"Demelza,
oggi mi avete stupito. Non credevo che avreste firmato così,
senza
battere ciglio".
La
voce sgradevole di George la raggiunse alle spalle, appena raggiunta
la porta d'uscita della sede della Warleggan Bank. Si chiese
perché
finisse sempre così, perché la inseguisse ad ogni
fine di riunione
e la bloccasse per infiniti minuti, invece che andarsene per la sua
strada. Alzando gli occhi al cielo, di uno splendido e terso azzurro
estivo, si mise in testa il cappello per ripararsi dal calore del
sole. "Perché non avrei dovuto farlo? La vostra era una
proposta ragionevole, ben pensata, non dannosa per i nostri creditori
e soprattutto proficua per me e per i miei soci".
George
le si affiancò. "Certo! Ma era una specie di... trappola!
Ero
convinto che, nonostante tutte queste motivazioni, per il semplice
fatto di farmi dispetto, non avreste firmato".
Demelza
sbuffò con fare annoiato. "Così mi offendete ed
offendete la
mia intelligenza. Stiamo parlando di affari, non siamo bambini".
"Ma
i nostri trascorsi...".
Demelza,
con un amabile sorriso, si voltò verso di lui. "Come vi ho
appena detto, si sta parlando di denaro, non di questioni personali.
Siamo professionisti, George".
Di
tutta risposta, l'uomo divenne rosso di rabbia. "Siete una donna
e il vostro posto dovrebbe essere a casa, a curare le faccende
domestiche e i figli. Ne avete due, se non mi sbaglio, giusto?
Prendetevi cura di loro e mandate alle riunioni i vostri soci, mi
risulta che i fratelli Devrille siano in società con voi e,
in
quanto uomini, hanno più titoli per sedere al consiglio di
amministrazione della Warleggan Bank di quanti ne abbiate voi".
Demelza
picchiettò il piede, nervosa. Odiava i discorsi maschilisti
e George
le faceva venire l'orticaria, quando lo aveva fra i piedi.
Sì,
avrebbe volentieri ceduto il suo posto a Martin o ai suoi fratelli
pur di non vederlo, ma non lo avrebbe mai fatto perché
avrebbe
preferito la tortura piuttosto che dargli quella soddisfazione. "I
fratelli Devrille non vi hanno molto in simpatia, George. Anzi, vi
detestano proprio! Preferiscono lasciare a me l'onore di avere a che
fare con voi e sono assolutamente soddisfatti dei risultati che ho
ottenuto fin'ora. Dovrete sopportarmi ancora, quindi".
George
alzò il dito indice verso di lei, ad indicarla. "Demelza
Poldark, voi siete una donna testarda e assolutamente impossibile.
Credo che non abbiate ancora capito qual'è il vostro posto
nel mondo
e sono convinto che qualcuno dovrebbe insegnarvelo".
"Quale
sarebbe, il mio posto? Cosa dovrei fare per compiacervi?".
"Starvene
a casa, come fa mia moglie. Prendete esempio da Elizabeth, lei
è
perfettamente consapevole di cosa debba o non debba fare e sa stare
al suo posto".
"Bisogna
vedere cosa intenda Elizabeth, per suo posto...". Demelza
sorrise freddamente. Accidenti, ogni volta che George nominava
Elizabeth, le veniva la grandissima voglia di raccontare a quel
pallone gonfiato tutta la verità sulla sua dolce mogliettina
e di
infrangere il suo mondo perfetto. "Elizabeth è Elizabeth e
io
sono io. Non sono nata, come lei, per compiacere un uomo. E nemmeno
per fare la bella statuina da mostrare con orgoglio ai vostri
ricevimenti importanti. Avete sposato la vostra donna perfetta e
avete con lei la vostra perfetta famiglia. Godetevela".
George,
sempre più rosso di rabbia, le si avvicinò viso a
viso. "Io
non vi sopporto".
Demelza
sorrise di nuovo, freddamente. "Nemmeno io. Ma per una volta
voglio venirvi incontro, andandomene da qui subito. Come mi avete
ricordato poco fa, ho due figli a casa che mi aspettano, e ora che
è
arrivata l'estate vorrei passare del tempo con loro all'aperto. Buona
giornata, George".
