Black Soul

di Manu_Green8
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"Cam" Jason non fece neanche in tempo a finir di dire il nome di suo fratello, che quest'ultimo era sceso dalla macchina senza dire una parola, sbattendo lo sportello con più forza del dovuto.
"Non te la prendere, Jas" sussurrò Clayton dal sedile posteriore, facendo voltare suo fratello maggiore verso di lui. A Jason spezzava il cuore vedere il dodicenne biondo con gli occhi bassi, a guardare le mani che continuava a torturarsi. 
"Sappiamo com'è Cameron, giusto?" disse Jason di rimando, sorridendo dolcemente e in modo rassicurante. 
"Sempre arrabbiato?" chiese Joelle, continuando a tirarsi un boccolo castano con le dita, in quel tic che le era comparso nell'ultimo tempo, da quando...
"Posso avere un bacio?" chiese Jason, stringendo il volante fino a che le sue nocche erano diventate bianche.
Clayton fu il primo a sospirare e a sporgersi verso il ventenne alla guida. Gli stampò un bacio sulla guancia e poi porse la mano alla bambina di dieci anni accanto a sé. 
Joelle afferrò il viso di Jason con entrambe le mani e gli baciò le labbra, prima di stringere la mano che gli porgeva l'altro fratello.
"Buona giornata, piccoli".
"Viene a prenderci papà Derek?" chiese Joelle appena prima di scendere dall'auto, trattenendo Clayton con una stretta più ferrea della sua mano. 
"Credo di sì, tesoro. Se non riesce verrò io". Joelle annuì con lo sguardo basso. Preferiva decisamente che lo facesse papà Derek, perché ogni volta che vedeva l'auto che adesso guidava prevalentemente Jason, il suo cuore faceva un salto in gola, con la speranza che dentro quella Range Rover li stesse aspettando papà Lucas.
"Ciao, JasJas" sussurrò, scendendo dall'auto una volta per tutte e andando verso l'edificio scolastico che avevano davanti. 
Jason li vide sparire all'interno e sospirò, poggiando per un attimo la fronte sul volante, prima di ripartire e andare verso l'università, dove lo aspettava una mattina intensa di lezioni, che magari lo avrebbero distratto da tutto.

Cameron camminava per i corridoi della scuola senza guardare niente e nessuno, nascondendosi dietro alle lenti dei suoi occhiali da vista, quasi come se fossero da sole, ma sentiva comunque gli occhi di tutti addosso a sé. Il ragazzo di tenebra. Così lo chiamavano a scuola. Il diciassettenne dell'ultimo anno dai capelli nerissimi e gli occhi altrettanto scuri e decisamente indecifrabili, che non aveva neanche un amico e non aveva mai tentato di farsene. Il ragazzo che non parlava mai e che nessuno voleva come nemico. Soltanto i suoi sguardi facevano tremare chiunque. C'erano così tante voci sul suo conto, molte delle quali lo facevano pure ridere. Non che lui le avesse mai negate o confermate, qualcuna era vera, altre no, ma non gli importava più di tanto.
Aveva altro a cui pensare. Perché quella mattina un pensiero fisso lo tormentava a tal punto da farlo stare male. E lui stava cercando di reprimere visivamente tutto, come era sempre stato abituato a fare. 
"Chi è Cameron?".
"Nostro figlio, Lu. Il secondo, capelli neri, bellissimo...".
"Oh giusto. Mio figlio".
Cameron serrò la mascella e ficcò tutto nell'armadietto, prima di chiuderlo violentemente e facendo sobbalzare chi aveva accanto. 
"Stronzo" sussurrò Aaron, portandosi una mano al petto.
Ed ecco lì, Aaron Arnon, un anno più piccolo di Cameron, con un nome secondo il moro davvero ridicolo. L'unico che aveva mai avuto il coraggio di dire in faccia al ragazzo di tenebra ciò che pensava realmente e quindi di insultarlo principalmente. 
