Il tempo trascorreva più
velocemente di quanto sembrasse. Ormai Natale era alle porte e
Supergirl e il DEO avevano portato all'arresto altri numerosi uomini
appartenenti alla Cadmus, dopo quello di Lilian Luthor che aveva
scosso tutti i media. Molti giornalisti di tv e riviste non si erano
lasciati sfuggire il particolare più succoso di tutti: era
stata la
stessa figlia adottiva della donna, l'ereditiera Lena Luthor, a
incastrarla e a chiamare la polizia. Che cosa avesse provato in quel
momento e cosa provasse tuttora Lena Luthor erano le domande sulla
bocca di tutti, ma aveva rifiutato qualsiasi intervista
sull'accaduto, a parte una, la proposta della neo reporter della
CatCo Kara Danvers. Per il caporedattore Snapper Carr era sembrata
una manna dal cielo e aveva inviato Kara immediatamente; lei,
tuttavia, era andata a trovarla con la paura nel cuore. Era ancora
fresca dalle discussioni avvenute con lei nei panni di Supergirl e,
per un attimo, quando aveva davvero creduto che Lena si fosse messa
dalla parte di sua madre. Aveva avuto paura e, durante l'intervista,
avrebbe dovuto fare finta di niente, avrebbe dovuto essere
semplicemente Kara; Kara che, comunque, le aveva messo la pulce
nell'orecchio nei riguardi di sua madre proprio poche ore prima
dell'arresto.
Kara aveva riletto la domanda
che
si era scritta sul taccuino con palese nervosismo e imbarazzo,
strofinandosi le dita delle mani poggiate con compostezza sulla gonna
color panna. Aveva alzato gli occhi azzurri fino a raggiungere quelli
verdi della giovane donna dall'altra parte della scrivania, che la
aspettavano. «I-Io non volev-», si era fermata,
risistemandosi gli
occhiali con una mano, veloce, «È stato il mio
caporedattore a
farmi scrivere questa domanda, ma se vuoi, possiamo saltarla e gli
dirò di averla cancellata. Per errore.
Sì», aveva annuito con
convinzione, mentre l'altra la fissava senza perdersi, di lei, un
solo movimento di ciglia.
«Kara»,
l'aveva chiamata
tentando un sorriso, «Non preoccuparti. Ho accettato io
questa
intervista, risponderò a qualsiasi domanda tu abbia da
pormi».
«S-Sì,
okay», aveva deglutito,
riabbassando lo sguardo sul taccuino. «Dopo l'arresto di suo
fratello», aveva preso una breve pausa per guardare di nuovo
Lena
negli occhi, «pensava di poter dare un nuovo inizio alla
reputazione
della sua famiglia a cominciare dalla Luthor Corp, diventata L-Corp.
Ora che anche sua madre è agli arresti, pensa che la gente
si fiderà
ancora del nome dei Luthor?».
Lena sembrava dapprima seccata,
poi aveva invece pensato di mettersi a ridere. «Kara, il tuo
caporedattore vuole sapere se ho anche io in serbo un piano malvagio
per la conquista del mondo?».
Aveva gonfiato le guance e
scosso
la testa, sbuffando un no
camuffato in risata, fermandosi per pensarci un attimo,
«Probabilmente. Sì». Aveva riso e Lena
con lei.
«No. Non ho un piano
malvagio per
nessuno. E…», aveva preso fiato, prima di
rispondere ancora,
«penso che la gente abbia bisogno di tempo, soprattutto a
luce degli
ultimi eventi, ma…», aveva abbassato gli occhi,
guardando la penna
nera con cui giocherellava tra le dita, «potrebbe fidarsi di
nuovo
del nome dei Luthor. Sì. Scelgo di essere
positiva».
«Lo farà
senz'altro», le aveva
sorriso, mettendosi a scrivere.
«Oh, tu ne sei
certa… Cosa ti
dà tanta sicurezza?».
«Tu», le
aveva sorriso ancora,
alzando la penna dal taccuino. «Tu hai scelto di stare dalla
parte
giusta. Sei diversa, Lena. Sei-», aveva abbozzato una risata
e
riabbassato la testa, quando si era accorta di essere di nuovo
squadrata con attenzione dalla donna. «Sei una brava
persona…
eccezionale, direi, e presto lo capiranno tutti». Aveva
ripreso a
scrivere.
Lena non era certa di essere
davvero quella persona eccezionale che Kara Danvers vedeva in lei, al
contrario, era certa lo fosse lei, quella timida e solare reporter
alle prime armi. Kara Danvers era l'unica che, in quel momento, aveva
piacere di rivedere. Era l'unica che riusciva a strapparle un sorriso
dalle labbra. Era l'unica. Kara era sempre molto gentile e la volta
dell'intervista, addirittura, le era sembrata quasi in dovere verso
di lei, come se si fosse presa a carico la sua tristezza per
l'arresto di sua madre.
«Tra pochi giorni
è Natale, che
ne diresti se ti unissi a noi per la cena della vigilia?», le
aveva
domandato davanti alla porta del suo ufficio, a fine intervista,
prima di andarsene.
A poco da lei, Lena aveva
reagito
con meraviglia. «Noi?».
«Io, mia sorella, la
sua ragazza
e alcuni amici».
«Oh…»,
Lena si era tirata
indietro, portando le braccia a conserte. Aveva annuito debolmente,
inumidendosi il labbro inferiore e, avendoci pensato a sufficienza,
aveva risposto con un sorriso: «Ti ringrazio per il pensiero,
Kara.
Sono molto felice, e sorpresa, che tu me lo abbia chiesto».
«Ma… non
verrai», aveva
sussurrato lei, leggendo l'espressione sul suo viso.
«Sono presa da alcuni
impegni, e
poi c'è il lavoro…».
«Alla cena della
vigilia?»,
aveva quasi sbottato, d'istinto: era chiaro che quella di Lena fosse
solo una scusa. «Emh, perdonami…», aveva
scosso la testa, «È
che faremo dei giochi di società e», aveva riso e
poi, spalancando
la bocca e indicandola, aveva continuato a parlare colta da
un'euforia improvvisa, «Oh, sì, dovresti
assolutamente assaggiare i
brownies di zia Molly, o meglio, la ricetta è di zia Molly,
li
faremo io e Alex… Poi ci sarà una specie di gara
con quelli che
porterà Winn, con la ricetta di sua nonna, sai, ne
è molto fiero-»,
si era fermata lentamente, abbassando un poco la voce, quando Lena,
che era stata ad ascoltarla catturata, aveva allungato il braccio
destro verso di lei e, con un gesto delicato, le aveva spostato un
ciuffo biondo dal viso. Nel gesto, le sue dita un po' fredde le
avevano accarezzato una guancia rosea, piano. Appena si erano
spostate, Kara ne aveva percepito la mancanza.
«D-Devi-Dovresti,
sì», aveva riso, accorgendosi di essersi
impappinata, «Dovresti
proprio assaggiarli. Dovresti esserci».
«Sarà per
un'altra occasione».
«Va bene».
Aveva declinato e l'aveva
seguita
con gli occhi andare via, davanti alla porta aperta. Dopo si era
portata la mano destra sul viso e si era toccata una guancia a sua
volta, richiudendo la porta. L'aveva capito già da un po' ma
aveva
deciso di conservare tutto per sé: Kara Danvers le piaceva
molto.
Non erano molte le persone che
potevano vantarsi di piacere a Lena Luthor, anzi, lei credeva che
l'essere freddi e distanti fosse un tratto familiare. Era stata
adottata, tuttavia era convinta di credere che molte cose andassero
al di là dei legami sanguigni e che certe maledizioni dei
Luthor si
erano attaccate a lei come catrame, tanto da renderla un'effettiva
discendente. Non aveva un piano malvagio in serbo per nessuno ma,
all'intervista, aveva mentito: temeva che, in un modo o nell'altro,
sarebbe finita come tutti loro; dietro le sbarre, o pazza. Kara le
piaceva ed era un bene per lei tenerla lontana il più
possibile
dall'oscurità dei Luthor. Non voleva che il suo solare
sorriso un
giorno potesse spegnersi a causa sua e, più di ogni altra
cosa, non
avrebbe sopportato mai che lei la guardasse in modo diverso da come
la guardava quando le aveva chiesto di unirsi alla loro cena di
Natale. Kara Danvers era speciale e Lena Luthor maledetta: non poteva
permettersi di infettarla.
Ricordava con particolare
affezione le parole di Supergirl dopo l'arresto di sua madre: «Tu
sei tu, Lena. Noi possiamo essere ciò che vogliamo».
Avrebbe tanto voluto che fosse così e, seppure solo per quel
momento, aveva amato crederci, prima che la realtà le
riaprisse
violentemente gli occhi. Per questa ragione, quando Supergirl era
andata a trovarla nel suo ufficio il giorno prima dell'intervista di
Kara, lei si era chiusa a riccio e aveva preso una decisione che
aveva pensato di comunicarle a caldo.
«Penso che dovremo
tagliare i
rapporti», le aveva detto poco dopo il suo ingresso dal
balcone.
Supergirl
l'aveva guardata con stupore, incrociando le braccia al petto.
«Ah…
Okay: perché? È per via di Lilian Luthor, della
Cadmus , o…?».
«Niente
di tutto questo», aveva chiosato, appoggiandosi contro la
scrivania.
«Che una Super
e una Luthor
collaborassero era già abbastanza ridicolo che avrei dovuto
immaginare sarebbe finita in questo modo», aveva sussurrato
quasi
più per sé che per la supereroina, se non fosse
che era dotata di
superudito. «Semplicemente», aveva preso fiato,
«credo sarebbe
meglio per entrambe se le nostre strade si dividano».
Il suo sguardo freddo e
diffidente
aveva ferito Supergirl, ma lei non se l'aveva sentita di indagare
oltre. Lena aveva deciso ed era tutto. L'aveva salutata e se n'era
andata, dicendole che non sarebbe più riapparsa dal suo
balcone.
Lena era davvero certa che fosse la cosa migliore per tutti.
Per tutti, e sicuramente anche
per
se stessa.