Si
allontanò a passi lenti, gustando il calore del sole sulla
pelle
scoperta delle braccia. Adorava la moda londinese e quegli abiti
estivi di seta, dalle maniche corte, a sbuffo, eleganti e allo stesso
tempo comodi e freschi da portare. Era d'umore terribilmente buono e
nemmeno le imprecazioni di George, che gli giungevano alle spalle
urlandogli che cominciava a provare compassione per Ross per averla
avuta come moglie, sarebbero riuscite a turbarla. Quasi divertita,
ridendo fra se e se, si allontanò per le strade di Londra,
colorate
e caotiche, che parevano essersi risvegliate dal grigiore invernale
in quei primi giorni di quella piacevolissima estate.
Di
tanto in tanto, strada facendo, si fermò ad osservare le
vetrine dei
negozi più eleganti, quasi stupendosi ancora del fatto che,
se
avesse voluto, sarebbe potuta entrare e comprare senza problemi
qualsiasi cosa lei volesse. Era strano non essersi ancora abituata a
quel tenore di vita e sentirsi invece ancora così legata
alle sue
origini anche se, ripensando alla conversazione con George di poco
prima, questo la salvava dal diventare davvero, un giorno, una donna
come Elizabeth.
Quando
giunse davanti a casa sua, a pochi passi dal cancello, una figura
piuttosto nota che sostava davanti ad esso la bloccò. Bene,
era la
giornata degli scocciatori... "Signor Smith, com'è che vi
trovo
sempre a bighellonare davanti a casa mia?" - chiese,
avvicinandosi di soppiatto.
Il
finanziere, appena la vide, si esibì in un sorriso falso ed
ipocrita, inchinandosi. "Signora, stavo per chiamare la
servitù
per farmi ricevere, ma vedo che non ce n'è bisogno. Sono
passato per
sapere come state e se avete pensato alla mia proposta".
Aprendo
il cancello con le chiavi, sospirando e dandogli le spalle, Demelza
scosse la testa. Stava diventando insistente, troppo per i suoi
gusti. "No, non ci ho pensato per il semplice fatto che non ho
intenzione di vendere quelle azioni".
"D'accordo,
smettiamo di giocare, signora! Quanto volete per le quote della
Northern? E' la cifra che volete concordare, giusto? Ditemela,
smettetela di fare la preziosa e concludiamo l'affare".
Demelza
si voltò verso di lui, infischiandosene di dimostrargli
quanto la
sua presenza la infastidisse. "Come vi ho detto, non voglio
vendere! E ora, se volete scusarmi, vorrei entrare in casa. I miei
figli, insieme a una cara amica che oggi doveva passare a farmi
visita, mi aspettano".
"Siete
una donna davvero testarda, lo sapete?".
Demelza
alzò le spalle. "Siete la seconda persona che me lo dice,
oggi.
Comincerò a prenderlo come un complimento".
Smith
le si avvicinò di alcuni passi. "Sapete, bighellonando qui
davanti, in attesa del vostro arrivo, ho visto i vostri due figli
giocare in giardino. Due gran bei bambini, davvero...".
Una
strana rabbia prese possesso di lei. Come osava stare ad osservare i
suoi figli, quell'uomo? Cosa diavolo voleva insinuare, citandoli,
cosa voleva da lei? "State lontano da casa mia. E soprattutto,
state lontano dai miei figli" – disse, scandendo bene parola
per parola.
"E
invece tornerò, di tanto in tanto. Un giorno cederete".
Demelza
non rispose e, nervosa, lo guardò allontanarsi. Quell'uomo
la
inquietava e le dava l'impressione di essere un tipo senza scrupoli,
come la maggior parte dei finanzieri che conosceva, dopo tutto.
Scosse la testa, sperando di non vederlo per un bel po'. Non gli
avrebbe permesso di rovinargli la giornata, non con quel sole
stupendo, non nel giorno in cui poteva godersi i suoi figli nel loro
giardino, senza altri impegni a separarla da loro, non con Caroline
che le aveva promesso di venire a trovarla, dopo gli ultimi mesi in
cui si erano viste pochissimo.
Quando
arrivò nel retro del giardino, i bambini le corsero
incontro. Jeremy
le saltò al collo, baciandola sulla guancia, e Clowance, che
ormai
correva veloce quanto e più del fratello, si fece prendere
in
braccio. "Ciao bimbi, cosa state facendo?" - gli chiese,
allegra.
