Le Chimere di Salomone

di BabaYagaIsBack
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"Fate 
Up against your will
Through the thick and thin 
He will wait until 
You give yourself to him"

-The killing moon (Echo & The Bunnymen)  

 

Medio Oriente, 987 a.C.

Re Salomone strinse a sé il corpo del proprio migliore amico quasi fosse un pargolo inerme. Grosse lacrime gli colavano lungo le guance scarne e la voce spezzata ripeteva una litania sommessa, troppo leggera per poter essere udita da chiunque non fosse il cadavere che con tanta forza si teneva vicino, così stretto da impedirgli di fuggire via, di correre verso il Regno di Dio

Levi era morto quella mattina in una delle tante battaglie in cui il popolo ebraico si era dovuto ritrovare coinvolto e, da quando la sua salma era stata riportata a palazzo, Salomone non aveva smesso di piangere e disperarsi come un fanciullo. 

Sapeva da sé che, presto o tardi, qualcuno sarebbe sopraggiunto per strappargli quel corpo dalle braccia, ma ancora non era pronto a lasciare andar via l'uomo che solo la sera precedente si muoveva ubriaco per il salone, cantando con passione le sue tanto amate ballate e amoreggiando con qualcuna delle serve, vivo. Sentiva ancora la sua voce recitare strofe di canti imparati da bambini, accompagnata dal tintinnare leggero dei suoi gioielli - mentre ora, dalla sua bocca pallida, non usciva altro suono se non uno straziante silenzio.

Quel giovane soldato e il figlio di Davide erano nati nello stesso mese del medesimo anno, cresciuti fianco a fianco come fratelli e, ora, il Dio che tanto avevano servito in quell'esistenza si era portato via la vita che al Re era più cara.

No, non poteva essere vero.

Il suo Signore non poteva aver realmente chiesto l'anima di Levi, non poteva aver scelto lui per rincarare la sua prole di Angeli. Era meschino, un atto orripilante! Ma era anche la prova che aveva a lungo cercato: la conferma a tutti i sospetti che gli avevano pian piano riempito la testa.

 Decine di uomini, provenienti dalle più disparate aree della terra conosciuta, erano giunti alla sua corte e gli avevano parlato di altri culti, di divinità temibili oppure amabili, di rituali agghiaccianti e di feste simili a quelle che indicevano lì, a Israele, in onore del loro Padre. Tutti i viandanti che si erano presentati avevano lentamente alimentato nel Re una domanda, l'eretico dubbio che non vi fosse nessuno sopra le loro teste a vegliarli o che, invece, vi fosse il Dio sbagliato, una creatura che di magnanimo non possedeva nulla. E ora, il fatto che chiunque vi fosse, oltre la coltre di nubi nel cielo, avesse deciso di prendersi il figlio di Yoel, sembrava dar credito a ognuna delle dicerie portate nelle mura della casa del grande Salomone dai visitatori stranieri.

E se quell'entità era stata così impietosa, cosa fermava lui dall'essere altrettanto avventato? Cosa lo costringeva a seguire la rettitudine che per anni lo aveva contraddistinto? 

Nulla.

I lamenti sussurrati del Sovrano s'interruppero di colpo, facendo piombare la stanza in uno strano silenzio. Con un cenno della mano l'uomo chiamò a sé Tamar e Yael, le uniche a cui aveva permesso di assistere al pietoso spettacolo di un Re che si piegava sotto a un'emozione così umana come la sofferenza, mandando in frantumi la sua maschera da creatura intoccabile, potente e divina, prescelta dal Signore, che aveva a lungo indossato.

Le donne si concessero un'occhiata dubbiosa, evidentemente incapaci di capire cosa stesse per accadere, di spiegare a se stesse perché mai il loro monarca avesse smesso improvvisamente di singhiozzare e stringere con foga il corpo dell'amico. In verità, nessuno poteva carpire i suoi pensieri, comprendere le sue azioni - solo quel morto che, ora, non avrebbe più potuto svelare nulla. 

Salomone lanciò loro uno sguardo severo, duro come la pietra con cui era fatto il palazzo, grigio e penetrante come un cielo tempestoso: «Portatemi il mio pitone più bello, una lama d'argento affilata e dell'acqua con sale» comandò con voce roca, eppure non più spezzata dai singulti come si sarebbe potuto pensare. 

Tamar deglutì, visibilmente turbata da quella richiesta. A differenza di Yael, che era arrivata a palazzo solo due inverni prima, lei era tra le grazie del Re da molti anni e qualcosa su di lui era riuscita a scoprirla - cose che forse non avrebbe dovuto sapere, segrete e temibili, capaci di costarle la vita.

Con occhi grandi di incertezza si volse verso l'altra, titubando sul da farsi. Chiunque avrebbe potuto scorgere nello sguardo di Salomone quella punta di febbrile follia, un monito nei confronti di ciò che sarebbe seguito di lì a poco e a cui, con grande probabilità, nessuno avrebbe desiderato assistere.

