「
‘Cause I’ve done something that I
can’t
speak
And
I’ve tried to wash you away but you just won’t leave
So
won’t you take a breath and dive in deep
‘Cause
I came here so you’d come for me 」
Haunting,
Halsey
Le
luci dei lampioni cominciano ad accendersi, rischiarando la strada,
mentre gli ultimi bagliori rossastri del tramonto scompaiono del tutto,
lasciando il posto al blu scuro della sera su quella spettacolare tela
che è il cielo.
Kidou
prosegue a passo spedito lungo il marciapiede; con un gesto casuale
scrolla il polso, avvicinandoselo appena al volto per poter leggere con
nitidezza ciò che le lancette indicano sul quadrante del suo
orologio. Il verdetto impensierisce non poco Yuuto – sono
quasi le otto. Suo padre lo starà aspettando per la cena da
una mezz’ora buona, volendo essere ottimisti. Come al solito
ha finito per intrattenersi più del dovuto agli allenamenti:
quando Endou e Gouenji lo hanno invitato a seguirli verso la Steel
Tower non ha pensato nemmeno per un momento di rifiutare.
D’altronde, negli ultimi tempi, gli sembra che i suoi amici
siano rimasti le uniche persone al mondo a tenere a lui: a casa ogni
occasione è diventata buona per discutere con suo padre. Il
signor Kidou appare piuttosto suscettibile, il che è strano:
gli affari per l’azienda di famiglia stanno andando piuttosto
bene. Chissà, magari si tratta solo di un po’ di
stress, visto che adesso è anche occupato con la questione
sponsor…
Quando
quell’ultimo pensiero gli attraversa la mente, Kidou avverte
una familiare quanto indesiderata fitta attanagliargli il petto; il
ragazzo si porta istintivamente la mano destra all’altezza
del cuore, stringendo tra le dita la stoffa della felpa della Raimon.
Cose
belle. Deve pensare positivo, adesso.
Haruna
che gli ha sorriso durante gli allenamenti, quel pomeriggio; Endou che
vola all’indietro, colpito in pieno dal suo amato copertone e
che, nonostante tutto, si lascia andare ad una risata allegra, genuina,
felice.
Inspira,
espira. Inspira, espira.
Per
un momento Kidou chiude gli occhi, per poi riaprirli di lì a
breve. Sta decisamente meglio, adesso.
Non
sa con certezza cosa gli sia preso – un attacco di panico,
probabilmente. Negli ultimi periodi gliene capitano di continuo, sul
serio.
“Troppi
pensieri” sussurra nella propria mente, quasi come se volesse
convincere se stesso.
Si
lascia sfuggire un ultimo sospiro stanco, dopodiché si
rimette di nuovo in marcia. La strada verso casa è quasi
giunta al termine, ormai.
Proprio
in quel momento, infatti, smette di fiancheggiare il muretto che
circonda il perimetro dell’abitazione e si avvia lungo il
vialetto d’ingresso, superando con pochi passi la fenditura
del cancello. La casa è intensamente illuminata, ci sono
lampade accese in buona parte delle stanze che riesce a vedere dalla
facciata principale. Gli ultimi metri che lo separano dal portone Kidou
li percorre con passi rapidi e leggeri, mentre il borsone con il
fulmine della Inazuma gli batte ritmicamente sulla schiena. Quei
contraccolpi non danno poi così fastidio a Yuuto, anzi, gli
piace pensare che siano un po’ come un secondo cuore, che
arde e pulsa assieme al primo.
Una
volta saliti anche i pochi gradini dinanzi alla porta, Kidou fruga
nelle tasche dei pantaloni, alla ricerca delle chiavi. È
autunno inoltrato, eppure fa già freddo come in inverno.
Mentre espira e il fiato si tramuta in nuvolette di vapore, Yuuto trova
finalmente il mazzo di chiavi che stava cercando, così fa
scattare quella giusta nella serratura senza ulteriori esitazioni e si
fionda in casa, lasciando che il portone si chiuda dietro di
sé.
Si
lascia sfuggire un altro sospiro, mentre, ormai nell’atrio
dell’abitazione, ha già cominciato a sfilarsi la
sciarpa che gli circonda dolcemente il collo.
«Sono
a casa!» esclama allora, più per un atto dovuto
che per il piacere vero e proprio di essere arrivato.
Nel
frattempo posa la sciarpa sull’appendiabiti
all’ingresso, per poi proseguire attraverso il corridoio
d’ingresso. Vorrebbe gettarsi subito nella propria stanza,
non ha la minima intenzione di sorbirsi un’ennesima cena al
vetriolo con suo padre, perciò per quanto sappia di dovergli
comunque chiedere il permesso di andare in camera da letto, preferisci
nel frattempo sistemarsi in una posizione strategica, almeno appena
l’uomo acconsentirà alla richiesta che sta per
porgli potrà subito scattare su per le scale verso la sua
tanto agognata meta. Sta giusto per complimentarsi con se stesso per
quella trovata geniale, quando i suoi fantastici piani vengono infranti
con un tempismo che ha dell’incredibile.