Proprio per quel motivo, Cameron lo adorava, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Aaron, con quei ricci color miele che gli davano l'aria da angelo innocente nonostante fosse un tipo impertinente, era il suo passatempo preferito. Ma oggi non era proprio dell'umore per prestargli attenzioni. 
Aaron spalancò gli occhi sorpreso quando Cameron non lo aveva neanche guardato come se lo volesse mangiare come faceva tutte le volte, facendo scorrere i suoi occhi tenebrosi sul suo corpo atletico, ma almeno la metà possente rispetto al proprio. Non gli aveva rivolto neanche uno dei suoi sorrisini beffardi che ispiravano schiaffi né aveva detto una parola. Si era girato e aveva proseguito lungo il corridoio, per raggiungere la classe della prima ora. Aaron lo aveva seguito con lo sguardo fino a quando non era sparito alla sua vista, pensando che lì qualcosa non andava affatto. 
E in effetti il cervello di Cameron era proiettato solo su quel singolo episodio che era avvenuto quella mattina in bagno. Episodio che gli chiudeva lo stomaco. Si trattava pur sempre di suo padre, una delle due persone a cui doveva tutto, che amava più della sua stessa vita.
Quando alla seconda ora quel bigliettino era finito sul suo banco, Cameron era rimasto un tantino perplesso.
'Che ti succede oggi?' lesse aprendo quel fogliettino accartocciato. Sollevò gli occhi per guardarsi intorno. Chi diavolo glielo aveva scritto? Nessuno cercava mai di avere un contatto con lui. Per qualche secondo pensò anche che avessero sbagliato banco. Ma quando si rese conto che un paio d'occhi verdi, un banco più avanti del suo, erano puntati su di lui e lo guardavano quasi preoccupato, fu sicuro che non c'era stato nessuno sbaglio. Cameron gli lanciò uno sguardo fulminante, che Aaron tradusse perfettamente come: 'fatti i cazzi tuoi, brutto idiota'.
Aaron aveva imparato tantissimo soltanto guardando il ragazzo moro. Non era che lo spiasse. O quasi. Forse. Aaron aveva sempre detto di odiare quello stronzo di Cameron Horan-Lee con cui non faceva altro che battibeccare vocalmente, ma in realtà era sempre stato affascinato da lui e aveva sempre voluto capirlo e cercato di farlo. Era per questo che spesso e volentieri lo fissava, nonostante il moro non se ne accorgesse neanche, perso sempre nel suo mondo. Un mondo tutto nero. Mondo che anche Aaron avrebbe voluto esplorare.
Perché Cameron era il ragazzo di tenebra. Il ragazzo dall'anima nera che nessuno era mai riuscito ad esplorare. 
Aaron voleva fare l'esploratore quando era piccolo, ma era solo un sogno stupido. C'è quel bambino che da grande vuole fare il pompiere, quell'altro l'astronauta, quello ancora - come lui - l'esploratore.
Adesso rideva di quel vecchio sogno, ma non si sarebbe mai aspettato che un giorno lo avrebbe realizzato. 
Non esplorando paesaggi e città, certo, ma Cameron era un mondo troppo grande, affascinante e attraente per rinunciare all'impresa.
Fu per quello che quando ricevette quello sguardo fulminante dal moro, che stava cercando di disintegrare dentro al suo pugno chiuso il bigliettino, Aaron gli fece un piccolo sorriso.
Sorriso che destabilizzò totalmente Cameron, che abbassò lo sguardo velocemente.
Aaron rimase a bocca aperta. Era la prima volta che vedeva quell'espressione sul viso di Cameron Horan-Lee. Cos'era? Imbarazzo? E ciò che era sorto sulle sue guance era davvero rossore?
Non appena la campanella che annunciava la fine della lezione era suonata, Aaron non aveva fatto in tempo ad alzarsi in piedi, che Cameron era già sparito dall'aula. 
E sembrava essere sparito anche da scuola, perché Aaron non lo vide per un bel po'. A pranzo non lo aveva trovato neanche al suo solito posto, sotto al grande albero in cortile.
