porta era aperta” si limitò a
rispondere lui, alzando le spalle con noncuranza.
E Asuma
ricordò che prima si era occupato di far entrare Temari
in casa e di farla accomodare, scossa com’era, senza pensare a chiudere bene la
porta. Chiunque si sarebbe potuto introdurre facilmente… E un
Jounin del suo livello non se ne era accorto!
Per non parlare di Kurenai: se avesse trovato la ragazza di Suna a casa di lui di prima mattina che facevano
allegramente colazione insieme… Sarebbe morto al solo pensiero!
“E’ almeno un’ora che ti cerco”
disse Shikamaru, riportando l’attenzione del suo
maestro sul suo salotto. “Per poi trovarti a casa del mio sensei…
Si può sapere che ci fai qui?” chiese serio, rivolto a
Temari.
“Non sono affari tuoi” si limitò
a rispondere lei, voltando lo sguardo fiero.
“Se permetti lo sono, dato che
c’ero io in giro per tutta Konoha con questo tempo
orribile” le fece sapere.
“Nessuno te l’ha chiesto.”
“E nessuno ti ha chiesto di
scappare da me nel cuore della notte, potevi rimanere!” dichiarò, un po’ seccato.
Temari
prese a giocare con il cucchiaino, facendolo agitare attorno alle sue dita. “Da
quanto sei qui?” chiese, evitando di guardarlo.
Lui sbuffò. “Sono appena
arrivato” chiarì, notando le spalle di lei rilassarsi. Poi si voltò verso il
maestro, che gli rivolse un sorriso incoraggiante. “Temari…”
“Arrivo” lo precedette lei,
sbuffando. “Un minuto…” prese tempo, sistemando il tavolino dai resti della
colazione. Infine si alzò, avvicinandosi lenta al ragazzo e guardandolo negli
occhi, finalmente.
“Temari,
grazie per la compagnia, e per la storia interessante” proruppe Asuma, rompendo la tensione con una risata. Entrambi i
ragazzi arrossirono, abbassando lo sguardo. “Ci vediamo presto, eh!” la salutò,
dandole una pacca sulla spalla che la sbilanciò.
“Ma certo!
I biscotti al cioccolato della sua fidanzata sono veramente
ottimi!” gli fece sapere lei, mentre ritrovava uno sprazzo del suo carattere
forte, ridendo poi dell’improvviso imbarazzo dell’uomo. “E anche la
tazza rosa… dovrebbe nascondere meglio gli indizi, sa?” lo prese in giro,
avviandosi poi verso la porta con quel suo passo sicuro e deciso.
I due uomini rimasti sbuffarono
in contemporanea, poi Shikamaru infilò le mani in
tasca e guardò di nuovo il sensei, facendogli un
cenno d’intesa. Asuma si limitò a passargli una mano
sulla nuca, in quella che doveva essere una carezza tra il paterno e il
divertito, ma che si dimostrò essere un gesto impacciato e con la forza dosata
male, visti i due passi in avanti che il ragazzo si ritrovò costretto a compiere.
Poi l’uomo gli diede una piccola gomitata, seguita da un cenno verso la ragazza
accompagnato da un ghigno sulle labbra. Come a dire: “e
chi se lo aspettava da te…”
Shikamaru
arrossì ancora. Bene, il suo maestro sapeva della sua nottata… Roba da desiderare
una morte istantanea. Si avvicinò a Temari, in attesa
sulla porta, borbottando un: “prendo in prestito
questo ombrello” raccogliendo l’oggetto in questione dall’appendiabiti.
Asuma
li salutò ancora, sorridendo, mentre li sentiva richiudersi la porta alle loro
spalle e uscire da casa sua. Finalmente.
Quell’incontro lo aveva stancato
più di mille combattimenti, anche il guerriero più coraggioso meritava il sano
riposo, ora.
Sì, ma chi aveva più sonno?
*
La pioggia scrosciava fitta,
coprendo il Villaggio di un velo grigio e opaco. Niente più tuoni, niente
fulmini, niente vento, ormai era rimasta solo l’acqua, implacabile, che lavava
via ogni cosa.
Sulla terrazza ampia, i due erano
ancora sotto l’ombrello nero al riparo dal diluvio, a guardare il paesaggio cinereo
davanti a loro.
