1
Non
ricorderai i passi che hai fatto nel cammino
22
dicembre
Megan
diede un calcio ad un sassolino, per ingannare l'attesa e sfogare la
stizza che provava, e rimase ad osservare le nuvolette di condensa
che uscivano dalla sua booca tutte le volte che respirava. Non era
abituata ad un freddo tanto pungente; per questo, appena uscita
dall'edificio, aveva subito chiuso la cintura lampo del giacchino
fino al collo, per poi cingerlo con una pesante sciarpa e coprirsi le
mani con dei guanti. Finalmente, dopo qualche minuto, che, tuttavia,
le parvero un'eternità, vide una macchina nera svoltare
l'angolo e
fermarsi di fronte all'uscita dall'aeroporto di
Lourdes-de-Blanc-Sablon, al nord del Canada. Il mezzo si
fermò
davanti a lei e Megan, riconosciuta subito la figura che sedeva al
volante, si sbrigò a riporre le due valige che si era
portata dietro
nel portabagagli. Quindi, una volta aperta la portiera, si
fiondò
nella macchina, per proteggersi dal gelo di dicembre.
«Però,
non è male questa macchina» affermò
Megan, gettando lo sguardo sul
cruscotto e intorno a sé, mentre aspettava di scaldarsi
prima di
iniziare a spogliarsi.
«Ovvio
che lo è» ribatté la madre, Aline.
«Con quello che è costata!»
«Capirai!
Per quattro giorni... Di certo non è nulla rispetto
all'aereo»
Megan roteò gli occhi.
«Ti
ho vista. Smettila di farlo» la riprese Aline.
«Certo...»
Megan voleva bene a sua madre, naturalmente, ma certe volte il suo
comportamento la faceva proprio impazzire. Non era una di quelle
severe e rigide, che non permettevano ai propri figli di fare nulla,
ma, anzi, era l'esatto opposto. Perennemente sbadata e con la testa
fra le nuvole. Megan sapeva che non lo faceva apposta, ma talvolta
proprio non riusciva a sopportarla e puntualmente finivano ad urlarsi
contro, la madre che la sgridava e lei che la ignorava o le
rispondeva male. Ultimamente, poi, la situazione era anche
peggiorata: non riuscivano a passare una sola giornata senza
litigare. Forse era proprio quello uno dei motivi che avevano spinto
la madre a proporle un viaggio in Canada, dai suoi genitori, per
natale, da cui l'aveva portata solo una volta da quando Megan era
nata (ed ora aveva diciassette anni).
Dopo
qualche minuto l'aereoporto sparì e lasciò il
posto alle case di
Blanc-Sablon dai tetti a punta tipici di quelle zone fredde,
contornate da una lunga e desolata landa interamente ricoperta di
neve. In lontananza Megan poteva scorgere la costa e il mare, sebbene
a quella distanza non riuscisse a definirlo bene e capire se fosse
ghiacciato oppure no.
«Mamma»
la chiamò di punto in bianco Megan, rompendo l'innaturale
silenzio
che si era andato a creare nell'abitacolo.
«Sì?»
rispose quella, senza staccare gli occhi dalla strada.
«Sei
certa di ricordare la strada per il paese dei nonni? Non sarebbe
meglio comprare una mappa?»
«Credi
che mi sia scordata tutto?» ribatté l'altra, quasi
con ripicca.
«Tranquilla; la tua avveduta madre ricorda benissimo il
percorso.»
«Ok,
ok» affermò Megan, interrompendola prima che si
tuffasse in un
altro dei suoi lunghi e interminabili discorsi. «Allora
quanto è
lontano da qui?»
«Penso...»
la madre fece una pausa, riflettendo. «Due ore?»
Fantastico...
pensò
Megan. Altre
due ore da sola con mamma. Accese
la radio per colmare il silenzio che la faceva sentire a disagio.
Per
un po' trascorse il tempo a guardare il paesaggio dalla finestra, ma
presto si cominciò ad annoiare e a muovere inquieta sul
sedile, che
iniziava a sembrarle incredibilmente scomodo. Cercò di
prendere
sonno, ma tutte le volte che chiudeva gli occhi e finalmente
sprofondava nell'inconscenza, veniva puntualmente svegliata dalla
macchina sballottata dalle pietre della strada o dal minimo rumore,
come la musica della radio. Guardò l'orologio della
macchina: era
passata solo un'ora, quando le era parsa un'eternità. Rimase
quasi
delusa.