Il tempo era passato davvero in
fretta e dall'inizio di dicembre, a National City, dal cielo non
scendeva che ghiaccio. Le strade erano lastricate e la brina si era
depositata e insinuata ovunque, dai tettucci delle automobili ai
vetri delle finestre. Anche in quella dell'ufficio di Lena Luthor
che, senza dimostrare stanchezza, si era dedicata anima e corpo alla
L-Corp. La sera della vigilia aveva mandato a casa la sua segretaria
e tutto lo staff. In tutto l'immenso edificio, era rimasta solo lei e
la guardia all'entrata che si era rifiutata di andare a casa
sapendola lassù da sola. Solo per premura nei suoi
confronti,
infatti, alle ventidue spaccate Lena decise di chiudere tutto e
lasciare che l'uomo tornasse a casa dalla propria famiglia.
«Signorina, le faccio
arrivare
una macchina?», le domandò vedendola andargli
incontro.
Lei si fermò a poco
da lui,
allacciando con fretta il suo impermeabile. «Ho deciso di
fare una
passeggiata, Jeffrey, grazie. Vai a casa».
Lui aveva annuito, augurandole
Buon Natale.
Buon Natale,
ripeté nella sua mente. Non che amasse piangersi addosso, ma
non
ricordava di aver mai passato un Buon Natale eccetto forse quando era
bambina: allora, vivere come una Luthor sembrava avere i suoi pregi,
dopotutto.
Camminò
a lungo per i marciapiedi ghiacciati osservando stretta nel suo
impermeabile le luci calde dei
palazzi,
sentendo le risate di adulti e bambini che, uscendo dalle loro
automobili, correvano per i marciapiedi per suonare i campanelli e
poi abbracciare le persone a loro più care. Tutti si
riunivano,
tutti erano felici, eccetto lei. Era abituata a passare le sue sere
di Natale da sola a bere vino davanti a un caminetto acceso, accanto
all'unico addobbo che era un piccolo albero spoglio e un po' vecchio,
con i finti aghi di pino che si staccavano e gli lasciavano intorno
un'aura verde sbiadita e grigia. Passando davanti alla palazzina dove
abitava Kara, si domandava se avesse fatto bene a decidere di non
accettare l'invito. La luce del suo appartamento era accesa e
s'immaginò lei ridere e scherzare mangiando i brownies con
la
ricetta di sua zia, oppure assaggiando quelli del suo amico Winn,
come aveva detto. Era certa che a Kara non servisse la sua cupa
presenza per divertirsi. Quando controllò il suo orologio da
polso,
sotto i guanti neri, si accorse con un po' di malinconia che la
mezzanotte era già passata da dieci minuti. Aveva
camminato parecchio. Alzò
la testa verso il cielo e, perdendosi tra le stelle, chiuse
gli occhi e arricciò le labbra, assaporando appieno il
pungente
freddo della notte sulla pelle. E poi, come per magia, un qualcosa di
molto più freddo e bagnato: Lena aprì gli occhi e
vide che, con sua
meraviglia, aveva appena cominciato a nevicare. Da
quando era lì, non
ricordava avesse mai nevicato a National City. Sorrise, perdendosi in
quello spettacolo meraviglioso, che non si accorse subito dell'ombra
a metri distante da lei finché non se la ritrovò
davanti. Soffuse
lo sguardo, cercando di inquadrarlo.
«Jeffrey?
Pensavo fossi tornato a casa».
Lo raggiunse sbattendo i tacchi sul ghiaccio del marciapiede e per
poco non inciampò.
Lui
si infilò le mani nelle tasche dei
grossi pantaloni marroni, in attesa. Appena le fu a fianco, rise
sibillino, con una voce fine. Quella risata la stupì non
poco: non
si era mai lasciato andare a tanto in sua presenza. «Non sono
Jeffrey», disse, girandosi.
Lena
tornò un passo indietro, notando i
suoi occhi di azzurro l'uno e verde l'altro. Era un uomo di colore ed
era certa di averglieli sempre visti neri; non fosse altro,
sembravano innaturali tanto erano accesi.
La
giovane donna infilò una mano nella
borsetta e strinse la sua pistola, ma lui la fermò,
poggiandole
accuratamente una mano sul suo braccio. Era caldo nonostante ci fosse
tanto freddo.
«Non
farlo», sussurrò, «Non sono qui
per farti del male, sono solo un messaggero».
«M-Messaggero…
di cosa?», strinse i
denti e ancora di più la sua pistola, che non voleva
lasciare. Se
quello che aveva davanti era un alieno ostile, non si sarebbe fatta
scrupoli a sparare un colpo.
«Messaggero
di un regalo che stai per
ricevere, signorina Lena», le sorrise ancora, lasciando la
presa.
Era come se si fosse fidato e lo guardò con stupore.
Inoltre, come
se potesse leggerle nella mente, poco dopo lo sentì dire:
«Oh, non
potresti spararmi, comunque. Hai dei problemi di fiducia, eh? E non
solo quelli», rise, «a giudicare dal regalo che
stai per ricevere».
Lena non
lasciò andare la sua pistola, ma
si fece più sciolta, intuendo di non essere in pericolo.
«Di cosa
stai parlando? Chi sei? Un alieno?».
«No,
no», scosse la testa lui, «Sei
fuori strada, bambina. Io sono qui adesso per prepararti a
ciò che
vedrai», si avvicinò ancora e lei si
sentì lentamente catturata
dai suoi occhi luminosi; erano come stelle nel buio. «Stai
per
intraprendere un breve viaggio. Non preoccuparti, tornerai sana e
salva, ma non posso sapere in che condizioni. Non posso dirti se
tornerai in meglio o in peggio. Dipenderà da te se fare del
regalo
un dono o…», si lasciò andare a una
breve pausa, sorridendo
ancora, «un'altra delle tue maledizioni».
L'uomo
si staccò e lei si mantenne la
fronte come provata, non capendo ciò che stava succedendo
né, in
particolar modo, ciò che sarebbe successo di lì a
poco. Lui le fece
cenno di seguirla e lei lasciò andare la stretta sulla
pistola come
se non avesse alternative, camminandogli a pochi passi di distanza.
«Sta
arrivando», disse con voce calda,
«Andrà bene».
La
neve cadde più copiosa all'improvviso
e le oscurò la vista, perse l'uomo con le sembianze di
Jeffrey e
continuò a camminare senza sapere dove andare, cercando di
chiamarlo. Non si fermò finché non udì
la voce di sua madre e,
destabilizzata, tentò di guardarsi di nuovo intorno. La neve
si
stava dipanando, lasciando lo spazio a una luce calda ma distante.
Lena sorrise entusiasta quando vide un grosso elefantino di plastica
azzurra che, ricordava, per diventare una sedia bastava sollevargli
la manopola sulla schiena: ne aveva avuto uno uguale quando era
bambina. E poi vide il pupazzo giraffa: quando era piccola le
sembrava più alto, lo poteva abbracciare. Ricordava che, una
sera,
aveva deciso di portare il caffè nell'ufficio di suo padre
al posto
della cameriera: inciampò su un tappeto e fece cadere la
tazzina
sulla sua giraffa, macchiandola. Aveva provato a lavare quella
macchia tante volte e suo fratello, Lex, aveva girato il pupazzo
faccia contro il muro per non far scoprire della macchia alla loro
madre; purtroppo aveva guadagnato solo una settimana appena e poi lei
lo gettò via. Lena si avvicinò, si tolse il
guanto dalla mano
destra sperando di poterla toccare, quando intravide la macchia di
caffè sul collo del peluche e trattenne il fiato. Come
poteva essere
lo stesso?
«Lena?
Lena, vieni subito qui».
Lei
si voltò con paura a
quell'improperio di sua madre. La vide: vestito aderente bianco, con
un contorno di piume nel collo; le collane dorate e i bracciali; le
scarpe con il tacco alto. I capelli erano raccolti in un alto
chignon. Era molto più giovane. La raggiunse, sembrava
stesse
guardando proprio lei e come poteva essere altrimenti, ma appena mise
piede in quel lastricato, una bambina le corse davanti, raggiungendo
la donna.
«Mi
sono stufata di questi capelli,
Lena. Non riesci mai a sistemarteli da sola», disse
quest'ultima,
iniziando a passare con forza i dentini di un pettine nei lunghi e
lisci capelli della piccola. Lei faceva delle facce addolorate, ma
tentava con ogni mezzo di non dirle che le faceva male.
Aveva
un vestitino rosso con un nastro
nero in vita, la camicetta bianca come le spesse calze e infine le
scarpette lucide e nere ai piedi. Lena spalancò gli occhi,
incantata: quella bambina era lei. Era senza dubbi lei. Lo stesso neo
nel collo, gli occhi verdi, quel vestito nuovo che, infilato la prima
volta, le era stato stretto, le aveva fatto prurito e lo aveva
odiato. Guardandosi in giro, si accorse di essere dentro al soggiorno
del maniero dei Luthor: le tele nei quadri che rappresentavano la
famiglia, in gran numero quelle di Lex da solista o con suo padre, lo
sguardo fiero; e poi il divano bianco, le poltrone e, al centro, sul
tappeto pakistano che tanto amava sua madre, l'immenso albero di
Natale. Non lo ricordava così bello ed era rimasta
affascinata:
c'erano fiocchi azzurri e argentati, nastri rossi, palline di ogni
colore; le luci gialle, quando era tutto buio, illuminavano ogni cosa
per metri e i muri diventavano il cielo pieno di stelle. Si morse un
labbro al ricordo di lei e suo fratello Lex coricati sul divano con
le luci spente per riconoscere le forme sulle luci di Natale che
vedevano nei muri.
«Ma
dove sono finita…?», borbottò.
La
porta a vetri si aprì e la voce della
se stessa bambina interruppe i suoi pensieri, ascoltandola gridare
con gioia l'arrivo di suo padre. Lilian aveva stretto le labbra con
disgusto intanto che la piccola scivolava via dalle sue cure per
correre da lui, che la prese in braccio al volo.
«La
mia principessa», esclamò,
abbracciandola e cullandola.
Era
appena tornato dal parlare di affari
con uomini che ricordava di aver visto sempre vestiti elegantemente.
Molti di quegli uomini che, ora, avevano a che fare con lei.