“Perché siamo qui?” chiese Temari dopo un po’.
Il ragazzo non la guardò,
continuando a fissare avanti a sé. “Questo posto mi piace.”
La sua terrazza preferita, quella
dove passava anche pomeriggi interi a guardare le nuvole, seduto sulla panca
sotto la tettoia di legno, quella dove lui e Choji si
erano conosciuti e dove poi avevano portato anche Ino,
una volta creato il Team. E quella dove ogni tanto si faceva trovare da Temari, dopo che lo aveva cercato per tutto il Villaggio
perché era scappato da qualche obbligo burocratico che dovevano condividere. E
poi se ne stavano lì, stranamente in silenzio, vicini.
“Lo so” sussurrò lei, passandosi
le mani sulle braccia con la pelle d’oca.
“Hai freddo?” chiese lui
preoccupato.
“No” mentì.
Il sole probabilmente era sorto,
nascosto dietro lo strato opaco delle nubi, ma la vita sembrava tardare a
svegliarsi, ogni cosa era immobile e silenziosa.
Era un’atmosfera un po’ surreale,
di quelle in cui non sembra nemmeno di stare nel solito posto con le solite
cose davanti al naso, ma tutto assume improvvisamente un misterioso fascino
avvolgente, ed è come vivere da un’altra parte.
“Noi dobbiamo parlare” esordì Shikamaru dopo qualche minuto di silenzio. E il suo tono
era freddo e tagliente, tanto che Temari sussultò
appena.
“Io non credo” lo contraddisse,
mantenendo la voce ferma e sicura come al solito.
“Io invece credo di sì” dichiarò
pacato, voltandosi a guardarla. E quello che fiorì sulle sue labbra era un
piccolo sorriso sincero. “La prossima volta che vuoi fuggire usa la porta: hai
lasciato la finestra aperta e mi sono svegliato per il freddo” spiegò.
Lei s’imbronciò, incrociando le
braccia sul petto. “Sempre a lamentarti…”
Shikamaru
sbuffò divertito. “Mi è entrata la pioggia in camera, mi si sono bagnate pure
le coperte…”
“Pensavi di morire annegato?” lo
prese in giro.
“Più che altro non so come
spiegarlo a mia madre…”
“Ah, capito” fece finta di
pensarci su. “Allora parliamo di una morte lenta e dolorosissima, quella che ti
toccherà.”
“Senza dubbio” si lamentò lui.
“Beh, è stato
un piacere conoscerti. Addio” ridacchiò lei.
Shikamaru
la guardò improvvisamente serio, spegnendo il sorriso di prima. “Davvero è
stato un piacere?” provò. “Anche se stanotte sei scappata via da me?”
Il viso di Temari
si rabbuiò, mentre la sua risata si smorzava. “Non era il caso che qualcuno mi
vedesse a casa tua.”
“Potevi almeno avvertirmi” disse
pacato.
“Stavi dormendo.”
“Potevi svegliarmi.”
“Potevi evitare di addormentarti
dopo due secondi!” lo aggredì.
E lo guardò seria, trafiggendolo
con quegli occhi sottili tanto, troppo,
espressivi. Era come leggere un libro di emozioni aperto, se si imparava a
conoscerli.
“Avrei potuto, hai ragione”
confermò lui. “Ma non è che sia stata una serata molto romantica…”
“Ah, quindi ora è colpa mia?”
“Beh, magari la prossima volta
potremmo evitare il ristorante” s’imbarazzò, ripensando alla figura poco
maschile che aveva fatto.
Temari
si crucciò. “Non ci sarà nessuna prossima volta, stanne certo.”
Il ragazzo alzò gli occhi al
cielo grigio. “Come vuoi…”
Lei strinse ancora più forte le
braccia contro il petto, si mise a fissare il pavimento scuro, voltando la
testa dalla parte opposta a quella di Shikamaru. Poi
prese a battere la superficie con la punta del piede, spazientita, sotto lo
sguardo vigile e calmo di lui. E infine esplose. “Non riesco a credere che tu
non sia riuscito a prendere l’iniziativa nemmeno una volta!”
“Guarda che era complicato” si
difese lui.
“Per te è complicato pure
respirare!” lo assalì. “Il ritardo, il conto da pagare, gli onori di casa, un
discorso interessante… Niente! Dall’inizio alla fine non ne hai azzeccata una!”
