Storia
a carattere
fortemente personale, di cui non saprei veramente cosa scrivere a mo'
di introduzione, ma di cui sono disponibile a fornire qualsiasi
spiegazione a chiunque abbia dubbi o desideri chiarimenti in
proposito.
Tutto
ciò che posso
dire è questo: negli ultimi tre anni, purtroppo ho scoperto
che il
cancro ha moltissimi modi per vincere, non solo quello, definitivo,
che è forse il primo che viene in mente. Costringere alla
resa è
sicuramente uno dei modi in cui riesce a trionfare. Nascono da questa
riflessione queste poche righe.
Auguro
buona lettura a
chiunque, e tanta forza a chi deve lottare contro qualsiasi malattia.
Afaneia
Dialogo
di un
essere umano col male che lo uccide.
Era turgida e repellente,
grottesca
e orripilante tanto da far piangere, e di un colore indefinibile. La
vedeva stagliarsi come una massa di fronte a sé in un luogo
remoto e
indistinguibile che non sembrava neppure essere vero spazio, un luogo
che non era chiuso né aperto, un luogo buio ma nel quale i
suoi
occhi vedevano perfettamente.
«Chi
sei?» chiese ad alta voce con
ansia crescente. Aveva creduto che le sue parole si sarebbero
ripetute echeggiando in quel mondo inquietante e incomprensibile,
eppure esse si spensero bruscamente nel silenzio non appena
pronunciate. Si sentì rabbrividire. «Dove
siamo?»
Perché quella
massa era viva, lo
sentiva, lo sapeva, anche se non avrebbe saputo dire perché,
e da
essa attendeva una risposta. A chi altri del resto avrebbe potuto
chiedere? Era in compagnia di quella sola massa!
La massa rispose:
«Sai benissimo
chi sono.»
Provò un senso
raggelante di
terrore. Di cosa parlava quella massa ripugnante? No che non la
conosceva, non l'aveva vista mai, eppure qualcosa sembrava suggerire
che essa non stava mentendo del tutto, che aveva ragione: c'era un
ricordo vago e confuso in fondo alla sua mente, ma era come una
memoria che avesse faticosamente portato con sé da un'altra
vita,
troppo velata e indistinta per poterla leggere con precisione. Eppure
sentiva che quella consapevolezza incerta era spaventosa e orribile,
che non era un caso che l'avesse dimenticata e relegata in
quell'angolo della propria mente, e in quel momento non ebbe coraggio
abbastanza da indagare ancora.
«È
un sogno?» chiese di nuovo.
Sembrava essere la supposizione più probabile e fors'anche
la più
rassicurante, anche se non avrebbe ammesso mai di averlo chiesto per
quel motivo.
«Non del
tutto» disse la massa.
Si sentì un
poco turbare. Si guardò
nervosamente attorno, anche se, a ben pensarci, non poteva
assolutamente avere alcuna certezza di trovarsi lì, in quel
luogo
strano e inquietante, colle proprie membra. Ora che vi aveva pensato,
si accorse che non era in grado neppure di chinare gli occhi e
guardarsi addosso, verificare se aveva o meno con sé il
proprio
corpo.
Provò il
bisogno di comportarsi
educatamente. Si schiarì la voce: «Mi dispiace di
non ricordarmi di
te. Potresti rammentarmi...»
«Non
preoccuparti» disse la massa.
«Da quando hai saputo della mia esistenza, hai sempre fatto
finta di
non conoscermi, di più: che neppure esistessi. Ma da domani
le cose
cambieranno e non potrai più ignorarmi.»
Provò un senso
profondo d'orrore.
Si ritrasse dalla massa per quanto possibile, sentendo all'improvviso
di non volerle stare affatto vicino, che era una creatura –
una
creatura!, sì, era viva, respirava, cresceva! - pericolosa e
mordace
dalla quale guardarsi incessantemente.
«Mi
dispiace» disse con cautela.