Cameron infatti aveva attraversato il cortile e si era rintanato nella piscina della scuola, che veniva usata quasi per nulla durante le ore di lezione. Avrebbe voluto spogliarsi e nuotare come faceva di solito per calmarsi da quando aveva dieci anni. Magari immergere la testa sott'acqua ed emettere quell'urlo silenzioso che gli faceva bruciare i polmoni e che lo stancava a tal punto da inibirlo. Ma non lo fece. Si sedette alla fine del trampolino e continuava a guardare l'acqua sotto di sé e a far ondeggiare le gambe nel vuoto. Era rimasto lì per ore. Quando era tornato all'interno dell'edificio principale, mancava pochissimo alla fine dell'ora di pranzo e Cameron ebbe la sfortuna, o fortuna, di incappare in una scena dove sua sorella Joelle era la protagonista. 
Devin Harvard, un ragazzo del terzo anno che era noto per bullizzare i piccoli togliendo loro il pranzo o dicendogli cose poco carine, stava toccando il braccio di Joelle in un modo che Cameron trovava disgustoso e le stava sussurrando qualcosa all'orecchio. Joelle sembrava terrorizzata. 
Rabbia. Ecco cosa sentiva. Quella rabbia cieca che non era mai riuscito a gestire del tutto e che solo suo padre Derek riusciva a controllare quasi a comando. Quella rabbia che lo aveva portato ad essere l'unico Horan-Lee a non essere bullizzato da nessuno perché temuto da tutti. Era per quel motivo che molti lo definivano il picchiatore. Quando Jason stava ancora a scuola, a Cameron era capitato perfino di proteggere suo fratello maggiore. Lo aveva fatto anche con Clayton ed era convinto che non ci sarebbe stato bisogno di farlo anche con Joelle. Nessuno si sarebbe azzardato ad avvicinarsi alla bambina degli Horan-Lee, perché non solo Cameron, ma anche gli altri due fratelli e i genitori si sarebbero trasformati in belve per proteggere il loro tesoro più fragile e prezioso. Evidentemente si sbagliava. 
Solo un paio di falcate verso Devin. Cameron lo afferrò per il colletto e lo allontanò da sua sorella, che lo guardava sapendo esattamente come sarebbe andata a finire. In nessun altro modo, non quando la rabbia era l'unico sentimento visibile negli occhi di Cameron.
Non c'era bisogno di parole in quei casi. E Cameron aveva bisogno di sfogarsi in qualche modo dopotutto. I pugni continuavano ad essere sferrati sul viso di Devin, che cercava di pararsi e allontanarlo da sé invano. 
"Cam! Cameron, basta!" la voce di Clayton, che adesso teneva Joelle piangente tra le braccia, non arrivava minimamente alle orecchie del maggiore. 
Cameron si fermò solo quando qualcuno lo afferrò per la vita, tirandolo indietro. Ci era mancato pochissimo che colpisse anche colui che stava cercando di fermarlo. Ma quando si accorse che era Aaron, che con le mani alzate in segno di resa davanti a sé e con voce decisa gli aveva detto: "Cameron, fermati", il moro si bloccò, irrigidendosi quasi sul posto. 
Un comando che solo Derek Lee era mai riuscito ad impartirgli e a fargli obbedire. 
"Vieni con me". Aaron, non curandosi del caos che avevano intorno, lo afferrò per il braccio e lo guidò per i corridoi.
Lo portò in infermeria, anche se Cameron non riusciva a capire il perché. "Non c'è mai nessuno qui, come sempre" brontolò Aaron. "Siediti" gli ordinò poi, indicandogli il letto e Cameron continuò ad obbedire restando in silenzio. Guardava ogni movimento del ragazzo più piccolo, che aveva appena preso del disinfettante con del cotone. 
Si avvicinò a Cameron e con due dita gli sollevò il mento. Con quel semplice contatto, il moro rabbrividì. Era il loro primo contatto dopotutto. Nonostante pizzicasse un po', quando Aaron aveva iniziato a pulirgli un taglio sanguinante sullo zigomo che probabilmente Devin gli aveva fatto con le unghia e di cui non si era neanche accorto, Cameron non emise nemmeno un verso.