Lo
osservò a lungo, dalla barba sempre
ben curata alla cravatta a righe azzurre e bianche, dalla testa con
pochi capelli alle scarpe nere e più lucide delle sue. Lo
ricordava
più alto, e più robusto; sembrava una sagoma
dell'uomo che era per
lei. Alexander 'Lex' Luthor Senior che sarebbe venuto a mancare forse
un anno più tardi.
«Papà…»,
mormorò, commuovendosi.
«Sette
mesi e due giorni, per la
precisione», puntualizzò la voce di suo padre,
grossa, al suo
fianco sinistro.
Lena
sobbalzò, guardando l'uomo vicino a
lei e dopo quello con cui giocava, dall'altra parte della sala, la se
stessa infante: erano identici. «Sto diventando
pazza…».
«No,
non lo stai diventando», sorrise.
Le mostrò la mano destra per stringergliela e Lena
adocchiò
immediatamente i suoi occhi, uno azzurro e l'altro verde, accesi.
«Sei
sempre tu…?!».
«Affatto»,
rispose, «Io sono lo
Spirito del Natale Passato, Lena». Le prese lui stesso la
mano per
stringergliela. «E sono qui oggi per dare un'occhiata insieme
a te a
questo Natale che è stato particolarmente importante,
poiché
l'ultimo prima della morte del tuo padre adottivo».
«Lo
Spirito del… cosa?
Mi stai prendendo in giro?», ridacchiò ma, vedendo
la serietà
dell'altro nella faccia di suo padre, strinse le labbra, facendo
finta di non aver detto niente.
«Ti
sembrerà più chiaro a breve,
credimi».
La
sala sembrò liquefarsi e ricomporsi
rapidamente, cambiando, si ritrovarono in quella da pranzo davanti a
un sacco di gente intorno a una lunga tavolata: erano presenti donne
e uomini di prestigio vestiti molto eleganti, soci in affari della
vecchia Luthor Corp e amici di famiglia di lunga data. La piccola
Lena allungò una mano per toccare una delle candele rosse al
centro
della tavola e Lilian Luthor le pizzicò le dita,
riportandogliela
sul grembo. A capotavola, Lex Luthor Senior si alzò e,
annunciando
un brindisi, si rivolse al suo amato primogenito, seduto alla sua
destra.
«Mio
figlio sta imparando in fretta. Ora
ha solo sedici anni e non viene preso sul serio, ma sa il fatto suo.
Per me, è già un uomo d'affari e sono fiero di
lui», applaudì e
tutti con lui, «Presto sarà pronto per prendere le
redini della
Luthor Corp».
Lilian
sorrise orgogliosa e Lena applaudì
entusiasta mentre Lex si alzava dalla sedia lasciando il bicchiere
con un po' di vino bianco sul tavolo, sistemandosi la cravatta rossa
sotto la giacca nera. «E io sono fiero di te, padre. Sei un
grand'uomo e non potevo desiderare insegnante migliore».
Tutta
la gente in sala si sciolse a
quelle parole e Lilian si portò una mano sul cuore,
applaudendo più
di tutti. Lex si risedeva e Lena, quella adulta, lo fissava con odio.
Quel
ragazzo guardava gli ospiti uno per
volta con uno sguardo tremendamente sicuro di sé. Aveva i
capelli
tirati da un lato con un po' di gel, un fazzoletto rosso sulla
giacca, teneva il bicchiere in alto e, con compostezza, lo agitava
prima di bere. E sorrideva a lei, la sua sorellina dall'altra parte
del tavolo.
Lena
strinse i pugni. Non diceva nulla,
ma il suo respiro pesante parlava per lei.
«Ti
starai chiedendo se già allora
c'era un po' dell'uomo che è diventato oggi», le
disse lo Spirito
del Natale Passato, «Molto diverso da ciò che si
augurava vostro
padre».
«Oh,
non puoi davvero sapere tutto
quello che mi passa per la testa».
«In
effetti no, la tua è una testa
particolarmente trafficata, Lena».
Chiuse
gli occhi e decise di voltarsi,
rigirando il suo odio per Lex verso quell'uomo, o quell'essere che
fosse. «Perché mi hai portato qui?».
«Non
spetta a me fornire le risposte,
mia cara», scosse debolmente la testa, «A me spetta
solo
portartici».
Lo
scenario cambiò ancora, veloce,
trasportando i due nella sala precedente, davanti all'albero di
Natale. La piccola Lena era seduta su una delle poltrone. Sbuffava e
calciava, impegnata a slacciare e tirare il nastro nero che le
stringeva il vestito in vita. Dalla sala accanto, quella da pranzo,
si sentivano risate accompagnate da una musica lenta. Lei si annoiava
a partecipare a feste del genere, era l'unica bambina, anche se a
volte si sforzava tanto di essere come loro per non sentirsi esclusa
e altre era costretta a parteciparvi da sua madre, a cui non poteva
dire di no.
«Ricordo
che a Natale, quando ero
piccola, mi riempivano di doni», esclamò lei,
«Allora aveva il suo
fascino». Si voltò all'albero alle sue spalle e lo
Spirito del
Natale Passato con lei, guardando entrambi quanti pacchi regalo,
grandi e piccoli, ci fossero sotto e accanto agli aghi di pino.
«Adesso, vedendomi seduta lì, da sola, mi fa
rivalutare tutto:
credo mi riempissero di regali perché-», prese
fiato, trattenendo
un singhiozzo, «perché non potevano offrirmi
altro».
Il
giovane Lex, slanciato e posato, passò
l'arcata che divideva le due sale con un piattino bianco tra le mani.
Si abbassò all'altezza della sorellina e glielo porse: una
fetta di
torta con un cucchiaino d'argento.
«Nostra
madre dice che stai mangiando
troppi zuccheri, ma io non sono della stessa opinione»,
esclamò,
«Mh, che ne dici?».
«Forse
ha ragione lei», sbottò la
bambina, continuando a giocare con il nastro. Poi alzò gli
occhietti
verdi ed esaminò la fetta di torta con tanta panna, mettendo
attenzione, così allungando le mani per prendere il
piattino,
sorridendo al suo fratello maggiore. «Scherzavo».
«Ora
ti riconosco», sorrise a sua
volta. «E adesso mettiamo a posto questo nastro, prima che
lei lo
veda».
Le
fece di nuovo il fiocco e la Lena
adulta brontolò, girandoci la faccia. «Ho visto
abbastanza, me ne
voglio andare».
«Sicura
di volerlo fare?».
Lena
si irrigidì, mettendo le braccia a
conserte. «Faccio solo fatica», disse lentamente,
tentando di
allontanare le lacrime, «a capire come possa lo stesso
fratello che
a sette anni mi portò una fetta di torta, ad aver tentato di
uccidermi adesso».
«Ti
senti tradita?».
«Lo
sono?», domandò a sua volta,
alzando le spalle.
Lo
Spirito del Natale Passato con la
faccia di suo padre allungò la bocca in una smorfia.
«Io non
fornisco le-».
«Risposte,
ho capito», lo bloccò, per poi annuire e
sorridere; una lacrima
sgorgò senza che potesse trattenerla e la catturò
con un dito. «Mi
sento tradita. Lui mi voleva bene. Mi aveva accolto, mi proteggeva da
mia madre e giocava con me; mi faceva sentire a casa. Dopo la morte
di mio padre cambiò, diventò lentamente un altro
e io non ero più
stata in grado di raggiungerlo. È per questo che mi hai
portata
qui», lo guardò, «Per rendermi conto che
ero sola anche allora e
che l'unico dalla mia parte mi ha abbandonato».
Lui
ansimò, guardando i due fratelli che
si tenevano per mano, parlando. Si stavano avvicinando all'albero di
Natale e così loro si misero da un lato, guardandoli
spacchettare
uno dei pacchetti insieme.
La
Lena adulta li fissò a lungo prima
che il suo accompagnatore potesse aprire bocca di nuovo:
«È tempo
per me di andare». Lei si voltò immediatamente,
spaesata. «Non
fare quella faccia, non rimarrai sola per molto, avrai presto
compagnia».
Lena
deglutì e lo vide sparire
attraverso una parete, segnandosi il volto e l'altezza di suo padre.
«Lena»,
la voce di Lex catturò la sua attenzione, «Lena,
guardami».
Entrambe si voltarono. Lex era serio e loro lo diventarono
altrettanto. Le avvicinò una mano al viso e gliela
aprì
d'improvviso: «Buh»,
esclamò, per poi mettersi a ridere. La piccola rise con lui
ma la
Lena grande restò seria, fissandolo, accorgendosi solo un
momento
più tardi che lo scenario la stava lasciando. Si
scordò presto del
caldo nella sala del maniero dei Luthor, ritrovandosi di nuovo su
quella stessa strada in cui credeva di aver incontrato Jeffrey. Ma
non stava nevicando, bensì piovendo.
Reggendosi
per il freddo, ormai fradicia
e senza ombrello, corse per la strada lastricata di ghiaccio cercando
di fare attenzione a non scivolare; una macchina la illuminò
con
grandi fari gialli e così si spostò da lato,
ritornando sul
marciapiede. Udì un tuono in lontananza e
deglutì. A quel punto,
pensò di aver sognato tutto e di essere sempre stata in
mezzo alla
strada a prendersi un malanno. Cercò il suo cellulare nella
borsetta, riparandolo con una manica del suo impermeabile, ma il
segnale non c'era. Richiuse tutto e si guardò in giro,
scoprendo la
luce della finestra in casa di Kara Danvers ancora accesa. Si
affrettò a guardare l'ora ed erano appena le ventidue. Non
poteva
essere…
All'improvviso
non sentì più la pioggia
battere sulla sua testa già zuppa e si voltò,
ascoltando una voce
conosciuta alle sue spalle. «Ecco, così va
meglio».
«Kara?».
Lei
le sorrise; attraverso le lenti degli
occhiali brillavano i suoi occhi, uno azzurro e l'altro verde.
Lena
sbuffò. «Oh, sei tu…».
«Non
essere così felice di vedermi»,
sorrise l'essere con le sembianze di Kara, tendendo la mano sinistra
con un ombrello dorato verso di lei per proteggerla dall'acqua.
«Sono
lo Spirito del Natale Presente e sono qui per viaggiare con te,
Lena».