“Beh, forse
qualcosa sì, non trovi? Non mi sembra ti sia
dispiaciuto come è finita la serata” suggerì, con il viso leggermente più rosso
del dovuto.
“Che cosa?!”
tuonò lei.
“Mi vuoi dire per caso che non ti
è piaciuto?” chiese sicuro.
“Ovviamente no!” lo smentì
subito. “E’ stato un disastro totale! Tu sei stato un disastro totale!” precisò.
Shikamaru
sbuffò, infilando una mano in tasca, mentre con l’altra andava a stringere
maggiormente il manico dell’ombrello. “Un po’ di autostima non mi farebbe male,
ma grazie, eh!” commentò ironico.
“Dovere” lo prese in giro,
fintamente seria. “Ma almeno sono sicura che non puoi
peggiorare ulteriormente, è già qualcosa” evidenziò, con un piccolo
sorriso, più calma.
Il ragazzo la guardò di
sottecchi, più rassicurato e stranamente tranquillo. “Non mi hai nemmeno
lasciato un biglietto…”
“Ci penserò la prossima volta”
ammise ridacchiando.
“Ah! Ma
allora ci sarà una prossima volta?!” proferì ridendo,
prendendola in contropiede.
Temari
sbuffò. “No. Scordatelo.”
“Certo…”
E tornarono entrambi a guardare
avanti a loro, più leggeri, al Villaggio ancora coperto dalla fitta maglia di pioggia,
ma avvolto da un grigio più tenue ora, grazie al sole più alto che filtrava
appena dalle nuvole. O forse era solo un’impressione.
Eppure rimasero così, immobili,
all’interno del cerchio asciutto che creava il riparo dell’ombrello, troppo
piccolo per contenere i loro pensieri e troppo grande per avere la scusa di avvicinarsi.
“Ho avuto un’idea” esordì lui
dopo qualche minuto di silenzio.
Temari
si voltò lentamente a guardarlo, alzando le sopracciglia in un’espressione
stupita. “Che?”
“Possiamo tenere la nostra
relazione segreta per i primi tempi, almeno saremo solo noi due senza problemi
esterni” propose, guardandola profondamente, mentre lei sgranava gli occhi. “Lo
so che i nostri Villaggi sono lontani, ma posso chiedere più missioni a Suna, e tu accetterai gli incarichi a Konoha”
le si avvicinò, sfiorandole la guancia con la mano. “Creeremo tutte le
occasioni che vogliamo, ho già in mente qualche piano geniale” sorrise.
E Temari
distolse lo guardo, anche se sentiva la fronte di lui contro la propria, e la
necessità di toccarlo, di stringerglisi contro, era
diventata impellente. “Aspetta…” mormorò appena.
“Funzionerà” la rassicurò,
accarezzando la sua guancia mentre riportava il suo sguardo nel proprio. “Fidati”
continuò, baciandole piano uno zigomo, e scendendo poi lungo la guancia.
“Aspetta…” si oppose di nuovo lei,
debolmente, senza riuscire a scostarsi davvero. E Temari
chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare per appena un secondo.
“Dimmi soltanto di sì” fu la
richiesta di Shikamaru, prima di sfiorarle le labbra.
Temari
si ritrasse, aprendo gli occhi e guardandolo seria, a metà tra il malinconico e
il sereno.
Ed era lei che risaltava così
tanto rispetto a quei colori opachi dello sfondo - e quegli occhi mai gli
parvero tanto belli - era lei che gli impediva di distogliere lo sguardo,
calamitato dalla stessa espressione intensamente seria che gli aveva mostrato
poche ore prima, quando si era lasciata amare; ed era sempre lei che emanava
quel calore profumato di tè, di pioggia, di fumo, di lui e dell’inconfondibile
sapore deciso, e forte, e sempre troppo lontano di Temari.
Lei era tutto ciò a cui non
avrebbe mai rinunciato.
“No.”
Tutto ciò per cui sarebbe valsa
la pena vivere, arrabbiarsi, ridere, urlare e piangere.
“Cosa?”
Tutto ciò per cui avrebbe potuto
mostrare il vero se stesso, per cui avrebbe potuto amare senza condizioni. E
anche ammetterlo.
