ἀδεῶς
I passi risuonano ovattati negli ampi
corridoi del palazzo
di Babilonia, la seta delle vesti fruscia mentre cammina, gli odori
mischiati
di spezie e incensi stuzzicano il naso, nel via vai di guardie e
burocrati
Alessandro si sente osservato, con la coda dell’occhio scorge
dei capelli neri
e degli occhi scuri che lo scrutano, Bagoa, da quando erano arrivati a
Babilonia e l’eunuco era diventato il suo schiavo personale
il ragazzo aveva
preso l’abitudine di seguirlo, di osservarlo, in quanto Re la
cosa lo
lusingava, come uomo gli piaceva, come amante talvolta lo imbarazzava,
lo
imbarazzava in quanto lo attraeva, Bagoa era parte di quel mondo di
sete e
incensi, di lussurie, conosceva le arti della seduzione e sapeva
metterle in
pratica. Nonostante ciò, Alessandro non aveva mai chiesto a
Bagoa niente di più
dei suoi doveri di servo, che non comprendevano per forza scaldare il
letto del
Re, anche se il ragazzo gli aveva fatto intendere più volte
la sua
disponibilità. Decide di ignorarlo. Arriva alla porta del
suo amico più caro,
suo compagno, suo generale, suo amante, Efestione. La porta si apre
senza far
rumore, Alessandro entra, quindi si gira e la richiude, la serratura
scatta
silenziosamente. Efestione non è dentro la camera ma
Alessandro sorride osservando
come sempre come l’impronta dell’uomo sia ovunque:
sui fogli sistemati sulla
scrivania in un modo proprio di Efestione, ordine per lui, disordine
per gli
altri, il suo odore nella stanza… il Re sa dove trovare il
generale, l’amico il
compagno, l’amante l’amato. Alessandro scosta le
tende ed esce sul balcone.
- Mi chiedevo quanto ancora ci
avresti messo… -
Efestione è appoggiato
alla balaustra, il sole caldo della
tarda mattinata lo illumina dolcemente e gioca con i riflessi dei suoi
capelli,
crea luci e ombre sul suo viso, la testa su una mano che tiene anche
indietro i
capelli, si volta e gli sorride, lo invita…
Alessandro si avvicina, accetta
l’invito e lo bacia…
- Buongiorno… -
Sussurra l’altro quando il
bacio si rompe, il soffio leggero
delle parole sulle labbra del Re, di nuovo invita, di nuovo accetta.
Efestione
ride, ride anche Alessandro mentre l’altro lentamente si
stacca e si riappoggia
alla balaustra.
- Non ho molto tempo, Parmenione mi
aspetta… -
Efestione fa segno di capire, senza
però staccare lo sguardo
dal panorama della città nel suo pieno fervore…
il suo balcone non dà sui
giardini come la maggior parte delle stanze dei generali e da qui si
può
osservare ogni sfumatura di questa nuova realtà, come ogni
odore si mischi con
l’altro.
- Che succede? -
- Pensavo… -
Gli sguardi si incontrano, uno
assorto uno interrogante.
- Pensavo a come Gilgamesh abbia
dovuto incontrare Enkidu
per diventare un sovrano migliore e a come Enkidu sia dovuto morire
perché
Gilgamesh diventasse il più grande -
Alessandro è colpito, non
pensava che il mito fosse rimasto
tanto impresso all’amico ma sente la sua insicurezza e capisce. Lo abbraccia da dietro, lasciando
Efestione
appoggiare il capo sulla propria spalla, ha il volto fra i capelli
dell’altro,
inspira per qualche secondo il profumo familiare, poi, la bocca
all’orecchio,
sussurra:
- Tu mi rendi migliore, ma non posso
essere grande senza di
te, perché se non ci sei tu non può esserci
nemmeno Alessandro… -
Efestione si gira fra le sue braccia,
lentamente, di nuovo
uniti, di nuovo gioco di lingue. Un po’ dolce un
po’ feroce, poi di nuovo
dolce. Non si rompe l’unione nemmeno mentre Alessandro spinge
l’altro verso
l’interno della stanza, via dal balcone, fino sul letto. Mani
nei capelli,
carezze sul corpo, tocchi familiari e sempre nuovi. Efestione quindi si
stacca,
gli occhi blu paiono immensi e Alessandro non desidera altro che
continuare a
baciarlo.
- Asp… -
Non può continuare,
Alessandro s’insinua di nuovo nella sua
bocca, come se solo da questo dipendesse il suo essere lì.
- Xander -
Efestione riesce di nuovo a
sottrarsi, Alessandro lo guarda
e sorride, quasi felino.
- non dovevi incontrarti con
Parmenione? Mi avevano detto
che si erano creati dei problemi nell’organizzazione
burocratica… -
Alessandro lo zittisce.
- Per i problemi
c’è domani. -
***
Se fosse
inglese la
definirei fluffy^^
Piuttosto
semplice,
senza particolari pretese,
perché
li amo quando
sono insieme.
ἀδεῶς
è un avverbio che vuol dire “senza
paura”.
Il mito di Gilgamesh appartiene
invece alla mitologia
sumerica e in seguito è passato ai Persiani.
Gilgamesh, mitico re di Uruk,
è un sovrano tirannico, finché
non incontra Enkidu,
creatura plasmata dagli dei per rispondere alle preghiere dei cittadini
di
Uruk. Gilgamesh ed Enkidu lottano selvaggiamente, e nonostante la sua
forza
leggendaria, Gilgamesh, non riuscendo a prevalere, colpito dal valore
del suo
avversario, stringe con lui un solenne patto d'amicizia. Tornato in
città
Gilgamesh diventa un re migliore di quando era partito. In seguito i
due amici
si avventurano fuori dalla città verso la foresta dei cedri,
dove un terribile
mostro sta a guardia dei pregiati alberi. Uniti combattono e
sconfiggono la
bestia e così i due eroi trionfanti fanno ritorno ad Uruk
con il prezioso
bottino, dove la dea Ishtar,
impressionata dalla bellezza e dal valore di
Gilgamesh, gli propone di diventare suo sposo, ma riceve un netto
rifiuto.
Ella, quindi, chiede a suo padre Anu
di affidarle il Toro celeste, che scatena per le strade di Uruk. Enkidu
affronta due volte il toro, dapprima da solo, e poi con l'aiuto di
Gilgamesh. I
due eroi trionfano, forti del loro valore. Enkidu tuttavia per
volontà degli
dei muore a seguito di una malattia e Gilgamesh, per la prima volta,
è affranto
dal dolore. Sconvolto, parte alla ricerca dell'unico uomo che conosce
il
segreto dell'immortalità,
ma quando, dopo numerose
peripezie, riesce ad incontrarlo, deve arrendersi all'evidenza: le
circostanze
che hanno dato al suo antenato l'immortalità sono
eccezionali e non ripetibili.
Riceve un’erba
magica che intende portare al suo popolo, ma dopo essere riuscito a
coglierla,
mentre si riposa accanto a un ruscello, un serpente
la porta via e, dopo averla mangiata, cambia pelle. Gilgamesh fa quindi
ritorno
ad Uruk e qui, maturato dopo il viaggio, diventa il più
grande re della città.
Spesso l’amicizia tra
Enkidu e Gilgamesh è stata paragonata
a quella di Achille e Patroclo.
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