«Yuuto,
siamo in soggiorno» sente suo padre richiamarlo, con una voce
leggermente più allegra del solito.
Kidou
si ferma a metà strada, inarcando le sopracciglia in
un’espressione dubbiosa.
Siamo?
D’accordo,
lui e suo padre ormai non parlano quasi più,
perciò non aveva idea che potesse esserci qualcuno a cena,
tuttavia dubita che nessuno lo avrebbe avvertito nel caso di
un’eventuale presenza di ospiti. Oltretutto, tornando a casa,
non ha notato la presenza di auto nelle vicinanze
dell’ingresso – perciò deduce che debba
trattarsi di una visita piuttosto inaspettata.
Muove
alcuni passi dubbiosi verso il soggiorno, mentre sta ancora cercando di
capire chi potrebbe esserci nell’altra stanza, assieme a suo
padre. Chi diavolo sarebbe così folle da presentarsi senza
invito né preavviso a casa di una persona all’ora
di cena? Kidou ha un sospetto – terribile, a suo dire
– per cui spera davvero tanto di star sbagliandosi.
Peccato
che l’istinto di Yuuto fallisca raramente.
Una
volta giunto sulla soglia del soggiorno sente le proprie gambe
bloccarsi, il respiro rimanere impigliato in gola e un accenno di
vergogna imporporargli le gote. Già, vergogna,
perché Yuuto non riesce a credere che quel passato, da cui
sta tentando di sfuggire con tutte le proprie forze, adesso sia seduto
sulla poltrona accanto a quella di suo padre, le gambe elegantemente
accavallate mentre continua a conversare amabilmente con
l’uomo al proprio fianco.
Kageyama
Reiji si volta nella sua direzione, rivolgendogli uno dei suoi migliori
sogghigni.
Quella
sensazione di panico con cui ormai sta imparando a convivere negli
ultimi tempi torna adesso ad impossessarsi, di colpo e prepotentemente,
del suo corpo. Sente ogni pensiero annullarsi, come se la sua mente, la
sua ancora di salvezza in ogni situazione, avesse deciso
improvvisamente di fare tabula rasa, così che perfino
ricordarsi come si respira è diventata un’impresa
piuttosto ardua.
«Oh,
sei arrivato, finalmente» riprende suo padre, impaziente
«stavamo aspettando solo te per iniziare la cena.»
Kidou
non sembra nemmeno sentire quelle parole; si è perso ad
osservare Kageyama, che lo fissa di ricambio. Yuuto riesce a leggere
nella sua espressione un certo sentore di sbeffeggiamento, il che non
fa che innervosirlo ancora di più.
Credevi
davvero di potermi sfuggire, ragazzo?
Kidou
si ricorda di colpo di aver bisogno di respirare e, prima che possa
morire di asfissia, si costringe a tirare un profondo sospiro, anche
nel vano tentativo di riacquistare quel contegno che sa di aver
definitivamente perduto.
“Su,
Yuuto” si ammonisce “vedi di smetterla di
comportarti come una scolaretta”.
Inspira
ancora una volta a fondo, per poi puntare lo sguardo su suo padre.
«Vado
a farmi una doccia» gli comunica tutto d’un fiato,
dimostrando di non aver ascoltato nemmeno una parola di ciò
che l’uomo gli aveva detto giusto poco prima, quindi, senza
attendere il consenso, si fionda in direzione delle scale.
Cerca
di rimuovere dalla propria mente l’ultima immagine che ha
intravisto mentre si allontanava dal soggiorno – il ghigno di
Kageyama che si allargava nell’udire la parola
“doccia” – ma, nonostante tutti i suoi
sforzi, proprio non ci riesce.
L’acqua
continua a scendere impietosa sul suo corpo quando il pugno attraversa
l’aria e colpisce con rabbia le maioliche candide davanti a
sé
Yuuto
è furioso, letteralmente.
Ancora
si domanda – forse in maniera futile – cosa diavolo
sia passato nella mente del suo genitore adottivo nel momento in cui ha
deciso di firmare quel dannato contratto che lo costringe ad essere lo
sponsor della sua ex squadra, la Teikoku.
“Ah,
già” mormora dentro di sé una vocina
dal tono più affranto di quel che potesse immaginare
“il vile denaro, ecco cos’è che muove la
gente al giorno d’oggi”.
Fondamentalmente
quel di cui Yuuto si vergogna così tanto è il
modo in cui, per una ridicola sponsorizzazione, suo padre stia
macchiando il nome della famiglia a cui, volente o nolente, anche lui
appartiene. Insomma, non è esattamente il massimo vedere il
proprio cognome sulle maglie della squadra di un uomo che ha cercato di
uccidere i suoi attuali compagni di squadra – e Kidou si
sente anche peggio, se pensa che quelle divise le indossano i suoi
vecchi amici.