Jeremy
corse verso Garrick. "Gli voglio insegnare a riportarci i giochi
che gli lanciamo, ma non ci ascolta".
Demelza
scoppiò a ridere, rimettendo a terra Clowance. "Bambini,
Garrick è anziano ormai e non ha voglia di correre avanti ed
indietro in giardino per riportarvi i vostri giocattoli".
"Ma
io voglio insegnargli lo stesso" – insistette Jeremy.
"Stesso"
– ripeté Clowance.
"Fate
come volete, ma non tormentatelo troppo". Li lasciò ai loro
giochi, sotto lo sguardo attento di Mary che li osservava dalla
scalinata dov'era seduta facendo l'uncinetto. Poi si
avvicinò alle
due altalene in fondo al giardino, su una delle quali aveva scorto la
figura elegante di Caroline che la stava aspettando. "Scusa il
ritardo ma ho avuto delle scocciature, strada facendo" –
disse, abbracciandola.
Caroline
sorrise, risiedendosi sull'altalena. "E' piacevole stare qui a
dondolarsi, sotto l'ombra delle piante del tuo giardino! Hai avuto
una bella idea a comprarle per i bimbi".
Demelza
si sedette sull'altalena a fianco, dondolandosi debolmente. "Non
glie le ho comprate io".
"E
chi è stato?".
"Martin,
chi se non lui?" - rispose, divertita. "Sai com'è fatto,
basta che veda Clowance o Jeremy osservare un gioco e lui glie lo va
a comperare subito".
Caroline
annuì. "Beh, le altalene sono divertenti".
Demelza
rise. "Ma i bimbi ci salgono poco, la uso più io di loro. Da
piccola non avevo giocattoli e credo di averne desiderati, senza mai
essere stata accontentata". Si voltò verso di lei, sembrava
raggiante. "E tu, che mi racconti? Sono mesi che scompari nel
nulla per settimane e poi quando ci vediamo fai tutta la misteriosa.
Che sta succedendo?".
"Guarda!".
Caroline, orgogliosa, le mostrò la mano sinistra, dove
spiccava un
piccolo anello di cuoio all'anulare. "Mi sono fidanzata! La
prossima primavera, fra nemmeno un anno, mi sposo".
"Cosa?".
Demelza spalancò gli occhi. Era senza parole, sorpresa e
allo stesso
tempo infinitamente felice per lei! "Ti sei fidanzata e non mi
hai detto niente? Quando? Come? E con chi?".
Caroline,
con fare malizioso, si morse il labbro. "Due mesi fa, con un
uomo stupendo che mi farà felice. Tu sarai la mia testimone
di
nozze, la mia damigella personale, sappilo e preparati, hai nove mesi
per farlo!".
"Ma
certo, sarà un onore per me. Ma chi è il
fortunato?".
Sospirando,
Caroline distolse lo sguardo da lei. "Non te lo dico, per
adesso".
"Perché?".
"Perché
se lo facessi, tu poi non vorresti venire al matrimonio e io ti
voglio al mio fianco. Meglio metterti davanti al fatto compiuto,
quando non potrai scappare".
Demelza
la guardò storto e poi scoppiò a ridere, senza
capire il senso di
quello strano discorso. Passò in rassegna, mentalmente,
tutti i
partiti della Londra-bene, cercando di capire chi potesse essere
quest'uomo misterioso che a lei poteva non piacere, tanto da
spingerla eventualmente a non partecipare al matrimonio.
Improvvisamente, un sordo terrore prese possesso di lei, unito a un
senso di stupore. "Non mi dire, è uno degli azionisti della
Warleggan Bank? Ti prego, non dirmi che mi troverò tutto il
consiglio di amministrazione al tuo matrimonio, insieme a George e
alla sua perfetta famiglia".
Caroline
scoppiò a ridere. "Ahah, chissà! Non-te-lo-dico".
Clowance,
giunta di corsa, saltò sulle gambe di Demelza, interrompendo
i loro
discorsi. "Mamma, veniiii" – urlò, contenta.
Demelza
la strinse a se, baciandola sulla guancia. Era diventata uno
splendore sua figlia, con dei boccoli rossi e morbidi a colorargli la
testolina e due guance piene a ornarle il visino paffuto e simpatico.
"Un attimo amore, devo capire cosa passa nella testa di zia
Caroline".
