7. La città della Terra
Viaggiammo verso
nord-est, allontanandoci dal Mare Infinito che ben presto diventò la
sottile linea che segnava l’orizzonte.
Ormai erano diverse settimane che eravamo in cammino per raggiungere
gli elfi della Terra e il paesaggio era cambiato nuovamente: dalla
dorata spiaggia era diventato desolato, brullo e pieno di bruciature.
Non incontrammo più nessun elfo e il sentiero si perse nel terreno
pietroso.
Il cielo si
mantenne limpido e soleggiato finché, mentre camminavamo nella landa
solitaria che ci separava da Aessina, la città della Terra, si oscurò
di nuvole nere e piovve per più di cinque giorni. Il cielo nero era
illuminato solo dai lampi e per tutto il paesaggio rimbombavano i tuoni.
Menfys m’insegnò a
creare uno scudo d’aria per ripararmi dalla fredda pioggia ma a volte
non ero abbastanza concentrata e mi ritrovavo zuppa dalla testa a
piedi. Daelyshia e gli altri due draghi non avevano problemi: la
pioggia scivolava sulle loro squame impermeabili.
Mentre camminavo a
testa bassa, cercando di tenere alto lo scudo, un improvviso scintillio
attirò la mia attenzione. Strizzai gli occhi, cercando di vedere oltre
la cortina di pioggia che rendeva sfocato tutto quello che avevo
attorno.
« Guardate là! »
avvertii gli altri.
Ogard,
preoccupato, seguì il mio sguardo e poi sospirò, guardando quello
strano scintillio: « È solamente Castello Argento ».
Sentii un tuffo al
cuore mentre guardavo quel puntino lontano attraverso la pioggia.
Castello Argento è dove, per secoli, avevano vissuto re e regine di
Danases. Quella
era la mia casa. Quella in cui avevo vissuto insieme a mia madre, prima
dell’incidente. Sospirai e l’incantesimo svanì.
Per tutte le lune di Danases!
Avevo perso la concentrazione ancora
una volta.
Sentii la poggia sbattere contro il mio viso, come una frusta. Era
gelata. Sentii il freddo penetrarmi nelle ossa. Iniziai a battere i
denti e Daelyshia, quando avvertì il mio disagio, guardò Menfys, che mi
lanciò un’occhiata allarmata e mi fece entrare all'interno del suo
scudo. Tanasir
mi fece un incantesimo per asciugare i vestiti congelati ma non
riuscivo più a togliermi di dosso quella sensazione di gelo.
La sera smise di
piovere però il forte vento continuò a spirare forte da nord. Non
riuscivo a smettere di battere i denti. Quando ci accampammo per la
notte vicino una duna che ci riparava in parte dalla tramontana,
Daelyshia mi fece sdraiare accanto a lei per riscaldarmi con il caldo
ventre, ma tutto ciò servì a poco: continuavo a tremare.
« Non riesco a
scaldarla » disse Daelyshia, preoccupata.
« Ci penso io »
mormorò una voce.
Non mi accorsi di
Menfys, finché non lo sentii accanto a me. Si era sdraiato vicino e
cercava di scaldarmi. Sentii un forte calore emanare dal suo corpo,
troppo forte per un elfo.
« Ch-che co-cosa
hai f-f-fatto? ».
Non riuscivo
neanche a parlare. Cercai di non mordermi la lingua con tutto quel
tremore. Non avevo mai sentito così freddo in tutta la mia vita.
Nemmeno quell’inverno, quando ero ancora piccola e, per sbaglio, ero
caduta nel fiume ghiacciato della foresta di Elwyn.
« È un incantesimo
» rispose Menfys.
Mi sentivo così
male che anche il mio cuore sembrava essersi congelato. Quella
vicinanza avrebbe dovuto mettermi in imbarazzo, invece poggiai le mani
fredde sul suo petto caldo e mi rannicchiai contro di lui. Lo sentii
rabbrividire quando il mio respiro tagliente lo sfiorò.