Lei
allungò lo sguardo verso la finestra
illuminata dell'appartamento di Kara, sospirando. «Mi
porterai là?
Non è vero?».
Lo
Spirito del Natale Presente sorrise.
«Siamo già là».
Lena
spalancò gli occhi, capendo di
ritrovarsi all'interno dell'appartamento di Kara, intanto che
l'accompagnatrice abbassava e chiudeva l'ombrello. C'era già
stata,
una volta sola, ma allora era molto diverso: dovunque si girasse era
pieno di addobbi natalizi come nastri rossi e dorati, piccoli pupazzi
di neve, finti pacchetti regalo sparsi come soprammobili, sul
lampadario sopra la tavola scendeva del vischio. In un angolo vicino
a una finestra c'era l'albero di Natale, pieno di ciondoli a forma di
caramelle e ciambelle, Babbi Natale e piccoli angioletti, ben
illuminato. La tavola era allestita per la cena, nessuno aveva ancora
toccato cibo, a parte i dolci: era pieno di briciole e vassoi mezzo
vuoti ovunque.
Due
ragazzi erano sul divano davanti alla
tv e giocavano con i videogame. Riconobbe Winn, il ragazzo che
l'aveva aiutata una volta, e poi Mike, il collega di Kara che si era
invitato al gala. Il primo indossava un farfallino rosso e una
camicia a quadri, il secondo una semplice felpa. Non sembrava molto
natalizio. Un altro ragazzo era vicino a loro e assisteva alla
partita, facendo il tifo per Winn: era James Olsen, lo conosceva,
aveva momentaneamente preso il posto di Cat Grant alla CatCo. Alla
cucina, c'era Alex Danvers, la sorella di Kara che lavorava per
l'FBI, in compagnia di un'altra donna. Doveva essere la sua ragazza:
così le aveva detto Kara. Stavano assaggiando i brownies,
l'una che
imboccava l'altra.
Infine,
ricercò lei, Kara. Era davanti a
una finestra, da sola. Le spezzò il cuore, ricordandosi la
se stessa
bambina sulla poltrona. Si avvicinò, guardando il suo viso
serio, a
tratti malinconico. Non era da lei.
«Cosa
le è successo?», domandò Lena
allo Spirito del Natale Presente, vicino a lei.
«Perché se ne sta
da sola?».
«Ognuno
ha i suoi momenti, penso»,
rispose, «Sono abbastanza certa che ci siano ancora parecchie
cose
che tu non conosci di lei».
Vicino
a lei, sul davanzale della
finestra, era poggiata una coroncina con le corna da renna; Lena
pensò che prima dovesse averla indossata.
«È triste…»,
mormorò,
allungando una mano per una carezza. La sua mano si avvicinò
al
punto di toccarla ma non poté che ci passò
attraverso come un
fantasma. Riportò indietro la mano di scatto, stringendola
con
l'altra; quella sensazione le strappò il cuore dal petto.
«Sembra
che tu ci tenga tanto a lei»,
esclamò l'altra Kara, «Ed eppure l'hai
allontanata».
Lena
si morse un labbro, guardando Kara
con compassione, e poi l'altra, più freddamente.
«Se fossi stata
con me e l'altro fantasma che mi ha portato nel passato, adesso
sapresti che la famiglia Luthor non fa che portare disgrazie. A
quella cena di famiglia c'eravamo solo noi quattro, che ora o sono
morti o sono in galera, a parte me: vuoi sapere dove sono gli altri
Luthor? Spariti, pazzi, gente con cui non ho più rapporti o
con cui
non li ho mai avuti. Siamo tutti dei…»,
lasciò la frase a
mezz'aria, guardando Kara con la coda dell'occhio.
«Maledetti»,
rispose lo Spirito del Natale Presente. «E tu ne sei
certa». Non
era una domanda, ma un'affermazione: sapeva che ne era certa.
«Non
voglio che Kara Danvers entri in
contatto con questa realtà».
«Oh,
sei molto protettiva, Lena, ti fa
onore», sorrise, «Ma hai mai pensato che magari
vorrebbe poter
prendere lei questa decisione? Dal suo punto di vista, penso, tu la
stai allontanando senza motivo. Magari te e lei siete destinate a
restare amiche per sempre, o c'è dell'altro,
perché lo so che c'è
dell'altro», sorrise e Lena si morse un labbro, riguardando
Kara,
con palese imbarazzo, «Ma non lo saprai mai se ti tiri
indietro
prima di cominciare».
«È
proprio perché le voglio bene, che
devo tenerla distante», ripeté, lo sguardo vacuo.
Lo
Spirito del Natale Presente non
controbatté, aspettando l'arrivo di Alex Danvers dalla
cucina: aveva
un brownie su un piattino e si leccava le dita di una mano sporche di
cioccolato. Lena si spostò anche se lei non poteva toccarla,
lasciando che prendesse il suo posto vicino alla finestra.
«Kara,
devi assaggiare questo. È uno di
quelli che ha portato Winn, con glassa alla vaniglia e scorza di
arancia: credo di non aver mai assaggiato nulla di più
buono».
Lei
alzò lo sguardo come se si fosse
appena svegliata da un sogno molto lungo, guardando il dessert e dopo
sua sorella, preoccupandosi. «Ma ne rimangono per il dopo
cena?».
Lasciò il piattino nelle mani di sua sorella, infilando il
brownie
dritto in bocca e poi leccandosi le dita. I complimenti arrivarono in
fretta, leccandosi anche le labbra. «Non è
possibile che siano così
buoni… Non possiamo perdere».
«Sono
sconcertata quanto te. Comunque ne
abbiamo ancora a quantità industriale»,
replicò. Prese la
coroncina con le corna da renna e gliela infilò fra i
capelli; Lena
non si perse un secondo, fissando Kara. «Come ti senti? Stai
pensando a loro?».
Kara
perse lo sguardo di nuovo oltre la
finestra, sospirando. «Lo sai, è strano:
più scopro cose su di
loro e più mi rendo conto di chi erano davvero, eppure, come
ogni
anno, a Natale il mio pensiero va a loro. E non festeggiavamo il
Natale, ovviamente», brontolò un poco, senza
guardare sua sorella
negli occhi.
«Si
tratta sempre dei tuoi genitori,
Kara. Ti mancheranno comunque, non importa chi fossero. E ti volevano
bene». Alex le sistemò i capelli dietro l'occhio
in una carezza
affettuosa che la fece sorridere, tirandole su il viso con le dita
sul mento.
Lena era
troppo occupata a pensare al loro discorso per rendersi pienamente
conto che era appena stata gelosa di un gesto che avrebbe voluto
poter fare lei. «Kara è stata
adottata?», domandò con sorpresa
allo Spirito del Natale Presente. «Questo… oh»,
sospirò, formando un sorriso, annuendo, «So
perché siamo qui…
Kara Danvers ed io abbiamo qualcosa in comune. Ma
questo
non cambia niente», disse a denti stretti, fissando lo
Spirito,
silenzioso, «Perfino Supergirl aveva provato ad avvicinarsi a
me con
un discorso simile: i suoi genitori pensavano di fare la cosa giusta
come mia madre; così mi ha detto. Tuttavia, ho come la
sensazione
che i suoi genitori in ogni caso le volessero bene, qualsiasi cosa
abbiano fatto, come quelli di Kara. Lei è forte,
caritatevole,
bella. Come potrebbero non volerle bene? Mia madre invece non mi
voleva, non mi ha mai voluta; se non fosse stato per mio padre, non
sarei nemmeno una Luthor». Ci girò il viso,
rendendosi conto di
essersi tolta un peso. «Mia madre è una
persona… sbagliata.
E
complicata.
Malata,
magari»,
chiosò, «Nemmeno io la pensavo capace di tanto ma
non ha
importanza, non è nemmeno sul podio dei criminali per la
famiglia
Luthor».
Lo
Spirito del Natale Presente la osservò
a lungo, a labbra strette, prima di riprendere parola, sistemandosi
gli occhiali in un gesto simile a quello della Kara originale.
«Ti
senti una Luthor a pieno titolo», osservò,
«Ma cerchi anche
un'altra opportunità o non avresti rinominato la Luthor
Corp.
Quindi, Lena Luthor, sei o no diversa dalla tua famiglia?».
Lei
serrò le labbra con forza, guardando
di nuovo Kara. Alex le portò un altro brownie che
divorò in un
batter d'occhio.
«Che
ne dici, ceniamo?», domandò Alex,
«Si sta facendo tardi e c'è chi domani lavora.
Ormai non verrà
più».
Kara
annuì debolmente. «Va bene. Aveva
detto che non sarebbe venuta, non dovevo aspettarmi
diversamente».
Si alzò dalla sedia, sfilando la coroncina con le corna da
renna.
«Non
capisco nemmeno perché tu l'abbia
invitata! Figurati, è una Luthor: starà
festeggiando il Natale
circondata da persone eleganti in un soggiorno più grande di
questa
casa, ne sono certa».
Alle
parole di Alex, Lena rabbrividì.
«Forse.
Ma è sola», rispose Kara,
fregando con le mani la coroncina, «E aveva detto di essere
impegnata con il lavoro. Lei non è come la vedono tutti,
Alex: è
buona».
«Non
puoi fidarti di lei», la sorella
scosse la testa, «Lo sai».
«Alex,
dalle una possibilità».
Lena
si divincolò di colpo, portandosi
dall'altro lato dell'appartamento, vicino alla cucina. I suoi occhi,
come specchio, erano lucidi e le labbra rosse strette. Si
appoggiò
al tavolo, con le braccia in vita, una mano sul viso. Lo Spirito del
Natale Presente la raggiunse a breve, senza fretta, intanto che,
intorno a loro, tutto sembrò essersi congelato: tutti i
presenti a
parte loro ebbero cominciato a muoversi lentamente, le loro voci
mute; perfino la pioggia fuori dalla finestra spingeva per cadere.
Era udibile solo un lamento, piccolo e insignificante in un tempo
normale, ora forte come un tuono: Lena singhiozzava, immobile. Appena
lo Spirito del Natale Presente si fu avvicinato abbastanza, lei
scattò come una belva, indicando le due ancora vicino alla
finestra.