«Muovetevi!» tuonò l'uomo digrignando i denti a causa di un'urgenza improvvisa. 
La serva più matura sussultò per lo spavento, sicuramente sentendosi il cuore saltare in gola - non era avvezza a quei modi, soprattutto da parte di un uomo come era sempre stato il suo Re: avvenente, pacato, gentile e caritatevole. Un ordine così imperioso stonava nelle corde vocali di Salomone e per questo turbava chiunque potesse subirlo. 

Tamar avrebbe dovuto ribellarsi a quel comando, la sua esperienza glielo stava certamente gridando a gran voce, ma l'amore che aveva nutrito per quel giovane, incoronato prematuramente, la costrinse a ignorare la sua coscienza, girare i tacchi e andare alla disperata ricerca di quegli oggetti, trascinandosi dietro la compagna. 
Il buon senso tentò di ribellarsi con insistenza, facendola fermare di tanto in tanto lungo i corridoi. Doveva lasciar perdere l'ordine impartitole e non far ritorno nelle stanze del Sovrano fin quando non si fosse calmato e un gruppo di uomini avesse portato via la salma, ma ogni istante che perdeva, ferma a guardare oltre le proprie spalle, doveva essere vissuto dalla sguattera come una sorta di piccolo tradimento; per questo le pause si fecero sempre più corte.

Tamar era a conoscenza del fatto che non molti inverni prima, persuaso da viaggiatori eclettici, il figlio di David si era avvicinato a strane pratiche provenienti dalle terre più a est del suo regno, iniziando così a compiere incantesimi degni dei grandi maghi d'Oriente. Erano iniziato tutto con piccoli successi: una scintilla, un fiore sbocciato, una nube dissolta nel cielo - ma poi era peggiorato, arrivando a compiere magie sempre più potenti. 
Quella sola abilità, se si fosse fermata nei limiti dettati dai loro comandamenti, agli occhi dei sudditi sarebbe stata certamente ben vista: un regnante in grado di praticare l'Ars non avrebbe più avuto alcun rivale, tutti i nemici ne sarebbero stati impauriti, concordando sul fatto che il Dio stesso lo avesse proclamato Sovrano di tutti i Sovrani
Peccato solo che i rituali a cui Salomone si fosse avvicinato e con il tempo appassionato richiedessero componenti tutt'altro che innocenti, elementi in grado di far accapponare la pelle e che nessuna Divinità avrebbe mai accettato venissero usati in suo nome. 
Sì, perché il sangue era alla base di tutto. Senza quello, aveva presto capito Tamar, nulla si sarebbe potuto creare o distruggere. 
Era quindi ovvio che il popolo, una volta scoperto quel segreto, non avrebbe più visto così di buon grado la magia del sovrano, lontana e opposta a qualsivoglia legge imposta dal loro Dio di misericordia.

Un pensiero terrificante, a quel punto, le attraversò la mente: che il Re volesse donare se stesso per riavere indietro un semplice Generale? Lo aveva sentito più volte lamentarsi di come fosse difficile, se non quasi impossibile, aprire i cancelli tra la vita e la morte per riportare indietro un'anima, però lo aveva anche visto compiere una simile impresa; giusto un paio di volte e su creature del tutto insignificanti - passerotti, lucertole, serpenti e qualche gatto randagio - certo, ma mai su un corpo umano. E se ciò avesse significato perdere anche lui? E se quell'aberrante peccato avesse privato Israele del proprio Re?
Si morse il labbro, continuando a tenere Yael all'oscuro dei suoi macabri pensieri. Era troppo giovane per poter capire quello di cui le avrebbe parlato, troppo innocente per non tremare di paura di fronte a una simile verità. 

Salomone giocava continuamente con quell'arte oscura, lo aveva visto apprendere da ogni straniero che arrivava a palazzo, cercare scritti e insegnanti pronti a sfamare la sua vorace curiosità, ma mai si era spinto così lontano da voler sfidare la morte e sovvertire le regole della vita - perché ne era certa, ciò che sarebbe accaduto quella notte era la peggiore delle prospettive che si stava figurando nella mente.

Lo aveva spiato per tante sere, nascosta dietro a tende spesse o porte socchiuse. Aveva osservato silenziosamente il modo in cui, con l'argento e il sangue, il suo Sovrano aveva disegnato sulla pietra del pavimento grossi cerchi e simboli di cui lei non conosceva il significato. Lo aveva visto trasformare gli oggetti in oro, gli scorpioni in pietra e altro ancora. Lo aveva visto sperimentare forme e miscele ed era stato bellissimo, all'inizio, ma poi l'ossessione di Salomone aveva iniziato a spaventarla. 
Che fosse un uomo colto e curioso lo aveva sempre saputo; che fosse dolce e di buon cuore, fuori dalla sala del trono e lontano dagli occhi del padre, lo aveva scoperto da sé, tra una carezza e l'altra, ma mai lo avrebbe immaginato così folle.