« Va meglio? »
chiese.
«G-gra-grazie»
mormorai, cercando di non tremare e di lottare contro il sonno « No-non
so-sono an-ancora m-m-molto brava c-co-con la ma-magia».
Menfys rabbrividì
ancora.
« Era un incantesimo difficile »
«
S-s-scu-scusa » sbadigliai.
« Non importa »
rispose « Adesso dormi ».
Seguii il suo
consiglio. Mi sentivo meglio nel suo abbraccio infuocato. Chiusi gli
occhi e lasciai che il suo respiro caldo mi cullasse nel sonno.
Dopo due giorni la
tempesta finì e il vento scacciò verso Nord le ultime nuvole che
oscuravano il cielo. I due soli asciugarono la terra con il loro calore
e il fango in cui affondavano i nostri stivali, squittendo e
rallentandoci il passo, sparì. I morbidi prati verdeggianti, bagnati
dalla rugiada del mattino, sostituirono il terreno brullo. Mentre
proseguivamo il viaggio, l’erba dei prati cresceva fino ad arrivarci
alle ginocchia. I lunghi steli d’erba, che ondeggiavano al vento,
producevano un leggero fruscio e spargevano nell’aria il loro dolce
profumo, inebriante.
Tanasir diceva che
era un buon segno, significava che ci stavamo avvicinando alla foresta
dove vivevano gli elfi della Terra.
Incontrammo il fiume Rusck che, andando verso ovest, si divideva nel
fiume Feralas, che attraversava la foresta di Elwyn, la mia foresta. Lo
guardai curvare pigramente, scorrendo via insieme alla mia nostalgia.
Noi, invece, lo seguimmo nella direzione inversa, dove sfociava nel
lago Dolciacque. Dall’altra parte del lago si univa al fiume Vreej, che
entrava nella foresta Nastia, dove eravamo diretti.
Al tramonto ci
accampammo ai margini della foresta per prepararci alla notte. Wisp e
Ogard catturarono un cervo e Mavina arrostì la sua carne sul fuoco.
Dopo mangiato Tanasir e Menfys si sfidarono a combattere con le spade.
Li guardai, mentre si muovevano sinuosi, facendo roteare le spade.
Ancora una volta pensai che non sarei mai riuscita a eguagliare la loro
grazia. Il mio corpo mezzo umano rendeva i miei movimenti più lenti,
quasi goffi, in confronto pure ad una semplice camminata elfica. Tutti
i miei sensi erano meno sensibili, in confronto a quelli degli elfi.
Era davvero ingiusto essere così… mediocre.
Daelyshia mi
lanciò un’occhiataccia e Mavina osservò la mia espressione.
« È così brutto? »
chiese, avvicinandosi e sedendosi accanto a me.
« Cosa? » domandai
confusa, senza voltarmi a guardarla.
« Essere se stessi
» precisò, sentivo i suoi intensi occhi castani su di me. Continuai a
guardare Tanasir e Menfys. Avevano rallentato impercettibilmente i loro
fluidi movimenti e mi stavano ascoltando con le loro sensibili
orecchie. Annuii.
« Sei molto simile
a noi » osservò Mavina.
Sapevo che con “noi” intendeva gli Elfi.
« Sono molto
diversa da voi » precisai invece.
Menfys si girò a guardarmi di scatto, facendosi disarmare da Tanasir e
Ogard ridacchiò. Lanciò un'occhiataccia al suo drago e poi incontrò
nuovamente i miei occhi, pensieroso.
« Diversa »
ripetei, ricambiando il suo sguardo.
« Speciale »
ribatté Mavina.
« Non unica? » domandò curiosa
Daelyshia nella mia mente ed io mi girai finalmente a guardare Mavina.
Il suo volto era
illuminato dalla fiamma del fuoco e i suoi capelli castani alla fioca
luce sembravano essere ramati.