Clowance
osservò l'ereditierà poi sospirò,
sciogliendosi dalla testa i due
nastrini che le tenevano legati due codini.
"Ah,
Clowance" – si lamentò Demelza, trovandosi i
nastri fra le
mani. "Non sopporta proprio di avere roba in testa, ma le vanno
i ciuffi negli occhi" – disse, rivolta all'amica.
Caroline
osservò la bimba. "Me la presti, tua figlia, per il
matrimonio?
Per portare gli anelli, intendo".
"Clowance?
Ma è piccola, non credo che ne sarebbe capace, senza
distrarsi".
"Ci
eserciteremo, prestamela per qualche giorno, ogni tanto, me la tengo
a casa tutto il giorno e insieme proveremo e decideremo pure i vostri
abiti. Sarebbe carinissimo se ne aveste due uguali, tu e lei".
Demelza
osservò sua figlia e poi Caroline. In effetti, quella
proposta
poteva tornarle utile per una serie di motivi. "Dimmi solo una
cosa! Non è uno della Warleggan, vero?".
"Non
lo è".
"E
allora d'accordo, ti lascio Clowance. Anzi, mi faresti un piacere a
tenerla, di tanto in tanto. Jeremy vuole imparare a leggere e ho
assunto un istitutore che dovrebbe cominciare a venire qui da
settimana prossima, il martedì e il giovedì.
Senza Clowance e
disturbarli, farebbero lezione con più
tranquillità. Se te la
portassi in quei giorni al mattino, prima di andare alla locanda, e
tornassi a prenderla di sera, a fine lavoro, per te sarebbe un
problema?".
Caroline
annuì, accarezzando i capelli della bimba. "Nessun problema,
io
e la principessina ci divertiremo da matte insieme. Vero Clowance?".
"Vero"
– rispose la piccola, saltando giù dalle gambe
della madre e
correndo verso Garrick e Jeremy.
Caroline
guardò i due bambini giocare contenti, insieme. Poi,
tornando più
seria, si voltò verso Demelza. "Posso chiederti quando glie
lo
dirai di lei, a Ross?".
Stupita
da quel cambio di tono repentino, Demelza si oscurò. "Cosa
c'entra Ross, adesso?".
L'amica
alzò le spalle. "Così... Presto sarò
una donna sposata,
magari avrò figli e mi chiedevo come riuscissi a gestire una
situazione tanto complicata. Con Ross a condividere le
responsabilità, avresti meno preoccupazioni, saresti
più tranquilla
e a posto con la tua coscienza".
"Io,
con la mia coscienza, sono assolutamente a posto".
"Demelza,
Clowance è sua figlia e per quanti errori lui abbia
commesso, credo
che abbia il diritto di sapere che lei esiste. E di vedere anche
Jeremy".
Lo
sguardo di Demelza si perse dietro ai figli, con un velo di tristezza
sul volto. "Non gli è mai importato di noi e ormai abbiamo
vite
separate. Non voleva Jeremy e di certo non vorrebbe Clowance.
Sarebbero un peso per lui, come lo sono stata io".
"Questo
non puoi deciderlo tu, a prescindere. Che ne sai?". Indicò i
due bambini che, contenti, giocavano col loro cane. "Sono
meravigliosi, li adorano tutti quanti e Ross si scioglierebbe, se li
vedesse. Guardali! Jeremy è un ometto, non ha nemmeno cinque
anni e
già vuole imparare a leggere, sarebbe l'orgoglio di ogni
padre. E
Clowance è un amore di bambina, di una bellezza rara e di
una
cocciutaggine e simpatia uniche. Io credo che li amerebbe da morire,
se avesse l'opportunità di incontrarli".
Demelza
scosse la testa. "Succederebbe come dici tu, li adorerebbe se
fosse stata Elizabeth a metterli al mondo. Ma la loro madre sono...
solo...
io... E non
era con me che voleva costruire una famiglia, lui la voleva con
Elizabeth. Io e i bambini siamo stati solo un diversivo per lui,
finché c'era Francis. Dopo la sua morte e con Elizabeth
finalmente
libera, noi a Ross non servivamo più. Era a lei che pensava,
ai suoi
bisogni, era lei che voleva".
