«Mariceli, sei
qui?»
«Sei ancora sveglio?»
«Non riesco a dormire».
«A cosa pensi?»
«A
te. Alle storie che
racconti di notte. Perché ti siedi con noi e inventi
qualcosa
per non farci avere paura».
«Le storie sono come le luci nel cielo, Cassian. Servono per
far passare la paura».
«Vorrei che mi spiegassi come fai».
«A raccontare storie?»
«A
far passare la paura».
«E perché lo vorresti sapere?»
«Perché prima il Capitano Halos mi ha detto una
cosa a cui non avevo mai pensato».
«Che ti ha detto?»
«Che non ci sarete per sempre».
Il giorno in cui Travia Chan creò il Gruppo
Resistente di
Atrivis, unendo per sempre le forze ribelli di Fest con quelle
liberatrici del
Sistema di Mantooine, noi dell’FRG ci sentimmo
inevitabilmente traditi. I
miei
due compagni di stanza (troppo taciturni perché io ne
ricordi il
nome a così tanti anni di distanza), lasciarono quella che
con solennità chiamavamo “la
Resistenza” per passare beceramente all’Impero.
«Meglio inculati la con divisa che inculati con le palle al
freddo e coi
mantooiani intorno», mi disse uno di loro poco prima di
sbattere
la porta e, passata la sorpresa di sentirgli dire più di tre
parole nella stessa frase, mi sedetti sulla mia branda a contemplare la
stanza nella sua vuota solitudine.
Quel giorno compivo sedici anni.
Ricordo che fuori nevicava, ma che stranamente non avevo freddo.
Rivivendo oggi quei momenti di completo abbandono, penso che
involontariamente mi stessi preparando ad affrontare
l’inverno
con le mie sole forze. “
Un
uomo sopravvive anche se la neve
lo
seppellisce”, mi aveva detto anni prima Travia
Chan,
mettendomi
in mano un fucile il giorno stesso in cui mio padre era stato portato
via dagli imperiali. “
Giovane
Harkor, hai molte battaglie da
vincere prima di diventare un soldato”.
Siccome a sedici anni mi reputavo molto più uomo di quanto
non
mi reputi ora, mi imposi di non lasciarmi abbattere e approfittai del
ritorno in patria della Squadriglia Anima per farmi vezzeggiare un poco
da Terras Cunha, unico amico di mio padre ancora interessato a me che
faceva pilota per conto di Travia Chan. Ufficialmente le tratte erano
commerciali; in realtà, allora come oggi, la Squadriglia
Anima di
commerciale aveva ben poco.
Quella sera, Terras Cunha mi accolse con il suo solito umore
(cioè pessimo).
Ci
incontrammo al tavolo dell’unica bettola di Fest in cui non
si
congelava per via dell’orripilante clima del mio pianeta
natale, ma finimmo con l'aver freddo lo stesso poiché
qualcuno aveva ben pensato di sfondare le finestre venti minuti dopo
l'inizio della bufera.
Trovai Cunha incredibilmente invecchiato: aveva completamente perso i
capelli, e sotto agli
occhi gli erano spuntati due pesanti aloni violacei, oltre che un fiume
di rughe sulla fronte. Mi fece un cenno
del capo quando mi vide avvicinarmi (il suo modo per farmi intendere
che era contento di vedermi in forma) e io gli sorrisi di risposta, ben
lieto di ritrovarlo, se non pimpante, almeno vivo.
«Mi hanno detto che ti sei dato una regolata»
esordì, portandosi alle labbra un bicchiere di liquore.
«Ti vedo bene, Cassian Harkor».
Mi sedetti al tavolo, ben attento a sfoggiare il blaster E-5 che ero
riuscito a rubare da un vecchio deposito di Travia Chan e che ora
portavo attaccato alla cintura. «Lo stesso per te, Terras
Cunha».