« Pensavo dicessi
unica » dissi, facendo eco al pensiero di Daelyshia.
Menfys e Tanasir
si sedettero accanto a noi, silenziosi.
Mavina ridacchiò
alle mie parole e scosse la testa, con i boccoli che le rimbalzarono
attorno al volto: « No, non unica ».
« Vuoi dire che
c’è stato qualcun altro come me? » domandai sorpresa. Non sapevo che
esistessero altri mezzi elfi.
« Sì » rispose
Mavina « Ci sono stati altri tre mezz’elfi nella storia di Danases»
rimase silenziosa per un attimo, i suoi occhi velati, poi tornò a
guardarmi e sfoderò un sorrisetto: « Ma nessuno legato ad un drago,
quindi sei speciale » concluse, soddisfatta di avere ragione.
« Certo, io l’ho
sempre saputo che era speciale! » affermò accorata Daelyshia e mi
sentii arrossire alle sue parole.
« E che fine
fecero gli altri mezz’elfi? Restarono a vivere a Danases? ».
Menfys e Ogard si
scambiarono uno sguardo veloce.
« No » disse
Menfys, piano.
« E…? »
insistetti.
« Due trovarono il
loro posto tra gli umani » rispose Mavina « Solo uno rimase a vivere a
Danases, senza trovare un compagno ».
« Mi stai dicendo
che se vivrò a Danases, resterò… sola? » domandai, indagando le
sue parole.
Daelyshia ringhiò,
indignata, ed entrò a forza nei miei pensieri, escludendo gli altri.
« Tu non sarai mai sola. Io sarò con te,
sempre! ».
Le sorrisi,
abbracciandola e carezzandole il collo facendo attenzione alle punte
acuminate.
« Lo so » le mormorai.
Wisp e Tanasir si
scambiarono un’occhiata, Menfys mosse di scatto la testa, come per
scacciare un pensiero molesto, e Mavina dilatò gli occhi, confusa e
stupita.
« Non volevo dire
questo… » mormorò, dispiaciuta.
Il brusco
movimento di Ogard interruppe il suo bisbiglio. Menfys si portò le mani
al petto, con una smorfia di dolore, e il drago fece scattare la coda e
balzò in piedi. Si portò le zampe sul muso.
« Ogard, che
cosa...? » cercò di domandare Menfys, ma fu interrotto da un portentoso
starnuto.
I draghi starnutivano?
Guardai, stupita, Daelyshia, che a sua volta guardava Ogard,
affascinata.
Ogard continuò a
starnutire, sotto lo sguardo stupefatto di tutti, finché dalle sue
narici cominciò a uscire un filo di fumo nero. Menfys si accorse dello
sguardo di Daelyshia e capì.
« Per tutti i
draghi di Danases! » esclamò all’improvviso, chinandosi a terra « State
giù! ».
Tutti seguirono il
suo consiglio, appena in tempo per evitare una poderosa fiammata di
fuoco azzurro, che eruttò dalle fauci di Ogard.
Per poco non colpì Mavina, che indignata e spaventata urlò: « Per tutte le magiche
lune… Ogard! Fa più attenzione! ».
Scoppiai a ridere,
vedendo l’espressione dell’elfa.
Ogard,
dispiaciuto, cercava di scusarsi con una Mavina, furiosa, dai capelli
ancora fumanti.
Tanasir e Wisp
risero insieme a me.
« Finalmente ce
l’hai fatta! » esclamò Menfys, dando una pacca al suo drago.
« Come facevi a
sapere che avrebbe eruttato del fuoco? » domandai, curiosa.
« I draghi non starnutiscono mai, solo nel
giorno della Fiammata, quando per la prima volta sputano fuoco »
spiegò Ogard, rispondendo al posto di Menfys.
