Dark Angel

di DreamerGiada_emip
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L’autista mi scarica nel bel mezzo di un enorme giardino. Di fronte ai miei occhi una grande fontana alla cui sommità un demone con grandi ali di pipistrello e il becco d’aquila sembra osservarmi minaccioso. La facciata della villa è molto ampia e in parte ricoperta da rampicanti, le dà un particolare aspetto antico.
 
Canticchio a ritmo della musica che mi trapana i timpani a causa dell’alto volume, non mi da fastidio, mi isola dal mondo ed è quello che voglio. Cammino senza fretta fino al grande portone d’ingresso, mi tolgo un auricolare prima di bussare. Nessuna risposta. Riprovo e nuovamente non ottengo alcun risultato. Sbuffo sonoramente.
 
«E io dovrei stare qui fuori ad aspettare che i padroni di casa ritornino?» chiedo a me stessa, infilo la cuffia dentro lo scollo della mia maglietta e, proprio in quel momento, la porta si socchiude. Sollevo un sopracciglio e afferro la valigia per poi entrare.
 
«Cavolo, a questi piace vivere bene» mi guardo intorno. Un tappeto rosso conduce su una grande scalinata, il pavimento e le pareti sono in marmo bianco e sopra la mia testa un enorme lampadario a cristalli illumina l’ingresso. Noto subito che non ci sono lampadine, ma candele.
 
«Bene, villa di lusso, ma all’antica, come minimo non c’è nemmeno elettricità» mi rendo conto solo dopo qualche secondo che non c’è nessuno con me in questa sala, chi diavolo mi ha aperto la porta?
 
Una villa fantasma? Le buone notizie della giornata. Mi siedo sui gradini della scalinata sbuffando nuovamente, prendo il cellulare e controllo di aver letto bene l’indirizzo.
 
«Dunque questo profumo sei tu» una voce profonda maschile, sollevo immediatamente lo sguardo e inizio a guardarmi intorno per individuare qualcuno. I miei occhi percorrono tutto l’ingresso, finché non si bloccano puntati verso un angolo lontano su due occhi di fuoco luminosi nell’oscurità. È poco lontano dalla porta, il suo viso è in penombra, non riesco a distinguerne i lineamenti, soltanto quegli occhi rossi che sembrano risplendere di luce propria.
 
«Allora c’è qualcuno in casa» mi alzo in piedi e faccio qualche passo verso di lui, non si muove restando immobile a fissarmi nel buio. Lo guardo e sollevo un sopracciglio. «Guarda che non ti mordo mica, puoi avvicinarti» appoggio una mano sul fianco, mi sembra di intravedere un leggero sorrisetto divertito.
 
Si volta e comincia a camminare tranquillamente per un corridoietto laterale. Osservo il suo abbigliamento di spalle, indossa una giacca nera con le maniche arrotolate fino ai gomiti, pantaloni dello stesso colore, un paio di stivaletti chiari, noto che la maglietta sotto la giacca è lacerata.
 
Roteo gli occhi. Cominciamo bene, di poche parole il signorino. Afferro la valigia e lo seguo senza staccare la musica. Arriviamo in un ampio salotto con un divano di velluto blu e due poltrone delle stesso morbido velluto al centro della sala. Anche qui la luce è fornita da un grande lampadario con tante candele. Infondo, appoggiato al muro, un altro divanetto con sdraiato un ragazzo. Ha gli occhi chiusi e le cuffie nelle orecchie, i capelli hanno un particolare colore arancio, la pelle pallidissima, il suo vestiario è un po’ più ordinato del precedente tizio. Mi chiedo che musica stia ascoltando, ma a prescindere dal genere questo ragazzo mi piace già.
 
Alla luce posso finalmente osservare il viso di chi mi ha portato qui. I lineamenti sono decisi e i capelli di un rosa molto chiaro che sfocia anche nel bianco, un ciuffo gli copre un occhio, ma l’altro mi fissa minaccioso, ha uno sguardo affilato e l’espressione corrucciata. Al collo porta una chiave e la maglietta è davvero tutta stracciata e consumata al bordo.
 
«Sei arrivata finalmente» il ragazzo sdraiato sul divanetto parla senza aprire gli occhi. Rivolgo il mio sguardo a lui, ma prima che possa dire qualcosa il signorino occhi-di-fuoco mi precede.
 
«Shu, dunque tu sapevi che oggi sarebbe arrivata lei?» lo dice in un ringhio e dal suo tono suona più come un’accusa che una domanda.
 