«Guardalo un po’, il figlio di Krasin. Smilzo come
lui,
avete anche lo stesso brutto naso. Che cosa combini, in questo posto di
merda?»
Alzai le spalle, dandomi le solite arie che un ragazzino pieno di
sé si dà quando si trova davanti a un adulto.
«Sopravvivo» dichiarai, orgoglioso.
Cunha alzò entrambe le sopracciglia, deciso a non scomporsi,
poi si fece subito serio. «Sta' a sentire» mi disse
a
bassa voce, scoccandomi un'occhiata circospetta.
«C’è una cosa per te. Krasin non ti
avrebbe mai
fatto crescere qui, io lo so bene. Perciò, consideralo il
mio
regalo di compleanno per te che adesso stai diventando un
uomo».
Non mi lasciai vedere entusiasta. «Spara»
brontolai. In realtà, fremevo dalla curiosità.
«Lascio la Squadriglia Anima per un po’ di tempo, e
vorrei che venissi con me».
Mi accigliai. Chi mai avrebbe potuto lasciare un gruppo così
ammirato e benvoluto in tempi così poco incoraggianti? La
Guerra
dei Cloni era finita da un pezzo, ma Fest faticava ancora a ingranare
un’economia che andasse oltre la mera sussistenza.
«A chi
ti vuoi unire?» domandai, facendomi sospettoso. Forse la
domanda giusta non era perché, ma
per
cosa.
Vidi Cunha sghignazzare.
«Un mio vecchio amico mi ha chiesto un favore»
rispose,
vago. Posò il bicchiere vuoto sul tavolo, facendo cenno al
cameriere di allungargliene subito un altro. «Non ti voglio
mandare su di giri, Cassian, ma … hai mai sentito parlare
del
Capitano Halos?»
*
Ai tempi della guerra civile, Tylan Halos era stato il salvatore di
tutti quei festiani che non credevano più
nell’Impero e
che erano pronti a imbracciare un’arma per andare a
riconquistare
le proprie terre innevate. Aveva allevato orfani, scacciato imperiali,
riparato impianti di riscaldamento e combattuto battaglie che
sembravano invincibili. E, in tutto questo, era anche riuscito a
coltivare una
profonda e sincera amicizia nei confronti di Terras Cunha, notoriamente
simpatico tanto quanto un calcio negli stinchi quando per terra
c’è ghiaia.
Mio padre ammirava Tylan Halos. Prima della sua cattura, mi faceva il
suo nome quasi ogni giorno. Era stato il mio eroe per osmosi,
perché su di lui avevo sentito talmente tante storie che mi
era
praticamente impossibile non adorarlo, anche se in realtà
sul
suo conto non conoscevo che leggende.
Quel giorno appresi il primo dato di fatto su di lui: con la nascita
del Gruppo Resistente di Atrivis, Tylan Halos era stato fatto capitano.
La sua squadra, di conseguenza, si era completamente rimessa agli
ordini di Travia Chan. Come l’Anima, in un certo
senso, solo molto più conosciuta.
Cominciavo a capire come mai Terras Cunha avesse tanta fretta di
mollare i suoi compagni, ma all’epoca non ero che
all’inizio della serie di scoperte che mi convinsero in
seguito a
lasciare Fest per sempre, e mi sentivo soddisfatto anche della
più piccola deduzione.
Incontrammo il Capitano Halos nell’unico hangar di cui
disponeva
la piccola base dove risiedevo. L’Andor (il mercantile Ghtroc
720 che Halos si scarrozzava dietro da anni e che si rifiutò
sempre
di cambiare) era atterrato
lì poco prima e ci osservava in
silenzio, elegante quanto un rottame in mezzo ad altri rottami, in
attesa di essere rimesso in moto per ricevere un agognato colpo di
grazia con conseguente demolizione. Chiunque potrebbe valutare quanto
crudele sia stata la vita con quel povero mercantile il cui unico, vero
sogno era quello di farsi fare a pezzi ma a cui invece toccò
una vita lunga e piena di ruggine.