«Mi
annoio...» bofonchiò Megan, guardando
distrattamente la strada
davanti a lei.
«Dai
che siamo quasi arrivate!» affermò la madre,
stranamente euforica.
«Pensa che poi potrai darti alla pazza gioia con lo shopping
e il
divertimento, tutto con tua madre.»
«Non
vedo l'ora» mormorò la ragazza, tutt'altro che
esultante all'idea.
«Andiamo!
Sarà divertente. E così potremo passare
più tempo insieme»
affermò Aline, rivolgendole un sorriso a trentadue denti.
«Che
bello» fu l'unico, atono commento della ragazza, che si
richiuse di
nuovo nel suo mondo, guardando fuori dal finestrino e cercando di
ignorare la presenza della madre.
Non
riusciva proprio a capire perché sua madre avesse a tutti
costi
deciso di portarla in Canada per le vacanze di natale. Quando Aline
le aveva comunicato di aver comprato due biglietti per l'aereo per
Blanc-Sablon,
lei inizialmente era rimasta attonita, senza riuscire a realizzare
cosa le avesse appena detto, e, subito dopo aver capito, si era
arrabbiata, e anche molto. Si era già organizzata per
passare tutto
il suo tempo libero con le amiche e, invece, tutto a un tratto
saltava fuori sua madre, estasiata, con la ricevuta in mano del
pagamento dei biglietti. Inutile dire che aveva dato in escandescenze
e aveva minacciato di non venire con lei e far andare sprecati i
soldi spesi per il suo biglietto, ma il giorno successivo, quello che
doveva passare a casa del padre, poiché i suoi genitori
avevano
divorziato pochi anni prima, questo, sicuramente avvertito da Aline,
aveva cercato di calmarla e farla ragionare, facendole comprendere
che le avrebbe fatto bene una vacanza per riposarsi e, soprattutto,
andare ad incontrare i nonni che non vedeva ormai da troppo tempo.
Megan, alla fine, si era lasciata convincere dal padre ad accettare,
nonostante la prospettiva di passare cinque giorni sola con la madre
e con parenti che a malapena ricordava le facesse accapponare la
pelle.
Si
chiese quando il rapporto con Aline fosse diventato così
complicato:
lei aveva sempre avuto un legame più forte con il padre e il
divorzio non aveva fatto altro che dividerla ancora di più
da sua
madre. Certo, da piccola non aveva sentito tanto il distacco, sebbene
si fosse ben resa conto che i suoi genitori non vivevano più
insieme
e avesse sofferto molto per questo, mentre con il passare degli anni
la frattura che si era creata con la madre si era ingigantita sempre
di più e il loro rapporto era andato a rotoli. Una parte di
lei si
dispiaceva per questo, ma non riusciva proprio a farci nulla e
certamente la madre non le rendeva le cose più facili, con
il suo
carattere a tratti un po' infantile e difficile.
Mentre
guardava le lande imbiancate fuori dalla macchina, contornate dai
colori arancioni, rosa e viola del tramonto inoltrato, cercò
di
distogliere la mente da quel sofferto argomento e si chiese, invece,
come mai i nonni avessero deciso di andare a vivere proprio
lì, a
Red bay, uno dei pochi centri abitati della zona. Nulla a che vedere
con le metropoli degli Stati Uniti che da sempre sognava di visitare;
le veniva quasi da piangere a pensare a quanto queste fossero vicine
al Canada e a lei, - molto più dell'Inghilterra -, quando,
invece,
lei era costretta ad andare in un paese dimenticato da tutti,
probabilmente anche dai suoi stessi abitanti.
Dopo
un quarto d'ora, del sole non rimanevano altro che pochi raggi, che
ancora mandavano barlumi di luce sulle tonalità
dell'arancione, ma,
tuttavia, questi già lasciavano il passo all'azzurro e il
blu del
cielo, in più punti coperto da grandi nuvole che facevano
presagire
maltempo. Man mano che i minuti passavano, la luce del sole si faceva
sempre più debole, mentre l'oscurità della notte
avanzava senza
tregua. Nonostante Megan non avesse alcun interesse a rimenere in
quelle terre fredde e sperdute, doveva ammettere che il panorama
fosse meraviglioso: l'orizzonte non era coperto da case o montagne e
poteva vedere chiaramente ogni passaggio del sole, che sembrava
letteralmente tuffarsi sotto la terra.
«Quanto
manca?» domandò Megan, assonnata, ma attenta a
qualunque cartone
stradale che potesse indicare quanto ancora fossero distanti dalla
città, sebbene questi non sembrassero esserci.