"Ha
commesso molti errori ma magari li ha capiti ed è pentito di
quello
che ha fatto. Demelza, pure io farei fatica a perdonare un tradimento
ma è stata una sola notte e magari...".
Demelza
si voltò verso di lei, con aria afflitta. "Non è
stata solo
una notte... Sono state tante notti, tanti giorni in cui per lui non
esistavamo, in cui desiderava solo che scomparissimo per lasciarlo
libero di vivere con chi voleva, come desiderava. Il tradimento di
una notte potevo anche perdonarglielo ma mi feriva di più
pensare
che oltre a me, giorno dopo giorno, tradisse anche Jeremy. Non
contava nulla per lui. Eravamo senza soldi, non sapevamo quasi cosa
mettere sulla tavola per mangiare e lui correva da Elizabeth a
giocare con lei e suo figlio alla famiglia felice, incurante del
fatto che potessimo avere bisogno di lui e che ci stesse facendo
soffrire. Ha venduto, senza dirmelo, le sue quote delle Wheal
Leisure, ne ha ricavato 600 ghinee che ha regalato ad Elizabeth
perché stesse bene, incurante del fatto che suo figlio non
avesse di
che mangiare. E l'ho scoperto per caso, molti mesi dopo,
perché un
conoscente me lo ha riferito. Lui non si era nemmeno degnato di
dirmelo...".
Caroline
abbassò lo sguardo, a corto di parole. "Mi dispiace, non lo
sapevo".
"Quindi"
– proseguì Demelza – "non sto a sperare
in qualcosa che non
succederà mai, non rischio la serenità dei miei
figli andando a
cercare qualcuno che so già che non avrebbe né
cura né amore per
noi. E' inutile che io contatti Ross per dirgli dei bambini
perché
le risposte che potrebbe darmi, io le conosco già. I miei
figli ora
sono sereni, circondati dall'amore di tante persone che per loro sono
una famiglia. E mi va bene così".
"Ma...
non dirai mai nulla a Jeremy e Clowance, di lui? Non hanno diritto di
sapere?".
"Quando
saranno adulti, se lo vorranno, glie ne parlerò. E saranno
liberi di
prendere le decisioni che riterranno più opportune. Ma ora
sono
piccoli, hanno solo me ed è mio il compito di proteggerli e
difenderli da un padre che finirebbe solo per deluderli e farli
soffrire. Io sono adulta, posso sopportare di non contare nulla per
lui, ma loro no. Non sarebbe giusto".
Caroline
abbassò lo sguardo. "E se fosse cambiato? Se avesse capito i
suoi errori? Se ti amasse?".
Demelza
scosse la testa. "E' troppo tardi, ormai".
"Sai
che sei testarda?" - sbottò l'ereditiera.
"Sei
la terza persona che me lo dice, oggi".
Caroline
sbuffò. "Bene, riflettici su questa cosa!".
"Non
sono testarda, sono realista".
"Dimmi
una cosa, non lo ami più?".
"Amo
i miei figli".
"Non
hai risposto alla mia domanda" – insistette Caroline.
Demelza
si dondolò sull'altalena, fissando il vuoto. "Quando penso a
lui, mi sento vuota, inutile, imperfetta, come mi ha fatta sentire
per anni. Non so cosa provo, forse semplicemente odio verso me stessa
perché non riesco a lasciarmelo del tutto dietro le spalle.
Ed è la
cosa più stupida da fare perché lui per me non ha
mai avuto un
briciolo di considerazione o amore, ma non posso farne a meno. Come
ti ho detto, ero solo una consolazione, una che gli scaldava il letto
e gli teneva pulita la casa, finché ne ha avuto bisogno".
Caroline
si alzò dall'altalena, avvicinandosi e abbracciandola. "Non
dire così, tu sei stupenda e Ross avrebbe dovuto baciare il
terreno
dove camminavi".
"Non
pretendevo così tanto,volevo solo che mi amasse. Ma non
è andata
così ed ora è troppo tardi".
Caroline
scosse la testa. "Non volevo intristirti, scusa. Forse dovrei
andare a casa e lasciarti alla compagnia dei bimbi".
"Mi
terrai Clowance, allora?".
"Me
la presti per gli anelli?".
"Certo"
– rispose Demelza, finalmente con un sorriso.
Caroline
annuì, scompigliandole scherzosamente i capelli. "E allora
sarò
la tua bambinaia per tutta l'estate".
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