Continuava a fissare il viso corrucciato, e a parer suo bellissimo, del ragazzo che si stava prendendo cura di lui. 
"Sapevo che avresti portato guai oggi" disse Aaron gettando il cotone e recuperando una pezza umida. Gli afferrò una mano e la pulì del sangue incrostato. "Ti sospenderanno".
"No, mi manderanno dal mio psicologo come al solito e sarà tutto risolto".
Aaron si fermò e lo guardò tristemente, prima di prendere la sua mano destra e fare lo stesso lavoro che aveva appena fatto con l'altra. 
Neanche Aaron sapeva dove avesse trovato il coraggio di far ciò che fece dopo. Allungò il braccio e passò la mano tra i capelli neri morbidissimi, tirandoli un po' indietro.
Cameron aveva perfino chiuso gli occhi e fatto un piccolo sospiro. Solo per un attimo.
Perché quando li aveva aperti, si era reso conto di ciò che era successo e bruscamente allontanò da sé Aaron con il braccio, per potersi alzare in piedi. Uscì dalla stanza senza neanche dire una parola. 
"Prego" sussurrò Aaron, prima di sedersi nel punto in cui era seduto Cameron qualche attimo prima e sospirare.

"L'ho fatto per proteggere Joelle!".
"Cosa avevamo detto sul picchiare la gente, Cameron? Per l'amor di dio!".
"Potete smettere di urlare? Papà ha un po' di pace dal suo mal di testa e sta dormendo finalmente" si intromise Jason, che stava davanti alla porta della cucina, facendo zittire suo padre e suo fratello. 
Derek sospirò mentre Cameron abbassava lo sguardo a terra e il senso di colpa lo assaliva.
"Ne parliamo più tardi, va bene?" chiese Derek, guardando severamente suo figlio, che annuì. Suo padre non aveva più molto tempo per lui, che a diciassette anni avrebbe dovuto smettere di portare problemi.
Cameron uscì dalla cucina per andarsi a chiudere in camera sua. Non durò molto però. Cercando di fare più piano possibile, attraversò il corridoio. La porta della camera di Clayton era aperta: lui giocava con i videogames mentre Joelle dormiva nel suo letto. Quei due bambini erano davvero inseparabili. Proseguì fino alla porta della camera da letto dei suoi genitori e l'aprì delicatamente. Nella penombra riusciva comunque a distinguere l'interno.
Suo padre dormiva sul fianco e lui occupò l'altra metà del letto, guardandolo in faccia. Solo mentre dormiva il suo viso sembrava essere rilassato e il suo corpo non sofferente. Cameron aveva bisogno di un abbraccio. Si avvicinò ancora di più e suo padre risolse il problema, perché automaticamente nel sonno gli passò un braccio intorno alla vita. Cameron seppellì il viso nel petto dell'uomo più grande. "Cam" sussurrò Lucas con gli occhi ancora chiusi, dopo aver inspirato l'odore dei capelli morbidi di suo figlio e lasciandogli un bacio sopra. Cameron serrò gli occhi cercando di non piangere, perché suo padre gli aveva dimostrato con una semplice parola e un gesto di essere perfettamente lucido. "Sì, papà. Sono io" sussurrò con la voce incrinata. Non voleva neanche svegliarlo, ma Lucas non riusciva poi a parlare così tanto, perciò non disse altro e tornò a dormire, stringendo suo figlio a sé. A Cameron bastava quello, che suo padre lo tenesse mentre piangeva silenziosamente.

Cameron stava tremando di freddo. Era in costume, completamente bagnato dopo una nuotata, seduto sul bordo della piscina con solo le gambe in acqua. 
Era perso nei suoi pensieri, tanto che non si era accorto dello spettatore che aveva avuto tutto il tempo.
