Alex amava Piper, ce l'aveva tatuata sulla pelle assieme alle rose, tra le spine dello stelo, in prossimità del cuore.
Era indelebile Piper, non si deteriorava mai, né si corrugava o corrodeva alle intemperie e al tempo. Alex se la portava addosso, nei giorni di pioggia, nelle estati calde e appiccicose, nelle passeggiate all'ombra dei salici e degli alberi di gelso che costeggiavano il parco.
Pur se Piper metteva disordine, scompigliava i suoi sentimenti come fossero carte da gioco e li acuiva ed amplificava, deformandoli e confondendoli.
Quando c'era Piper, Alex poteva sentire chiaramente i suoni ovattarsi e poi gradualmente annullarsi, prosciugarsi in qualcosa di più sublime ed etereo, i posti si assorbivano, si riducevano perdendo di consistenza e contorni.
Tutto risucchiato da Piper, tutto fatto di lei, lavorato e modellato secondo le sue fattezze, secondo la curvatura della clavicola, le impercettibili fossette delle gote e le convulsive reazioni di imbarazzo e felicità che forse solo Alex conosceva bene.
La amava. Eccome se l'amava. In ogni proporzione, particolare, minuzia che poteva esumare.
La riempiva, tanto, come nessuna donna avrebbe mai potuto. E quel vuoto che diventava voragine alla sua assenza si rimarginava al suono cadenzato e composto della sua presenza. Echeggiava nei giorni morti, aderiva al materasso freddo, rovistava tra le lenzuola di lino e scandiva tempo e ore.
L'avrebbe amata sempre. Alex lo sapeva. Non ci sarebbe stato momento in cui non l'avrebbe amata. Per sempre. |