«Non
può fidarsi di me? Oh, per favore,
cosa pensa che sia? Un leone fuori da una gabbia allo zoo?»,
brontolò, trattenendo gli occhi lucidi. Lo Spirito non
aprì bocca e
l'altra si strinse di nuovo a se stessa. Oh, non tratteneva le
lacrime per ciò che disse Alex, ma per ciò che
disse Kara. Era la
prima a voler allontanare Kara per via della sua famiglia e delle
loro maledizioni, però lei credeva in Lena Luthor. Credeva
in una
Lena Luthor in cui lei stessa non credeva. In pubblico amava essere
positiva, dimostrare di essere diversa con ogni mezzo, dare un volto
nuovo all'azienda e alla loro famiglia, ma aveva sempre temuto di
risvegliarsi un giorno e scoprire che non era affatto diversa da
quelle persone. Anzi, sapeva di non esserlo e che le sue erano solo
finte. Però, Kara Danvers…
Lo
Spirito del Natale Presente fece un
altro passo, fermandosi quasi addosso a lei. Lena alzò lo
sguardo e
una lacrima le macchiò l'impermeabile che si stava pian
piano
asciugando. «Ho una domanda».
«Forse
non avrete risposte, ma avete
domande. D'accordo, dimmi», mormorò, fregandosi
gli occhi rossi.
«I
Luthor hanno davvero delle
maledizioni o, pensando di averne una sopra, se la
autoinfliggono?».
Per
via delle lacrime, Lena soffuse gli
occhi cercando di vedere lo Spirito che le sorrideva ma, appena la
scorse fare la mano con un gesto di saluto, capì che non era
lei a
vederci male, ma che quell'essere con le sembianze di Kara Danvers
stava svanendo davvero. Si spostò dal tavolo quando lo
sentì
muoversi e presto capì che tutto intorno a lei stava
tremando. Kara
e Alex, Winn e Mike e James, e anche quell'altra donna, stavano
venendo risucchiati dai mobili e dalle pareti come in un buco nero;
dalla paura, Lena si mantenne di nuovo al tavolo, afferrando un gambo
e scendendo sotto la tovaglia, chiuse gli occhi e sperò che
tutto
quello finisse presto. Voleva solo che finisse presto.
Quando
riaprì gli occhi, lo fece perché
non sentì più alcun rumore. Vide di essere
asciutta e di avere i
capelli ancora legati in una coda, perfettamente ordinati. Avrebbe
pensato a un sogno se non si fosse resa conto presto di essere ancora
sotto il tavolo di casa Danvers. Sollevò la tovaglia bianca
e si
affacciò, uscendo dal suo nascondiglio improvvisato. Rimase
a bocca
aperta quando vide che tutto intorno a lei era vuoto. L'appartamento
aveva ancora il divano e il mobile della televisione senza la
televisione; i muri portavano il segno intangibile di ciò
che c'era
e ora non c'era più, svanito nel nulla. Riguardando il
tavolo,
scoprì che la tovaglia bianca era sparita e che doveva
averlo fatto
in quell'esatto momento. Con il respiro pesante dalla paura corse
alla finestra e il mondo ricominciò a tremare. Si chiese
cosa stesse
succedendo, e se solo lei potesse percepire quel terremoto quando le
macchine e i pedoni sotto casa continuavano i loro tragitti,
indisturbati. Sbarrò gli occhi una volta, due, tre e lo
scenario
sotto casa cambiò a ogni tocco di ciglia: prima c'era
traffico, poi
non c'era più, alla terza volta era comparsa una voragine
enorme in
mezzo alla strada. Sbiancò, lasciando la finestra per
correre alla
porta e uscire. La lasciò aperta dietro di lei, non badando
al
tavolino davanti alla finestra nel corridoio con una foto di Kara
Danvers e, a fianco, due candele accese.
Aprendo
la porta e uscendo per la strada,
scoprì che si era sollevato un vento ghiacciato capace di
farle
scivolare la maniglia dalle mani. Si infilò i guanti neri e
si
chiuse meglio l'impermeabile, cercando di avvicinarsi al cratere. Era
più grande e profondo a ogni passo che faceva verso di lui.
Affacciandosi sotto respirò con affanno, a bocca asciutta.
«Dove
sei?», gridò poi, guardandosi
intorno, «Vieni fuori, non puoi lasciarmi qui da
sola». Riprese
fiato, tremando come una foglia. «Mi hai sentito? Lo so che
ci sei,
fatti vedere». Urlò tanto forte che, nell'impeto,
il tacco della
sua scarpa sinistra scivolò e, prima che potesse
accorgersene, la
strascinò nell'oscurità di quel dirupo.
Credeva
davvero sarebbe morta. Non
importava cosa stesse succedendo, chi erano quelle persone con gli
occhi uno azzurro e uno verde e se erano umani o alieni, sapeva solo
che tutto quello era reale e che, cadendo là sotto, sarebbe
morta.
La sua maledizione aveva colpito, infine, anche se in modo che di
certo non si aspettava. Forse era destino che lei e Kara Danvers si
allontanassero senza più trovare modo di ritrovarsi. Proprio
come
suo fratello Lex, aveva perso Kara e questa volta per una sua
decisione, senza riuscire a dirle cosa realmente provava per lei. Era
stato tutto inutile. Chiuse gli occhi, si stava lasciando andare,
quando si sentì tirare e sollevare di peso.
Riaprì gli occhi per
accorgersi di stare volando tra le robuste braccia di Supergirl.
Si
aggrappò a lei, aveva paura di
volare, ma era sempre meglio della morte.
Supergirl
la riportò sulla strada e poi
si assicurò con uno sguardo veloce che fosse ancora tutta
intera.
«Non
sai quanto io sia felice di
vederti», le sorrise Lena ma, quando scorse i suoi occhi, si
scansò
con una spinta, sentendo un brivido salirle lungo la schiena.
Un'altra scossa di terremoto la destò, aggrappandosi a un
suo polso
e poi lasciandoglielo. «Avrei dovuto capire che eri
tu…»,
bisbigliò con sdegno, «Avrei preferito rivedere la
vera Supergirl».
Lei
la fissò con sguardo molto duro.
«Sono lo Spirito del Natale Futuro, ti aspettavo, Lena
Luthor.
Supergirl non sarebbe venuta», esclamò senza
scomporsi, con sguardo
freddo, «In questo futuro, lei è morta».
Lena
fece altri due passi indietro,
spalancando gli occhi. Per un attimo, sentì davvero mancarle
il
terreno sotto i piedi. Lo Spirito del Natale Passato e poi lo Spirito
del Natale Presente non avevano risposte e, per una volta che uno di
loro gliene fornì una, si sentì spegnersi.
«M-Morta…?»,
soffiò quasi senza aria, guardandosi intorno. Solo pochi
negozi
avevano addobbato le proprie vetrine con le luminarie natalizie,
altri erano chiusi e avevano le sbarre alle finestre, altri ancora il
vetro rotto. C'erano macerie intorno al dirupo e, sbattendo gli occhi
e riaprendoli, si accorse che era stato transennato e che c'erano
agenti vestiti di nero che ispezionavano la zona ovunque. «Oh
mio
Dio…», mormorò; una nuvoletta di vapore
uscì dalla sua bocca per
via del freddo pungente, ma lei non sembrò più
sentirlo. Non
sentiva più nulla se non il suo cuore che batteva con
ferocia tanto
da sembrarle di scoppiare. Era leggera, la testa girava; non sapeva
nemmeno come facesse a restare ancora in piedi. «Un
futuro… quanto
futuro? Cos'è successo? Supergirl…».
«È
morta qui», disse glaciale.
Intorno
a loro comparvero sbuffi di fumo
che si trasformarono in immagini, intanto che un altro terremoto
sballottò Lena che si mantenne di nuovo a quella finta
Supergirl,
volente o nolente. Dietro lo Spirito del Natale Futuro, le immagini
mostrarono Supergirl in volo; la seguì con lo sguardo
intorno a lei
finché non si fermò davanti al dirupo: in quello
sbuffo di fumo, la
Ragazza d'Acciaio sembrò cercare di far sgomberare la zona
piena di
gente in urla e in lacrime e, facendosi forza, salire nel cielo per
fermare un oggetto che si avvicinava in quella zona con estrema
velocità. Un missile, forse; pensò Lena. Un
missile che emanava
luci verdi. «Kryptonite…»,
borbottò per sé, quando l'oggetto si
scontrò con lei e si scatenò un'esplosione:
l'impattò arrivò fino
a terra formando il cratere e uccidendo chiunque fosse là
sotto.
Vide Superman arrivare, e gridare, perché era troppo tardi.
Lena
sentì il sangue farsi freddo.
«Supergirl…», riuscì a dire,
di
nuovo, mentre quelle immagini sparivano, «Quando…?
Quando?», si
voltò a lei con disperazione.
«Il
prossimo Natale. Il ventitré
dicembre duemiladiciassette. Lui pensava di farti un regalo in
anticipo, probabilmente».
«Lui?»,
ebbe un brivido, seguito da un'altra scossa della terra.
Deglutì. «…
Lex? È stato Lex?».
«Ha
continuato nel tentativo di
ucciderti, fino a quando non ha capito che sarebbe stato meglio, per
te, soffrire come pensava di stare soffrendo lui, portandoti via la
persona che ami», commentò con la solita
freddezza. «Sapeva che
mirare alla città in un punto molto trafficato sarebbe stato
l'ideale, l'eroina non si sarebbe tirata indietro. Anche se sapeva
che sarebbe morta. Con il suo corpo ha protetto National City: se non
ci fosse stata, la città sarebbe stata spazzata
via».
«Supergirl…»,
emise ancora, confusa. Amava Supergirl e lui l'aveva uccisa per
ferire lei. Amava Supergirl. Supergirl?
«Kara?», ringhiò a un certo punto, quasi
sul punto di aggredire la
sua accompagnatrice. «Dov'è Kara
Danvers?».