«Dovremmo
arrivare tra mezz'ora» rispose Aline, mentre mandava la
macchina a
tutta birra sulla strada. All'improvviso i fanali accesi illuminarono
un cartello molto più piccolo rispetto a quelli che si
trovavano in
Inghilterra, ma Megan riuscì solo a vedere che indicava
un'altra
strada di un bivio che la madre, nella velocità a cui andava
la
macchina e per l'oscurità, non aveva notato, e a leggere la
parola
Red.
“Red
di Red
Bay? La città dei nonni?” si chiese Megan,
nonostante il sonno
accumulato dal giorno di viaggio in aereo. «Mamma»
la chiamò,
subito allarmata.
«Sì,
tesoro?»
«Credo
che abbiamo sbagliato strada.»
«Ma
cosa dici?» ribatté la madre, sorridendo.
«Ho
visto il cartello di Red Bay che indicava dall'altra parte. Come
cavolo hai fatto a non accorgertene?»
«Megan,
ricordo bene la strada per Red Bay ed è tutta dritta.
Sarà stato il
sonno a fartelo immaginare. E poi non dire certe parole davanti a
me.»
«Perché
non mi credi mai?» Megan alzò la voce.
«Abbiamo sbagliato strada!
E, tanto per la cronaca, cavolo
non è
una parolaccia e penso che a diciassette anni posso anche usare
parole da adulta, come caz...»
«Non
ci provare!» la interruppe la madre, coprendo con voce
imperiosa la
fine della frase. «Fino a prova contraria sei ancora
minorenne e
sotto la mia autorità: perciò, in mia presenza,
non si dicono
parolacce e si fa quello che dico io, capito?»
Megan
sbuffò. Quando sua madre si impuntava, non c'era verso di
convincerla del contrario. «Capito» disse, suo
malgrado. «E allora
come la mettiamo con il cartello?»
«Continuiamo
finché non arriviamo a Red Bay.»
«Toglimi
una curiosità: quando è stata di preciso l'ultima
volta che sei
venuta qui?»
«Quando
ci ho portato te: tredici anni fa.»
«Grandioso»
rispose la figlia, che aveva solo pochissimi ricordi di quella
vacanza, poiché allora aveva cinque anni. I pochi che
rammentava li
aveva recuperati guardando le foto scattate con i nonni.
«Avremmo
fatto meglio a comprare la mappa.»
Stranamente,
la madre non commentò; si limitò a gettarle uno
sguardo scocciato,
prima di volgere nuovamente la sua attenzione alla strada. Megan
chiuse di scatto la radio, che già da un po' non mandava
più
segnale e aveva iniziato a trasmettere solo un rumore fastidioso.
«Potresti almeno rallentare?» domandò
poi, irritata, la ragazza.
«Così magari riesco a vedere qualcosa.»
Aline
emise uno sbuffo, anch'essa piccata, ma la velocità a cui
andava la
macchina diminuì leggermente. I minuti passavano e di Red
Bay non
c'era nemmeno l'ombra. Dopo un'altra mezz'ora di viaggio, a Megan
sembrava ovvio che avessero sbagliato strada, per colpa della
cocciutaggine della madre, ed ora non c'era più verso di
tornare
indietro, poiché si stava facendo tardi e anche la benzina
si stava
iniziando ad esaurire. Non potevano far altro che continuare e
sperare di trovare un distributore e un albergo di fortuna, ma quella
strada e i d'intorni sembravano totalmente deserti. Non c'era neanche
l'ombra di centri abitati. Mentre Megan era impegnata in questi
pensieri, si accorse da lontano che sul ciglio della strada c'era un
piccolo cartello, sebbene parecchio rovinato soprattutto sui lati,
con su scritto Whitby
Habour
e che indicava per una stradina laterale.
«Mamma,
gira! Prendi per quella via» affermò, afferrando
la spalla di
Aline.
«Ma
non sappiamo dove porti!»
«Non
abbiamo altra scelta» si sbrigò a spiegare Megan,
prima che la
macchina oltrepassasse il bivio e che non ci fosse più
speranza di
trovare un posto dove passare la notte. «Devi ammetterlo: ci
siamo
perse. Inoltre, stiamo per finire la benzina e questo è
l'unico
paese nelle vicinanze dove poter fare rifornimento.»
La
macchina rallentò, mentre Aline prendeva in considerazione
le
riflessioni della figlia. Guardò, indecisa, il cartellone
logoro che
indicava la presenza del paese, ma, infine, premette il pedale
del'acceleratore e svoltò nella stradina.
