All I want - 14 .2
ALL
I
WANT
FOR
CHRISTMAS
IS...
********Omnia vincit amor********
"Allora, adesso ti ricordi?"
"No."
Alex sospirò, deluso, mentre Jeremy fece la smorfia di rituale e si alzò dalla sedia.
"Dove
vai, aspetta!" lo fermò l'amico. "Non ti ho ancora raccontato
della parte in cui Taylor mi ha dato un calcio nelle palle e tu-"
"Alex, ti prego." sospirò Jeremy, voltandosi appena verso di lui. "Sono stanco."
"Ma, Jeremy."
Il
rimprovero del ragazzo sembrò quasi fuori luogo. Assurdo
richiedere a uno che si era svegliato da un coma solo due giorni prima
di ascoltare cento volte sempre la stessa storia.
Jeremy
era davvero stanco. Aveva solo voglia di fare una passeggiata per il
corridoio e poi tornare a guardare fuori dalla finestra sperando sempre
che il giorno dopo sarebbe stato quello in cui l'avrebbero dimesso.
Ma sapeva che era una speranza bella grossa.
I
medici gli avevano spiegato per filo e per segno tutto quello che il
suo corpo aveva dovuto sopportare ed erano stati piuttosto chiari sul
fatto che, per non sprecare il miracolo che aveva ricevuto, avrebbe
dovuto passare lì dentro almeno un mese. Un mese di esami, di
cure, di riposo,...di noia.
E poi c'era Alex.
Alex
che da tre giorni a quella parte non era ancora riuscito a mettersi
l'anima in pace. Passava l'intera giornata al suo fianco e non faceva
altro che raccontare, raccontare, raccontare...
I
medici avevano confermato che, a causa del lungo periodo in coma,
qualcosa in Jeremy non aveva ripreso a funzionare correttamente.
D'altronde era il minimo che potessero mettere in conto: non avrebbe
potuto sopravvivere senza almeno un effetto collaterale.
E
l'effetto collaterale in questione fu che la sua memoria aveva
resettato una porzione della sua vita: precisamente dalla domenica
d'avvento in cui Cordano e Richard l'avevano obbligato a rapire Tessy
Heavens, fino al suo risveglio. Di quelle ultime tre settimane non
ricordava assolutamente nulla.
E
sì, chiaramente aveva già sentito milioni di volte la
storia di com'erano andati i fatti. Lui aveva chiesto aiuto ad Alex, da
veri idioti, avevano rapito Taylor anziché Tessy e, da vero
idiota, lui si era innamorato di questa Taylor. C'erano poi un sacco di
altri dettagli, che Jeremy ascoltava più per far contento il suo
amico che per altri motivi.
Ma, ancora una volta, di quella Taylor e di tutta quella storia non sapeva altro che i fatti riportati.
Alex
gli aveva fatto guardare ore di telegiornali registrati, aveva
disegnato uno sproposito di schemi riassuntivi e gli aveva anche
propinato degli assurdi esercizi per la memoria. Ma non era servito a
niente.
Secondo
i medici, Jeremy avrebbe potuto recuperare la memoria come anche
perderla per sempre. Sarebbero potuti passare giorni, anni, oppure
l'eternità intera. Non poteva prevederlo nessuno; solo il suo
cervello sapeva se e quando si sarebbe riattivato.
Tuttavia,
Alex era convintissimo che, non appena Jeremy avrebbe rivisto Taylor di
persona, si sarebbe ricordato di ogni cosa, di ogni sentimento, di ogni
singolo secondo che era intercorso dal momento in cui l'aveva
addormentata col cloroformio a quello in cui i ruoli si erano scambiati
e lui era svenuto tra le braccia di lei.
Alex,
d'altronde, lo desiderava più di ogni altra cosa: per il suo
amico, ma soprattutto per Taylor. Il giorno in cui Jeremy si era
svegliato, ovvero il primo di gennaio, era stato lui a fare la
chiamata. E così al telefono l'aveva ascoltata gridare di gioia
e di sorpresa e poi si era preso l'ingrato compito di darle la notizia
che avrebbe ammazzato brutalmente la sua neonata speranza.
Ma era l'unico a poterlo e doverlo fare.
L'aveva
informata sulla perdita di memoria di Jeremy: Taylor era rimasta in
silenzio e, Alex ne era sicuro, era appassita come un girasole in un
giorno d'improvviso inverno.
Ma
i dottori erano stati chiari: vedere la ragazza avrebbe potuto essere
un trauma positivo per Jeremy, perciò doveva accadere quando
sarebbe stato completamente in forze e, nel frattempo, Alex si era
preso carico della sua, come l'aveva nominata, 'preparazione.'
Non
aveva mai cessato, neanche un solo secondo, di impegnarsi per Taylor e
Jeremy. Alla prima lo doveva, per essere stato un completo stronzo con
lei e per ringraziarla del bene che aveva fatto a lui e al suo amico.
Al secondo voleva donare di nuovo la felicità. Non poteva
accettare che vivesse il resto della sua vita vuoto di tutto quello che
aveva imparato. Aveva ricevuto un dono enorme, un dono che, ne era
sicuro, l'avrebbe reso una persona migliore e felice, un dono che si
meritava dopo anni e anni di ingiustizie. Non poteva aver smarrito quel
dono.
Il
miglior futuro che avrebbe desiderato per Jeremy era quello a fianco di
Taylor. Non poteva neanche ipotizzare che tornando a essere il Jeremy
di prima di quell'avventura, avrebbe vissuto bene. Certo, avrebbe
creduto di vivere bene, ma Alex, e tutto il Cotswolds ormai, sapeva che
non sarebbe stato così.
Per
questo si alzò e seguì Jeremy lungo il corridoio del
reparto, mentre, camminando al suo fianco, gli raccontava di quella
volta in cui Taylor gli aveva dato un calcio nelle palle e lui aveva
fatto una gran scenata di gelosia.
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Era passata una settimana.
Da
quando Jeremy aveva aperto gli occhi, per sette giorni non aveva potuto
fare niente e vedere nessuno. Eccetto Alex e sua nonna. Per una
settimana intera.
Ma
ora, finalmente, lo facevano uscire nel giardino dell'ospedale e poteva
godere, per qualche ora ben distribuita nella giornata, del senso di
libertà di cui si era sempre sentito padrone.
Era
uscito per la prima volta quella stessa mattina, aveva preso un po'
d'aria e passeggiato per una mezz'ora e poi era rientrato, sentendosi
già quasi completamente guarito. Era incredibile come il riposo
forzato gli costasse, mentre muoversi lo facesse sentire meglio.
Non
gli avevano ancora tolto la fasciatura all'addome, ma la ferita aveva
smesso di sanguinare. Aveva fatto tutti gli accertamenti possibili e
immaginabili e ormai ricordava quasi a memoria tutti i valori del suo
sangue. Anche i dottori erano soddisfatti dei suoi miglioramenti, ma
lui era già troppo stanco di aspettare.
Senza dar retta ai mille progetti di Alex, aveva già deciso cosa avrebbe fatto una volta uscito.
Sua
nonna era ricomparsa dal nulla qualche giorno prima, presentandosi
nella sua camera d'ospedale con una faccetta falsamente pentita e un
mucchio di scartoffie da firmare. Aveva sentito di lui al telegiornale;
forse si era veramente sentita in colpa, ma le era anche venuta un'idea.
Così
era tornata a Bourton-on-the-water dall'unico nipote che aveva; per
dirgli che gli avrebbe lasciato una buona parte della sua
eredità e che gli avrebbe comprato una casa. Jeremy ne era
rimasto molto contento, ma non si era commosso: la nonna non era di
colpo diventata una santa; voleva solamente guadagnarsi un po' di
popolarità, comparendo nelle interviste al tg come inedita buona
samaritana.
Si
era solo messa in testa che sarebbe stato meglio riscattare la sua
immagine di nonna cattiva che i media avevano fornito nei vari racconti
della vicenda.
Ma
ciò che importava a Jeremy, ora, era avere
un'opportunità. Con questa inaspettata riapparizione della
signora Twain, ora aveva dei soldi e una casa: non sapeva ancora bene
dove, ma si sarebbe finalmente stabilito.
"Allora, Jerry, sei pronto?"
Il ragazzo guardò l'amico, fremente sullo stipite della porta.
Si
guardò allo specchio e ponderò le sue occhiaie, poi si
spettinò un po' i capelli con la mano e si rivolse ad Alex: "Lo
faccio solo perché me lo chiedi tu, sia chiaro."
Alex
aggrottò le sopracciglia e guardò il ragazzo con profonda
rabbia: in quella settimana aveva potuto rendersi conto che uno dei
tratti che aveva sempre caratterizzato Jeremy era quello
dell'indifferenza e la freddezza. Una volta ci era abituato, ora non
più, ed era abbastanza palese che non riuscisse a sopportarlo
come un tempo.
Nelle
settimane passate, Taylor era riuscita a mitigare di molto i tratti
più duri di Jeremy e l'aveva reso una persona più
sensibile ed empatica, tanto che Alex vi si era spontaneamente abituato.
Ora
sembrava che tutto si fosse dissolto nel nulla. Perché la
memoria di Jeremy aveva scelto di cancellare proprio quel periodo?
Proprio quei miglioramenti? Proprio Taylor?
"Lo
fai per te stesso." lo corresse Alex, poi si affrettò a coprirsi
con la giacca e scendere nel giardino assieme a Jeremy.
Il giardinetto dell'ospedale di Bourton era piccolo e curato.
Aveva
una forma quadrata e, lungo il suo perimetro, un muretto bianco e
fatiscente lo rendeva molto chiuso, quasi intimo. Al centro stava una
fontana spenta, piena di aghi di pino e pigne, e lungo i quattro
sentieri ghiaiati che si diramavano da essa, erano piazzate delle
panchine in legno, su cui Alex e Jeremy presero posto.
Al
giardino si poteva accedere dall'interno, oppure da un piccolo arco di
marmo che serviva da entrata secondaria all'ospedale. Proprio
lì, appena fuori dall'arco, si trovavano Allyson e Taylor, l'una
piena di carica, l'altra avvolta da un misto di emozioni che l'aveva
lasciata muta da una settimana a quella parte.
Finalmente stava per rivedere Jeremy.
Aveva
vissuto un arcobaleno di emozioni, dalla più positiva alla
più negativa, in meno di due minuti, quando il primo gennaio
aveva ricevuto la chiamata di Alex.
In
quei giorni, poi, aveva avuto il tempo di trarre le proprie
considerazioni e, ora che finalmente si trovava a pochi passi da lui,
sembrava non aver concluso proprio nulla. Oltre al perenne contrasto
tra sollievo e tristezza che provava nel cuore, non sapeva minimamente
che avrebbe fatto o cosa gli avrebbe detto.
Non
sapeva se essere positiva a riguardo o se rassegnarsi al peggio, sapeva
solo che la voglia di rivedere quegli occhi era più grande di
qualsiasi altro istinto avesse mosso le sue gambe fino all'ospedale. E
l'aveva agognato così tanto che ora quasi si sentiva svenire.
"Coraggio, Tay." le disse Allyson, posandole una mano sulla schiena. "Vedrai che andrà tutto bene."
La
ragazza annuì e si lasciò guidare dalla spinta di Allyson
mentre varcavano l'entrata del giardino e si dirigevano verso la
fontana spenta, vicino cui erano seduti i due ragazzi.
Allyson
si fermò a metà strada, nello stesso momento in cui Alex
si alzò dalla panchina e corse verso le due, lasciando Jeremy da
solo. Era la prima volta che vedeva entrambe, dato che nemmeno lui era
mai uscito da quell'ospedale.
La
prima cosa che fece fu lanciare un fugace sguardo ad Allyson,
concedendosi un millesimo di secondo per godere di quell'innata purezza
e quei grandi occhi dolci. Non avevano ancora chiarito dopo la famosa
litigata, non gliene aveva dato modo, perché era sicuro che lei
gli avrebbe detto di troncare definitivamente la loro relazione.