« È una cosa innata, prima o poi ogni drago
deve farlo. Il colore della fiammata può variare, dipende dal drago e
dalla colorazione delle sue squame » aggiunse Daelyshia, e
intuii che doveva averglielo spiegato Ogard.
Ecco il motivo
della sua espressione affascinata agli starnuti di Ogard. Sentii i suoi
pensieri rabbiosi, perché avrebbe dovuto aspettare ancora prima di
sputare fuoco anche lei e ridacchiai.
La mattina
successiva, quando il sole batteva già alto nel cielo, c’inoltrammo
nella foresta incantata di Nastia, seguendo Tanasir che sapeva
perfettamente la strada per arrivare alla città degli elfi della Terra.
La sua città.
Il vento
sussurrava tra gli alberi millenari della foresta, che avevano dalle
chiome molto fitte, da cui filtrava poca luce, e man mano il sentiero
che seguivamo si oscurò sempre di più. Quando sembrò che il giorno
fosse diventato notte, gli alberi cominciarono a diradarsi e la foresta
iniziò ad aprirsi consentendo alla luce di illuminare un’enorme radura.
Tanasir si fermò,
all’improvviso, e si girò verso i tre draghi: « Ogard, Daelyshia
prendetevi cura di Wisp… andando verso Nord troverete una piccola
radura, dove potrete aspettarci » spiegò indicando loro la direzione,
poi disse: « Presa la Pietra della Terra, verremo a riprendervi ».
Come ogni volta,
Daelyshia e Ogard non partirono rassegnati e questa volta furono
accompagnati dalle ovazioni di Wisp.
« State attenti! » mi raccomandai, come al solito, quando, finalmente,
i draghi partirono alla volta della piccola radura indicata da Tanasir.
Riprendemmo il
cammino, senza i draghi, fino a quando un improvviso fruscio ci fece
fermare. Mi guardai intorno, preoccupata: dalla natura selvaggia,
affianco al sentiero quasi cancellato, provenivano dei rapidi
movimenti.
Un improvviso scalpitare di zoccoli fece sussultare tutti quanti e
davanti a noi comparirono creature magnifiche, dalle lunghe barbe che
ondeggiavano sul torso di uomo. Non avevo mai visto un fauno in carne
ed ossa, ma erano esattamente come me li ero immaginati dai racconti
dei Centauri. Sentii una piccola fitta di nostalgia al pensiero di
Cadea.
Tanasir emise un
sospiro di sollievo.
« Buona sera
Fabjl, come va? ».
Un fauno, con la
barba bianca e con in mano un arco, si avvicinò per stringere la mano
all’elfo.
« Buonasera,
Tanasir, è da tanto che non ti si vede da queste parti… » rispose Fabjl
con voce profonda « Amici tuoi? » domandò indicandoci con un dito
affusolato.
Mavina indietreggiò di un passo, come se avesse paura. Forse essendo
un’elfa dell’Acqua non era molto affine a quelle creature, così vicine
alla terra.
« Oh, sì… ti presento Menfys, Mavina e questa… è Elien » disse Tanasir,
poi rivolto a noi: « Questo è Fabjl. È un Fauno » aggiunse, come se ce
ne fosse bisogno.
«Piacere» fece
Menfys, nervoso, stringendo la mano a Fabjl.
Tanasir mi fece un cenno d’incitamento e intimorita, osservai il fauno
prima di chinare il capo in segno di saluto.
« Una mezz’elfa » notò Fabjl, per niente sorpreso « Sapevo che ti
avremmo incontrato, i centauri ci hanno parlato di te ».
« Oh! » esclamai, presa alla sprovvista.
Chissà cosa gli avevano raccontato di me, Cadea e Duril.
Fabjl continuò a
guardarmi: «
Il tuo ritorno qui, dovrebbe preannunciare finalmente l’armonia ».
Più che una domanda sembrava un'affermazione.
La mia risposta
più intelligente fu di rimanere a bocca aperta.