Quando lo spettatore si era stancato di vederlo tremare, andò a recuperare un telo e lo mise sulle spalle di Cameron. Il moro sobbalzò e si voltò di colpo. "Oh, sei tu" disse, guardando Aaron dal basso e stringendosi nel telo, rilassandosi di nuovo.
"Quanto entusiasmo" borbottò il ragazzo dai capelli chiari, sedendosi per terra accanto a lui, ma abbastanza lontano dal bordo da non bagnarsi. 
"Come stai?" chiese poi, non avendo ricevuto alcun commento alla sua frase ironica.
"Che ti importa?". Sempre diretto. Sempre pieno di barriere. 
"Cam".
"Non chiamarmi Cam. Noi non siamo amici e il mio nome è Cameron".
"Certo che sei proprio antipatico".
"Grazie del complimento" sbuffò divertito.
"Hai paura".
Quella frase buttata lì, fece voltare di colpo Cameron. "E di cosa, scusa?". 
"Devo ancora capirlo".
"Tu non sai niente di me".
"So più di quanto tu creda, ragazzo di tenebra".
Il moro ringhiò quasi e si avvicinò al viso del ragazzo, che trattenne il fiato per la troppa vicinanza.
"Sta lontano da me" gli sussurrò con un tono così basso da mettere i brividi. Poi si alzò e lasciò il ragazzo più piccolo lì da solo. Aaron sospirò, ma ovviamente non avrebbe rinunciato affatto. Perché Cameron gli aveva fatto perdere la testa già allora e lui voleva scoprire quei lati nascosti, che era sicuro avesse. Ai suoi occhi erano davvero troppo intriganti.

Cameron non riusciva a smettere di pensare ad Aaron negli ultimi giorni. Nonostante gli avesse detto che doveva lasciarlo in pace, ogni mattina era lì davanti a lui, accanto ai loro armadietti, con un dolce sorriso sulle labbra. Un sorriso disarmante, da cui Cameron fuggiva continuamente. Sembrava essersi trasformato in quel periodo, tutta la sua sicurezza sparita nel nulla e ad Aaron non piaceva per niente. 
Era per quello che iniziò a stuzzicarlo. Ancor peggio di quando lo facevano a vicenda. Stuzzicarlo? Beh, forse era più un cercare continuamente di farlo arrossire. Aveva iniziato a farlo solo con lui e Aaron si sentiva quasi onorato. Lo trovava davvero adorabile.
"Che shampoo usi?".
Cameron sbarrò gli occhi, ma non lo guardò neanche. Rimase in silenzio, ignorandolo completamente. 
"Ti alleni anche in palestra? O il tuo culo è sodo già di natura?".
Nessuna risposta. 
"Ti rendono sexy gli occhiali, lo sai?".
Niente.
"La smetti di ignorarmi, cazzo? Non esisti solo tu".
Frase sbagliata, con il tono sbagliato. Reazione di Cameron istantanea: lo afferrò per il braccio con poco grazia e lo portò nell'aula che avevano affianco, quella con il videoproiettore, completamente vuota. 
"Mi dici che cazzo vuoi da me, Aaron?".
"Voglio sapere che cosa ti sta succedendo in questo periodo". 
Cameron sbuffò. "Non mi sta succedendo niente. E anche se fosse non sono cazzi tuoi" disse, allontanandosi dal ragazzo e sperando di rendere conclusa la questione. 
Evidentemente Aaron non era dello stesso parere. "Dove diavolo sono finiti i tuoi sorrisini? Le tue occhiate che sembrano spogliarmi completamente? I tuoi 'buongiorno, principessa'?". 
Cameron si mise a ridere in modo cattivo. "Oh, quindi è la tua cotta per me il problema. Mi dispiace, ma per me sei solo un giocattolo, che adesso non mi diverte più".