Allyson
rispose allo sguardo con uno altrettanto addolorato. Sapeva di aver
ferito Alex profondamente e capiva che quello era il motivo per cui
aveva smesso di parlare con lei. Sapeva che avrebbe dovuto dare ascolto
a Richard, ma si sentiva troppo in errore per sperare che Alex avrebbe
accettato le sue scuse.
Alex allora staccò gli occhi da lei e si rivolse a Taylor, avvolgendola con in impeto in un forte e protettivo abbraccio.
"Mi dispiace così tanto, Taylor."
La
ragazza fissò le rughe di stanchezza ed empatia del suo volto e
si sentì catapultata nel passato; a quando la gente la guardava
in quel modo e si dispiaceva per quello che Oliver le aveva fatto. Era
un po' abituata a sentirsi compatita, ma ne era anche stanca e avrebbe
voluto che Jeremy fosse lì per farla sentire diversamente.
Beh...Jeremy
era lì. Solo che probabilmente non aveva alcuna intenzione nei
suoi confronti, se non quella di finire presto i convenevoli e
tornarsene alla sua vita.
"Taylor." la richiamò Alex. "Ti prego, devi reagire."
La ragazza gli sorrise: "Certo. Non è che sia morto."
"No." soffiò lui, notando tristemente che le sue iridi castane erano liquide di pianto.
"E
comunque ho sbagliato, Tay, non sai quanto mi dispiace. A litigare con
te, intendo. A dirti quelle cose orribili...non le pensavo."
La ragazza gli riservò un altro sorriso: "Sì che le pensavi."
Alex fu preso in contropiede. Lui ed Allyson si guardarono per un attimo.
"È
giusto che fossi arrabbiato con me." proseguì lei. "Ho capito le
tue ragioni, Alex, e sulla maggior parte di esse non posso che essere
d'accordo."
"Era
solo gelosia. Immotivata." la corresse lui. "Non è che io ami
Jerry, sia chiaro, ma ero geloso che ti fossi messa tra di noi. Sono
sempre stato abituato ad avere Jerry solo per me, e viceversa per lui."
"Questo
non è mai cambiato. Quello che rappresenti per Jeremy, Alex, non
è cambiato di una virgola indipendentemente dalla mia presenza."
"Lo
so. E, in ogni caso, l'ho capito dopo che tu per lui sei stata un
miracolo. Hai fatto un favore anche a me. Aldilà delle sue
amicizie e dei suoi ragionamenti da kamikaze, innamorarti di lui
è stato il miglior regalo che potessi farci."
"Davvero?"
"Certo!"
sorrise stringendole il braccio. "È per questo che ora devi
andare da lui e fargli ricordare tutto. Fallo di nuovo, il tuo
miracolo. Per favore."
La
ragazza annuì flebilmente, come poco prima aveva annuito ad
Allyson. Poi spostò gli occhi oltre il corpo di Alex e lo vide.
Jeremy era lì, apparentemente spensierato e in salute, seduto su una panchina di legno a fissarsi le scarpe.
Alex
ed Allyson le sorrisero e lasciarono che avanzasse distanziandosi da
loro. Convennero, senza doverlo esprimere, che sarebbe stato meglio
lasciare il giardino, cosicché Jeremy e Taylor potessero
rimanere soli.
E
allora Taylor prese un profondo respiro e camminò verso la
fontana con il cuore che le batteva fortissimo e un enorme nodo in
gola. Quando Jeremy la vide avvicinarsi, si alzò subito in piedi
e le tese la mano con un sorriso un po' nervoso.
Secondo
Alex, quello avrebbe dovuto essere un momento fondamentale per lui e
avrebbe dovuto stare concentrato al massimo. Gli aveva intimato di non
comportarsi da stronzo, di ascoltare attentamente quello che Taylor gli
avrebbe detto e di dare un'opportunità, a lei e a se stesso, di
farsi aprire il cuore.
Jeremy
non si ricordava che il suo amico fosse mai stato così fuori di
testa, perciò decise che l'avrebbe fatto, se non per nessun
altro, solo per lui. Per dargli soddisfazione e sperare che la
piantasse di assillarlo.
Sinceramente,
non aveva mai preso tutta quella storia sul serio. Certo, era convinto
che gli fosse accaduto davvero, ma l'idea che l'avesse cambiato
così profondamente era a lui incomprensibile. L'idea di essere
arrivato ad amare perdutamente una persona gli risultava fiabesca e
inverosimile.
Ogni
volta che glielo raccontavano, pensava che fosse stato figo, ma
rimaneva sempre e comunque un curioso racconto a cui si sentiva
totalmente estraneo.
"Ciao." le disse, sperando che l'imbarazzo non avrebbe piegato prima lui di lei.
Taylor gli prese la mano e la strinse mostrandogli inevitabilmente quanto stesse tremando.
"Ciao."
rispose con una faccia così tirata che Jeremy la trovò
addirittura diversa dalle foto che aveva visto sui giornali e in tv.
"Come stai?"
"Bene." rispose lei, la voce acuta e instabile. "Mi fa davvero piacere sapere che è lo stesso anche per te."
"Diciamo così." sorrise lui.
"Senti,
Jeremy, io..." Taylor prese un profondo respiro e Jeremy si
fermò un attimo a osservarla, come gli aveva suggerito di fare
Alex.
Gli
aveva detto che se si era innamorato di lei, allora sicuramente doveva
piacergli, così ascoltò quel consiglio e studiò il
viso della ragazza. Era rotondo e pallido, le guance e il naso erano
arrossati per il freddo e sotto agli occhi anche per lei erano previste
due occhiaie violacee.
Le
sue ciglia erano folte e tutte disordinate, come se si fosse sfregata
gli occhi per scacciare le lacrime, mentre i capelli erano ben
pettinati e lucidi, evidentemente preparati per un'occasione importante.
Se
le piaceva? La trovava gradevole. Aveva delle fattezze minute, come il
naso e il labbro superiore, mentre gli occhi erano grandi e caldi, le
stavano bene incorniciati dai ciuffi dello stesso colore.
E
poi aveva delle mani piccole che gli ricordavano quelle di una bambina,
come d'altra parte la sua statura e la sua voce per niente imponente o
prepotente.
Sì,
era carina, ma l'aveva guardata come si guarda una persona che non si
conosce. Senza sapere niente su di lei, o su di loro.
"Io
volevo ringraziarti." disse la ragazza, stringendosi le mani al petto.
"Anche se non te lo ricordi, hai fatto qualcosa di grande valore per
me. E per mia madre e i miei amici. Tutti ti sono grati per avermi
salvato la vita, io in primis."
"Dovere." rispose lui, un po' a disagio, ma cercando comunque di suonare disinvolto. "Grazie anche a te per...ehm..."
Alex gliel'aveva ripetuto un milione di volte, ma ancora non gli sembrava verosimile dirlo!
"Per avermi aiutato coi miei problemi." concluse.
Quella
conversazione sembrava così falsa che a Taylor venne la nausea.
Voleva andarsene e scappare subito; non avrebbe retto ancora un secondo
così. Il suo Jeremy era davanti a lei ed erano perfetti
sconosciuti.
"Senti, sediamoci un po'." propose lui, invitandola a prendere posto al suo fianco.
La
ragazza obbedì e si sedette in silenzio, osservando l'erba
ingiallita del giardino e guardando di sottecchi, ogni tanto, quel
bellissimo azzurro che sarebbe stato clinicamente impossibile da
dimenticare.
"Allora, dimmi." incalzò di nuovo Jeremy. "Che piani hai per il futuro?"
"Che...piani?" Taylor sembrò indecisa.
Non
aveva nessun piano. A dire il vero, in quei giorni non era mai riuscita
a vedere oltre quello stesso momento. Forse aveva sperato troppo in un
miracoloso recupero della memoria da parte di Jeremy?
"Non hai nulla in mente ora che tutto questo casino è passato?"
Tutto questo casino. A Taylor salì un nuovo un conato di vomito.
"Io,
per esempio, voglio comprare una casa." proseguì il ragazzo,
allegro. "Certo, devo almeno lasciar passare un paio di mesi per
rimettermi in sesto, ma poi mi trasferirò."
"Sul serio?"
"Sì." confermò lui.
"E dove?"
"Non lo so con precisione, ma mi attirava l'Australia. Ho una nonna che-"
"Sì, so di tua nonna." Taylor lo interruppe bruscamente.
Quella notizia l'aveva colta impreparata. Jeremy non poteva andarsene da Bourton! Non poteva andarsene da lei!
"Ah."
sorrise lui, gentilmente. "Beh, mi sembrava giusto approfittare della
sua offerta e magari in Australia riprendere gli studi e trovare un
lavoro."
"E
Alex?" era l'unica persona che avesse e di cui si ricordasse lì
a Bourton, perciò Taylor tentò di proporlo come contro.
"Ovviamente non è d'accordo." ghignò Jeremy, divertito. "Ma so che alla fine mi capirà."
Jeremy
vide Taylor abbassare gli occhi sotto le folte ciglia e stringere le
mani che aveva in grembo in un pugno nervoso. Gli dispiacque davvero
molto e sentì come una morsa allo stomaco, per essere la causa
della sua sofferenza.
"Ehi."
cercò di distrarla. "Tornerò comunque spesso a Bourton
per passare del tempo con Alex e, se lo vorrai, potremmo vederci in
quelle occasioni."
"Vederci?" a Taylor sembrò un'ipotesi assurda.
Lei
non poteva vedere Jeremy di tanto in tanto, lei voleva passare ogni
secondo accanto a lui! Certo, era felice che fosse sopravvissuto e che
stesse bene, ma, volendo essere egoista, le sembrava solo una misera
consolazione.
"Sì, uscire insieme qualche volta. Con Alex, Allyson e tua sorella."
Il
fatto che avesse dovuto specificare anche la presenza di altre persone,
la buttò ancora più giù. Ma certo...che si
aspettava? Che Jeremy volesse uscire con lei? Che chiedesse un
appuntamento a una completa sconosciuta? Doveva metterselo in testa;
lei per Jeremy non era più nessuno, ora.
Ok,
avrebbe potuto raccontargli dei momenti che avevano passato insieme,
del loro primo e unico bacio, dei sentimenti che avevano provato,...ma
sarebbe servito davvero? Allyson le aveva ripetuto che sarebbero
sicuramente stati d'aiuto, lei le aveva creduto, ma aveva cambiato idea
non appena aveva visto Jeremy.
L'aveva
sentito così freddo e distaccato, così lontano da quella
persona calda e confortevole che aveva conosciuto. Ecco cosa le
sembrava quel Jeremy che aveva davanti: un quadro bellissimo e di
incommensurabile valore, che era stato irreparabilmente rovinato da una
secchiata di vernice nera.
"Va bene." rispose semplicemente.
"Taylor."
quando Jeremy disse il suo nome, il cuore della povera ragazza
sussultò ancora una volta. Le era mancato così tanto
sentirlo pronunciato da quel timbro e da quell'intonazione!
Jeremy
proseguì: "Non vorrei che stessi così male. Lo so che
è colpa mia, Alex mi ha raccontato un bel po' di cose."
"E sono solo la metà di tutte quelle che so io."
"Vuoi parlarne?"
"No." quella risposta le costò uno sforzo enorme. "Non credo che servirebbe, tu che dici?"
Jeremy abbassò lo sguardo: "Non lo so."
Taylor
si sentiva mortificata e sconfitta. Pensava a quanto tempo le fosse
servito perché Jeremy le aprisse il suo cuore, a quanti sforzi e
quanti litigi e a quanto tutto ciò fosse stato vanificato in un
soffio.
Ma
si schiarì la voce e, come sempre, tenne duro: "Tieni." disse,
estraendo dalla borsa la sciarpa bianca di Jeremy. "È ora che te
la restituisca."
Jeremy guardò a quell'oggetto con un po' di sorpresa e di dolore e lo prese senza dire nulla.