Non ebbi nemmeno il tempo di dire qualcosa che i fauni partirono al
trotto e sparirono nel buio della foresta, lasciandomi confusa.
Tanasir disse,
sorridendo: « Lasciate perdere, i
fauni, come i centauri, avranno anche un’intelligenza superiore alla
nostra, ma per me sono tutti un po’ suonati ».
L’eco della risata
di Wisp entrò nelle nostre menti e si spense. Tanasir ridacchiò.
« Quanti fauni ci
sono nella foresta? » chiese Menfys.
« Mmm… e chi lo
sa! Ce ne sono parecchi… Sono tipi solitari, raramente s’incontrano e
non vengono quasi mai vicino alle nostre città ».
All’improvviso
sentii delle voci concitate alzarsi sopra di noi. Guardai in alto e
vidi due scoiattoli.
« Ralei, dove hai
nascosto la ghianda? » inveì arrabbiato lo scoiattolo dalla coda con la
punta nera.
« Non ricordo,
davvero! » rispose l’altro, contrito, mentre teneva una ghianda dietro
la schiena.
Pensai subito al
mio amico scogliattolo che avevo lasciato nella foresta di Elwyn.
Forse loro
conoscevano Abiremil, e avrebbero potuto portare mie notizie a lui e ai
centauri.
« Ehi, voi due! »
feci avvicinandomi al loro ramo.
Sentii gli sguardi curiosi degli altri su di me.
I due scoiattoli
si voltarono verso di me e quello con la ghianda in mano la lasciò
cadere. La presi al volo e lo scoiattolo dalla coda nera diede uno
scappellotto all’altro.
« E cosi non
sapevi dov’era la ghianda, vero Ralei? ».
Ridacchiai e glila
diedi facendola volare fino al ramo con la magia, poi domandai: « Conoscete per caso
uno scoiattolo di nome Abiremil, che vive nella foresta di Elwyn?».
Ralei s’illuminò:
« Sì, io lo conosco! ».
« Potresti
portargli delle notizie? ».
Annuì e poi
chiese: « Che genere di notizie? ».
« Digli che Elien
si trova vicino ad Aessina, e di riferire tutto ai centauri ».
I due scoiattoli
chinarono il loro piccolo capo e si dileguarono fra le foglie degli
alberi.
Quando, dopo ore
di cammino – che mi sembrarono infinite – la foresta si allargò
nuovamente, i due soli stavano tramontando all’orizzonte e una luce
rosata illuminava la città degli elfi della Terra, che si estendeva
davanti a noi.
« Benvenuti ad
Aessina! » esclamò Tanasir, felice di essere tornato nel suo paese
natale.
Osservai,
meravigliata, che ogni casa di Aessina non era semplicemente appoggiata
agli alberi, ma era incastonata tra due o più alberi, come un loro ramo
che li congiunge insieme, e a ognuna era appesa, vicino alla porta, una
lanterna con delle fiammelle rosse. Le strade che percorrevano la città
erano tracciate da pedali di rose bianche, rosse e rosa, oppure da
candide piume di cigno, che osservai con orrore.
« Non è stato
ucciso nessun animale » mi tranquillizzò Tanasir, quando contestai di
animali uccisi e torturati « Sono le piume che hanno perso gli animali
nella foresta… le abbiamo semplicemente raccolte da terra ».
C’inoltrammo nel
centro della città e io osservai tristemente un gruppo di piccoli elfi
che giocavano felici, inconsapevoli della guerra, mentre i genitori li
controllavano preoccupati.
Tanasir ci guidò
ai confini, dove c’era una casalbero gigantesca, che sovrastava tutte
le altre.
« Ecco il palazzo
del Grande Saggio » disse quando ci trovammo nell’ombra dell’enorme
portone di quercia, che si aprì lentamente, scricchiolando.