Una
beffa nella beffa, insomma.
Yuuto
si lascia sfuggire un verso rabbioso, che gli raschia la gola. Ha
così tanta frustrazione repressa in corpo che non dubita di
poter distruggere qualsiasi cosa gli capiti a tiro, in quel momento.
Chiude
l’acqua con un movimento fulmineo, ancora furioso,
dopodiché esce dalla doccia, avvolgendosi un asciugamano
attorno alla vita e tamponandosi i capelli con un altro. Deve pure
sbrigarsi, perché suo padre e Kageyama lo stanno aspettando
per la cena – e
non sia mai che il loro ospite debba
attendere, sarebbe estremamente scortese da parte sua.
A
volte Kidou si domanda cosa abbia fatto di male per meritarsi tutto
ciò. Prima la morte dei suoi genitori, poi la separazione da
Haruna e adesso questo. Sente il sangue ribollirgli nelle vene, se solo
potesse… se
solo potesse…
Kidou
è costretto a far ricorso ancora una volta alle sue tecniche
di repressione dei sentimenti, benché questa volta non si
trovi a dover tenere a bada il panico, bensì la rabbia.
Pensa
che, con ogni probabilità, se Kageyama lo vedesse in quel
momento di fragilità, non perderebbe tempo per sbeffeggiarlo
e rinfacciargli un’ennesima volta quanto sia debole, per via
della sua incapacità di tenere a bada le emozioni.
Kidou
decide di non dargli quell’ennesima soddisfazione,
perciò prende ad asciugarsi in fretta, per poi infilarsi i
vestiti che ha recuperato poco prima in camera. Valuta che quei jeans e
la camicia sono fin troppo eleganti per una cena che non vede
l’ora di finire, tuttavia non ha la minima voglia di andare
di là a cercare qualcos’altro –
sì, ha preso i primi vestiti che ha trovato
nell’armadio – così, una volta
allacciato l’ultimo bottone, si avvia di gran carriera verso
l’uscita della stanza.
Arranca
svogliatamente verso le scale e da lì cerca di captare
qualche scorcio del discorso che si sta tenendo al piano inferiore. A
quanto pare, nell’attendere il suo arrivo, suo padre e
Kageyama hanno deciso di accomodarsi già nella sala da
pranzo.
«Mi
dispiace, Kageyama-san» Yuuto sente mormorare il proprio
genitore adottivo, nella sua voce una sincera quanto disgustosa nota di
rammarico «non è giusto farla aspettare in questo
modo, avrei dovuto dirgli di salire dopo.»
«Non
si preoccupi» replica Kageyama, in tono piatto «ho
preso un caffè prima di venire qui, perciò i
morsi della fame non sono poi così insopportabili.»
Kidou
afferra il corrimano con forze, le nocche che sbiancano, quando sente
suo padre soggiungere:«D’accordo, resta tuttavia il
fatto che questo sia un comportamento decisamente
inaccettabile.»
Yuuto
scende le scale con un passo più pesante di quel che
vorrebbe, giusto per annunciare ai due l’imminenza del
proprio arrivo. Detesta il fatto che si parli di lui alle sue spalle,
soprattutto se quelle che vengono pronunciate sono cattiverie
infondate. Da quando in qua dovrebbe essere cortese con una persona che non ha mai mostrato un minimo di rispetto nei confronti
di innumerevoli vite umane? D’altronde, Kageyama non si
è mai fatto problemi a calpestare gli altri e i recenti
avvenimenti ne sono una lampante dimostrazione.
Kidou
fa il suo ingresso nella stanza con lo sguardo pieno di rabbia puntato
a terra.
«Oh,
eccoti» commenta suo padre, quasi come se fosse infastidito
dal fatto che la sua presenza nella stanza sia giunta solo in quel
momento – e Yuuto non stenta a credere che sia esattamente
così «bene, accomodati, così finalmente
possiamo iniziare a cenare.»
Kidou
trattiene tra i denti un potevate
iniziare già senza di me,
anche perché sa che, con ogni probabilità, la
risposta di suo padre sarebbe “non rivolgerti a me in questo
modo”.
Mentre
raggiunge la sedia che quella sera gli spetta, sente gli occhi di
Kageyama che non si staccano dal suo corpo nemmeno per un secondo.
«Fortuna
che ti sei cambiato» lo sente commentare, di lì a
poco «il blu di quella divisa non ti dona affatto.»
Kidou
fa fatica a reprimere la stizza che prova in quel momento e quella
volta non può proprio impedirsi di rispondere.
«Beh,
certo, immagino che il nero funereo mi doni molto di più,
no?» ribatte infatti, gli occhi che sprizzano scintille
infuocate dietro le lenti scure.
Kageyama
fa per replicare a sua volta, tuttavia viene interrotto con un tempismo
perfetto dal padre del ragazzo.