Poi
inspirò a fondo e si fece coraggio: voleva ascoltare Alex e
fidarsi del suo consiglio. Fece quello che gli sembrò più
decisivo, per scongiurare ogni possibile rimpianto futuro: si
allungò verso Taylor, girò il suo volto con una mano e la
baciò.
Fu un bacio breve e non troppo intenso, che lasciò Taylor spiazzata e Jeremy indifferente come prima.
Solo un po' intontito dal suo profumo di talco e lavanda.
"Perché...?" gli chiese Taylor, gli occhi ancora più lucidi e feriti.
Jeremy alzò le spalle: "Ho tentato, Taylor. Mi dispiace."
"Capisco."
"Grazie per la sciarpa."
"Prego."
disse lei, tremante, alzandosi dalla panchina come se ora scottasse. Il
fiato le mancava ed era chiaro che stesse per scoppiare in lacrime.
Anche
Jeremy si alzò, dispiaciuto più per la ragazza che per se
stesso, e le tese di nuovo la mano: "Non sarà un addio."
tentò di consolarla. "Mi piacerebbe che restassimo amici. Magari
potremmo scriverci, di tanto in tanto."
"Certo." ribatté lei, immobile e con i pugni serrati nelle tasche.
"Mi
dispiace." ripeté lui, senza sapere che così facendo la
stava uccidendo definitivamente, gli occhi che si trattenevano, ma il
cuore che si era abbandonato a un pianto straziante già da un
po'.
Jeremy ritrasse la mano e le rivolse quello che lei sapeva essere l'ultimo sorriso: "Riguardati, Taylor, va bene?"
"Lo farò."
E
detto ciò la ragazza gli voltò le spalle e percorse il
vialetto dell'ospedale con la consapevolezza che quella parentesi di
amore e felicità nella sua vita si era chiusa per sempre.
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Il giorno di San Valentino, Tessy Heavens era uno splendore.
Aveva
indossato la pelliccia bianca che Martha le aveva regalato per Natale,
poi si era spruzzata il profumo al sandalo che le piaceva tanto e, una
volta agganciata la collana Teric dietro al collo, era salita sulla sua
nuova Bmw per passare a prendere Allyson e Taylor.
Avrebbe
dato un passaggio alle ragazze fino a Lake Baenue, dove si sarebbero
fermate per passare un pomeriggio all'insegna della spensieratezza.
L'ultimo, prima che Taylor partisse.
Certo,
da questo punto di vista le dispiaceva, ma d'altra parte non poteva
essere più eccitata: grazie all'aiuto di Eric e Richard era
riuscita a convincere anche Alex a venire.
Lei,
Eric e Taylor avrebbero fatto in modo di lasciare lui ed Allyson in
intimità ed erano sicuri che si sarebbero riappacificati.
Come avevano fatto ad ottenere l'aiuto di Richard?
Beh,
Tessy era andata a trovarlo assieme a Taylor e, da brave sorellastre
complottiste, gli avevano raccontato degli ultimi sviluppi nella storia
tra Alex e sua sorella. Richard aveva assoldato Eric affinché
minacciasse corporalmente Alex di prendersele: se quell'istupidito di
Bell non avesse fatto l'uomo e affrontato Allyson direttamente, Eric
sarebbe stato l'estensione della violenza di Richard.
Così,
una volta ricevuto l'invito da parte di Taylor e Tessy, Alex fu
"più che felice di accettare". In realtà, lo era davvero,
e sapeva che quelle di Richard erano minacce a fin di bene. Se tra lui
ed Allyson doveva finire; almeno si sarebbe tolto di scena
dignitosamente e avrebbe così sperato di strapparle almeno un
ultimo bacio.
Fu
il primo dei ragazzi ad arrivare a Lake Banue e li aspettò al
chiosco di cioccolato caldo che ora aveva cambiato gestione. Mentre
ordinava cinque tazze con panna montata, si maledì per non
essere riuscito a ordinare anche la sesta; quella che sarebbe spettata
a Jeremy.
Credeva
di poterlo convincere, ma si era sbagliato di grosso; per quanto ci
avesse provato, Jeremy non aveva voluto partecipare a quell'uscita. Da
cinque giorni era stato dimesso e si era temporaneamente stabilito a
casa di Alex, ma non faceva altro che parlare della sua partenza, del
suo futuro, della sua voglia di ricominciare e bla bla bla. Non aveva
la minima intenzione di stare a sentirlo.
Aveva
passato tutti quei giorni a programmare la sua partenza, che sarebbe
stata il 21 febbraio, giusto due giorni dopo quella di Taylor. Non
importava quante e quali motivazioni gli avesse fornito Alex per andare
a Lake Baenue con lui; Jeremy era stato irremovibile, e una vera spina
nel fianco, avrebbe aggiunto.
Ciò
che non sapeva del suo amico, però, era che il suo no aveva una
precisa motivazione. Dopo il giorno in cui aveva parlato con Taylor
Heavens, infatti, Jeremy aveva deciso che non l'avrebbe mai più
voluta vedere. Non perché non gli sarebbe piaciuto, tutto
sommato, l'aveva trovata una persona piacevole, ma perché aveva
visto quanto solo la sua presenza la facesse soffrire e non intendeva
avere quel ruolo nella vita di nessuno.
Sapeva
che non avrebbe mai dato a Taylor ciò di cui aveva bisogno. Lei
voleva che la sua memoria tornasse, ma Jeremy non poteva prevedere se e
quando sarebbe successo e nel frattempo le loro vite sarebbero andate
avanti. Non voleva accontentarla giusto per darle l'illusione del prima
o poi.
Quell'avventura
di cui non ricordava nulla, se non altro, aveva costituito per lui un
nuovo punto di partenza e non poteva sprecare l'occasione. Non sarebbe
rimasto indietro per quella ragazza, anche se le stava simpatica e gli
dispiaceva.
Sarebbe
andato avanti coi suoi progetti e, per non sentirsi in colpa, né
far soffrire lei, non l'avrebbe più rivista. Se c'era una cosa
che aveva intuito di Taylor, era che fosse una ragazza intelligente. E
lui non era un bravo attore. Si sarebbe accorta che forzare il loro
rapporto sarebbe stata solamente una finzione destinata a deludere
molti cuori.
Così
aveva detto no ad Alex, senza dargli troppe spiegazioni, sperando che
anche lui, un giorno o l'altro, si sarebbe messo il cuore in pace.
Ma
Alex non ebbe il cuore in pace nemmeno un secondo per tutta quella
giornata. Quando i ragazzi arrivarono, salutò Tessy
comunicandole con lo sguardo che non era riuscito a convincere Jeremy e
anche lei si dispiacque. In fondo sperava che, oltre ad Allyson, anche
Taylor avrebbe trovato un po' di sollievo. Invece non sarebbe successo
nemmeno quella volta.
Bevvero
insieme, parlarono e chiacchierarono di argomenti tranquilli, che non
potessero toccare livelli più sensibili a cui, con maggiore o
minore intensità, tutti erano soggetti.
Tessy
sgusciò la sua scusa prima ancora del momento pattuito; si
avvinghiò a Eric e lo trascinò da qualche parte nel
boschetto per amoreggiare indisturbata.
Taylor
allora si affrettò a sparire dalla scena per completare il piano
concordato con la sorella: indossò i suoi pattini da ghiaccio
– quelli che Hans le aveva regalato, dopo aver saputo di Jeremy e
della loro avventura – e si isolò sul lago ghiacciato per
far pratica.
Essendo
senza pattini, Allyson l'aveva semplicemente seguita e si era seduta su
un tronco traverso per osservarla dal bordo del lago e darle, di tanto
in tanto, qualche consiglio.
"È diventata brava, eh?"
La
domanda di Alex, alle sue spalle, la spaventò, ma poi sorrise e
tornò a guardare l'amica: "Se la cava bene." commentò.
"Se stata tu a insegnarle?"
"In
realtà, le ho mostrato solo le nozioni di base. Per il resto
è stata la sua determinazione. Si è allenata tutti i
giorni, per ore e ore, anche se era tardi, anche se era sola, anche se
cadendo si faceva male."
"È davvero testarda Taylor."
"Vuole
solo mantenere una promessa." spiegò Allyson, sentendosi
mortificata e dispiaciuta per la sua amica. In un solo mese era
riuscita a padroneggiare i pattini in modo ammirevole: certo, non aveva
ancora imparato nulla di difficile, ma per essere partita da sotto
zero, aveva fatto dei progressi incredibili. Non aveva mai detto ad
Allyson perché tenesse tanto a imparare, ma lei aveva capito
che, come per la riappacificazione verso Tessy e suo padre, lo doveva a
Jeremy.
Alex si sedette accanto a lei sul tronco e sospirò: "Peccato che quel demente di Jeremy non lo apprezzerà mai."
Allyson
guardò Alex di sottecchi, quasi timorosa di riscoprire uno dei
qualsiasi tratti che amava di quel ragazzo. La voce bassa e un po'
roca, gli occhi scurissimi, la mascelle forti, e contratte, ora che era
arrabbiato. O agitato.
"Io ho apprezzato quello che hai fatto tu per Taylor." soffiò.
Alex alzò le sopracciglia: "Davvero?"
"Certo." confermò la ragazza.
"Ma non è servito a nulla. Alla fine Taylor se ne andrà e Jeremy pure."
"Non
mi riferisco solo ai tuoi tentativi di far recuperare la memoria a
Jeremy." precisò lei. "Ma a tutto quello che hai fatto mentre
lei era a con voi. Ai gesti di premura che hai avuto nei suoi
confronti, alla protezione che le hai offerto."
"Ma l'ho rapita."
"Taylor
mi ha detto che non si è mai veramente trattato di rapimento."
sorrise involontariamente al ripensare a tutti gli aneddoti che l'amica
le aveva riportato. A quanto era stato goffo il suo fidanzato e quanto
corruttibile Jeremy. A quanto poco, di fatto, fossero assomigliati a un
rapitore e il suo complice. "E poi tu nemmeno la volevi rapire, non
è così? Hai solo voluto aiutare Jeremy. Non credevo
aveste quest'enorme legame."
"Non ho mai fatto in tempo a parlartene. Tu e io eravamo insieme solo da una settimana."
"Sì, lo capisco. Nemmeno io avevo fatto in tempo a parlarti di Taylor e Tessy. E a presentarti Richard."
"Se l'avessimo fatto, sarebbero cambiate molte cose."
"Sembra sempre che abbiamo troppo poco tempo noi due, eh?"
I
due ragazzi si guardarono e poi Allyson prese di nuovo la parola: "In
ogni caso, ti ringrazio. È anche grazie a te se ora Taylor
è di nuovo qui."
"Credevo fossi arrabbiata con me per questo."
"Non
ti premio per aver deciso di compiere un crimine, ma non sono
arrabbiata. Paradossalmente, sono molto più arrabbiata con me
stessa, per non aver saputo ascoltarti, per essere saltata subito a
delle conclusioni sbagliate e per averti chiamato 'stupido'."
Alex abbassò lo sguardo e lo incollò al terreno: "È quello che sono."
"No,
non è vero, Alex!" sbottò, facendolo sussultare.
"Smettila di permettere alle persone di offenderti in questo modo,
smettila di accettare questa critica non vera!"
"Non
la accetto da parte delle altre persone, Ally, ma da te sì." le
disse, piano, facendola sentire tremendamente in colpa. "Io sono
stupido, perché l'hai detto tu."
La
ragazza si sentì un verme, profondamente sconvolta per la ferita
che aveva inflitto ad Alex. Proprio lei, che per lui rappresentava
così tanto.
Così
prese un sospiro e gli fece una carezza sulla guancia; lenta, piena di
amore, che attraversò la sua barba ispida per fargli girare il
volto verso di lei. A quel punto lo guardò dritto negli occhi.