“Ho detto di no” ripeté lei con
più convinzione, spostandosi indietro di un passo.
Shikamaru
la guardò attonito, per poi costruire una facciata dura e tagliente contro cui farla scontrare. “Temari, dopo
tutto quello che ho passato questa notte non mi va di
scherzare. Sono stanco.”
Lei lo affrontò, fissandolo
seriamente. Ed era come se un arcobaleno di strani e sgargianti colori gli
stesse troppo vicino per non rimanerne accecato. Ma il semplice pensiero di toccarlo
era ora impossibile.
“Non può funzionare” spiegò
calma.
“Perché no?!”
s’impuntò lui, stringendo i pugni e lasciando cadere l’ombrello sul pavimento.
E il suo arcobaleno sembrava più grigio, ora, mentre le gocce di pioggia lo
imbrigliavano. Più lontano.
Sorrise, Temari,
mentre gli occhi si abbassavano e i capelli si scurivano, bagnati. “Non voglio
vivere a Konoha.”
“Perché?
Ormai conosci il Villaggio, hai amicizie qui, hai me. E… e il
clima è migliore” provò con scuse che lui stesso definiva stupide, non
riuscendo bene a controllare il tono di voce, leggermente più alto del dovuto.
“Non mi piace la pioggia” rispose
soltanto lei, sorridendo. Non è il mio
posto.
Ma perché ora quel sorriso si
stava spegnendo?
“Allora verrò io a Suna” propose, pensando freneticamente a una via d’uscita.
Lei rise ancora, piano. “Non
verrai.”
“Come-”
“Sei ancora un bambino, Shikamaru. Non puoi capire.”
“Cosa?” chiese, avvicinandosi a
lei di un passo. “Non sai dire altro? Non hai altre scuse? Per
me tu hai solo paura!”
“Tu non ci sarai!” gridò lei.
Forte, con quel tono deciso che le era proprio e che non ammetteva repliche.
“Non ci sarai, quando avrò bisogno di te” spiegò, calmandosi.
Il ragazzo rimase un attimo
interdetto, soppesando le sue parole. “Per le distanze?” chiese, più a se
stesso che a lei. “Posso stare con te a Suna, se è
questo il problema.”
“No, il tuo Villaggio ha bisogno
di te.”
“Verrò appena possibile, te l’ho
detto. A qualcosa penserò.”
“Non funzionerà.”
“Lasciami almeno provare” la
pregò.
“No…”
“Temari…”
Ma lei non si lasciò convincere.
“Io non ci sarò.”
“Dove?” chiese lui, al limite
della pazienza, portandosi una mano sui capelli e sbuffando.
“Quando avrai
bisogno di me. Io non ci sarò mai” spiegò, con un
sorriso triste.
“E che m’importa?” alzò la voce,
perdendo la pazienza.
“Se succederà qualcosa al tuo
Villaggio o ai tuoi amici, io non potrò essere qui” continuò pacata. “Mi
odierai per questo.”
“No…” sospirò, cercando la calma.
“Temari, che vuoi che succeda al Villaggio?” provò,
sorridendo falsamente sicuro. “O ai miei amici? Sono ninja! Abbiamo messo in
conto che non può sempre andare tutto bene, non per questo ti odierò.”
Lei lo guardò ancora con il
sorriso di prima. “Mi dispiace.”
Shikamaru
la vide allontanarsi di un passo, e capì che ormai era tardi. Non era mai
iniziato nulla, ma era tutto irrimediabilmente perso. “E’ un addio?” chiese,
con il fiato sospeso.
“No” rise lei, contagiandolo e
provocandogli almeno un sorriso nascosto dietro uno sbuffo.
“Quando tornerai?” si ritrovò a
chiedere, e mai si sentì tanto infantile.
Ma era lì, col cuore in mano
davanti alla prima ragazza che aveva mai amato in tutta la sua vita, e lei lo
aveva calpestato. Con dolcezza, sì, ma sempre distrutto era.
“Appena accadrà
qualcosa al tuo sensei. È un
uomo interessante” lo prese in giro, con un ghigno.
“Ah, per lui torni, eh?” stette
al gioco, borbottando.