«Yuuto,
per cortesia, non cominciamo» lo ammonisce, con
severità «questa è una cena come tutte
le altre, perciò sei pregato di non infastidire i miei
ospiti, non finché ti trovi ancora sotto il mio stesso
tetto. Sono stato chiaro, ragazzo?»
Kidou
brontola senza farsi notare, non aggiungendo altro.
A
dir la verità Kageyama si è accorto perfettamente
di quanto il ragazzo sia in difficoltà e ha tutte le
intenzioni di stuzzicarlo per l'intera durata della cena. Vuole tastare
il terreno, vedere fino a quando il suo autocontrollo è in
grado di sostenerlo. Chissà, potrebbe anche rivelarsi una
serata più divertente del previsto.
Nel
frattempo dei camerieri portano piatti con la pietanza principale della
serata, agnello con patate stufate e salsa al burro. In una situazione
diversa a Yuuto si illuminerebbero gli occhi nel vedersi consegnare una
cena del genere. Con la consapevolezza di quali commensali siano
lì a condividere la cena con lui, chissà
perché sente lo stomaco chiudersi di colpo.
Suo
padre, invece, ha già cominciato a mangiare con gusto.
«Allora,
Kageyama-san» comincia poco dopo «come mai da
queste parti?»
«Per
affari, ovviamente» Reiji non esita un istante per
rispondere, facendo dondolare tra due dita la propria forchetta a
mezz’aria, lo sguardo che non ne vuole sapere di staccarsi da
Yuuto.
Kidou
sente suo padre prorompere in una risata decisa.
«Ottima
risposta, vecchio mio» commenta l’uomo, il sorriso
ancora stampato sulle labbra nel frattempo che si passa un dito tozzo
sotto l’occhio, come a voler raccogliere una lacrima scesa a
causa dell’improvviso eccesso d’ilarità.
Kageyama
non lo considera più di tanto, sta ancora fissando Yuuto. Il
ragazzo non ha ancora mostrato intenzione di toccare il cibo che ha nel
piatto.
«Non
mangi?» gli domanda con voce bassa, melliflua, sensuale quasi.
Kidou
fatica a non sobbalzare sulla sedia, la schiena che subito torna ad
irrigidirsi. Kageyama non si fa certo sfuggire neppure quel piccolo
mutamento, il che gli suggerisce che, forse, ottenere ciò
che desidera dal ragazzo sarà più facile di
quanto sospettasse.
Reiji
sogghigna, entusiasta. È stupefacente notare come, dopo
tutto quel tempo, la mansuetudine e l’assoggettamento che
Kidou nutre nei suoi confronti non siano affatto mutati, commovente
quasi.
Yuuto
sta ancora pensando a quanto gli suoni strano sentire suo padre, un
uomo sempre così composto, rivolgersi a qualcuno chiamandolo
“vecchio mio” come farebbe un marinaio con un altro
come lui, soprattutto se prende in considerazione il fatto che il
destinatario di tale epiteto fosse proprio Kageyama. Suo padre e il suo
ex allenatore, per quanto ne sapesse, si erano parlati un
così ristretto numero di volte in vita loro che
d’improvviso tutta quella confidenza suonava così
forzata, un’ennesima costrizione in una situazione
già di per sé al limite del paradossale.
Yuuto
si costringe ad infilare la forchetta nel piatto mentre i due
riprendono a discorrere.
«E
mi dica, di che affari si tratta, nello specifico?
C’è forse qualcosa che non la convince, nel
contratto che abbiamo stipulato?» s’informa allora
il signor Kidou, la voce che è tornata ad essere seria e
concentrata.
«Oh,
no, niente del genere» si affretta ad assicurare Kageyama,
sfoderando un sorriso affabile che Yuuto conosce fin troppo bene
«in realtà si trattava solo di alcune inezie,
niente di cui preoccuparsi. Però, sa, per me frequentare
questa casa è sempre un immenso piacere, perciò
mi sono detto “Perché aspettare domani e privarmi
di una così piacevole compagnia, se posso risolvere tutto e
subito?”»
Yuuto
comincia a vedere uno scenario più definito davanti ai suoi
occhi, peccato che ciò che gli si presenta non sia affatto
rassicurante: ormai ne è certo, Kageyama è venuto
lì per lui. Era convinto che rifiutando il contratto
d’ingaggio che gli aveva offerto si sarebbe liberato una
volta per tutte di lui. Doveva aspettarselo, in fin dei conti: da
quando in qua quell’uomo demordeva così facilmente
dai propri scopi? No, Reiji avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di
ottenere ciò che desiderava, così come ogni altra
maledetta volta – peccato che in questo caso il suo bersaglio
fosse proprio Yuuto.