"Vorrei
essere perfetta per te, Alex, ma non lo sono." disse. "Ho sbagliato a
chiamarti così e, dato che tutti facciamo degli errori, dovresti
perdonarmi. Non penso che tu sia stupido; l'ho detto perché
sapevo che ti avrebbe fatto male."
"E allora perché ci siamo già lasciati due volte?"
"Perché
non è facile." rispose lei. "Non è facile quando ami
qualcuno così tanto per la prima volta."
Alex la fissò, colpito dalle sue parole e dal suo viso bellissimo e innamorato.
Quello
che aveva detto era forse la spiegazione che cercava da tempo: se tra
lui ed Allyson c'erano stati così tanti alti e bassi era
perché, per la prima volta nelle loro vite, si erano ritrovati
ad amare davvero.
Prima
di lei, Alex aveva avuto molti rapporti. Ma non lo avevano mai fatto
soffrire così tanto, sebbene, logicamente, fossero tutti
terminati. Non aveva mai avuto paura della parola 'fine'. Con Allyson,
invece, si era addirittura ridotto a ignorarla, pur di non correre il
rischio.
E
il senso di colpa quando le diceva una bugia, l'importanza che avevano
le sue opinioni, la rabbia che aveva provato ogni volta che aveva
sentito di deluderla. Il coraggio che aveva avuto di affrontare, per
lei, la scontrosità di Richard e di dire per la prima volta un
vero 'ti amo'.
Sì, ora tutto tornava.
Non
poteva immaginarlo, perché non l'aveva mai provato prima, ma
l'amore era quello. E, a quanto pareva, non era toccato solo a lui, ma
anche ad Allyson.
"Visto che sorridi, immagino tu sia d'accordo." tentò la ragazza.
"Sei troppo intelligente." ribatté lui, scuotendo la testa con una smorfia allegra.
I due ragazzi assunsero un'espressione sollevata e si rivolsero un sorriso che confermava il perdono di entrambi.
Guardarono
in avanti, verso Taylor che pattinava rapidamente sul lago, e decisero
che non serviva darsi un bacio. L'avrebbero fatto quella sera, prima di
passare la notte insieme, l'una tra le braccia dell'altro. Però
si diedero la mano e le loro dita si allacciarono, assieme ai loro
cuori, per sempre, su un tronco traverso di Lake Banue.
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Era il 19 febbraio, Bourton era ancora congelata e le campane suonavano mezzogiorno.
Jeremy
aveva appena avuto una brutta litigata con Alex, ma non ci fece troppo
caso, perché in quell'ultimo periodo le brutte litigate trai due
erano all'ordine del giorno.
Il
motivo era sempre lo stesso: da un mese e mezzo a quella parte, Alex
non aveva ancora gettato la spugna e lo assillava giorno e notte
sull'argomento Taylor Heavens. Jeremy aveva provato di tutto: a fargli
capire che era una questione fisica, che forzare le cose non avrebbe
portato a nulla di buono, che nessun articolo di giornale gli avrebbe
dato una miracolosa illuminazione.
Ma
Alex era irremovibile e tentava qualsiasi via, in qualsiasi momento,
anche a costo di sentirsi urlare contro. Jeremy era infinitamente grato
ad Alex per la sua dedizione, senza ombra di dubbio, ma si arrabbiava
con lui perché non sapeva farsene una ragione.
Persino la diretta interessata, Taylor, ci era riuscita.
Lei,
infatti, se ne sarebbe andata il giorno stesso, sarebbe partita
lasciandosi tutto alle spalle. Si sarebbe trasferita a Newcastle, nel
Nord dell'Inghilterra, per iniziare degli studi universitari, con la
prospettiva di viaggiare poi in Europa. Il trasferimento sarebbe stato
definitivo; dopo un anno anche Amanda, sua madre, l'avrebbe raggiunta e
avrebbero proseguito la loro vita lì.
Ovviamente quell'argomento era stato l'oggetto della recentissima disquisizione con Alex.
Il
ragazzo riteneva che per un evento del genere Jeremy dovesse a Taylor
almeno un addio, ma lui non era del parere. Era rimasto fedele alla sua
decisione, soprattutto dato che si sarebbe trattato di un addio. In
fondo lo faceva anche per Taylor, ma questo ragionamento ad Alex era
sembrato ipocrita e inconcepibile.
Forse
non avrebbero mai trovato un punto di incontro, ma almeno da quel
giorno in poi Taylor sarebbe stata distante e non avrebbe più
costituito motivo di insistenza da parte di Alex. In più, anche
Jeremy sarebbe partito nel giro di due giorni.
Il
suo trasferimento non sarebbe stato definitivo come quello di Taylor,
perché doveva tanto ad Alex e non l'avrebbe piantato in asso
così. Avrebbe creato il suo nuovo nido in Australia, ma sarebbe
tornato a Bourton una volta ogni due mesi per passare qualche giorno a
casa di Alex – e, un domani, a casa di Alex ed Allyson.
Poi
avrebbe spesso fatto visita a Oliver Heavens, al quale aveva chiesto
infinite volte scusa per tutto il disagio che aveva causato. Ma non era
stato così necessario: Oliver non aveva mai serbato rancore nei
confronti di Jeremy. L'unica persona a cui l'aveva seriamente fatta
pagare era stato Cordano; che, non si sa come, aveva fatto finire
nell'ala più malfamata del carcere di Bourton, assicurandosi che
venisse trattato come lui aveva sempre trattato gli altri.
Dopo
che Oliver aveva ottenuto nuovamente il posto come direttore della
Money House, aveva addirittura offerto un lavoro a Jeremy, ma
quest'ultimo aveva rifiutato. Allora gli aveva offerto il suo aiuto
ogni volta che ne avesse avuto bisogno e lo aveva redarguito sul fatto
che Martha l'avrebbe aspettato a cena almeno una volta ogni due mesi.
Jeremy
non aveva idea di come avesse fatto a meritare tutto questo, ma ne era
immensamente grato e gli dispiaceva solamente che il lato negativo
della medaglia fosse spettato a Taylor.
Un
messaggio di Alex lo avvisò che il treno di Taylor sarebbe
partito entro mezz'ora e che era ancora in tempo per cambiare idea e
salutarla per l'ultima volta. Aveva anche aggiunto un paio di 'stronzo'
e 'brutto deficiente', ma, lo stesso, Jeremy preferì non
rispondere e spense il telefono.
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Amanda e Taylor si trovavano sulla grande gradinata della stazione centrale di Bourton.
Era
un imponente edificio in marmo bianco che si ergeva opposto al
dispersivo parco della città; guardiano dei laghetti ghiacciati
e dei bambini che per tutta la stagione invernale ci andavano per
giocare con gli amici.
Attorno
a loro, in piedi sui gradini, c'erano Alex ed Allyson, Oliver, assieme
a Martha e Tessy, ed Eric, che si era offerto di aiutare con le valige.
Il
treno per Newcastle sarebbe partito entro pochi minuti e l'unica
persona contenta di ciò, tra i presenti, era Taylor. Non c'era
da stupirsi che tutti i suoi cari la stessero salutando con un gran
muso lungo: a partire da Alex, nessuno di loro era mai riuscito ad
accettare la sua idea di andarsene da Bourton.
Ma,
d'altra parte, non potevano insistere più di tanto,
perché l'avevano capita. Il punto di stallo in cui era finita
tutta la recente vicenda del rapimento era piuttosto chiaro; da quella
situazione non sarebbero mai usciti né lei né Jeremy e,
per quante svolte positive avesse procurato a entrambi, la ferita
più grande per Taylor sarebbe per sempre rimasta incurabile.
Bourton
rappresentava per lei la famosa parentesi che si era aperta e poi
richiusa; ora doveva guardare oltre, o sarebbe rimasta a osservare il
suo passato tentando di rompere un muro che l'avrebbe per sempre
lasciata al di fuori.
Non
che non ne avesse sofferto, o che quel dolore fosse mai cessato, ma in
fondo Taylor era una persona ragionevole e aveva capito, prima che
chiunque altro glielo dicesse, che il modo migliore per affrontare
quello che il destino le aveva riservato era accettarlo silenziosamente
e ripartire da zero.
Non
l'avrebbe voluto fare, ovviamente, ma doveva, perché nessuno le
avrebbe mai ridato la felicità che aveva assaporato. Almeno,
pensava, avrebbe fatto qualcosa di utile per sua madre. Si sarebbe
concentrata in tutto e per tutto sugli studi e poi avrebbe trovato un
lavoro, per regalare ad Amanda una vecchiaia tra gli agi e l'orgoglio.
Era
contenta di come tutto si fosse sistemato con la famiglia di suo padre:
aveva promesso a Martha che avrebbe imparato a cucinare come lei, a
Tessy che le avrebbe scritto e l'avrebbe ospitata nella sua residenza
universitaria, a Eric che avrebbe pensato a lui ogni volta in cui
avesse visto una slitta di Natale.
Poi
era arrivato il momento dei saluti e aveva abbracciato Allyson
così forte da toglierle il respiro: "Tu verrai a trovarmi a
Newcastle, vero?"
"Ogni
volta in cui avrai bisogno di me, Taylor." le aveva risposto l'amica,
lo sguardo determinato e pieno dei migliori auguri per lei e la sua
nuova vita. "Ci sarò sempre per te, ricordatelo."
"E tu?" Taylor aveva guardato Alex e si era abbandonata a un sorriso pieno d'affetto.
Ma
Alex aveva le lacrime agli occhi e cercava in ogni modo di nascondere
il viso, incapace, al contrario di Allyson di essere forte per lei. Era
forse quello che aveva sofferto di più per le decisioni di chi
gli era stato intorno nei momenti importanti della sua vita.
Non capiva il perché e si sentiva impotente. Taylor gli sarebbe mancata da morire.
La ragazza gli si avvicinò e gli prese delicatamente una mano: "Alex."
Lui cercò di rifuggire il suo sguardo, ma non ci riuscì.
"Devi essere il fidanzato perfetto per Ally, ok?"
Annuì debolmente.
"Sai
che ho sempre creduto in te." aggiunse, sorridendogli. "E in voi. E
adesso che c'è Ally, so che ti impedirà di fare cazzate
quando non ci saremo io e Jeremy a controllarti."
Vedendo
che lui ancora non si decideva ad aprir bocca, gli si mise davanti e
allargò le braccia, stavolta coperte da un cappotto ben pesante:
"Mi puoi abbracciare?"
Ovviamente
Alex non poté resistere a quella richiesta e, vinto dall'affetto
che provava per lei, cedette e la strinse fortissimo, come quel giorno
in cui le impedì di scappare e quel giorno in cui si salutarono
a Celtenham, prima che lasciasse lei e Jeremy soli.
"Mi mancherai, Taylor." disse sperando che nessuno vedesse le sue lacrime. "Sei la mia migliore amica, lo sai?"
Taylor
si stupì di quella frase e intensificò l'abbraccio con
ancora più orgoglio: "E tu sei il mio migliore amico."
ricambiò. "Non cambiare mai, Al. Ti voglio bene."
Quando
l'abbraccio si sciolse, Taylor si allontanò di poco dal gruppo
per salutare le ultime due persone che avrebbe lasciato a Bourton: i
suoi genitori.
Anche
se Amanda l'avrebbe raggiunta nel giro di un anno, sapeva che le
sarebbe mancata tantissimo e, allo stesso modo, ora che aveva
riscoperto la presenza di Oliver, le dispiaceva doversene separare per
l'ennesima volta.
Ma era una sua scelta e sia Oliver che Amanda l'avevano compresa senza dire nulla.
Solo
che adesso per Amanda era difficile salutare la sua bambina, dopo
così poco che l'aveva riavuta indietro dal pensiero di poterla
perdere per sempre. Così le fece una carezza e la
ringraziò, perché l'aveva sempre fatta sentire una donna
realizzata, nonostante tutto, e perché indirettamente era stata
la causa della sua riappacificazione. Con Oliver, ma in primis con se
stessa.