«Giuro che non ricordo di averti mai visto.»
«Non mi hai mai
visto» rispose la
massa: non sembrava arrabbiata né aggressiva, ma calma e
sicura di
sé, come se non si attendesse alcuna valida obiezione e
fosse
assolutamente certa della forza delle proprie ragioni. «Ti
hanno
parlato molto di me, e da prima ancora che te ne parlassero, io sono
stato con te per mesi. Ma persino quando hai saputo hai continuato a
far finta di niente. Non hai detto di me a nessuno; a chi conosci
persino hai detto qualche mezza parola appena; neppure alla tua mente
solitaria, che nessuno al di fuori di te era in grado di udire, hai
permesso di riflettervi troppo; e tutto questo perché sapevi
che se
tu avessi fatto parola di me, io sarei diventato reale...»
Ora non poteva
più negare di
conoscere quella massa: sì! Era tutto vero, essa aveva
ragione. Ora
se ne ricordava, la riconosceva, e proprio perché la
riconosceva ne
provava terrore. Si trovò a boccheggiare.
«Come puoi
essere qui?» chiese.
«Sono qui
perché tu volevi
parlarmi, anche se non lo sai» disse la massa. Come poteva la
sua
voce essere tanto quieta e rassicurante, conosciuta e calda come
fosse nota alla memoria da innumerevoli anni? «Domani ci
incontreremo per la prima volta, nell'unico modo in cui potremo mai
incontrarci. Ma bisogna che ti avverta prima. Io non sono come credi
e non intendo farti del male così, per niente.»
«Avvertirmi di
cosa?» chiese
angosciosamente.
«Che non ti
opereranno» disse la
massa. «Che sono troppo forte, troppo per te e per loro, che
le loro
mani non saranno abbastanza per me. Ma nel tuo cuore lo sai
già, è
per questo che volevi parlarmi: perché io sono parte di te,
e se la
tua mente si rifiuta ancora di accettarmi, il tuo corpo è
invece
consapevole e arreso e sa bene quanto forte io sia...»
«Bugiardo!»
gridò con rabbia.
Quella massa appariva di minuti in minuto più orribile,
deforme e
gelatinosa e semplicemente ripugnante, e non si poteva, no, non si
doveva assolutamente crederle! «Bugiardo! Stai mentendo per
ingannarmi, per confondermi. Tu pensi che io ti crederò, ma
io non
credo ai mostri. I dottori hanno detto che sono ottimisti.»
«Ora, forse,
possono esserlo»
disse la massa. «Ma domani? Che accadrà domani?
Quando il tuo corpo
pallido e flaccido sarà disteso nudo sul loro tavolo
asettico,
quando disegneranno le loro righe incomprensibili sulla tua pelle,
quando le loro mani guantate frugheranno e scaveranno nelle tue carni
straziate ed essi vedranno coi loro occhi quanto grande e forte io
sia... cosa credi che accadrà? Te lo dico perché
tu lo sappia. Essi
ricuciranno la tua ferita e ti risveglieranno e cercheranno insieme
di tranquillizzarti e di prepararti, di rassicurarti e di aprirti gli
occhi. Tu incomincerai a sistemare i tuoi affari...»
Ebbe un moto di profonda
indignazione a quelle parole: suonavano terribilmente ingiuste. Ma
quando cercò qualcosa da obiettare in risposta, non
trovò niente.
Ma com'era possibile? Che la massa avesse, in fondo, ragione?
«Abbiamo
già parlato di questo»
disse a fatica. «Le terapie...»
«Oh! Le
terapie» disse la massa.
«I medici ne fanno molto conto, è vero? Ma non
crederci troppo, tu.
Te lo dico perché tu non debba rimanerci troppo male dopo.
Sai cosa
ti faranno le terapie? Ti cadranno i capelli e forse anche le
sopracciglia, ti verranno la nausea e i dolori... sai cosa sono le
parestesie?»
«Basta!