Dire che Aaron si sentì ferito da quelle parole era dir poco. Cercò di trattenersi dal mettersi a piangere. "Sei uno stronzo! Un grandissimo pezzo di merda con il cuore di ghiaccio! Io non sono affatto cotto di te. Credevo solo che la gente si sbagliasse, che la tua anima non fosse nera come i tuoi fottuti capelli, ma forse ero io che mi sbagliavo!" non riuscì a trattenersi dal dire a voce più alta del normale.
"Tu non mi conosci, cazzo!" urlò Cameron di rimando. La rabbia lo stava montando dal profondo, ancor peggio del solito. Da entrambe le parti stavano uscendo di bocca parole pesanti, che in realtà nessuno dei due pensava davvero e che facevano veramente male.
"Solo perché tu non me lo permetti. Io ci sto provando, Cameron. Vorrei solo aiutarti". 
Il moro gli diede le spalle e si portò le mani alla testa. Tremava di rabbia, ma anche di frustrazione, una reazione che raramente gli era capitata. Serrò la mascella e gli occhi. "Non ho bisogno di aiuto" sussurrò a denti stretti. 
"A me non sembra" disse dolcemente Aaron, avvicinandosi all'altro e poggiandogli una mano sulla schiena. Cosa che fece scattare Cameron immediatamente. In un attimo si era girato e aveva spinto Aaron contro il muro, bloccandolo con l'avambraccio contro il petto. 
Aaron rimase un attimo senza fiato per la botta alla schiena. Entrambi si fissavano negli occhi, il verde immerso nelle tenebre. 
"Non ho paura di te" sussurrò Aaron. Sapeva che non gli avrebbe mai fatto del male.
"Dovresti, visto che credi a ciò che dicono gli altri".
"Dicono anche che hai ucciso della gente. O che l'hai stuprata. Ti considerano un mostro. Io credo che a parte qualche scazzottata o intimidazione, non hai mai fatto del male a nessuno. Un mostro? No, non lo sei".
Cameron continuava a fissarlo senza lasciarlo andare. "Hai detto che la mia anima è nera".
"Credo lo sia solo il rivestimento, che inganna gli altri. Tutti coloro che si fermano in superficie. Al suo interno c'è una luce immensa che riesce a vedere solo chi vuoi tu. Lasciala vedere anche a me, ti prego".
Ciò che fece dopo Cameron, sorprese davvero entrambi. Al posto di lasciarlo andare, rafforzò la presa. Mise una mano dietro al collo di Aaron e chiuse la distanza, facendo scontrare le loro labbra insieme. Aaron spalancò gli occhi per la sorpresa, ma fu solo questione di attimi, perché dopo spostò il braccio di Cameron ancora sul suo petto e intrecciò le sue braccia intorno al collo dell'altro, per poter ricambiare il bacio. Lasciò entrare la lingua del più grande volentieri e lottarono tra di loro perfino con i denti. Le mani di Cameron si spostavano sul corpo dell'altro, assaporando quel bacio quasi disperato, fino a quando non si separarono un po' per riprendere fiato. I loro respiri caldi erano pesanti e le loro fronti a contatto. 
"Una cosa che dicevano era vera, allora" sussurrò Aaron, facendo passare le dita tra i capelli neri di Cameron. 
"Cosa?".
"Che sei gay e che baci come un diavolo tentatore".
E Cameron scoppiò a ridere. Il sorriso sul viso di Aaron diventò indescrivibile. "È la prima volta che ti sento ridere".
A quel punto il cellulare di Cameron iniziò a vibrare nella tasca dei suoi jeans. 
"C'è qualcosa che si fa sentire lì giù. E sfortunatamente non è ciò che hai tra le gambe" disse Aaron, facendo arrossire Cameron, che si allontanò un po' per poter recuperare il cellulare. 
"Scusa" disse, guardando il viso di suo fratello Jason sul display. Doveva rispondere. "J?".
"Dove sei?" la voce dietro al telefono era così acuta e nel panico che la sentì anche Aaron. A Cameron chiuse lo stomaco.
"Io... A... A scuola, ovviamente. P-perché?". Sentire il moro balbettare, sconvolse Aaron.