Ora
sembrava tutto di nuovo in assetto; c'era un clima di concordia, anche
se nulla era stato cambiato. Amanda credeva che servisse una
rivoluzione per riportare tutto alla tranquillità, invece aveva
scoperto che non era così. Doveva solo accettare il presente e
dopo che Taylor le aveva fatto un lungo discorso su Sparta, Atene e la
doppia faccia di una medaglia, ci era riuscita.
Ora
lei e Oliver erano amici; anzi, avevano un legame più speciale
dell'amicizia. Erano una squadra, uniti di nuovo per il bene della
figlia. Amanda aveva anche scoperto che la moglie di Oliver era una
persona squisita e aveva l'impressione che, durante quell'ultimo anno
in cui sarebbe rimasta a Bourton, sarebbero diventate amiche.
Taylor fece un timido passo verso Oliver e gli allungò una serie di lettere e foglietti tenuti insieme da un elastico.
"Sono
tutte le lettere e i biglietti che ci facevano fare a scuola, in
occasione delle feste." spiegò, notando lo sguardo sorpreso di
Oliver verso quel mucchio di fogli. "Li ho tenuti per anni e anni,
sognando inconsciamente, un giorno, di poterteli dare."
Oliver
alzò gli occhi inumiditi su Taylor e non seppe parlare, se non
per dirle che li avrebbe letti tutti e che le voleva bene.
"Anch'io ti voglio bene." ammise lei, rivolgendogli un sorriso.
Le
sembrò un saluto opportuno; dopotutto Oliver le era stato
accanto sempre da quando era tornata, ed era sicura che non avrebbe mai
dimenticato la loro chiacchierata durante la sera di Natale. Come non
avrebbe nemmeno scordato la notte di Capodanno, in cui, finalmente,
dopo tanti anni in cui aveva desiderato farlo, si era sfogata sul suo
petto e si era addormentata tra le sue braccia. Era contenta di aver
collezionato quei ricordi, che, seppur pochi, erano finalmente dei bei
ricordi del suo papà.
Taylor
alzò la mano e salutò affettuosamente tutti quanti, poi
salì la gradinata ed entrò nella stazione per andare
verso un futuro senza Jeremy.
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Il
campanello suonò insistentemente per qualche secondo, senza
lasciare a Jeremy il tempo di spegnere il fornello. Avrebbe bruciato
l'ennesimo tentativo di frittata, se lo sentiva.
Roteò
gli occhi non appena sentì quel rumore acuto e insistente: se si
trattava di Alex che era venuto a implorarlo di cambiare idea,
l'avrebbe ammazzato a mani nude.
E invece la persona che trovò aldilà della porta sembrava uno sconosciuto.
Spiò dall'occhiello, finse di non essere in casa e se ne tornò alla preparazione del suo pranzo.
Ma
il tizio non aveva alcuna intenzione di demordere: o si trattava di un
postino accanito, oppure Alex aveva mandato qualcuno a intercedere per
la sua volontà. Tanto la casa era sua e Jeremy aveva come
l'impressione che non gli sarebbe importato se qualcuno l'avesse
sfasciata pur di convincerlo ad andare alla stazione.
Nel
dubbio di qualche lettera urgente o pacco da ritirare, Jeremy
sbuffò e andò di nuovo alla porta strascicando i piedi.
"Chi è?" chiese pigramente al citofono.
"Signor Parker? Jeremy Parker?"
"Veramente questa residenza appartiene alla famiglia Bell, quindi non vedo come possa esserci Jeremy Parker al suo interno."
"La prego, signor Parker, devo parlare con lei."
Jeremy assottigliò gli occhi.
Tirò
il chiavistello verso destra, inserì la catena e aprì la
porta di giusto dieci centimetri. Fissò l'uomo aldilà
della soglia e si maledì perché non aveva l'uniforme del
postino.
"Lei chi è?" grugnì, senza alcuna implicazione di buone maniere.
Doveva per forza essere una trovata di Alex.
"Mi
chiamo Gabriel Arch." disse l'uomo, inclinando le sopracciglia in
un'espressione apprensiva. "Noi ci conosciamo già, signor
Parker, e io sono venuto per poterle parlare."
"Se l'ha mandata Alexander, può anche andarsene." ringhiò Jeremy, oltremodo irritato da tutta quella situazione.
"Io
non so chi sia il signor Alexander. O meglio, l'ho visto alla tv, ma
non ho mai avuto la fortuna di parlarci o di conoscerlo di persona."
spiegò l'uomo. "Tuttavia, ho saputo della sua molto prossima
partenza e la pregherei ascoltare cosa ho da dirle in merito."
Jeremy lo guardò ancora per qualche secondo e poi, improvvisamente, ricordò.
La
forma piena delle guance e gli occhi infossati sotto le sopracciglia
folte gli portarono alla memoria l'immagine dello stesso uomo che aveva
davanti, qualche anno più giovane e travestito di bianco e
rosso, con un sacco di regali sulle spalle.
"Non si ricorda di me?"
Jeremy gli sbatté la porta in faccia.
L'uomo
rimase per un attimo spiazzato, ma poi tornò alla carica. E
Jeremy, che aveva fatto solo mezzo passo verso la cucina, si
sentì così equilibratamente in colpa e arrabbiato che non
seppe se urlargli di andarsene o dispiacersi per le sue maniere.
Alla
fine il campanello smise di suonare e lui si trovò il faccione
di quell'uomo spiaccicato alla finestra. Bussò sul vetro diverse
volte, finché Jeremy, trattenendo un'imprecazione, non
scostò la tenda.
"Che diavolo vuole?"
Il
signore gli fece cenno di aprire l'anta e Jeremy eseguì roteando
gli occhi: "Senta, questa non è nemmeno casa mia, non mi
costringa a chiamare i proprietari, oppure-"
"Jeremy." lo interruppe Gabriel, appoggiando entrambe le mani al davanzale. "Mi dica se si ricorda di me."
Jeremy
inspirò a fondo, chiedendosi che diavolo fosse preso alle
persone, che tutto un tratto, come aveva fatto sua nonna, avevano
allegramente deciso di tornare dal passato e ricomparire nella sua vita.
"È quell'uomo che anni fa veniva al mio orfanotrofio, travestito da Babbo Natale." disse, riluttante.
"Sì."
confermò lui, poi fece un cenno a qualcuno dietro le sue spalle
e una ragazza, timidamente, fece capolino davanti alla finestra di casa
Bell. "E questa è mia figlia Joanne."
Jeremy le lanciò uno sguardo confuso, poi tornò a guardare lui.
Ma che diavolo volevano quegli sconosciuti?
"Né io né Joanne abbiamo mai avuto il coraggio di parlarle, signor Parker, prima di incontrarla un mese fa."
"Oh mio Dio." si lamentò Jeremy. "Siete qui anche voi per la storia del rapimento."
"Esatto." intervenne la ragazza. "E, Jeremy, devi ascoltarmi se ti dico che-"
"Basta."
la interruppe freddo. "Smettetela tutti quanti. Sono stanco di sentirmi
ripetere le stesse cose da mesi, sono stanco di rivedere gente con cui
non ho mai avuto uno straccio di rapporto e che ora pretende di
conoscermi da una vita e di sapere più cose di me sul mio conto!"
Joanne
si ritrasse, cercando nel padre la stessa tristezza che provava lei a
sentir parlare così Jeremy. In fondo, era vero, non si
conoscevano e non si erano mai parlati, salvo per un unica volta. Ma
sia per lei che per Gabriel era stato così folgorante che
avevano capito tutto ciò che lui e Taylor avevano impiegato
settimane per capire.
"La prego, non lasci che quella ragazza se ne vada via da lei per sempre. Non parta." insistette Gabriel.
"Non
mi dica quello che devo fare." rispose a tono Jeremy, poi si rivolse
verso Joanne. "E tu, non so nemmeno chi diavolo tu sia!"
"Tu
e Taylor siete venuti al mio emporio. Abbiamo parlato e mentre cercavo
di raccontarti qualcosa di me il tuo sguardo cercava sempre lei, non
lasciavi mai che la tua attenzione ricadesse su nient'altro e avevi una
tale preoccupazione in quegli occhi che non ho mai pensato, nemmeno per
un secondo, che qualcun altro avrebbe mai potuto interessarti di
più."
"E
poi il giorno della vigilia avete incontrato me." proseguì
Gabriel. "E io lo sapevo che eravate quei due della tv! Ma lei mi ha
convinto del contrario, signor Jeremy, perché amava così
tanto quella ragazza che non sarebbe stato possibile considerarvi un
rapitore e la sua vittima."
"Oh, smettetela!" Jeremy chiuse la finestra con impeto e sentì il legno scricchiolare.
Si
massaggiò la testa, che aveva iniziato a dolere, e serrò
il vetro con la maniglia. Poi, come se il nervoso non fosse abbastanza,
avvertì la puzza di bruciato sotto al naso e corse a spegnere il
fuoco.
Ormai le uova si erano carbonizzate e con un'imprecazione le gettò malamente nel lavandino.
Il campanello riprese a suonare.
"Vi ho detto di andarvene!" gridò Jeremy.
"Non ce ne andremo finché non ci vorrà ascoltare, signor Parker!" si sentì ribattere da dietro la porta.
Allora
sospirò, frustrato e arrabbiato, e corse in camera. Aprì
l'armadio in cui Alex gli faceva tenere le sue cose, afferrò una
valigia e la riempì alla rinfusa.
Cacciò
dentro tutti i suoi vestiti stropicciati, le scarpe, lo spazzolino,
mentre il campanello non cessava di strillare e l'odore di bruciato gli
dava ancora di più alla testa. Prese la cartella zeppa dei suoi
referti medici e la infilò tra un capo e l'altro, poi,
appoggiò la sua sciarpa bianca, e fu l'unica cosa che
maneggiò con cura.
La
appiattì con le mani e si rese conto che qualcosa era cambiato
nel tessuto: era più morbida e di un bianco meno intenso.
Così la guardò meglio e non notò nulla di diverso:
non poteva saperlo, ma il suo sangue e le lacrime di Taylor l'avevano
sbiadita.
Aveva
un buon odore, però, lo stesso che aveva sentito addosso a
Taylor quel giorno nel giardino dell'ospedale e che in quel momento gli
sembrò un sollievo rispetto alla puzza che aleggiava nella casa.
Fu
forse perché si soffermò troppo a respirare quel profumo
che la sua testa subì un improvviso giramento, facendogli
perdere l'equilibrio.
Il
rumore, l'odore e il nervosismo lo stavano facendo sentir male e non
aveva di certo il fisico per affrontare lo stress. Così
controllò di aver preso tutto: in fondo all'armadio restava solo
un pacco regalo avvolto da una carta rossa.
Jeremy lo afferrò, di fretta, e lo ficcò nella valigia senza nemmeno darsi la pena di chiuderla per bene.
Scese le scale di corsa, si coprì solamente con la sua felpa e aprì finalmente la porta.
Davanti
agli sguardi combattivi di Gabriel e Joanne, sfoggiò la sua
espressione indifferente e non esitò a rivolgersi nuovamente a
loro con tono strafottente: "Dato che non ve ne andate, me ne
andrò io. Lontano da voi, lontano da Bourton, lontano da tutte
queste cazzo di rotture."
Chiuse la porta e scese i gradini che lo separavano dal vialetto per uscire dal giardino di Alex.
"Perché scappa sempre, signor Jeremy?" si infervorò l'omone, cercando di aiutare il ragazzo con la valigia.
"Mi lasci stare!" gridò lui. "Lei non mi conosce!"
"E invece sì!"
"Papà."
lo pregò Joanne, che vedeva in tutta quella sceneggiata ormai il
capolinea. Erano andati a cercare quel ragazzo di persona per aiutarlo,
ma era lampante che non volesse farsi aiutare e che non fossero una
presenza gradita.