Percepisce
distrattamente suo padre commentare che quella di Kageyama sia davvero
una scelta lodabile, tuttavia nessuno di loro due lo sta realmente
ascoltando: hanno ingaggiato una sorta di battaglia di sguardi, dalla
quale Yuuto teme che nessuno ne uscirà vincitore. Kageyama
lo sta osservando con lo stesso sguardo inquisitore di sempre, quello
che sembra volerti trapassare da parte a parte, mentre il contatto
visivo che sta ricercando il ragazzo pare essere, se possibile, perfino
più intenso: vorrebbe poter scandagliare ogni parte della
mente dell’uomo, riuscire a capire cosa vi nasconda, se i
suoi sospetti siano fondati o meno.
Peccato
che leggere nei pensieri di quell’uomo sia così
dannatamente difficile. Yuuto si sente quasi come se si trovasse di
fronte a una scrittura illeggibile e indecifrabile, il che lo fa
innervosire terribilmente: detesta non essere al corrente di qualcosa,
qualunque essa sia.
«Una
compagnia così piacevole da non riuscire a farne a meno,
eh?» sbotta d’improvviso, assottigliando lo sguardo.
Kageyama
ghigna e, se non fosse certo di avere gli occhi di tutti i presenti
puntati addosso, si leccherebbe le labbra con estrema malizia; si
chiedeva per quanto tempo ancora sarebbe riuscito a resistere il
ragazzo, con quel carico psicologico addosso. Deve ammettere che
è riuscito a ricreare un’atmosfera di tensione
decisamente adatta a ciò che desidera – e forse si
sta compiacendo più del dovuto o prima del tempo, non
importa, per una volta che è riuscito a fare qualcosa a modo
è lieto di potersene dare merito.
«Y-Yuuto—»
cerca di riprenderlo suo padre, senza ottenere un risultato minimamente
soddisfacente.
«È
esattamente quello che ho detto» gli fa notare Kageyama,
continuando a ghignare tutto soddisfatto, certo di avere ormai la
vittoria in pugno.
«Già,
chissà perché però non riesco proprio
a credere a queste parole» rincara Yuuto, in tono gelido,
deciso a non volergliela far spuntare pure quella volta.
«Kidou
Yuuto» nel frattempo, dal lato opposto della stanza, il padre
del ragazzo afferra con rabbia il bordo del tavolo. Yuuto è
abbastanza certo che adesso gli toccherà una ramanzina coi
fiocchi – e se da una parte sa perfettamente di essersela
meritata, considerando il modo arrogante e spocchioso in cui ha
risposto a Kageyama, dall’altra è consapevole di
essere nel giusto, perciò perché dovrebbe
sorbirsi una sgridata immotivata?
In
quel momento la buona sorte sembra di colpo ricordarsi – dopo
tanti anni d’assenza – dell’esistenza di
Yuuto, infatti improvvisamente il telefono di suo padre si mette a
squillare. L’uomo trattiene tra i denti una serie di
imprecazioni stizzite che poco si addicono alla sua figura, sempre
così pacata e autoritaria, intanto che controlla sul display
il numero di chi lo sta chiamando. Quando realizza di chi si tratta,
per un momento sembra quasi sbiancare.
«I
miei nuovi clienti inglesi» spiega, con aria desolata
«perdonatemi, devo proprio rispondere–»
«Io
salgo in camera mia» conclude Yuuto, alzandosi di scatto
dalla sedia.
Suo
padre fa per dirgli qualcosa; vorrebbe ordinargli di fermarsi e
costringerlo a tornare subito lì per continuare a
riprenderlo, tuttavia Yuuto sa già che non lo
farà: non c’è nulla che venga prima del
lavoro, per quell’uomo, perciò non è
poi così sorpreso di vederlo avviarsi, poco dopo, in
direzione della terrazza, mentre ha già risposto al telefono.
Il
ragazzo non ci pensa due volte e si sbriga a correre su per le scale.
Mentre
attraversa il corridoio deserto, Yuuto pensa distrattamente a
ciò che potrebbe fare adesso. D’istinto vorrebbe
poter chiamare Gouenji, l’unico con cui ultimamente ha legato
un pochino – esclude a prescindere Endou, per quanto il
capitano della Raimon possa stargli simpatico capisce che non sia
esattamente la persona migliore con cui parlare di una cosa del genere
– tuttavia non è certo di voler riversare tutte le
sue paturnie su una persona che, fino a poco tempo prima, si limitava a
tollerarlo a malapena. Insomma, Shuuya sta cominciando a sopportarlo
adesso, perciò forse sarebbe meglio evitare di perdere tutta
la dignità in un colpo solo e precludersi così la
possibilità di avere anche solo una persona in quella
squadra che non lo picchierebbe volentieri.
È
ormai giunto alla – frustrante – conclusione che si
limiterà a buttarsi sul proprio letto, mettendosi a fissare
il soffitto quando giunge davanti alla porta della propria camera.
Abbassa la maniglia senza troppo curarsi di ciò che lo
circonda – errore madornale, se solo ci ripensa – e
si lascia scomparire tra le tenebre della stanza, spingendo la porta
dietro di sé, certo che si chiuderà.