"Sto andando in ospedale". Il viso di Cameron sbiancò. "Papà ha avuto una crisi, ha perso conoscenza e...".
"Vienimi a prendere" l'urgenza nella voce di Cameron iniziò a spaventare Aaron.
"Sono già quasi in ospedale, Cam. Zio Thomas passa a prendere i piccoli e li porta a casa loro. Puoi andare con loro, se ti va".
Gli occhi di Cameron si riempirono di lacrime. "No, non mi va!" disse con voce incrinata. Se suo fratello maggiore stava cercando di mantenere il controllo al telefono, Cameron proprio non ci riusciva. "Voglio venire lì. Come faccio a raggiungervi se non vieni qui? Cazzo, J!" il suo respiro accelerò.
A quel punto Aaron si intromise. "Cam, ho la macchina parcheggiata qui fuori. Posso accompragnarti dove vuoi".
Il ragazzo puntò gli occhi neri acquosi su Aaron. "Sì, ti prego" sussurrò.
Chiuse la conversazione con suo fratello senza neanche dargli spiegazioni e i due ragazzi si affrettarono ad uscire da scuola e a raggiungere la macchina di Aaron. 
"Dimmi dove devo andare".
"In ospedale".
Durante il tragitto, Cameron aveva chiuso gli occhi e poggiato la testa contro il finestrino e nonostante fosse chiaro il messaggio, Aaron volle chiedere ugualmente: "Cam, che succede?".
Lunga pausa di silenzio. "Mio padre ci lavora in ospedale". Frase quasi senza senso, che convinse Aaron a lasciar perdere. 
E l'altro mio papà tra poco inizierà a viverci in ospedale. Proprio non riusciva a dirlo ad alta voce. Aveva una voragine nel petto. 
Quando arrivarono a destinazione, Cameron guardò il guidatore per un attimo. "Grazie" disse a voce bassa. Aaron prese la mano del moro e se la portò alle labbra per baciarla. 
Cameron poteva leggere chiaramente nello sguardo dell'altro che si aspettava delle risposte. E sarebbero arrivate, ma non in quel momento. I loro sguardi furono un tacito accordo.
Cameron aprì lo sportello e uscì senza aggiungere altro.

Aaron adorava accarezzare con le dita quei capelli di seta nera. Cameron era poggiato con la schiena sul petto dell'altro ragazzo e adagiato tra le sue gambe aperte. Il letto di Aaron era così comodo che Cameron rischiava di addormentarsi sotto a quelle carezze. 
"Sai dov'è l'unica macchia nera?" sussurrò Cameron. Aaron rimase in silenzio, aspettando che proseguisse. "L'unica che vedo... Nella testa di mio padre". Una lacrima calda gli solcò la guancia.
"Cam".
Cameron intrecciò le loro dita, aggrappandosi a quel contatto. "Quando abbiamo scoperto che cos'era..." si interruppe. "Dio mio, perché deve essere così difficile?". Le lacrime scesero senza che potesse più fermarle.
"Ha un tumore al cervello, vero?" sussurrò Aaron, cercando di far andare via il groppo in gola.
Cameron annuì e si girò un po' per affondare il viso nel collo dell'altro. Adesso capiva perché Cameron era cambiato nell'ultimo periodo, cosa stava affrontando.
"Piccolo, andrà tutto bene" gli sussurrò, baciandogli la testa.
"Resterai con me?" chiese Cameron, afferrando la maglia nera di Aaron.
"Ti sosterrò fino a quando non mi chiederai di lasciarti andare" rispose, asciugando con la mano le ultime tracce di lacrime sul viso del moro.
"Aaron?".
"Sì, Cam?".
"Hai trovato la luce che cercavi in me?".
"Oh altroché, mio angelo di tenebra" rispose con un piccolo sorriso, al quale Cameron ricambiò, prima di baciarlo dolcemente sulle labbra.
"Credo di amarti, Aaron".
"Credo di amarti anche io, Cameron. Anzi, vuoi sapere la verità? Io so proprio di amarti".





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