Le
sarebbe dispiaciuto più di ogni altra cosa vedere Jeremy e
Taylor non poter rimanere insieme, specialmente dopo aver sentito la
loro storia per intero e aver verificato di persona la grandezza e
l'intensità del loro legame.
Ma,
dopotutto, lei e suo padre non erano che intoppi trovati lungo il
cammino, di cui Jeremy aveva dimenticato e che, senza Taylor al suo
fianco, non avrebbero mai più significato nient'altro. Solo la
presenza di quella ragazza poteva rendere Jeremy diverso, solo lei
aveva la chiave per aprire il forziere della sua anima.
"Sì
che ti conosco, invece!" sbottò Gabriel mettendosi davanti a
Jeremy e bloccandogli il passaggio su quel vialetto ghiacciato. "Sei
quel bambino triste e solo che non ha mai voluto festeggiare il Natale,
che non si è mai concesso di accettare un dono e che ha sempre
preferito scappare dalla felicità."
Jeremy lo guardò, inevitabilmente ferito da quelle parole, le sopracciglia corrugate e la mascella serrata.
"Ho
capito che quel bambino eri tu, quando hanno raccontato di te al tg il
giorno di Natale, ma l'ho sospettato dal primo momento in cui ti ho
visto. Quando ti sei presentato come Ludwig, ricordi?" proseguì
concitato. "E la persona che ho conosciuto quel giorno era diversa:
stava festeggiando il Natale, si era concessa di accettare un dono e
stava mordendo la felicità."
"Non ricordo niente di tutto ciò."
"La ragazza che avevi accanto ti stava rendendo felice."
"Non me lo ricordo."
"E
allora fidati, Jeremy!" lo implorò l'uomo. "Fidati di chi ha
visto l'amore dentro al tuo sguardo, di chi, pur non conoscendoti,
è venuto a casa tua per dirti quanto tu sia stupido a lasciare
andare tutto e di chi non vuole più rivedere l'infelicità
sul tuo volto."
"Non lasciare che il passato vinca su di te." aggiunse Joanne, guardandolo da distante con affetto.
Quelle
parole colpirono Jeremy in modo troppo diretto e non fecero altro che
aumentare la sua rabbia e la frustrazione, la sensazione che tutti
fossero impazziti e la nostalgia dei tempi in cui la gente lo evitava e
preferiva lasciarlo perdere.
"Ha
già vinto su di me." sputò, sterile e freddo come il
terreno su cui stava in piedi. "Taylor è già partita per
Newcastle e io sono felice di non vederla mai più, mi sta solo
dando noia."
Con
una spallata, fece da parte Gabriel e, sorpassandolo, lo guardò
negli occhi: "Ora me ne vado anche io, così potrò
togliere di mezzo voi, Alex, e le altre mille seccature che tutti mi
state dando."
Detto
questo, recuperò il passo spedito con cui era uscito di casa, ma
l'inverno di Bourton e la suola piatta delle sue scarpe lo tradirono di
nuovo.
Jeremy
scivolò all'indietro sul ghiaccio e trascinò con se la
sua valigia, che gli piombò sulla pancia, aprendosi e spargendo
tutto il suo interno per il vialetto.
Gabriel
e Joanne si precipitarono ad aiutarlo, ma Jeremy intimò loro di
stargli lontano. Si alzò con la schiena e la testa doloranti e
raccolse le sue cose in fretta, senza nemmeno alzare gli occhi sulle
due persone che stavano a pochi metri da lui.
Solo
quando una mano gentile gli mise sotto gli occhi il pacchetto rosso che
era caduto dalla valigia, lui si degnò di fermarsi.
"Si è rotto." gli fece notare l'uomo, il dispiacere nella voce.
Jeremy
portò l'oggetto a sé e accertò con una certa
riluttanza che la carta si era strappata e la scatola si era aperta da
un lato.
Era
il regalo che Taylor gli aveva lasciato in ospedale la notte di Natale.
Non l'aveva mai aperto e l'aveva accantonato dentro all'armadio con
l'intenzione di lasciarlo per sempre così. Gli dispiaceva
gettarlo, ma allo stesso tempo trovava inutile e insensato aprire un
dono che non avrebbe avuto significato.
Purtroppo, ormai, l'involucro era completamente distrutto, così decise di eliminarlo del tutto, svelandone il contenuto.
Nella scatola Taylor aveva confezionato un paio di pattini da ghiaccio; nuovi, brillanti, della taglia giusta per Jeremy.
"Mi sarebbe tanto piaciuto imparare."
"Che cosa?"
"Pattinare. Dev'essere bello."
Jeremy mollò la scatola all'istante, come se avesse improvvisamente iniziato a scottare.
Che cosa era successo?
O se l'era immaginato, oppure aveva appena sentito delle voci e visto un paio di volti pallidi.
"Non imparerò mai a pattinare."
"Mai dire mai, principessa. Ricordati che ho bisogno di un insegnante."
"Jeremy, tu hai bisogno di un miracolo."
Di nuovo.
Jeremy strizzò gli occhi e contemporaneamente deglutì.
Tentò
di scacciare quei pensieri che di colpo avevano riempito le sue
orecchie, mentre l'immagine di un lago ghiacciato sbiadiva, astratta,
nella sua memoria a breve termine.
"Promettimi che...imparerai a pattinare."
Sembrava non servire; la sua mente stava facendo tutto da sola e lui non riusciva a riprenderne il controllo.
Preso
dal panico, allora, guardò in basso. Dall'impatto col terreno,
un altro oggetto era scivolato fuori dalla scatola; si trattava di un
rametto di vischio, a cui Taylor aveva attaccato un biglietto. Lo
lesse, mentre Gabriel tratteneva un sussulto: 'È il miglior uso
che potessi farne'.
"Mancherà comunque qualcosa."
"Lo so. Il regalo di Ludwig. Fanne buon uso, Lor."
Jeremy
gettò anche questo a terra e si coprì il volto con
entrambe le mani, mentre quello che sembrava un attacco di panico se la
prese con il suo stomaco.
Che
gli stava succedendo? La testa pulsava, l'odore di quegli oggetti era
lo stesso che aveva annusato prima sulla sua sciarpa e che gli stava
causando una serie di gravi capogiri.
Si sentiva male, vedeva sfocato e respirava a fatica.
Afferrò
i pattini e il vischio per chiuderli frettolosamente nella scatola
rotta, ma nel fare quest'operazione, qualcosa scivolò tra le sue
mani.
Erano due fogli, pinzati insieme.
Jeremy lì fissò per un attimo con il petto che si alzava e si abbassava velocemente.
Sul
primo era ritratto lui, in bianco e nero, con un sorriso che mai si era
visto in volto, ma che lo faceva apparire bellissimo.
"Sai
com'è, certi sorrisi sono più unici che rari, per cui ho
pensato di immortalarne uno per quando sarai il solito stronzo. Sappi
che agli altri piaci quando sorridi."
"Mi sa che piaccio specialmente a te, mh?"
Guardò
il secondo foglio, sperando di non capirci niente e, invece, anche
stavolta il suo cervello ricevette una scossa. Ritraeva una famiglia
con un padre, una madre e una bambina. Era sempre disegnato a mano, ma
imitava una fotografia e sul retro c'era scritta una una frase; era una
dedica per Tessy Heavens.
"Lor, cos'è quella foto? Dietro c'è una dedica e tu non sei nel quadretto. Dove l'hai presa?"
"Non sono affari tuoi."
"L'hai rubata a casa di Tessy, non è vero?"
"No."
"E l'hai strappata, ma ti dispiaceva e quindi la stai copiando."
"Non
mi dispiace affatto, quella foto è un insulto! Ma in ogni caso,
a te non deve importare, perciò dammi subito tutti i miei fogli
e sparisci da qui!"
Ancora
un altro flash e Jeremy non riuscì a scacciarlo, non potendo
fare a meno di soccombere a quella raffica di ricordi.
"Taylor, guardami. Per favore... Promettimi che comunque vada, cercherai di riconciliarti con tuo padre."
Il
respirò di Jeremy si mozzò e fu come riceve un pugno in
pieno stomaco. La sua testa girò vorticosamente, e dovette
accasciarsi al suolo per non cadere.
"Lor."
"Senti, Jeremy, non mi va di parlare con te."
"Ma io voglio parlarne."
"Io no. Per colpa tua, sono davvero molto impegnata a fare altro, come ad esempio odiarti."
"Non credo che tu sia molto brava a odiare le persone."
Sentì
le mani forti di Gabriel far presa sulle sue braccia per alzarlo, ma
lui rimase inerte e con lo sguardo sbarrato, perso nel vuoto, l'azzurro
del ghiaccio che, forse, si stava scongelando.
"Nemmeno io per te sono una persona. Sono solo un mucchio di stupidissimi, sporchi soldi."
"Già.
Da oggi riprendiamo i nostri ruoli di non-persone, allora. Io sono il
mostro e tu i miei due milioni di sterline. Io sono il rapitore e tu la
ragazza sbagliata."
"Non siamo mai stati nulla di diverso."
La voce di Joanne ripeteva il suo nome, preoccupata, e chiedeva al padre se fosse il caso di chiamare un'ambulanza.
"Cosa significa 'non sei Tessy'?"
"Significa che non sono Tessy."
"Mi hai drogata!"
"Perspicace."
"Tu sei pazzo! Mi hai drogata! Finiresti in prigione per questo!"
"E
non solo. Ti ho derubata, sequestrata, rinchiusa in un luogo
circoscritto e minacciata. Se in Inghilterra esistesse la pena di
morte, dovrei iniziare a cercarmi un cimitero carino. Non ho soldi per
l'avvocato."
"Che diritto hai di trattarmi come un oggetto? Chi ti autorizza a darmi un valore e soprattutto a giocare con la mia mia vita?"
"Lor, non alzare la voce."
"Io faccio quello che mi pare! Non mi puoi togliere la libertà, non ne hai il diritto!"
"Abbassa quella voce, porca puttana, o ci sentiranno tutti!"
"NON DARMI ORDINI!"
"Senti,
Taylor. Nemmeno tu conosci me, ok? Quindi smettila di fare la vittima.
L'unica cosa che mi interessa sono quei soldi, tutto il resto
può benissimo andare a farsi fottere. Vuoi odiare a morte tuo
padre? Fallo. Vuoi odiare a morte me? Liberissima. Ma smettila di
scocciarmi."
"Senti, Lor." "Sì?" "Mi dispiace di averti dato uno schiaffo. Non volevo."
"Eddai, Jeremy, ti prego!"
"No."
"Perché no?"
"Perché
sei subdola, perché mi hai appioppato un'oratrice più
feroce di te e perché voglio vederti soffrire."
"Se lo ammetto, poi tu rispondi a una domanda?"
"Un ricatto sul ricatto? Carino."
"Jeremy. Perché eri in un orfanotrofio?"
"Coraggio, non è un reato."
"So cos'è un reato, direi. Non voglio e basta."
"Ma Jeremy-"
"Ho detto di no, non credo nel tuo Dio, Lor, mi sembra solamente inutile. È come se io ti costringessi a fumare."
"Non
dire stupidaggini, Dio non può essere comparato alle sigarette
nemmeno per sbaglio. E poi, a Dio non importa se credi a Lui o meno,
qualsiasi cosa Gli chiederai, sarà presa in considerazione."
"Da' qua."
"Perché non lo vuoi perdonare?!"
"A te che importa?"
"Voglio
sapere perché lo odi così. Voglio sapere che cosa ti ha
fatto per impedirti di dargli una seconda opportunità."
"Lo sai per chi ho pregato, Lor? La mia mamma.
Volevi tanto saperlo, no?"
"Perché lo fai?"
"Fare cosa?"
"Il
cattivo. Il cattivo di una storia in cui credi di essere quello che
prende le decisioni, quello che domina. Quando in realtà sai
benissimo che non è così e ti lasci dominare dalla
rabbia, dal rimpianto e dal rancore."
"Lo immaginavo. L'hai sempre detto che non mi sopporti."
"Per quello servono doti da martire."