Poco
dopo, tuttavia, si vede costretto ad ammonirsi mentalmente della
leggerezza imperdonabile che ha commesso quando si rende conto che il
tempo impiegato dalla porta per scattare nella serratura è
decisamente eccessivo – tuttavia ormai è troppo
tardi, perché da dietro due braccia forti gli hanno
già cinto la vita.
Kidou
fa per sobbalzare, vorrebbe potersi opporre a quella morsa opprimente
ma tutto quel che riesce a tirare fuori è un gemito
strozzato, mentre Kageyama lo obbliga a piegare la testa
all’indietro.
«A
volte mi domando se lo fai apposta o meno» Reiji accarezza
con un dito la gola arcuata del giovane, godendo del modo in cui sente
sussultare il pomo d’Adamo sotto il proprio tocco bramoso
«t’impegni così tanto per resistermi,
per sfuggirmi, alla fine però cadi sempre nello stesso
errore, tant’è vero che sei proprio tu a lasciarmi
spalancate tutte le porte per raggiungerti.»
Kidou
lo osserva attentamente, rivolgendogli un sorriso sprezzante nonostante
la posizione scomoda in cui l’ha costretto.
«Se
credi che l’abbia fatto apposta per farmi seguire ti sbagli
di grosso» ribatte, gli occhi colmi di astio «ho
solo commesso un errore, niente di più.»
«Un
errore» Kageyama lo fissa divertito, per poi lasciarsi
sfuggire una risata di scherno. Allunga un braccio alle proprie spalle,
premurandosi di chiudere la porta a chiave.
«Tu
sei Kidou Yuuto, non commetti errori» replica allora
prontamente, continuando a fissarlo con intensità
«avevi tutto il tempo per chiudere questa porta ma non
l’hai fatto. Per quanto tu possa raccontare a te stesso il
contrario, sapevi perfettamente che ti avrei seguito per poi
raggiungerti qui, in camera – tant’è che
tu stesso hai detto chiaramente dove saresti andato, quando eravamo
ancora a tavola. Tu volevi
che ti seguissi, Kidou, non mentirmi;
d’altronde, sarebbe inutile, non trovi? Io ti ho insegnato
tutto quello che sai, so captare con precisione qualsiasi pensiero ti
attraversi la mente.»
Yuuto
scuote la testa; quell’uomo non perderà mai il
vizio di cercare di raggirarlo con le proprie parole.
«Pensala
un po’ come vuoi, sappi però che non è
così che stanno le cose» commenta infatti,
incrociando le braccia al petto «se non commetto errori,
perché mai avrei dovuto rifiutare il vantaggiosissimo
contratto che mi avevi offerto? E poi, visto che sei così
convinto che volessi essere seguito, spiegami per quale ragione lo
desiderassi.»
Kageyama
sogghigna, come se il ragazzo gli avesse appena fatto il più
bel regalo della sua vita.
«Hai
rifiutato il contratto per dimostrarmi che potevi sottrarti a me,
qualora lo volessi» Reiji poggia entrambe le mani sui fianchi
del ragazzo, costringendolo a voltarsi verso di sé
«quanto al motivo per cui ti sei lasciato seguire,
beh… immagino che si tratti di questo.»
E,
con questo, non perde tempo oltre per trascinare i fianchi del ragazzo,
lasciandoli strofinare contro i propri.
Il
volto di Yuuto s’imporpora violentemente, mentre non riesce a
trattenere il gemito che fiorisce sulle sue labbra.
Kageyama
invece ghigna vittorioso, trattenendogli il mento tra pollice e indice.
«A
quanto pare avevo ragione io» commenta, appagato dal rossore
che ha pervaso il volto del ragazzo «e prima di tutto direi
di liberarci di questi…
voglio vedere i tuoi occhi
annebbiarsi di piacere… queste gemme sono mie, appartengono
unicamente a me, Kidou.»
Con
un gesto rapido della mano Kageyama gli sfila gli occhialini,
lasciandoli cadere a terra. Yuuto cerca di opporsi, tuttavia prima che
possa pronunciare anche una sola parola si ritrova con le labbra
dell’altro sulle proprie, che gustano quel sapore dolce
d’innocenza con bramosia e possessione.
Kidou
prova a ribattere, tuttavia Kageyama fa incontrare nuovamente i loro
fianchi e d’improvviso nella mente di Yuuto ogni cosa
è beato obnubilo, una nebbia fitta che avvolge i pensieri
razionali e lo costringe a corpo tremante, le labbra incapaci di
produrre qualcosa che non siano gemiti.
Reiji
lascia vagare una mano sotto la camicia del ragazzo, accarezzando a
fondo tutta la schiena candida e morbida. Per un momento Yuuto
è costretto a chiudere gli occhi e a deglutire forte,
talmente intense sono le sensazioni piacevoli che lo pervadono in
quell’istante. Kageyama continua a strofinare i fianchi
contro i suoi, mentre lo induce lentamente a distendersi sul letto alle
sue spalle.