«Sono cinque anni che sappiamo sarebbe arrivata oggi» un’altra voce alle mie spalle, mi volto immediatamente e incrocio uno sguardo severo e indagatore dietro un paio di occhiali rettangolari. Ha i capelli viola ed è vestito in modo molto più elegante e curato degli altri, addirittura indossa un paio di guanti. Questo qui è un maniaco dell’ordine.
 
«Tu e Shu dovreste smetterla di tenerci nascosto l’arrivo di una così splendida umana» in cima alle scale un altro ragazzo. Ma quanti diamine sono? Occhi verdi, con una strana luce di malizia e perversione, dal cappello che porta escono alcuni ciuffi di capelli arancioni, il cappuccio della giacca appoggiato sulle sue spalle è adornato da una morbida pelliccia. In un attimo mi sento stringere la vita da dietro, il mio corpo aderisce ad un altro.
 
«Sembri deliziosa…» un respiro freddo sul mio collo mi fa scattare. Mi divincolo da quella presa e mi allontano con un balzo, alle mie spalle il ragazzo che fino a pochi attimi fa era in cima alla scalinata. Gli dedico uno dei miei più freddi e taglienti sguardi che lui ricambia con un sorrisetto lascivo.
 
«Non osare mai più mettermi le mani addosso» ringhio in una minaccia.
 
«Ma che bel peperino» prima che possa individuare il proprietario della nuova voce, una mano mi afferra il mento facendomi voltare il viso e sollevare lo sguardo. Incontro un paio di occhi verdi magnetici incorniciati da ciuffi di capelli rossi, un sorriso maligno completa il suo viso. La sua pelle è freddissima. Tolgo la sua mano dal mio viso con uno schiaffo e mi allontano.
 
«Raito, Ayato, non credete sia un atteggiamento quantomeno scortese nei confronti di una signorina appena conosciuta?» il maniaco dell’ordine li fulmina entrambi con lo sguardo. Direi che lui è l’unico con cui si può parlare. Li guardo uno ad uno.
 
«Siete tutti oppure devo aspettarmi qualcun altro?» tengo sotto controllo i due ragazzi che mi hanno toccata.
 
«Perché preferiresti che io non ci fossi? Preferiresti la mia morte?» un ragazzino si accosta al tizio con il cappello. Stringe tra le braccia un orso di stoffa, ha delle grandi occhiaie e sia occhi che capelli viola. «Visto Teddy? Nessuno ci vuole, nessuno ci apprezza» aggiunge con voce flebile. Cosa diavolo sta farneticando? Decido ci lasciare perdere, tanto qui dentro non sembra che alberghi tanta normalità.
 
«Posso almeno sapere i vostri nomi?» chiedo facendo correre lo sguardo da un ragazzo all’altro. È il maniaco dell’ordine a parlare, indicando uno a uno.
 
«Shu, il fratello maggiore» indica con un cenno il ragazzo sdraiato con gli auricolari. Non mi ha nemmeno rivolto un’occhiata da quando sono entrata, sembra disinteressato a tutto ciò che lo circonda.
 
«Io sono Reiji, il secondo figlio» mi guarda severamente. Reiji eh? Preferisco “maniaco dell’ordine”.
 
«Ayato, il terzo»
 
«Qualche tempo con noi e questo carattere focoso lo perderai» il ragazzo dai capelli rossi mi mostra un sorrisetto maligno. Lo fulmino con lo sguardo, ma poi gli mostro anch’io un sorrisetto di scherno abbinato a un’occhiata di sfida che lo spiazzano.
 
«Kanato»
 
«Sarai tu a morire» mi rivolge un sorriso inquietante con gli occhi sbarrati, da pazzo. Questo qui ha perso qualche rotella.
 
«Raito»
 
«Piacere, sgualdrina» mi fa l’occhiolino,  lo osservo inviperita. Come osa? Non mi conosce e pensa di affibbiarmi simili nomignoli? Ed io dovrei passare il resto della mia vita con questi maleducati egocentrici mocciosi? Nemmeno per sogno.
 
«E l’ultimo figlio, Subaru» sento appena il nome dell’ultimo dei ragazzi presenti. Sono ancora ferma con il mio sguardo di ghiaccio su Raito, mentre lui non smonta quel sorrisetto così dannatamente irritante. Alla fine, sposto lo sguardo su Subaru, il primo che ho conosciuto.
 
Dunque, questa è la famiglia Sakamaki, la famiglia con cui dovrò vivere. Ci sarà molto da fare e parecchi caratteri da rimettere in riga. Vedremo alla fine chi abbandonerà il proprio temperamento




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