Passarono
per una strada circondata da un fitto bosco, stretta e sterrata, in
cui la macchina sobbalzava continuamente per la presenza di grandi
sassi e buche mai coperte o asfaltate. «Vai piano!»
Megan avvertì
la madre. «Rischi di bucare una gomma. E poi su una strada
ricoperta
di neve bisogna sempre andare piano.»
«Si
può sapere quanto è lontana questa fantomatica
Whitby Harbour?»
domandò Aline, sfastidiata dali consigli della figlia.
«Pensi
che io lo sappia?» rispose con una domanda a sua volta la
figlia,
proprio con l'intento di irritarla. La madre non rispose, ma era
evidentemente piccata dall'atteggiamento di Megan.
Dopo
dieci minuti, che, tuttavia, parvero ad entrambe
un'eternità,
finalmente il bosco si aprì e la macchina sbucò
in un enorme
spiazzo che dava direttamente sul mare. Megan tirò un
sospiro di
sollievo come vide delle case, sebbene queste non fossero illuminate
da nulla che rasentasse un lampione. L'unica fonte di luce proveniva
dalle finestre di poche case, i cui abitanti, nonostante l'ora,
dovevano essere ancora svegli. Aline parcheggiò l'auto dove
non
avrebbe dato problemi a nessuno e spense i motori. «Andiamo a
vedere
se qualcuno potrà aiutarci» affermò la
madre, mentre Megan si
infilava e allacciava di nuovo il giacchino con le varie coperture e
usciva dalla macchina.
Madre
e figlia si avviarono verso il centro abitato poco distante da dove
avevano lasciato l'automobile. Da quel poco che riuscivano a vedere,
non doveva essere troppo popolato; le case erano davvero poche e di
certo mancava degli elementi moderni che erano divenuti ormai
indispensabili per molte città, come i lampioni. Si
diressero dove
si trovava la maggiore concentrazione di abitazioni, a formare
un'unico stradone solitario, e lo percorsero gettando continuamente
occhiate verso destra e sinistra, alla ricerca di un albergo o almeno
di un bed and breakfast. Mentre camminavano, Megan sentì
qualcosa di
soffice e umido posarsi sulla sua mano e, inizialmente, credette che
si trattasse di pioggia. Tuttavia, quando andò a guardare
meglio e
sollevò il viso verso l'alto, vide che in realtà
aveva iniziato a
nevicare. Mentre era intenta ad osservare i fiocchi che lentamente si
calavano sul paese, il suo sguardo cadde su un edificio su cui
capeggiava un cartello in legno evidentemente corroso dal tempo. Qui
vi era iscritto e, in seguito, pitturato con la tinta nera Whitby
Harbour's Hostel.
Toccò il braccio della madre e le indicò
l'ostello. «Non è
granché, ma, visto come è ridotto questo paese,
credo che sia il
massimo che potremo trovare qua.»
«Proviamo»
disse Aline e si affrettò verso l'edificio. Tirò
la porta, che si
aprì scricchiolando e facendo suonare un piccolo campanello
attaccato sopra le loro teste. Entrarono e rischiusero la porta
dietro di loro. La stanza in cui era entrata era illuminata solo da
una piccola stufa che ben poco riusciva a constrastare il freddo
della notte. Le pareti e il pavimento erano di legno e l'unico mobile
visibile era una scrivania piena di scartoffie, insieme ad una sedia.
Megan notò che la pareti erano piene di quadri e foto, molte
delle
quali in bianco e nero, altre più recenti e a colori, che
raffiguravano principalmente pescatori sulle loro barche che
mostravano fieri le loro prede. Intuì che quello dovesse
essere un
paese che viveva principalmente di pesca, data la vicinanza del mare
e la distanza da ogni altro centro abitato.
«C'è
nessuno?» domandò Aline e dovettero attendere
qualche minuto prima
di sentire dei movimenti al piano superiore e, poco dopo, la luce
spuntare dalle scale collegate alla stanza, da dove scese con non
poca fatica un'anziana donna con una torcia in mano. Quindi, la
spense e accese invece la luce di una lampadina infissa sul soffitto,
che, seppur debole, aiutò a rendere la stanza un poco
più visibile.
«Posso
aiutarvi?» domandò la donna in un inglese meno
marcato di quello
parlato da Megan e la madre. «Io sono Olivia, la proprietaria
dell'ostello.»