Non appena ci scorse sulla soglia, Tylan Halos ci riservò il
più caloroso dei saluti.
«Cunha, vecchio mio!» gridò dal fondo
dell’hangar, facendo sobbalzare quasi tutti i piloti intenti
a
badare ai loro veicoli. La sua voce era profonda tanto quella di uno
Wookie. «Ti sono caduti i capelli, alla
fine!»
Cunha non raccolse. «Tylan, buonasera» lo
salutò,
minimalista come al solito. «Ti ho portato quello che
cercavi».
Improvvisamente, ebbi l’impressione di essere la merce di
scambio
di una compravendita non del tutto legittima. Guardai Cunha, ma sul suo
viso c’era il vuoto. Su quello del Capitano Halos, invece,
brillava un sorriso cordiale.
«Tanto piacere!» esclamò, allungando
nella mia direzione una
grossa mano grondante olio. Io la guardai con sospetto ma mi costrinsi
a rispondere per educazione.
«Cassian Harkor».
«Lo so, lo so. Il figlio di Krasin, no?»
Mi illuminai. «Lo conoscevi?»
«Per niente, ma sono contento che tu sia qui. Cunha ti ha
già parlato del lavoretto che abbiamo da fare, no?»
Provai a rispondere che no, Cunha non mi aveva detto un bel niente, ma
il Capitano era già partito a spiegare al suo vecchio amico
come
aveva fatto a bruciare metà della fiancata destra del suo
mercantile, pregandolo di trovare un meccanico buono
abbastanza
da sostituirla in tempi brevi, anzi, brevissimi.
«Ma cosa vuoi che ti dica?» rispondeva scocciato
Cunha,
scuotendo il capo. «Questa nave fa schifo anche ai meccanici.
Compratene una nuova, pidocchio».
Mi rassegnai a guardarli in silenzio.
Tylan Halos era un uomo grande e grosso, un gigante sulla quarantina
dai capelli rossi e dalla barba poco curata. Certe sue smorfie mi
ricordavano i mantooiani, ma non scoprii mai quale fosse la sua
effettiva origine. Tylan era Tylan, non c’era altro da sapere.
Mi avvicinai all’Andor assieme a loro, osservando
l’enorme
bruciatura sulla fiancata con lo stesso sgomento con cui fissano i
resti di un incidente particolarmente facile da evitare. Che razza di
pilota
poteva aver manovrato quel mercantile in maniera così
goffa da strisciarlo contro la fusoliera di un’altra
astronave?
«Se Mari la trova messa così mi ammazza ed
è la
buona volta che me ne vado sul serio» si lamentava intanto il
Capitano Halos, distrutto. «Ti giuro che di TIE ne ho visti
volare parecchi, ma questi nuovi modelli sono tutta un’altra
storia».
Cunha annuì. «Un dito in culo con
l’unghia» ne convenne.
Tylan Halos fece spallucce. «Allora, in quanto pensi che me
la ripareranno?»
«Vola ancora?»
«Perfettamente».
«La useremo così. Ammesso che troviamo un
meccanico
a cui fare abbastanza pena – e su Fest non ce ne sono
–
andrebbe via comunque una settimana. Abbiamo una settimana?»
«No».
«E allora partiamo così».
Ormai al limite della sopportazione della mia stessa
curiosità,
mi rifeci presente con un colpo di tosse. «Scusate»
dissi,
incrociando le braccia sul petto per darmi un tono come per anni avevo
visto fare ai miei compagni nell’FRG. «Ma che avete
intenzione di fare con questo rottame?»
Il Capitano Halos fulminò Cunha con lo sguardo, ma il pilota
rispose alzando le spalle. «Lo ha detto lui che è
un
rottame, mica io» si difese. La cosa venne messa da parte e
mi
venne rinfacciata più tardi, mentre buttavo la mia roba in
quella che da lì in poi sarebbe stata la mia cabina.
