Il Canto

di Lago
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Ascolta.

Scivolano nelle mie stanze.
Sono coppie, solitari viandanti, sono sciami di pensieri, torme di invisibili sibille.
Io vorrei tossire. Il mio petto è troppo pesante. E loro danzano lievemente nell'aria della stanza, sospesi in un ipnotico tepore. Io riesco a malapena a respirare - e loro danzano, volteggiano. Sibilano fra i tendaggi -
- sapore di sabbia, di verde, di profumi stranieri, avvolgenti -

Tu non ascoltare.

Mormorano.
Bisbigli solo in apparenza senza un senso. Non riesco a comprendere - sono così stanco.
La Notte indiana cammina, percorrendo la mia stanza, senza voltarsi mai. Vaga, osserva - semplicemente, ricordando. Un'ambrata melassa colma ormai le mie percezioni - lentezza. Pesantezza.
La Notte scivola nell'aria di pietra, indisturbata. Non si volta verso il letto. Non mi guarda.

Tu non le badare.

Fra i veli, mossi piano dalla brezza, io non tremo.
La carezzo con lo sguardo. Cerco di non fare alcun rumore, ansimo piano, cercando di rallentare i miei respiri. Non voglio disturbarla.
I miei occhi bruciano di febbre. Il caldo offusca la mia vista.
Un drappo d'oro scuro abbandonato sulla mia pelle. Come un velo di marmo, costringe il mio corpo in una morsa soffocante. Gocce roventi striano le mie carni. Bruciano.
La seta è troppo pesante. Non sono in grado di scostarla.

Tu non farti consumare.

Il dolore.
Non sono più le fitte laceranti, alabarde persiane conficcate nel mio ventre.
La Bestia s'è acquietata.
Costantemente si rigira, si rivolta, artiglia i miei intestini, senza smettere più. Ma non mi squarcia, ora, la sua tana l'ha scavata, s'è annidata nel calore del mio corpo. E' lì che giace.
E' pesante, la Bestia. Si è nutrita della mia carne, senza addormentarsi.
Non ha dormito, mai.

Tu non la liberare.

Lei cammina.
Un canto lontano, il suo incedere pacato. Una nota solitaria, che vagheggia nelle sabbie, si nasconde nei sussurri del deserto. Scivola, sospinta dalle brezze, scavalca oceani di polvere dorata, si libra sinuosa nell'aria pesante di profumi. Sino a me. A me ne porta l'eco, mi ricorda che è un addio quello che devo pronunciare.
La Notte sta cantando, fra deserti e cieli vuoti, dolce ed indifferente. La sua pelle d'ambra mi sta avvolgendo, un sudario di un'opprimente melodia, offuscando la stanza intorno a me, rendendone i colori troppo vivi.
Mi fa male.
Non un tintinnìo, uno scampanìo d'argento, a mitigare il peso che grava sul mio petto.
Il mio respiro, instabile nella penombra. Troppo fioco.

Tu non rinunciare.

Lei sfiora, con dita indistinte, i legni lavorati, gli arazzi purpurei. Un calore d'incensi e spezie sboccia fra i miei occhi, costringendomi a lasciar scivolare le mie palpebre. Le socchiudo, a malapena, mentre il peso appiccicoso che ho d'intorno si fa opprimente, soffocante.
La Bestia sta conficcando le sue unghie nel mio grembo.
Si avvicina a me, la Notte, il volto celato dal suo manto, d'impenetrabile cobalto.

Tu non la guardare.

Inizio a percepire. I sussurri, senza forma nè significato, levitano nella mia mente. Si compongono in parole, mormorate a malpena, ma parole. Il mio nome.
Madre?
Mi sta chiamando, forse. Non riconosco un volto, ma il calore, dèi, il calore delle su braccia. 'Dormi, Efestione.'
Non so se sia possibile.
'Dormi, bambino mio.'
Madre!
Non so se sia reale.
Madre!
Sfugge, si sfoca. In un'umida, fosca compressione del mio cranio, mentre i mormorii s'intrecciano nelle mie orecchie. Sussurrano, confondono, nascondono. e fra loro, sale la sua voce. La Notte, la sua voce in ascensione, per poi raggomitolarsi verso il basso. Trasportata su, un'aquila impennata verso un cielo di fiamme, per poi andare a rannicchiarsi fra le dune, sotto la sabbia. Nelle profondità di oasi impenetrate, fra le fresche acque dei fiumi.
Il calore mi attanaglia. Mi aggrappo alla sua voce, mi abbevero alla sua sorgente.

Tu non soffocare.

Scosta i tendaggi intorno a me. So che mi sta guardando. Il suo canto è limpido, antico.
La Bestia è come intorpidita. Si ritrae, scivola in sonnolento stupore. Il dolore scema, s'assopisce con la Bestia. Sprofondano, ambedue, nelle sabbie d'oblio.
E lei s'avventa su di me, le dita adunche, il volto contratto, e grida, grida, GRIDA, GRIDA, le mie orecchie lacerate, dèi, s'avventa su di me, vi prego, NO!...

Il mio petto, impazzito.
La Notte si erge accanto al mio giaciglio. Immota.
Non riesco neppure più a tremare.
I miei occhi si son fatti traditori, lo comprendo. Mentre i sussurri dela Notte carezzano la mia mente stremata.
Una memoria, un passato perduto che lotta per riaffiorare, mentre con dolcezza s'abbassa verso il mio volto. Il canto del vento, ipnotico e sudente. Fa meno paura. Meno paura... di quello che temevo.

Tu non la guardare, Efestione!

Dalle profondità del mondo stesso, sei tu a invocarmi.
Richiami la mia umana condizione, la mia vetusta identità. Io sono l'amante del re. Colui che viene odiato. forse di più, io sono colui che lo convince ad ascoltare. Io ti parlo. Tu mi credi.
E' così semplice. Lasciar fluire la tua voce nel mio corpo, nel mio sangue. Mia. La mia memoria, la mia ragione. La mia signora.
Tu mi parli. Io ti credo.

Tu non te ne andare.

Tu non mi lasciare.

Tu...

Tu non puoi morire...

Mi sembra di sentirti gridare. Nelle profondità della mia mente, riecheggia la tua volontà, il tuo pensiero - così radicato in me. Tu neppure sei qui - non è mai contato.
Ma lo senti. Posso quasi vederti, piegato in due sulla tribuna - le mani abbrancate ai braccioli del tuo trono, sì, ti vedo - mentre qualcosa in te si spezza, rovescia i fluidi che conteneva, ne imbeve la tua sabbia. Veleno, destinato ad attanagliarti l'esistenza. Finchè vivrai.
E tu comprendi.

Tu non rinuciare!

Efestione, tu non mi lasciare!

Non riesco più ad aprire gli occhi.
La mano fresca della Notte sta sfiorando la mia fronte - un bruciore pesante sta comprimendo il mio respiro, il mio torace.
Sospiro.
La Notte riprende a cantare. Canta per me, ora. Lascio che mi avvolga, mi attiri a sè come la più anziana delle madri. Lascio che mi cinga. Che mi sollevi, mi accolga fra le sue calde brezze. Canta per me, per lenire il tuo dolore.
Lascio alla sua voce del deserto l'onere di offuscare ogni frammento - ogni realtà che tenti di ancorarmi al suolo.
Fra le volute sabbiose, nel calore di un canto beduino, sento filtrare la tua voce. Riesco a sentirti urlare.

Ascoltala, mio amore.
La Notte canta per noi.





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