"Già. Scusa se mi sono comportata da bambina."
"Lor, tu sei una bambina."
"Oh, certo. Il sapore della cenere e del pericolo di morte dev'essere favoloso."
"A volte con il pericolo di morte puoi giocare. Se sei bravo abbastanza, non muori."
"Jeremy, tu mi sembri proprio sull'orlo della morte."
"Eppure sono qui. Forse è proprio perché volevo sentire questo sapore che non sono ancora morto."
"Il sapore di una sigaretta è così buono da mantenerti in vita?"
"Il sapore di tante cose assieme."
"Non ti credo."
"Allora prova."
"Hai detto e fatto molte cose per me."
"Oh,
ma certo. E ne avrei fatte finché avessi continuato a fare la
brava bambina. Oh, Taylor. Non mi sono mai capacitato di quanto fossi
stupida."
"Non posso credere che sia stato tutto una recita, Jeremy."
"E
cosa ti rende così convinta del contrario? Non me ne è
mai fregato nulla dei tuoi moralismi e dei discorsi da ragazzina
stupida. Sei una bambina e per me i bambini vanno accontentati, oppure
si mettono a piangere e attirano l'attenzione."
"Pensavo
che fossi sincero, Jeremy. Pensavo che avessi deciso di non mentirmi da
quel giorno in cui mi hai raccontato di tua madre."
"Ti sbagli, ho solo imparato a farlo meglio."
"Beh, almeno non è vero."
"Non è vero cosa?"
"Che morirò da solo."
"No, Lor. La mia preghiera ha funzionato. Avevo chiesto...che... Che andasse tutto bene..."
"Oh, bel modo di fare andare tutto bene! Niente è andato bene, Jeremy! Guarda!"
"Non è vero. Mi sono innamorato anch'io, Lor."
Jeremy prese una boccata d'ossigeno come fosse il primo respiro della sua vita .
E, infatti, fu come nascere di nuovo.
Si
liberò dalla stretta di Gabriel, si alzò in piedi e
raccolse il ramo di vischio. Poi guardò Joanne e suo padre:
"Qualcuno di voi ha una macchina?"
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L'auto inchiodò a pochi metri della stazione e Gabriel si portò la mano al cuore.
"Lei
mi deve un anno di vita, signor Parker." sfiatò, con gli occhi
sbarrati. "Prima mi investe e poi guida ai cento per il centro abitato."
Jeremy tirò il freno a mano: "Le devo molto più di un anno di vita, signor Arch."
Scese dall'auto e prima di chiudere la portiera, si affacciò dentro all'abitacolo: "Grazie di tutto, davvero. E, Joanne?"
"Sì?"
Jeremy le fece l'occhiolino e lei andò in brodo di giuggiole: "Sei fantastica."
Il
ragazzo chiuse la portiera e si girò verso l'orologio della
stazione: mancava un quarto all'una e lui era arrivato in ritardo.
"No..." sussurrò guardandosi intorno con fare smarrito.
Chissà, sperava forse che l'orologio fosse rotto e segnasse l'orario sbagliato?
Il
suo sguardo scese sulle scalinate all'esterno della stazione e vi
trovò un gruppo insolito: Alex, Allyson, Tessy e il fidanzato,
Oliver, Martha e Amanda. Ma Taylor non c'era.
Allora l'orologio non si era rotto e lui era davvero arrivato troppo tardi.
Sentì
il sangue salire alle guance e accenderle di rabbia e gli occhi
pizzicare: non ce l'aveva fatta. Non era riuscito a fermare Taylor. O
solo a dirle addio. O solo a guardarla per l'ultima volta.
Si
avvicinò alla gradinata lentamente e scandendo i suoi passi al
ritmo della sconfitta. La prima persona che si accorse di lui fu
Allyson, che, un po' distante dal resto del gruppo, stava tenendo la
mano di Alex e gli aveva appena dato un bacio.
Jeremy
pensò che Taylor avesse mantenuto anche la terza promessa che
gli aveva fatto; qualora lui non avesse potuto, avrebbe trovato il modo
di assicurarsi che Alex non facesse cazzate. E in vista della partenza
di Jeremy, Taylor il modo l'aveva trovato: Allyson.
Sorrise alla biondina, che, staccatasi dal volto di Alex, lo guardò stupita e fece cenno al suo ragazzo di voltarsi.
Appena Alex girò il viso, incontrò la figura di Jeremy prima con altrettanto stupore e poi con rabbia.
"Brutto
deficiente!" lo apostrofò, alzandosi bruscamente e andando verso
di lui a passo di marcia. "Adesso ti presenti? Idiota! Ti ho mandato
duecento messaggi!"
"Scusa." disse Jeremy, semplicemente, non ricordando nemmeno dove avesse ficcato il cellulare dopo il primo messaggio di Alex.
Se
pensava a tutti gli sforzi che il suo amico aveva fatto,
incessantemente, ma invano, gli veniva da vomitare. Quanto del suo
tempo gli aveva regalato? Quante energie aveva speso per la sua causa?
"Che
cosa ci fa qui?" gli chiese Alex, facendo uscire una nuvoletta di
condensa dalla bocca, poi prese un cipiglio severo. "Jeremy, hai
addosso solo la felpa."
"Sì, lo so, mi spiace."
"Ci sono due gradi, cazzo! Si può sapere che cazzo ti prende? Perché non mi hai risposto?"
Alex e Jeremy si guardarono per qualche istante, l'uno di fronte all'altro, senza che nessuno dei due dicesse nulla.
E
allora Alex sgranò gli occhi, come quel giorno all'ospedale,
quando aveva ricevuto la gioia più grande della sua vita nel
vedere il suo amico risvegliarsi dal coma.
Jeremy
si lasciò scappare un debole sorriso e pronunciò con le
labbra, senza dirlo a voce e perché solo lui lo vedesse, un
'grazie'.
A
quel punto Alex mandò al diavolo qualsiasi contegno e si
gettò su di lui per abbracciarlo forte; suo fratello non di
sangue che finalmente era tornato a casa.
Jeremy
ricambiò la stretta, commosso, e fu il primo abbraccio delle
loro vite. Si strinsero così saldamente che fu chiaro come
niente al mondo avrebbe mai potuto sciogliere quell'unione. A dispetto
di tutto, non si erano mai abbandonati e avrebbero sempre e volentieri
dato la vita l'uno per l'altro.
Il loro fu l'abbraccio di due uomini che erano finalmente diventati adulti, che avevano finalmente ammesso di volersi bene.
"Grazie, Jeremy." fu il turno di Allyson, che aveva capito tutto e aveva posato una mano sulla spalla del ragazzo.
I
due amici sciolsero l'abbraccio e Jeremy sorrise ad Allyson: "Grazie a
te per non aver mai lasciato Alex. Definitivamente, intendo."
La
riccia rise e, mentre si aggrappava al braccio del suo ragazzo,
lanciò uno sguardo che a Jeremy sembrò il più
felice e gioioso del mondo: "Taylor non è ancora partita."
svelò, incapace di contenere la sua positività. "Il
capotreno ha posticipato la partenza di mezz'ora."
"Sul serio?!"
"Sì."
"Ma Taylor..."
"Ha
voluto a tutti i costi fare una passeggiata." si intromise Tessy, che
si era avvicinata ai ragazzi assieme a Oliver e Amanda. "Ha detto che
preferiva andare da sola per godersi l'ultima mezz'ora a Bourton e
salutarla a modo suo." spiegò, accennando al parco di fronte
alla stazione.
Sul
viso di Jeremy si disegnò la stessa espressione che c'era su
quello di Allyson: la consapevolezza di avere ancora un'ultima
possibilità, ancora qualche minuto per riuscire a tornare
indietro nel tempo e riportare il passato nel presente.
Prima
che decidesse di muovere un solo passo, i suoi occhi andarono sui volti
di Oliver e Amanda, formulando un'implicita richiesta di consenso.
Amanda
fece per aprire la bocca ed esporre la sua preoccupazione riguardo alla
possibile reazione di Taylor, ma Oliver la precedette.
"Vai, figliolo. Vai."
Amanda
tacque e dopo poco sorrise: in fondo, sì, Taylor le aveva
insegnato che a volte era possibile sperare fino all'ultimo.
Jeremy si rivolse ad Allyson: "Quanto tempo ho ancora?"
"Quindici minuti prima che il treno parta."
Annuì e poi guardò di nuovo Alex, la cui ultima parola sarebbe stata fondamentale.
Il ragazzo gli fece solamente l'occhiolino e Jeremy capì che ce l'avrebbe fatta.
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Corse
a perdifiato per tutto il parco, con l'aria fredda che gli entrava
nella felpa e leniva il bruciore della ferita sotto sforzo.
Le
sue gambe sembravano più forti di quel giorno in cui si era
ritrovato a compiere la stessa azione per sfuggire a Cordano. Forse
perché la spinta che veniva loro data era più forte del
senso di sopravvivenza. Era amore e Jeremy lo sapeva bene,
perché ora se lo ricordava.
Fortunatamente non fu difficile trovare Taylor.
Aveva
portato con sé i suoi pattini e ora stava sfrecciando sulla
superficie di un laghetto ghiacciato; volteggiava un po', poi
barcollava, ma si riassestava in un battibaleno e tornava a provare una
piroetta. Era così che aveva deciso di salutare Bourton.
Vederla per lui fu scioccante; dopotutto, era la prima vera volta dopo quasi due mesi.
Era
bellissima, la sua Taylor, e anche bravissima. Si chiese come avesse
fatto a imparare così bene, ma si rispose che sicuramente anche
lei era stata spinta dal suo stesso sentimento. E quindi la capiva. O
almeno sperava che fosse così; che fosse ancora così,
dopo tutto il dolore che le aveva causato.
Si
fermò a bordo lago e rimase a guardarla per qualche istante. Era
vero che aveva poco tempo, ma era impossibile non incantarsi e,
dopotutto, un po' di fifa ce l'aveva.
Aveva
paura che la volontà di Taylor fosse cambiata, che i suoi
sentimenti si fossero persi, che il progetto per il suo nuovo futuro
l'avesse ormai allontanata. Aveva paura che avrebbe preso quel treno,
alla fine, nonostante tutto.
Ma ciò che successe lo costrinse ad agire; Taylor si era accorta di lui ed era rovinata a terra per la sorpresa.
Così Jeremy si affrettò ad andare verso di lei per aiutarla a rialzarsi.
"No,
no. È tutto a posto." disse lei, rimettendosi in piedi con
inaspettata maestria e pattinando verso lo spiazzo d'erba su cui si era
fermato Jeremy.
Tutto
era bianco, azzurro e verde intorno a loro, fatta eccezione per i
flebili raggi dorati che filtravano attraverso la vegetazione. Le
fronde degli alberi cadevano rasenti alle loro teste, uno di quelli era
probabilmente lo stesso dietro cui Jeremy si era nascosto in quella
domenica d'avvento in cui si era fermata la sua memoria.
"Ciao." la salutò Jeremy non appena lei fu abbastanza vicina.
Con
i pattini ai piedi guadagnava qualche centimetro in altezza e poteva
guardarla in modo più diretto; godendo del calore che
trasmettevano le sue iridi sotto quelle ciglia perennemente spettinate.
"Ciao." ricambiò lei, sconvolta e sorpresa di vedere proprio lui davanti a sé. "Che cosa ci fai qui?"
"Beh, Alex mi aveva avvisato che saresti partita e allora..."
"Avrei dovuto partire venti minuti fa."
"Lo so." fece una smorfia. "Sono leggermente in ritardo."
La
ragazza lo osservò con le sopracciglia inarcate, talmente
confusa da non riuscire nemmeno a ipotizzare le motivazioni di quella
situazione.
"Volevo solo salutarti." spiegò allora Jeremy. "E augurarti buon viaggio. Mi sembrava doveroso."
"Certo." affermò lei, impacciata.
"Anche se è un addio, credo sia giusto così."