«La missione è complicata» mi disse il
Capitano
Halos, mettendosi nella mia stessa posa. «Ragazzo, ne sai
qualcosa degli Scomparsi?»
Scossi il capo.
«Nemmeno io. Però so che da un giorno
all’altro evitano di
tornare a casa e svaniscono nel nulla. Da quel momento, nessuno ne sa
più niente. La famiglia li cerca, ma non
c’è
più traccia di loro. Come se non fossero mai
esistiti».
«Militari?»
«Affatto. Tutta gente normalissima».
Ripensai a mio padre, al giorno in cui era stato fatto prigioniero
durante le guerre che avevano impestato Fest quando ero bambino. Mi
chiesi se fosse stato meglio saperlo scomparso, piuttosto che
prigioniero dell’Impero. Forse era un bene che quelle persone
non
sapessero che fine avessero fatto i loro cari, che continuassero a
sperare in un loro impossibile ritorno.
Tylan Halos, intanto, andava avanti imperterrito.
«L’anno scorso, grazie a
una nostra intercettazione, siamo venuti a conoscenza del centro di
detenzione di
Rasp. Essendo così vicino all’Orlo Esterno,
abbiamo
pensato che potesse essere il luogo giusto dove iniziare a cercare gli
Scomparsi, e abbiamo inviato un agente sotto copertura per sondare il
terreno. Adesso bisogna recuperarlo».
Strappato alle mie elucubrazioni mentali, mi voltai di scatto verso il
capitano. «Il vostro agente sotto copertura è
laggiù
da un anno?» chiesi,
sconvolto. Non potevo
concepire un solo giorno tra gli imperiali; un anno mi sembrava una
condanna a morte.
Tylan Halos mi rassicurò subito. «Conoscerai Mari,
è un talento naturale» rispose.
«L’appuntamento
è
sulla Luna 4 di Rasp, tra tre giorni. Arriverà con un
piccolo
plotone imperiale per verificare il funzionamento di alcuni specchi
di trasmissione. Li attaccheremo, caricheremo Mari e ripartiremo
prima che da Rasp possano anche solo pensare di rispondere al
fuoco».
Annuii. «Vi servo per coprirvi le spalle, quindi».
«Suo padre era un tiratore brillante» fece presente
Cunha.
Gonfiai il petto. «Non sono da meno» assicurai,
battendo la mano sul mio blaster rubato.
Tylan Halos mi guardò e sorrise.
«D’accordo» concesse, stringendomi di
nuovo la mano, stavolta con
più
trasporto di quando ci eravamo incontrati qualche minuto prima.
«Benvenuto a bordo, allora. Vi battezzo ufficialmente,
ragazzi:
Andor Quattro e Andor Cinque».
«E gli altri Andor chi sono?» chiesi. A sedici anni
non si può fare a meno di fare domande.
Per fortuna, Tylan Halos fu sempre paziente. «Capo Andor ce
l’hai
davanti» rispose. «Andor Due lo stiamo andando a
prendere e
Andor Tre, lui …»
Sentii Cunha sospirare. «Non dirmi che non lo hai ancora
detonato!»
Da uno degli altoparlanti dell’Andor, una voce mi fece
sobbalzare.
“Vi sento tutti e tre da quando siete venuti a constatare i
danni. Fossi in voi, non mi permetterei di fare ironia su chi
dovrà calcolare le rotte di volo per garantire il successo
dell'operazione”.
Il Capitano Halos scoppiò a ridere, Cunha roteò
gli occhi.
Poi, con il gracchiante rumore degli ammortizzatori che si abbassavano
per aprire il portellone del mercantile, una figura apparve
proprio davanti a noi.
Incuriosito, mi feci avanti e superai Cunha.
Fu la prima volta che mi trovai faccia a faccia con Kappa.