Varcammo la soglia
e notai, ancora una volta, che il palazzo – come quello di Tedrasys e
Raducis – era pieno di elfi della Terra che correvano dalla stanza
all’altra. Erano tutti indaffarati a portare notizie sulla guerra
contro i draghi, o a discutere alleanze e confini della foresta.
Distratta dalla
bellezza del castello, feci un passo avanti e fui travolta da un gruppo
di elfi che parlavano dell’intervento dei fauni nella guerra contro i
draghi.
« Come se ci
dessero ascolto! Adesso avremmo già trovato un accordo! » esclamò un
giovane elfo che inciampò su di me che, prima che Menfys mi trascinasse
via, gli urlai contro: « Oh, ma che modi! ».
Tanasir ci guidò
verso una porta del primo piano, dal legno dorato, e bussò una volta,
poi due, poi tre: l’ingresso si aprì.
Entrammo in una
stanza a semicerchio con il soffitto ricoperto di piante rampicanti,
che in alcune parti scendevano fino a terra, come liane, queste però
erano piene di allegri, piccoli fiori gialli che spargevano il loro
dolce profumo. La luce entrava da un’unica finestra, molto grande, dove
filtravano i rosati raggi dei soli al tramonto, che andavano a finire
sul pavimento di legno chiaro, facendolo risplendere.
Vicino alla finestra, che copriva una parte del muro legnoso, c’era
un’enorme libreria, piena di testi antichi e impolverati, che
assomigliava a quella del Grande Saggio a Tedrasys. In un angolo della
stanza ardeva un magico fuoco azzurro, da cui usciva un fumo dall’odore
dolciastro, che doveva piacere molto ai fiori piantati nel legno
accanto al fuocherello, perché danzavano felici. Erano davvero strani.
L’aria era molto calda, per Mavina (che, da come avevamo intuito, non
era molto affine ai poteri della Terra) forse anche troppo, perché
aveva iniziato a sudare e si faceva aria con la sua piccola sciarpa
azzurra per asciugare le goccioline che le rigavano la fronte. La
sentii sbuffare.
Le liane si
mossero e comparve il Grande Saggio.
Era un elfo della Terra molto anziano, dagli occhi del tutto argentati
e i lunghi capelli bianchi. Non aveva la barba come gli altri saggi
bensì dei lunghi baffi dello stesso candido colore dei capelli. Era
molto alto, così che la stanza sembrava rimpicciolire sotto la sua
saggia aura. Indossava una tunica: era blu scuro come il colore dello
zaffiro.
« Tanasir
bentornato! » tuonò una voce, cadenzata da una R rantolata.
Il Saggio andò verso l’elfo, lo abbracciò, poi si girò verso di me,
Menfys e Mavina, facendo un inchino così profondo che i lunghi baffi
toccarono il pavimento.
« Benvenuta
altezza, benvenuto Menfys e benvenuta elfa dell’Acqua, io mi chiamo Dun
Tarien e sono il primo degli elfi della Terra… » all’improvviso un
rumore invase la stanza, come un potente trillo.
Il volto del
Grande Saggio si oscurò. Cattivo segno.
« Ora non possiamo
parlare, io sono impegnato altrove, e voi dovete riposare. Tanasir,
accompagnali nelle casalberi vicino al palazzo ».
Uscimmo di fretta
dalla stanza, spinti dal Grande Saggio che si precipitò fuori dal
palazzo e con una velocità che non avrei mai attribuito alla sua
anziana figura, scomparve correndo tra le vie della città.
« Che c’è? »
domandò ansiosa Mavina, mentre gli elfi della Terra, all’ascolto del
forte trillo che risuonava tra le abitazioni, presero i bambini e si
chiusero nelle loro case, sbarrando le finestre.
Tanasir scrollò le
spalle, confuso, e ci condusse dietro il palazzalbero, dove c’erano
tanti altri bassi alberi e, incastonate fra i loro rami, delle piccole
casette. Mi avvicinai alla prima casalbero e mentre stavo entrando, il
trillo finì e vidi Tanasir sfrecciare via, borbottando qualcosa che non
capii a Menfys.