In
modo innaturale, persino per il volto
di Supergirl, lei sorrise per la prima volta e lo scenario intorno a
loro cambiò con una conseguente scossa di terremoto. Si
ritrovavano
all'interno della CatCo: riconobbe le scrivanie, le suonerie dei
centralini che non smettevano di suonare, il rumore delle dita sulle
tastiere. Eppure qualcosa era diverso e Lena, con quella sensazione
di nausea che non l'abbandonava da quando era arrivata nel futuro,
continuava a respirare con affanno. Supergirl era morta. Non riusciva
a toglierselo dai pensieri. Vide che tutto il piano era stato
addobbato con nastri rossi e dorati, c'era più silenzio di
quanto
ricordasse, e poi scorse un piccolo alberello di Natale in un angolo,
dove molti vi avevano sistemato sopra dei foglietti colorati come
palle natalizie; probabilmente contenevano i loro desideri. Vide una
donna avvicinarsi all'albero e lei la seguì. Appena
appoggiò il suo
foglietto rosa su uno dei rami, Lena sbirciò, prendendolo in
mano.
Appena lesse, alzò gli occhi lucidi verso lo Spirito del
Natale
Futuro che la stava osservando.
«Non
può essere…», biascicò senza
voce, trattenendo di nuovo le lacrime. Lasciò andare il
foglietto
che planò sul pavimento e corse come poteva per il piano,
identificando il capo di Kara, Snapper Carr, andandogli dietro. Al
contrario di quando l'aveva conosciuto, non parlava né
gridava,
facendo passi corti e veloci. Entrò dietro di lui nel
reparto
dedicato alla scrittura e notò subito una foto con alcune
candele
accese intorno, e dei fiori, su una scrivania.
«Kara», emise
tremando, avvicinandosi e prendendo la cornice con la foto. Lei
sorrideva come sempre e Lena passò il pollice sul vetro come
per
sfiorarle una guancia. Singhiozzò, ricordando quando l'aveva
invitata alla sua festa e le aveva spostato un ciuffo di capelli dal
viso, toccandole la pelle rosea. Era tutto. L'aveva toccata e Lex
gliel'aveva portata via.
«Dicono
che fosse là sotto, quando è
successo», raccontò lo Spirito del Natale Futuro,
restando davanti
alla porta del reparto. «È la versione ufficiale,
lei voleva
aiutare. Una delle novantuno persone morte ieri, in questo futuro.
Escludendo Supergirl».
Lena
strinse le labbra e una calda
lacrima le cadde dal viso, finendo sul vetro della foto, sul viso
solare di Kara. Non poté fare a meno di ricordare l'invito,
i suoi
sorrisi, come balbettava dall'imbarazzo, il suo sistemarsi gli
occhiali sul viso, come la guardava, il suo difenderla da tutto e
tutti, perfino da se stessa, senza saperlo. «Era Kara il suo
obiettivo primario», disse, cercando di mantenersi lucida,
«Sapeva
che lavorava con Supergirl». Erano morte entrambe. Quel
pensiero la
lacerava dentro; la voragine a National City si stava formando dentro
di lei e la stava divorando in fretta, come un animale affamato.
«Lui
me le ha portate via entrambe», aggiunse tentando un sorriso,
con il
viso che si riempiva di lacrime. Rimise il portafoto sulla scrivania,
sfiorando i fiori bianchi per lei. Kara Danvers era speciale,
Supergirl la sua eroina. Le faceva più male se ricordava
che,
probabilmente, non era riuscita a dire cosa provava davvero a
entrambe. «E mentre Lex si adoperava per portarmele via, io
cosa
facevo? Cos'ho fatto io per aiutarle?».
Lo
Spirito del Natale Futuro la guardò in silenzio a lungo
prima di
provare a rispondere, freddo e distante come suo solito: «Nulla».
Una
sola parola e a Lena mancò il fiato,
portandosi una mano alla bocca, ricominciando a singhiozzare e a
piangere. Un terremoto la fece traballare ancora e riuscì a
non
cadere solo tenendosi contro la scrivania. Lanciò di nuovo
uno
sguardo alla foto intanto che piangeva e si accorse presto che il
reparto si stava nuovamente riempendo di sbuffi di fumo che portavano
immagini e suoni.
Vide
se stessa seduta davanti alla
scrivania e con una pila di scartoffie da controllare, penna in mano,
sola. Al di là della finestra sul suo ufficio, i palazzi
erano ben
illuminati dalle luci ad intermittenza del clima natalizio. Supergirl
planò sul suo balcone e bussò al vetro della
porta. Lena si voltò,
la guardò, e ritornò ai suoi affari, decidendo di
ignorarla. Fu
allora che la Ragazza d'Acciaio aprì la maniglia con forza
ed entrò
senza permesso, subendo una Lena Luthor inviperita.
«Esci
subito di qui o chiamo la
sicurezza», tuonò, minacciandola con un dito
contro il suo viso.
Supergirl
parve ansimare, guardandola da
capo a piedi, osservando le scarpe nuove sempre più alte, il
suo
lungo vestito a fiori che la stringeva in vita, invernale, e i
capelli legati con uno chignon alto. Anche Lena si osservò
ed ebbe
paura.
«Devi
ascoltarmi, Lena: National City è
in grave pericolo».
«No»,
asserì la se stessa un anno più
grande, «Tu sei in pericolo e devi andartene da
qui».
«Non
me ne andrò», la guardò negli
occhi, avvicinandosi a poco dal suo viso.
Si
guardarono con attenzione e infine la
Lena del Futuro cedette, scansandosi e avvicinandosi di nuovo alla
scrivania. Poggiò un dito su un pulsante del cordless e
informò la
segretaria di chiamare la sicurezza, ma quando si voltò,
Supergirl
se n'era già andata.
Lena
aveva assistito alla scena tremando:
sembrava lei, eppure rivedeva sua madre.
La
voce di Kara Danvers la fece voltare e
notò che, dall'altra parte della saletta, gli sbuffi di fumo
le
stavano mostrando altre immagini: Kara, coperta da un giaccone,
parlava con la sua segretaria che non sembrava affatto intenzionata a
lasciarla passare.
«Devo
parlarle. Lo so che c'è, devo
parlarle subito».
La
donna continuava a rifiutarla nel
tentativo di trattenerla e Lena Luthor uscì dal suo ufficio
non
appena udì dei rumori fin troppo molesti. Aveva le braccia
strette a
conserte, lo sguardo freddo; guardò Kara con sufficienza.
«Torna a
casa, Kara».
«No»,
esclamò con forza, cercando di
passare, «Ti prego, devi ascoltarmi, non vuoi
capire-».
«Non
costringermi a chiamare di nuovo la
sicurezza», chiosò, rientrando nel suo ufficio.
La
Lena del presente si portò di nuovo
una mano sul viso, turbata, vedendo Kara affliggersi e poi andarsene
con fermezza: probabilmente quella era l'ultima volta in cui si
sarebbero riviste. «Perché…? Tu sai le
risposte… Dimmi
perché?!», fece, rivolgendosi allo Spirito del
Natale Futuro con le
sembianze di Supergirl. Lena sbatté le palpebre e si
ritrovò
all'esterno: il vento era ancora molto freddo ma si stava calmando;
era giorno e l'erba ricoperta di brina. Camminò fino a
raggiungere
una lastra di marmo, inchinandosi. Kara Danvers sorrideva anche
lì.
Pianse ancora, toccando la foto come se avesse potuto arrivare a lei.
«È
vuota», commentò lo Spirito del
Natale Futuro, «Non hanno rinvenuto nemmeno uno dei corpi.
Sai,
Supergirl credeva che la tecnologia della L-Corp potesse aiutare a
neutralizzare quel missile. Altri volevano rubarla, lei si era
impuntata affinché te la chiedesse e non ci fossero
incomprensioni.
Voleva il tuo aiuto e tu glielo hai negato», rispose lei. Il
sole
tiepido filtrava attraverso le nuvole e faceva brillare i suoi occhi
uno azzurro e uno verde.
«Come
ho potuto…?», pianse,
inginocchiata sull'erba fradicia e ghiacciata, davanti a quella
tomba.
«Credevi
di fare la cosa giusta, Lena»,
non mancò di dirle, proseguendo, «E avevi
frainteso. Ti sei
innamorata di lei ma l'hai allontanata nel tentativo di proteggerla
dall'oscurità della tua famiglia. È davvero
ironico pensare che
l'averla respinta per paura di una maledizione sia diventata la
stessa maledizione».
Lena
si voltò verso lo Spirito, a occhi
sgranati e rossi, come il suo naso, e il viso bagnato di lacrime.
«Sì,
Lena», aggiunse con il solito
tono freddo, «Avevi ragione fin dal principio, non sei
diversa. Ti
sei risvegliata scoprendo di essere una Luthor a tutti gli
effetti».
Batté
gli occhi e si ritrovarono
all'interno di una camera buia. Imperversò un altro
terremoto, più
forte, e Lena si alzò in piedi, cercando di restare in
equilibrio
finché la terra non si assestò di nuovo.
Così si guardò indietro,
verso una porta nera ben chiusa, e avanti, a uno specchio. Si
avvicinò e si toccò il viso: intorno ai suoi
occhi era bagnato ma
dal naso, alla bocca e alla fronte, era arido e pieno di crepe. Prese
una placca e iniziò a sfaldarla, a staccarla, a sgretolarla.
Del suo
viso non sembrò esserci null'altro che polvere che si stava
depositando ai suoi piedi, sul pavimento di parquet scuro. Quando
rialzò lo sguardo, però, capì di
essere ancora perfetta, pallida,
liscia, non un capello fuori posto. Era una Luthor. Ora si
riconosceva. Era Lena Luthor. Ma non era ancora lei: quella che
sembrava sua madre era la se stessa del Natale Futuro, che si stava
avvicinando allo specchio dietro di lei e si guardava con attenzione.
Le lasciò il suo posto per vederla toccarsi il viso come
aveva fatto
lei ma, al contrario, diventò presto livida di rabbia e si
scagliò
sullo specchio, gettandolo a terra e rompendolo in mille pezzi. Ne
strinse un pezzo grande e affilato e, tagliandosi in questo modo la
mano destra, lo lanciò contro la finestra, macchiando la
tenda
grigia di sangue. Solo ora, Lena si accorse che quella era la sua
camera da letto.
La
vide rompere tutto: rovesciare i
quadri, buttare giù le coperte dal materasso, macchiare il
tappeto
bianco di sangue, prendere una lampada e lanciarla contro la
finestra, che si ruppe. E infine gridò, gridò con
tutte le sue
forze, tanto da causare un altro terremoto e Lena si resse contro un
muro.