«Buonasera»
affermò educatamente Aline, presentando a sua volta lei e la
figlia.
«Vorremmo prendere una stanza per la notte. Stavamo andando
verso
Red Bay, ma abbiamo sbagliato strada...»
«Red
bay?» chiese quella, aggrottando la fronte.
«L'avete oltrepassata
diversi chilometri prima.»
Megan
lanciò uno sguardo acusatore alla madre, che questa
ignorò.
«L'abbiamo intuito, ma temo che non potremo ripartire prima
di
domani mattina. Per questo abbiamo bisogno di una stanza per la
notte.»
«Naturalmente!»
esclamò l'arzilla anziana, affrettandosi verso il bancone.
«Tutte
le stanze sono libere. Forse saranno un po' impolverate, ma non tanto
da dare fastidio. Sapete, in questo periodo non c'è
praticamente
nessun turista.»
«Non
si preoccupi. Tanto rimarremo solo per questa notte»
ribatté Aline,
afferrando le chiavi che la signora le aveva teso e su cui capeggiava
la scritta 20.
Aline
si occupò poi del pagamento e, in seguito, tornò
fuori a prendere
le valigie dalla macchina. «Mamma, come faremo a contattare i
nonni?» chiese Megan, quando Aline fu rientrata all'ingresso
dell'ostello. La ragazza mostrava il suo antiquato telefono di fronte
alla madre, indicando il segnale praticamente assente. Un'altra
questione su cui più e più volte Megan aveva
litigato con lei era
proprio per il cellulare: la ragazza aveva sempre desiderato avere un
iPhone moderno, come quello che avevano tutti i suoi coetanei, ma la
madre si era categoricamente opposta, rifilandole un telefono con cui
era impossibile fare qualcos'altro oltre a chiamare e mandare
sporadici messaggi.
«Mi
scusi» disse, quindi, la madre, richiamando l'attenzione
della
signora che si era seduta dietro il bancone ad occuparsi di vari
fogli spiegazzati. Quella sollevò il capo, guardandola con
un lieve
sorriso in volto. «C'è un modo per contattare i
nostri parenti? Un
telefono?»
«Sfortunatamente
nessuno di noi lo possiede in casa. È
inutile dato che non funzionano. Però, ne possediamo uno,
messo a
disposizione di tutta la comunità.»
«Dov'è?»
domandò Megan.
«Di
fuori, ma vi consiglio di andare domani mattina perché ha
iniziato a
nevicare e si preannuncia una bufera.»
«No,
devo avvertirli subito, altrimenti si preoccuperanno da
morire»
sostenne Aline. «Megan, tu, intanto, porta le valigie nella
stanza»
aggiunse, passando le chiavi alla figlia, prima di uscire
dall'ostello ed essere inghiottita dalla nevicata.
«Vieni»
disse Olivia con un sorriso, indicandole le scale. «Ti mostro
la
camera.»
Megan
si infilò la maglietta di lana del pesante pigiama, alla
ricerca di
un po' di calore, per poi gettare lo sguardo alla stanza e al
mobilio. In fondo, non era poi così male: aveva due letti a
castello, due comodini, un armadio e un bagno. Di certo, nulla in
confronto agli alberghi in cui era solita alloggiare durante i suoi
viaggi in Inghilterra e in Europa. Alla fine, la polvere non si era
rivelata un grosso problema: ricopriva gli angoli più remoti
del
pavimento della stanza e alcuni mobili, ma nulla che rendesse la
permanenza invivibile.
Dopo
pochi minuti la porta si aprì e la madre fece capolino
all'interno
della stanza. «Allora?» domandò Megan,
che si era già immersa
nelle coperte del letto.
«Sono
riuscita a trovare il telefono e chiamare mamma e
papà» disse,
mentre si toglieva il cappotto e andava ad aprire la cerniera della
valigia per prendere il suo pigiama. «Gli ho spiegato la
situazione
e hanno detto che ci verranno a prendere il prima possibile.
Cioè,
domani mattina.»
«Mi
chiedo come è possibile che in tutto il paese ci sia solo un
telefono» rifletté Megan. «So che non
è molto grande, ma,
addirittura, uno solo? Non è scomodo?»
«Non
lo so, ma a loro non sembra dare fastidio. Certo, non che quel
telefono sia molto moderno... Anzi, è in condizioni peggiori
delle
nostre cabine telefoniche più dissestate.»
«Beh,
se loro si trovano meglio così...»
mormorò la ragazza, poco prima
di socchiudere gli occhi. «Buona notte.»
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