L’interno della
casa era in penombra e scorsi un giaciglio di foglie morbide. Esausta,
feci per sdraiarmi sul letto (finalmente uno vero, dopo tanto tempo!),
quando un improvviso rumore, fortissimo, fece tremare la terra e
battere i miei denti. Mi raggomitolai, spaventata, e nella mia mente
intuii che la mia grande paura l’aveva percepita anche Daelyshia. Ci fu
un altro scoppio e senza volerlo urlai terrorizzata.
Che cosa stava
succedendo?
« Elien! » Menfys
mi chiamò.
La porta si
spalancò e una figura entrò nella casalbero. Ci fu un altro scoppio e
la terra tremò di nuovo. Menfys si avvicinò, incespicando e
inciampando, fino al letto.
« Ti ho sentito
urlare. Stai bene? ».
« Menfys, che cosa
sta succedendo!? » esclamai, portando le mani alle orecchie, per
coprire lo spaventoso rumore.
« I draghi stanno
attaccando la città » urlò Menfys, sovrastando il rumore. Si sedette
vicino a me, dicendo: « Il Grande Saggio voleva il nostro aiuto, e gli
ho dovuto dire la verità ».
« Quale verità? »
chiesi confusa, mentre la terra iniziava nuovamente a tremare.
« Che ci siamo
legati a dei draghi e che non potevamo combattere contro la loro stessa
razza » poi aggrottò le sopracciglia, continuando: « Adesso Tanasir è
con lui… ».
Uno scoppio più
forte degli altri sovrastò le sue parole e urlai di nuovo, spaventata:
« Che cosa stanno facendo? ».
« Non lo so, ma
qui siamo al sicuro » mi rassicurò Menfys, passandomi un braccio
attorno alle spalle per tranquillizzarmi « Il Grande Saggio ha imposto
personalmente degli incantesimi di protezione ».
Restammo in
silenzio ad ascoltare gli scoppi, che facevano tremare la città.
Speravo che gli elfi non facessero del male ai Draghi, e che Daelyshia,
Ogard e Wisp fossero al sicuro…
« Menfys? » dissi,
ricordandomi all’improvviso della mia curiosità. Cercavo di distrarmi,
non volevo pensare che a Daelyshia fosse successo qualcosa.
« Sì? ».
« Quanti anni hai?
».
Non rispondeva.
Alzai lo sguardo e notai che mi guardava, un filo di frustrazione
velava i suoi occhi. Forse si vergognava a rivelare la sua verità, però
attesi curiosa.
« Abbastanza… »
rispose infine, vago.
« Abbastanza? » lo
esortai, indiscreta.
Distolse lo
sguardo: «
Abbastanza da crescere insieme a tua madre e vederti nascere ».
Sgranai gli occhi.
Mi aveva vista nascere?
« Conoscevi mia
madre? » chiesi sorpresa anche se già pensavo che Menfys avesse quasi
un secolo.
« Sì » continuava
a guardare il muro, evitando il mio sguardo.
« E questo ti
disturba? ».
Si girò a
guardarmi sorpreso e sospettoso: « Cosa? ».
« Aver conosciuto
mia madre ».
Mi guardò per un
attimo e poi scoppiò a ridere, nuovamente rilassato, come sempre: « No!
».
Un altro scoppio
illuminò il cielo oscuro e mi dimenticai di cosa stavamo parlando.
L’ansia e la paura ripresero il sopravvento tra le mie emozioni.
Strinsi la mano di Menfys – trovandola stranamente calda – e urlai per
sovrastare un altro scoppio: « Grazie di essere qui ».
La terra tremò di
nuovo. Mi strinsi al suo petto e rimanemmo immobili ad ascoltare i
boati che scuotevano la città.
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