«Non
può essere questo ciò che mi
aspetta», gridò a sua volta allo Spirito del
Natale Futuro che la
guardava con attenzione, pur restando distante.
«Non
mentire, Lena Luthor: non ti
aspettavi nulla di meglio per il tuo futuro».
«Non
lo voglio, non lo voglio! Io devo
salvare Kara… devo salvare Supergirl! Mi devi riportare
indietro».
Lo
Spirito con le sembianze di Supergirl
provò a sorridere ancora, in modo forzato.
«Potresti ripercorrere
la stessa strada».
«Potrei»,
ammise, non appena si accorse
di poter restare in piedi da sola e che il terremoto era passato.
«Spetta a me decidere se fare di questo viaggio un
dono… o una
delle mie maledizioni», ripeté, ricordando le
parole del finto
Jeffrey che l'aveva iniziata al viaggio. «Mi devi riportare
indietro! Ti prego».
Sopraggiunse
in fretta un altro terremoto
ma Lena non ebbe più nulla a cui tenersi poiché
il muro svanì,
spaccato e poi dissolto come aveva fatto la sua pelle davanti allo
specchio. La stanza buia si stava rompendo e, sotto di essa,
ricomparve l'erba bagnata e il cimitero. «Perché
sembro essere
l'unica a subire queste scosse?», domandò,
guardando intorno a lei
che tutto il resto ne veniva ignorato.
L'accompagnatrice
sorrise: «Il futuro è incerto, Lena. Non
è come le rotaie di un
treno. Le scosse rappresentano il tempo che cambia e tu ne sei
sensibile perché puoi ancora apportare cambiamenti. Puoi.
Non significa che ci riuscirai. Questo è il futuro che ti
aspetta
seguendo il percorso che hai deciso di intraprendere».
«Lo
cambierò», dichiarò a denti
stretti, «Ricorderò ogni cosa»,
abbozzò un sorriso.
«Ogni
cosa?», replicò, «Non penso.
Puoi ricordare qualcosa, ma è difficile ricordare ogni
particolare
di un sogno».
«Un
sogno?»,
tuonò, agitandosi; per poco non cadde dalla sedia.
Alzò la testa di
scatto che aveva appoggiato contro la scrivania fredda troppo a
lungo; aveva
il viso
ghiacciato. Sbadigliò, portandosi una mano contro la bocca,
e restò
a fissare il nulla per un po', prima di alzarsi con una spinta:
«Kara».
Doveva
andare da lei. Doveva assolutamente andare da lei.
Lasciò
tutto com'era sulla scrivania e afferrò l'impermeabile prima
di
uscire dalla porta dell'ufficio, infilandoselo nel tentativo di
correre, seppure con i tacchi alti. Era ormai alle porte
dell'ascensore quando si accorse di aver dimenticato la borsa,
tornando indietro di fretta per recuperarla.
«Jeffrey»,
tuonò, chiamando la guardia appena fu uscita dall'ascensore.
Controllò l'ora sul suo piccolo orologio da polso, scoprendo
che
erano appena le ventidue: poteva farcela. Kara sarebbe stata alla
finestra, non stavano ancora cenando perché aspettavano lei,
c'erano
i brownies con glassa alla vaniglia e scorza di arancia.
«Jeffrey»,
chiamò ancora, arrivata vicino. «Chiudi tutto e
torna a casa. Buon
Natale a te e famiglia», si avviò all'uscita con
passo svelto.
«Grazie,
signorina Luthor. Vuole che le chiami una macchina?», le
domandò
nonostante lei stesse già aprendo la porta.
Lei
sorrise, tirando la maniglia d'acciaio. «No, grazie: non
vorrei
tardasse, ho un appuntamento».
Lasciò
che la porta si chiudesse dietro di lei e Jeffrey sorrise
soddisfatto, intanto che i suoi occhi, riflettendo alla luce del logo
della L-Corp fisso su una costruzione di marmo al centro del salone,
brillavano uno di azzurro e l'altro di verde. «Puoi tornare
in
meglio o in peggio», borbottò per sé
con soddisfazione.
Si
era dimenticata della pioggia e corse riparandosi la testa con la
borsa per gran parte del tempo. L'impermeabile si inzuppò in
fretta
e lo stesso i suoi capelli, ma non smise di correre, rischiando
perfino di scivolare a causa del marciapiede allagato. Al suo
passaggio, bagnò lasciando gocce d'acqua come le molliche di
pane di
Pollicino per le scale e tutto il corridoio, arrivando davanti alla
porta di casa Danvers. Una volta lì, il cuore
accelerò tanto che le
sembrò di svenire. Aveva paura; e tanta. Le parole di Kara
che la
difendevano e quelle di sua sorella che le dicevano di stare attenta
a lei le ricordava ancora vivide nella sua testa, come se potesse
riascoltarle ogni quanto lo credesse necessario. Sapeva che
ciò che
era accaduto era reale e non un sogno. Era reale camuffato in un
sogno. O qualcosa del genere. Voleva crederci. E più di
tutto voleva
credere in un futuro migliore.
Raccolse
tutto il suo coraggio e suonò il campanello, restando in
attesa.
Aveva il cuore in gola, tremava per il freddo, respirava con la bocca
aperta, pesantemente. Quando udì dei passi venire verso la
porta e
poi il lucchetto scattare, ebbe un brivido più forte che le
percorse
tutto il corpo. La porta si aprì e Kara era lì.
La
ragazza spalancò gli occhi e la bocca, colta completamente
di
sorpresa. «Cosa…?»,
emise, senza fiato.
«Kara,
devo parlarti», furono le sue parole prima che l'altra la
trascinasse dentro, anche se non era sua intenzione entrare
immediatamente.
«Sei
tutta bagnata, come hai fatto?».
«Beh…
fuori piove e-», rise, vedendola mentre tentava di
riscaldarla
semplicemente passandole le mani sulle braccia, poi pensò di
cominciare a sfilarle l'impermeabile.
«So
come ti sei bagnata», brontolò, tirandole via
anche la borsa. «Vado
a mettere questo in bagno, è zuppo», si
allontanò, per poi girarsi
e ridere, mostrando l'impermeabile, «Intendevo che
metterò questo
in bagno, questa…», le rimise la borsa nelle mani,
accompagnando
il gesto da un altro sorriso.
Kara
sparì e Lena restò davanti alla porta, immobile,
sotto lo sguardo
attento e stupefatto degli altri invitati. Mike, Winn e James erano
sul divano come nel suo viaggio nel Presente, mentre Alex e l'altra
donna stavano mangiando i brownies dietro la cucina. Alex
sussurrò
qualcosa come per dire che non immaginava si sarebbe fatta viva e le
andò incontrò per aiutarla e farla ambientare, ma
Kara ritornò in
fretta e la prese con sé prima che potesse aprire bocca.
«Sei
tutta bagnata, ti ammalerai se non ti metti addosso qualcosa di
asciutto», disse, aprendo le ante dell'armadio nella sua
stanza.
L'unica
luce era quella che filtrava dal lampione oltre la finestra chiusa e
Lena entrò quasi in punta di piedi, tremando. Era la prima
volta che
vi metteva piede e si guardò ogni particolare con
attenzione: il
letto un po' scosso, come se le piacesse camminarci sopra, dei
pantaloni sul materasso e due maglioncini erano gettati sulle sedia
in un angolo della stanza, vicino all'armadio; ai piedi del letto,
sul tappeto, c'erano un paio di scarpe. L'avrebbe creduta
più
ordinata, notò, sorridendo. C'era
qualche addobbo natalizio anche lì, come dei finti pacchetti
regalo
su un mobile e dei rametti appesi sul lampadario, che era certa
fossero vischio. Kara
tornò indietro con una camicia e un maglioncino, diede
un'occhiata e
lei, e così tornò all'armadio, portandole un
maglione soltanto,
grosso e caldo. «Eliza me lo aveva regalato lo scorso Natale,
ma non
mi andava di metterlo oggi. Lei è mia madre, sai…»,
si lasciò scappare una risata, «Tu non dirlo a
nessuno, va bene?»,
le sorrise, porgendoglielo.
Lena
non si lasciò sfuggire il fatto che chiamasse per nome sua
madre, o
meglio la sua madre adottiva. Il maglione era rosso, aveva un pupazzo
di neve al centro, in mezzo alla neve, e nello sfondo Babbo Natale
viaggiava con la sua slitta trainata dalle renne, lasciando cadere un
regalo. Oh, normalmente non avrebbe mai indossato una cosa del
genere, non l'avrebbe mai scelta di certo, ma glielo stava offrendo
lei e in quel momento sapeva che avrebbe fatto qualunque cosa se
glielo avesse chiesto. Lo prese con sé sfiorando le sue mani
calde e
la vide tornare indietro per portarle un pantalone.
«Ti
terrà in caldo», le sorrise, alzando le mani per
toccarle i
capelli. Lena si sentì bollente. «Sono ancora
umidi. L'appartamento
è caldo ma possiamo asciugarli».
«Devo
parlarti… Kara», le disse di nuovo, senza
risponderle.
Si
guardarono negli occhi per non si sa quanto tempo, prima che Kara
potesse accennare un sorriso e abbassarli, con evidente impaccio.
Scosse la testa. «Prima cambiati, va bene? Non ti
lascerò prendere
un malanno». Diede una pacca sul pantalone sulle sue mani e
la
lasciò, riaprendo la porta. «Lena» la
chiamò voltandosi un'ultima
volta verso di lei, prima di chiudere e lasciarla sola il tempo di
cambiarsi, «Sono contenta che tu sia qui».
«Anch'io»,
sorrise a sua volta.