"Ah,
io odio gli addii." non poté fare a meno di dire e Jeremy
nascose un sorriso. "Comunque, grazie." si riscattò in fretta.
"Buona partenza anche a te per dopodomani."
"Grazie." sorrise lui.
Abbassò
gli occhi per guardare la linea che separava il terreno dal ghiaccio;
da una parte lui con le sue scarpe a suola piatta, dalla parte opposta
lei con i pattini che aveva consumato a suon di cadute.
Quando
alzò di nuovo gli occhi e li posò sul viso da bambina di
Taylor, erano più azzurri che mai e lei ne fu così
colpita che non poté trattenere un sussulto.
"Sai, Taylor." disse Jeremy. "Non ti ho mai ringraziato per il tuo regalo di Natale."
La
ragazza non si aspettava di certo quell'uscita e arrossì di
botto. Sgranò gli occhi, agonizzando nel panico più
totale: "Oh, quel regalo! ...beh, io...era solo un presente
per...insomma, non farci caso, ok? Erano solo delle sciocchezze che
avevo tenuto per-"
"Non mi avevano mai comprato un paio di pattini." commentò lui, mostrando un sorriso sornione e malizioso.
Taylor
deglutì e se possibile, arrossì ancora di più,
desiderando di poter indietreggiare sul ghiaccio e sparire nel bosco
dietro di loro.
"Lo so." le uscì stridulamente.
Non
aveva idea che Jeremy avesse aperto il suo regalo e, soprattutto, che
gliene avrebbe parlato dopo due mesi. L'aveva appoggiato sul comodino
accanto al suo letto d'ospedale, ancora quando lui era in coma, la
notte di Natale. E dopo tutto quel trambusto, anche lei aveva smesso di
considerarlo importante e se n'era dimenticata.
"Hai avuto un gran bel pensiero."
"Jeremy, ti prego." pigolò lei. "Avresti capito il loro significato, se fossimo stati in un contesto diverso."
"Beh, devo dire che anche il ritratto che mi hai fatto è stupendo."
"...grazie."
"Sembra che ti piacessi davvero molto."
"Jeremy, il mio treno parte tra meno di dieci minuti, credo sia ora che vada e-"
"Ehi, ti capisco. È normale perdere la testa quando si ha una meraviglia davanti."
Lo
sguardo di Taylor, finora reticente, scattò sul viso di Jeremy e
lo trovò fin troppo bonario e disteso per non accorgersi che
l'imbarazzo che c'era stato tra di loro quel giorno all'ospedale si era
inspiegabilmente dissolto. I suoi occhi si erano improvvisamente accesi
di una luce che Taylor credeva non esistesse più.
E poi quella battuta non l'aveva già sentita?
"Il
disegno della tua famiglia è reso così bene che non
riesco a trovare le differenze con una vera fotografia."
proseguì Jeremy. "E la dedica sul retro è davvero
ingiusta, perché tu non sei nemmeno nominata."
"Era
un simbolo Jeremy." balbettò Taylor, presa dall'imbarazzo e
dalla sensazione di essere presa in giro. "Regalandoti quella foto ti
avrei fatto capire che avevo riallacciato i rapporti con Oliver. Era
per dirti che avevo mantenuto la...ah, lascia stare."
"La promessa?" incalzò lui, divertito. "Mi avevi fatto delle promesse?"
"Senti, Jeremy, io ho un treno che sta per partire, ok?" cercò di zittirlo, infastidita. "Devo proprio andare."
Si chinò e si slacciò i pattini, per poi toglierli frettolosamente e calzare di nuovo le sue sneakers.
"Solo
un attimo, sua altezza." le disse, facendola sussultare nuovamente e
costringendola ad alzare gli occhi su di lui. "C'è ancora una
cosa che non ho capito."
Taylor rimase in attesa di sapere cosa e Jeremy estrasse dalla tasca della felpa un oggetto.
Poi lo alzò in aria e lo fece penzolare sopra le loro teste.
"Che diavolo significa che è il miglior uso che potessi farne?"
Taylor fissò il rametto di vischio diventando color lampone e poi tornò su Jeremy, inorridita.
Il
ragazzo non trattenne un tenero sorriso davanti all'espressione che
aveva imparato ad amare e fece un passo verso Taylor, che era tornata
alla sua normale statura.
Così
l'ebbe a un palmo di naso dal suo viso, le teste inclinate con la
giusta angolatura per potersi incastrare perfettamente in un bacio
sotto il vischio.
"È...è..."
"Lo so cos'è, Lor."
"No, non lo sai." tentò lei. "Jeremy, non vorrei davvero che pensassi male. Il vischio rappresenta-"
"Il bacio che vorrei tanto darti in questo momento."
"Il...cosa?"
"Lor."
sussurrò lui, dolcemente, abbassando il braccio e usandolo per
attirare Taylor a sé. "Se ti dicessi che non puoi prendere quel
treno perché voglio che resti per sempre con me, che cosa
risponderesti?"
La
ragazza per poco non svenne: Jeremy era così bello, così
vicino e così se stesso. Ma soprattutto così se stesso.
"Jeremy?" chiese allora, le iridi che si spostavano velocemente nel tentativo di leggere quelle di lui.
"Direi che Sommo Rapitore va meglio."
A
quelle parole, la bocca di Taylor si aprì nel tentativo di dire
molte cose, ma la domanda che uscì fu la più sciocca,
dettata dallo stupore e dall'incredulità.
"Ti è ritornata la memoria?"
"Se il ricordo di un'irritante, piccola mocciosa che mi mette il bastone fra le ruote è corretto, allora sì."
"Oh,
Jeremy!" quell'esclamazione uscì con voce rotta, accompagnata da
un paio di occhi che si riempivano di lacrime e commozione. Taylor si
portò entrambe le mani alla bocca, nella più totale
sorpresa ed espressione di gioia. "Stai dicendo sul serio?"
"Sì, Lor. Ma ora basta domande."
Jeremy
le prese i polsi e glieli scostò delicatamente, poi
circondò il suo viso con entrambe le mani e la baciò.
Fu
il bacio più agognato e romantico della loro esistenza. Mai
più, nemmeno nel futuro, avrebbero sentito tutta quella vita
scorrere dalle labbra di una a quelle dell'altro. Fu come restituirsi a
vicenda un'anima, un cuore, la speranza.
E
si ritrovarono così; in un sapore indescrivibile di tante cose
insieme, così contro le regole, ma che lascia il buono in bocca.
Le loro lacrime che si mescolavano assieme al giusto e incontestabile
trionfo dell'amore sul male. Così tanto atteso da lui,
così tanto insperato da lei.
Taylor
si sentiva interdetta: Jeremy era davvero tornato? Era davvero di nuovo
lì con lei? Quel bacio le diceva di sì, ma
l'assurdità della situazione rendeva difficile crederlo. E
allora lo strinse più forte e lo baciò pensando che non
avrebbe mai più vissuto, senza di lui. Come la prima volta in
cui si erano baciati, implorò silenziosamente che quel contatto
durasse per sempre.
Chiaramente
non poteva essere così, ma il loro amore, quello sì,
sarebbe durato per sempre. E le loro vite, da quel momento, sarebbero
proseguite nella stessa direzione, insieme. Non potevano vedere nel
futuro, ma se ci fossero riusciti, ne avrebbero avuto la conferma. A
Jeremy, però, non importava sapere cosa sarebbe successo poi.
L'importante
per lui era il presente. Recuperare ogni secondo che aveva perso;
riprendersi la sua Taylor centimetro per centimetro, carezza dopo
carezza. E fu così che ancora una volta posò la mano
dietro la nuca della ragazza, sciolse la sua treccia e giocò con
i suoi morbidi ciuffi come giocava con le sue morbide labbra.
Non
aveva mai dimenticato di amarla, quella consapevolezza era rimasta
sempre nel profondo del suo cuore: dal giorno in cui l'aveva sentita
piangere sotto la quercia di villa Heavens a quella mattina in cui
aveva aperto il suo regalo di Natale. Si staccò da lei e la
guardò negli occhi.
"Ti amo." le disse, riuscendo finalmente ad ammetterlo ad alta voce.
"Oh,
Jeremy, ti amo anch'io!" Taylor travolse il ragazzo con un abbraccio e
pianse contro la sua spalla, come aveva fatto quella notte fuori dal
Diderot, quando aveva pensato che lui l'avesse abbandonata. "Avevo
paura che non sarei mai riuscita a dirtelo."
"Mi dispiace."
"Pensavo che mi sarei dovuta rassegnare sul serio."
"Non ti sei mai rassegnata, nemmeno quando stavo per morire. Non sai quanto ti sono grato per questo."
"Jeremy,
tu stavi per morire due volte, per me." proruppe in un singhiozzo
guardandolo come se avesse potuto andarsene di nuovo da un momento
all'altro. "La prima volta fisicamente, la seconda come persona."
"Non
l'ho fatto, alla fine. E non lo farò mai, Taylor." Jeremy
guardò quelle gote arrossate benedicendole, e sorrise. "Forse
è proprio perché volevo sentire questo sapore che non
sono ancora morto."
Taylor fece per dire qualcosa, ma il fischio lontano di un treno bloccò le sue parole.
"Il mio treno sta per partire..." osservò, il tono distante, come i pensieri che riguardavano la sua partenza.
"Non andare."
Taylor
cercò di riflettere, nella fretta e nella confusione del
momento, il cuore che batteva fortissimo e il profumo fresco di Jeremy
che l'abbracciava come la promessa di una vicina primavera: "Ma tu...?
Anche tu partirai fra due giorni."
"Non
più, Lor." disse lui. "Voglio restare qui a Bourton. Voglio
comprare una casa e viverci con te. Voglio iniziare a lavorare alla
Money House e imparare a essere un uomo. Voglio farlo al tuo fianco,
perché solo tu sei la ragazza sbagliata per me."
"La ragazza sbagliata..." sorrise lei, gli occhi sognanti sotto le ciglia umide e arruffate.
"Ti prego, Lor." Jeremy la implorò, prendendole la mano e guardandola dritto negli occhi.
"Ma
ho già fatto l'iscrizione all'università di Newcastle e
prenotato la stanza nel condominio studentesco." obiettò lei,
condividendo lo stesso desiderio di Jeremy, ma molti più dubbi
sull'immediato futuro. "E cosa dirò a mia madre? Cosa
dirò a tutte quelle persone?"
"Lor."
Sul volto di Jeremy era improvvisamente comparso un ghigno divertito, che a Taylor non suggerì nulla di buono.
"La
risposta è molto semplice." sorrise, facendo risplendere i suoi
occhi azzurri. "Dirai loro che ti ho rapito di nuovo."
E
detto ciò, circondò la vita di Taylor con un braccio e se
la caricò sulle spalle. Ridendo ai suoi lamenti e alle sue
infondate minacce, la portò lontano dalla stazione e, stavolta
davvero, la rapì per sempre.
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"Omnia vincit amor", l'amore vince su tutto, ricordatelo sempre e specialmente in questi giorni di festa.
Io vi ringrazio infinitamente per aver seguito questa storia fino alla fine e spero almeno di avervi regalato una gioia.
Colgo l'occasione anche per salutare tutti voi che mi conoscete da poco
o che mi avete sempre seguito e che avete reso possibile la
realizzazione dei miei sogni (*accompagnamento di violini in mi
bemolle*). Per me il 2016 è stato un anno meraviglioso e non
posso che ringraziarvi con l'augurio che il 2017 lo sia anche per voi!
Siete il motivo per cui tante cose belle mi sono successe e quindi vi dedico questo capitolo <3
Se vi va, andate a sbirciare anche Io
e te è grammaticalmente scorretto e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Se poi vorrete unirvi al gruppo Grammaticalmente
Scorretti vi accoglieremo volentieri.
Detto
ciò, auguro a tutti un felici e serene feste e che, anche per
voi, come per Taylor e Jeremy, l'amore vinca su tutto.
Buon anno,
Daffy
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