«Ohh,
la camicia» Reiji accarezza il tessuto azzurrino che ricopre
il petto di Kidou «cos’è, un modo carino
per dirmi che vuoi essere torturato per bene?»
«T-ti
sbagli…» cerca di ribattere il ragazzo, il volto
già paonazzo.
«Certo,
come no» Kageyama riprende a strofinare il bacino su quello
del ragazzo, esaltato dalla durezza che avverte all’altezza
del cavallo dei pantaloni di Yuuto.
Il
ragazzo ansima e geme, gettando la testa all’indietro,
così Kageyama ne approfitta per chinarsi su di lui e
lasciargli baci umidi sul collo, mentre le dita abili hanno
già cominciato a slacciargli i bottoni della camicia.
«M-mio
padre—» tenta di opporsi Kidou, gli occhi che ormai
rimangono aperti solo se si sforza.
«Shh,
tuo padre cosa?» Kageyama è già
arrivato a metà dell’opera, perciò ne
approfitta per accarezzargli il petto nudo, certo di riuscire
così a tenere sotto controllo le sue deboli proteste
«lui adesso è impegnato nella sua importantissima
telefonata di lavoro, cosa pensi che farà?
Correrà qui a salvarti come il cavaliere
dall’armatura scintillante? Oh, andiamo, Kidou, sappiamo
benissimo entrambi che quell’uomo è tutto
fuorché questo. È un vile, codardo, a cui importa
ben poco di quel che ti succede. Ce l’ha con te
perché hai rifiutato un contratto che avrebbe potuto
portargli un sacco di soldi, perciò perché mai
dovrebbe correre in tuo soccorso se sa che adesso ti trovi in una
situazione che potrebbe potenzialmente farti cambiare idea? Certo, non
immagina quello che realmente succede dietro questa porta, tuttavia
sarebbe egoista da parte tua credere che gliene importi qualcosa, non
trovi?»
Kidou
abbassa gli occhi, di colpo sostenere lo sguardo di Kageyama
è diventato così doloroso. La verità
delle parole di Reiji lo ha colpito in pieno petto: suo padre non lo
raggiungerà nemmeno se urlasse a squarciagola. Si domanda
allora a questo punto che senso abbia continuare ad opporsi a Kageyama,
soprattutto considerate le condizioni in cui si trova. Yuuto si lascia
sfuggire un sorriso triste: alla fine lo ha lasciato davvero vincere.
«Adesso
non comportarti come la vittima della situazione, Kidou»
Kageyama gli solleva il volto con forza, le labbra che si precipitano
nuovamente su quelle del ragazzo «come se tutto
ciò non ti piacesse.»
Kageyama
strofina una volta il bacino contro quello di Kidou, mentre
è ormai passato ad abbassare la zip dei jeans del ragazzo e
Yuuto decide che lasciarsi andare a quell’oblio tanto
piacevole non sarà poi una decisione così
deleteria.
Angolo
autrice
Attenzione:
queste note potrebbero contenere potenziali scleri e spoiler
riguardanti l’outer code story 3 uscito il 20 gennaio 2017.
Se non l’avete ancora visto vi consiglio di non procedere
oltre con la lettura.
Per
tutti gli altri, che voi siate temerari ormai immuni agli spoiler o
gente che si è vista tutta la live dell’altro
giorno, allora prego, scendete tranquillamente negli scellerati inferi
che troverete da qui in poi.
.
.
.
CIOÈ.
Io
giuro che ci ho creduto – sperato – fino
all’ultimo. Era tutto perfetto, stavo letteralmente sclerando
e saltellando in preda alla gioia sul mio letto. Anzitutto la nuova
sede della Teikoku è una figata astronomica,
cos’altro potrei mai aggiungere. Se solo esistesse davvero un
posto del genere tornerei immediatamente a studiare, giuro.
Vogliamo
parlare un momento di Genda e Sakuma? No, dai, parliamone. Sono
adorabili, due cuccioli come al solito – ed erano tutti
contenti di avere sulla maglia la scritta dello sponsor
“Kido” grosso come una casa… ma
d’altronde, voglio dire, come potresti non essere contento di
una cosa del genere se ti chiami Sakuma Jirou e sei il fan numero due
di Kidou Yuuto? shh,
il numero uno è Kageyama (ma non andate
a dirlo in giro)
Tra
l’altro Fudou, ahh, Fudou, mio piccolo caro, coccolo, adorato
Fudou. Ultimamente lo sto rivalutando tantissimo, come personaggio
– insomma, basta che stia ad almeno venti chilometri di
distanza da Kidou e che le fujoshi smettano di voler vedere sempre e
per forza il romance tra loro e il gioco è fatto, no?