Temari
gli regalò un ultimo sorriso, prima di lasciarlo lì da solo, sotto la pioggia
che non voleva diminuire di intensità, a rimuginare su quel che era accaduto. Sparì
all’improvviso, lui alzò lo sguardo e lei semplicemente non c’era già più, come
i sogni migliori.
E Shikamaru
davvero non sapeva se era meglio che quello fosse stato tutto un sogno infranto
– o un incubo dal retrogusto dolce – oppure uno di quei momenti che un uomo
deve vivere prima o poi nella sua vita.
Rimase su quella terrazza a
pensare che tutto quanto era andato storto, quando
niente avrebbe dovuto esserlo. Si accorse che aveva ancora bisogno della
saggezza di Asuma - che aveva accolto la ragazza
senza fare troppe domande - e che gli mancava anche la maturità di Temari. Si chiese se mai sarebbe stato degno di loro due,
se mai quel qualcosa di buono che sentiva dentro di sé sarebbe stato vissuto.
Se mai avrebbe potuto fare qualcosa di sensato e intelligente.
Quello che era certo, era che
quella terrazza piovosa da cui amava guardare le nuvole nei pomeriggi caldi,
tra risate e patatine, conservava con sé ora anche il ricordo del primo cuore
spezzato. Ed era sicuro che sarebbe stato proprio lì
che un giorno avrebbe conquistato Temari per sempre.
Perché c’era sicuramente una
ragione per cui lei lo aveva rifiutato, e ora riusciva quasi a coglierla. Lo
aveva fatto per il bene di entrambi: non erano pronti, non era il momento. Ma
gli aveva chiaramente dimostrato che i suoi sentimenti erano ricambiati
ampiamente.
Lei lo amava, in qualche strano modo.
Quello che non sapeva, era che Temari ce l’aveva davvero messa tutta, quella sera, ma era
assolutamente, innegabilmente e profondamente incapace di essere romantica.
FINE
Note: se non si fosse capito, Temari uccide il romanticismo. Il movente è che non ne è
semplicemente capace.
Ovviamente non potevo far morire
davvero qualcuno, sono troppo votata al comico per fare una cosa del genere.
Forse.
Ci tengo a ringraziare Lely per la citazione iniziale, senza di lei non avrei
saputo nemmeno chi fosse Kelly Clarkson XD E grazie X3
E poi Vale, perché, beh, ormai le
mie storielle ShikaTema demenziali su msn inventante sul momento non ce le leva più nessuno XD
Ah, ovviamente pubblico la fic oggi perché sono 5 mesi dal compleanno di Vale e 1 mese
e 11 giorni da quello di Lely (numero che farà felice
la Vale. Tutto torna XD). Mica
perché è un caso!
Questa fic
continua a non piacermi, capita a volte di non essere soddisfatte del proprio
lavoro, ma comunque non nego di essere stata contenta di vederla classificarsi (non
so come) seconda.
E ho pure vinto il premio della
giuria. Per la prima volta ho vinto un premio speciale XD
Aspettavo il bannerino
per postare la fic, ma ancora non è pronto. Lo
metterò in account appena mi giungerà.
Sono molto impegnata ultimamente,
non so quando e se scriverò ancora su questo pair XD
Ma ho visto che ultimamente c’è qualche ShikaTema in
più *_* Bene così, ragazze!
Se mi lasciate un parere, ne sarò
felice ^^
Lascio anche il commento delle
giudici:
1 – ortografia e punteggiatura : 9.75
2 – originalità: 9
3 – Aderenza alla traccia: 9
4 – Ic dei personaggi: 9.5
5 – Giudizio Personale: 4.5
6 – completezza: 5
Totale: 46.75
Fiction pregevole nello stile e nella grammatica, sempre irreprensibile.
La trama, con l’intervento di Asuma, il quale
alleggerisce la prima parte della fic, intrigante e
divertente, almeno fino al finale, che lascia un po’ di amarezza.
Resa dei personaggi ottima: dall’imbarazzato Asuma,
alla “crudele” Temari, per concludersi con Shikamaru, la vera vittima.
Buona la gestione delle scene, una lettura molto vivida.
Scorrevole e dai dialoghi incredibilmente brillanti.
L’unica pecca risiede nella gestione dell’omicidio. Troppo sfumato, anche se
presente.
Vincitrice del premio giuria.