Basta» urlò. Non voleva
sentire, non voleva sapere! Le sapeva già tutte quelle cose,
i
dottori gliene avevano parlato anche troppo diffusamente.
«Stai
zitto!»
«Come vuoi:
starò zitto» disse la
massa. «Ti avrei detto solo cose che già sai,
comunque. Non avrei
infierito troppo. Volevo solo aiutarti a scegliere.»
«Non
c'è nulla da scegliere»
disse seccamente. «È già tutto deciso.
Tra poche ore tu te ne
andrai e io mi libererò finalmente per sempre di
te.»
«Ti ho
già detto che non ti
opereranno» disse tristemente la massa. «Non vuoi
proprio capire?»
Non rispose, allora la
massa parlò
ancora. «Ti parlo in modo proprio spassionato: non ti
operare. Non
ne vale la pena, perché soffriresti soltanto: io ho
già vinto e da
domani lo saprai con certezza, lo sapranno tutti. Non posso lasciarti
molto tempo, ma tu trascorrilo a casa, non morire in ospedale. Questa
guerra del tuo corpo io l'ho già vinta, ma sono un nemico
pietoso e
non voglio infliggerti quest'ultimo dolore.»
«L'operazione
è domattina. Che
dovrei fare, secondo te? Telefonare e dire che non mi opero, che ho
cambiato idea? Che rifiuto le cure?»
«Sì»
rispose la massa. «Nessuno
può obbligarti a farlo o dirti che stai sbagliando.
È il tuo corpo,
è il tuo male.»
«Scordatelo»
disse
aggressivamente. «Devi proprio credere che io stia
ammattendo, non è
vero?, per darti retta! Stai cercando di confondermi per convincermi
ad arrendermi, e se lo stai facendo non può essere che
perché non
sei affatto certo di aver già vinto. Questo vuol dire che io
non sto
ancora morendo.»
«Tu credi ch'io
abbia bisogno di
questi mezzi per vincere?» domandò la massa.
«Ma
certo» ribatté. Si sentiva
colmare di una grande forza e di un'immane speranza, di un eroismo
titanico e di voglia di combattere. «Tu non sei
così forte, ma io
invece lo sono. Sono molto più forte di te. Che idea,
telefonare in
ospedale e dire che non voglio più operarmi,
perché tu, proprio tu
mi sei apparso in sogno! E io che per un attimo ho persino avuto
paura.»
«Non mi
ascolterai, dunque?»
«No, e ti
dirò di più» proseguì
con esultanza. «Può darsi persino che tu abbia un
po' di ragione:
che non riusciranno, domani, a... ma se non mi opereranno domani, io
andrò a Milano, andrò a New York,
andrò fino a Singapore, in ogni
ospedale del mondo, se devo, e se non avrò altra scelta io
ti
strapperò con le mie proprie mani, ma dartela vinta senza
lottare,
questo no!»
Calò il
silenzio dopo le sue
parole, ed era un silenzio avvolgente e impenetrabile come una coltre
calata all'improvviso; sentì d'aver vinto, o almeno, di
certo, se ne
illudeva.
«Va
bene» disse la massa, e la sua
voce aveva ora un tono d'indicibile tristezza; ma per che cosa era
triste? Perché il suo inganno non aveva funzionato o forse,
invece,
perché sapeva davvero d'aver vinto? «Ma ti
ricorderai d'aver scelto
tu, te ne ricorderai, non è vero? Ti ricorderai che io sono
stato
onesto, che non ti ho data alcuna speranza, e che eppure tu non hai
voluto darmi retta.»
Ma col cuore tutto preso
dalla
sensazione della propria vittoria, non rispose. A che parlare oltre
con quell'orribile massa che era già troppo reale e
invadente senza
bisogno di darle valore?
«Buonanotte»
disse solamente.
«Buonanotte»
disse allora la
massa, profondamente rassegnata. «Ci vediamo
domattina.»
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