Kara
sembrava voler evitare qualsiasi cosa avesse da dirle Lena. Quando
quest'ultima finì di cambiarsi, uscì dalla camera
da letto con
grande imbarazzo. Kara si avvicinò di nuovo a lei e
sperò di
poterla prendere da parte un momento, ma al contrario la
trascinò
dal resto degli invitati e li presentò di nuovo e viceversa,
anche
se alcuni la conoscevano già. Poi cenarono tutti insieme,
con mille
auguri per il prossimo anno e qualche bicchiere di troppo. Alex
rimise sulla testa della sorella la coroncina con le corna da renna
come nel viaggio nel Presente ma, dopo un qualche tempo, lei se la
sfilò per farla indossare a Lena, mettendogliela lei stessa
e poi
ridendo. L'avvicinamento delle due non passò inosservato, ma
nessuno
osò chiedere qualcosa. Sia James che Winn adocchiarono la
scena e
poi scambiarono uno sguardo interrogativo tra loro, come Mike, che
provò a prendere l'attenzione di Kara il più
delle volte, restò
piuttosto perplesso, non sapendole tanto amiche. Tuttavia era Alex
quella che controllava le due più di tutti, a trattati
contrariata,
quando Maggie, la sua ragazza, non riusciva a distrarla.
Giocarono
a carte e Lena vinse tutte le mani; non sapevano fosse tanto brava.
Alex la sfidò più volte, in solitaria, ricercando
una vittoria che
non arrivò mai. Infine Maggie la trascinò lontano
dagli altri, sul
divano, o non avrebbe smesso di chiedere rivincite.
Fecero
la loro gara al brownie più buono e quelli di Winn con
glassa alla
vaniglia e scorza di arancia furono i più apprezzati. Solo
Kara e
Alex votarono per i propri, come Mike, lasciandosi convincere da uno
sguardo minaccioso della prima. A Lena toccò il verdetto e
non
riuscì a mentire, dicendole che le dispiaceva, ma che erano
senza
dubbi quelli di Winn i brownie più buoni. Alex e Kara
chiesero di
riprovarci l'anno prossimo, annunciando la loro sicura vittoria.
Al
sentirle parlare del prossimo anno, Lena perse il suo sorriso e
guardò Kara con ancora più insistenza; uno
sguardo che in molti
catturarono, la stessa Kara, che fece finta di niente.
«Pensavo
non saresti venuta…», le disse Alex dei minuti
più tardi. Era
seduta sul divano e Maggie era accanto a lei, appoggiata la testa sul
suo petto. Parlava con Kara seduta dall'altro lato del divano. Lena
era seduta davanti a loro, giocando nervosamente con la coroncina con
le corna da renna nelle mani. «Ti credevo sommersa di
lavoro».
«Lo
ero», ammise, «Inizialmente non dovevo
venire».
«E
cosa ti ha fatto cambiare idea?».
Gli
occhi verdi di Lena si posarono irrimediabilmente su Kara che, anche
se fingeva di non ascoltare, l'aveva guardata a sua volta. Sorrise, e
rispose sicura di sé: «Sto raccogliendo
informazioni per il mio
piano malvagio per la conquista del mondo».
Alex
restò a bocca aperta intanto che Kara rise e Maggie con lei,
prendendo in giro la ragazza, chiedendole di rilassarsi un po'. Alex
non ebbe modo di rispondere che Mike gridò di
felicità, saltando
dalla sedia e gettando le carte sul tavolo. James e Winn si
lamentarono di aver perso e le ragazze si girarono verso di loro,
ridendo.
Chiacchierarono
e giocarono ad alcuni giochi di società con la solita Alex
che non
amava perdere, finché Maggie non decise di portarla via
prima che
potesse esagerare. Erano le due meno un quarto ormai e avevano
comunque tutti deciso che si sarebbero scambiati i regali l'indomani,
cosi Winn pensò di andarsene anche lui, e James lo
seguì a ruota,
sfruttandolo per un passaggio in macchina. Si stavano rivestendo,
prendendo ognuno le proprie cose.
«Oh,
allora io vado a vedere se il vestito e l'impermeabile di Lena sono
asciutti», pensò a voce alta Kara, tentando di
allontanarsi.
Pensava di fare in un attimo, doveva solo prenderlo e scuoterlo un
po', portarlo in camera da letto per scuotere il vestito che lei
aveva lasciato lì e sarebbe stato tutto pronto, ma Mike la
interruppe chiedendole se potesse stare ancora un po' da lei, con
sguardo innocente. Non sapeva cosa dire: guardò lui, dopo
Lena che
indossava ancora il suo maglione rosso di lana, e irrimediabilmente
il suo sguardo finì su Alex. Lei intervenne subito:
«Macché»,
prese il ragazzo per un braccio, tirandolo verso di lei.
«Tanto ci
scambieremo i regali domattina e Kara è stanca. Maggie ed io
ti
daremo un passaggio, ti conviene approfittarne».
Lui
guardò entrambe, tentò di dire qualcosa, ma alla
fine Alex riuscì
comunque a portarlo via. Appena chiusero la porta e loro li
salutarono, Kara tentò di svignarsela prima che Lena la
interruppe,
guardandola con attenzione, com'era solita fare:
«Mike
è… un bel ragazzo».
Kara
sorrise a sua volta. «Davvero? Non lo avevo
notato».
«Tu
e lui…».
«Oh,
no, no», scosse la testa, ridendo, «Mike ed io
siamo… siamo solo
amici, sì», annuì, riuscendo infine a
chiederle di aspettarla il
tempo di controllare se la sua roba fosse asciutta. Sparì in
bagno e
dopo la sentì andare in camera, così la seguì
con passo lento e
pensieroso.
«Stavo
pensando che non ti ho ancora fatto un regalo»,
esclamò,
continuando a camminare.
Sentì
Kara ridere. «Lena, non mi devi fare nessun
regalo».
Entrò
nella stanza e la trovò con l'impermeabile e il suo vestito
stretti
tra le dita delle mani. O almeno pensava fossero quelli, c'era troppo
buio per esserne certa. Kara la sentì e si voltò,
restando
immobile. Aveva come la sensazione di averla colta nel fatto, non
riusciva a capirla: quella ragazza era così strana,
così adorabile.
Così misteriosa a volte, ma così semplice allo
stesso tempo. Non
c'era una sola cosa di lei che non l'attraesse. Sapeva che era
speciale; era tutto. E che avrebbe fatto qualsiasi cosa per non
perderla.
Kara
aprì la bocca, in procinto di dire qualcosa, come in preda
al
panico. Lena non aspettò che parlasse: quello era il suo
momento,
non ne avrebbe avuti altri di così perfetti. Divise la
distanza che
le separava in fretta e infilò la mano destra dietro la sua
nuca,
sotto i capelli, avvicinando le labbra alle sue. No, in fondo non
avrebbe avuto bisogno di dirle qualcosa nemmeno lei. La
baciò,
chiudendo gli occhi, e sentì Kara fare lo stesso.
L'impermeabile e
il vestito caddero ai loro piedi e le mani di Kara restarono per
aria, senza sapere cosa fare. Lena la lasciò andare e,
portandole le
mani sul viso, le sfilò gli occhiali, lasciandoli scivolare
sul
vestito, circondandole poi il viso e baciandola ancora. Il vischio
era sopra le loro teste.
Kara
sorrise con palese nervosismo, staccandosi piano.
«Non
dovevo…?», domandò Lena, ancora troppo
vicina alle sue labbra.
«No»,
abbozzò un sorriso, sospirando, e avvicinò le sue
mani al viso
pallido di lei, questa volta, «Non è
quello… Da un po' mi
chiedevo se l'avresti mai fatto», la baciò subito,
affondando nelle
sue labbra.
Si
strinsero, sentendo solo i respiri di entrambe in quella notte
natalizia di pioggia.
Sapeva
di amare Kara. Di averlo sempre fatto dal momento in cui la vide la
prima volta entrare nel suo ufficio; era stato come respirare davvero
per la prima volta. Eppure, pensandoci, era quasi certa di ricordare
che, durante il suo viaggio, lo Spirito del Natale Futuro intendesse
che lei a un anno di distanza sarebbe stata innamorata di Supergirl.
Era stata lei a parlare di Kara e lo Spirito a mostrargliela, non
viceversa. Supergirl le piaceva, non poteva dire diversamente, ma era
Kara quella di cui si era innamorata. Si avvinghiò a lei,
stringendole un fianco e accarezzandole una guancia bollente con
l'altra mano, continuando a baciarla. Probabilmente, pensò,
o stava
già cambiando il futuro o, da un anno a quella parte,
avrebbe
scoperto la vera identità di Supergirl. E non vedeva l'ora.
Un piccolo bentornata a me in questo fandom. In verità
dovevo
tornarci con almeno altre due oneshot ma sono ancora in fase di
scrittura, ho pensato di terminare prima questa considerando il tema
:) La fan fiction partecipa al FemStmas16,
iniziativa indetta
sul gruppo di FB di 'In
femslash, we trust', sul Natale!
Il
fandom era libero ma al momento sono particolarmente in fissa con
le Supercorp e non ho resistito, mi è subito venuta in mente
Lena al
posto del vecchio Scrooge alle prese con i tre fantasmi del Natale
Passato, Presente e Futuro. È solo ispirato al celebre
romanzo di
Charles Dickens, ho preso solo la formula e il resto è
venuto su da
sé.
Qualche
nota:
- Dubito che
la L-Corp sia così “vicino”
all'appartamento di
Kara ma mi serviva che fosse così.
- Per
inserire il signor Luthor nella fan fiction ho fatto una
ricerchina e, non trovando granché, ho chiesto anche aiuto.
Sono
arrivata alla conclusione di poter inventare il personaggio di mio e
così ne è uscito Alexander 'Lex' Luthor Senior.
Negli Stati Uniti
si usa dare il proprio nome al figlio maschio, così Lex
sarebbe un
Lex Junior. Nel telefilm, se mai introdurranno la sua figura,
sarà
per ovvie ragioni un uomo diverso.
- Beh,
in fin dei conti mi sono inventata tutta l'infanzia di Lena e
discorrendo, non poteva essere altrimenti.
- Essendo
una fan fiction Lena centrica ho sacrificato molti altri
personaggi “di sfondo”. Chi ne ha sofferto di
più è la povera
Maggie, ma Lena non la conosce e non avrei saputo fare
diversamente.
- Con
una frase all'inizio, collego alla fan fiction questo piccolo
missing moments scritto un mese fa: La
pecora nera.
- Zia Molly
who? Personaggio a random XD
Fatemi
sapere in recensione se la fan fiction vi è piaciuta e alla
prossima ~
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