Il loro Dio non avrebbe perdonato un simile atto, si sarebbe prodigato in tutti i modi a spedire quel suo servo insolente tra le brucianti fiamme dell'Inferno, insieme al suo abominio e tutti demoni della Cabala Ermetica

Seppur magnanimo, non avrebbe mai accettato una resurrezione, neppure se fosse stata fatta per mano di un uomo scelto proprio da lui.

Tamar avrebbe voluto trovare dentro di sé la forza necessaria per fermarlo, per impedire al proprio Re di macchiarsi di un peccato di tal grandezza, ma non riuscì a bloccare i passi, continuando così a vagare per il palazzo - troppo silenzioso in quella notte di lutto e sofferenza, quasi fosse in attesa. Dopotutto come si poteva negare un tentativo a colui che si amava? Come si poteva costringerlo a rinunciare a qualcuno così caro? Inoltre, Salomone era un monarca, lei la sua semplice sguattera.

Con Yael al proprio fianco e dopo aver corso per tutti i corridoi e le sale necessarie, le due donne tornarono nelle stanze del Sovrano. Tra le braccia stringevano il materiale richiesto dall'uomo e, in una cesta di paglia ben chiusa, avevano segregato il serpente, nero come la pece. I suoi occhi altrettanto scuri e grandi quanto semi d'uva l'avevano fissata per qualche istante, prima che riuscisse a ficcarlo dentro al contenitore con cui ora lo sorreggeva. Per un solo istante aveva pensato che la stesse supplicando, che le stesse chiedendo di lasciarlo vivere, ma non si era fatta impietosire - non era pronta a deludere Salomone e venir rinnegata da lui e il suo talamo.

Varcata la soglia, ciò che Tamar vide fu il suo amato ancora stretto alla salma dell'amico. L'espressione sul suo viso, che nel momento in cui lo aveva lasciato altro non era che una maschera di dolore, ora era cambiata e gli occhi dapprima solo arrossati si erano fatti vacui, lontani come quelle del cadavere del Generale Levi. 

L'agitazione colse la serva alla sprovvista, facendola titubare ancora.
Sapeva cosa fosse giusto fare, eppure non sapeva come combattere la reverenza che nutriva nei confronti dell'uomo che aveva innanzi. 

Si chiese quanto fosse corretto dar corda a un'eresia del genere, se ciò sarebbe costato anche a lei caro quanto al Re. Aiutandolo, si sarebbe preclusa il Paradiso? E l'amore per lui sarebbe stato sufficiente a farle sopportare l'Inferno?
Yael le strinse il braccio, aggrappandosi a lei con un'evidente preoccupazione in volto. Si scrutarono a vicenda mentre i lunghi istanti di silenzio parvero congelare quel momento nel tempo, bloccarlo nell'infinito che mai avrebbe avuto fine. 

Era tutto così sbagliato, pensò Tamar stringendo la presa sulla cesta, eppure non aveva alcuna volontà di opporsi a lui. Salvi insieme, si disse, o condannati al medesimo modo
Non lo avrebbe tradito in un frangente di tale portata, non avrebbe voltato le spalle ai suoi bisogni - anche se parevano folli-, così avanzò, trascinandosi dietro la giovinetta.

Quella però, fu l'ultima notte in cui vide il viso dell'uomo di cui si era innamorata, l'ultima in cui gli ripeté del suo amore. Fu l'ultima luna che accarezzò i loro corpi d'alabastro e che le vide muoversi per un palazzo che mai sarebbe stato lo stesso. Lì, i loro polmoni presero le ultime boccate d'aria e i loro cuori batterono ancora una volta, ma fu anche la prima sera e il luogo in cui Levi Nakhaš, la chimera del Re, aprì i propri occhi sul mondo.


 

Nakhaš : serpente/ serpe.
Re Salomone : è stato, secondo la Bibbia , il terzo re d'Israele, successore e figlio del re Davide.  Il suo regno è datato circa dal 970  al 930 a.C.  e fu l'ultimo dei Re del regno unificato di Giudea e Israele. La sua figura è stata spesso associata alla magia.
Chimera : nella mitologia, un animale con testa di acquila, corpo di leone e coda di serpente. Nell'alchimia, viene generalmente utilizzato per identificare una trasmutazione (fusione) di più esseri viventi.

I dati storici presenti in questo testo, potrebbero essere stati in parte modificati, ma comunque tenderò a mantenerli più simili possibili alla realtà. Le parole ebraiche (spudoratamente cercate sui dizionari), sono scritti secondo la fonetica, in modo da facilitare la pronuncia del lettore durante il suo vagabondare attraverso il racconto.

 

 
 




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