– e in dieci/venti secondi che si prende sullo schermo mi ha
tipo fatto sputare un polmone a forza di ridere tra
l’altro
aveva un outfit gnocchissimo (e poco etero) ma lui per me
resterà per sempre il boy di Fuyuka, per cui no problem.
E
poi, a un certo punto, puff, ecco che sbuca fuori lui, il mio adorato
Comandante. Lo sapevo che era vivo, lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo!
Ero davvero troppo esaltata, stavo per mettermi a piangere per la
gioia. Tra l’altro è ricomparso al suo fianco
anche il suo vice, quello che lo aveva sostituito durante la finale
contro la Raimon, dopo che Reiji era stato arrestato. Mi domandavo che
fine avesse fatto quell’uomo, in effetti – no, non
è vero, non mi sono mai posta un interrogativo del genere ma
dettagli--
Insomma,
era davvero tutto perfetto, perlomeno fino al momento in cui
è arrivato lui.
Kazemaru.
Ora,
io posso pure volere tutto il bene del mondo a Ichirouta,
però— non ce la posso fare. Sono infuriata, mi
sento tradita e presa in giro. Da chi? Oh, semplicissimo: da Kageyama,
da Hino burn
that psycho e dalla Level 5 intera. Fanno di tutto per
ingannarmi come un’allocca ed ecco che puntualmente ci casco
– stupid me.
Erano uscite delle scan e in due pagine, sullo
sfondo della nuova Teikoku, c’erano delle immagini giganti di
Kidou e Kageyama. Si diceva che sarebbe stato l’episodio in
cui sarebbero figurati due personaggi il cui nome ha come iniziale la
lettera “K” (quindi chi meglio del binomio perfetto
Kageyama/Kidou avrebbe potuto incarnare tale caratteristica?) e per di
più l’indizio dell’outer code parlava
del ritorno
di un personaggio. Io ci ho creduto – e sperato
– sul serio che potesse trattarsi di Kidou,
d’altronde tutti gli indizi lasciavano supporre questo. Ti
pigli come sponsor l’azienda del padre di Yuuto e
che un
giorno sarà proprio di tuo marito e non ingaggi
Kidou? Ma
cos--
Dio,
ho così tanta voglia di picchiare Kageyama. Secondo me ha
qualcosa in mente e comunque durante il corso degli eventi del nuovo
arco narrativo i due avranno di nuovo modo di incontrarsi, altrimenti
non riesco proprio a spiegarmi perché nell’ending
della preview di Ares no Tembin del 27 luglio 2016 abbiano inserito un
frangente in cui Kageyama e Kidou compaiono insieme. Questa nuova serie
sta facendo crollare tutte le certezze che avevo fino a questo momento:
Hayden vivo, Kevin all’Alpine con i gemelli Frost, Hiroto che
non si chiama più Kira e ha addirittura un fottuto doppio e
ora questo… dove posso andare a suicidarmi?
A
questo punto sto solo aspettando di trovare Kidou per poterlo insultare
pesantemente, non dico altro.
Venendo
alla storia, io non so bene cosa dire. Avevo bisogno di sfogarmi visto
quanto al momento io sia arrabbiata con questi due tipi qua e quale
modo migliore per farlo se non con questo piccolo esperimento di
tortura psicologica? Ahh, era da un po’ che avevo voglia di
esercitarmi su una roba del genere ed ecco che finalmente ne ho avuto
la possibilità. Questi due si prestano bene a cose del
genere, in effetti. C’è una sorta di dub-con/angry
sex dopo, ahimè tuttavia sono costretta come al solito al
lasciarlo solo intendere, perché la Efp policy è
quel che è e io mi devo attenere ad essa. A volte mi viene
voglia di iscrivermi a Livejournal per poter pubblicare con piena
tranquillità robe del genere, poi però mi ricordo
che, di fatto, faccio pena a scrivere di lemon/lime, così
alla fine lascio perdere, come ogni altra volta. Ecco, in effetti
è per questo che mi sono fermata in quel punto e non sono
andata oltre, perché io
in queste cose faccio
pietà, punto.
Una
cosa importante: noi non abbiamo ricevuto da nessuna parte (o, almeno,
francamente io ho cercato dovunque ma non ho trovato niente –
mamma mia quanto lavoro c’è dietro a questa shot)
la conferma che lo sponsor della Teikoku sia l’azienda del
padre di Yuuto, tuttavia mi pare improbabile che non lo sia –
come direbbe Kidou, “troppo perfetta per essere una
coincidenza” – per questo la storia è di
per sé una what if? dell’outer code… se
ve lo state chiedendo sì, mi sento molto avanti in questo
momento. Comunque a me pare uno scenario molto plausibile, perlomeno
fino alla parte della camera da letto-- sigh
Finalmente,
dopo mesi di blocco mentale in cui non sono riuscita a tirare fuori un
banner minimamente decente neanche cavandolo con le pinze (per quanto
“Fuoco liquido nelle vene” sia uscita a novembre,
mi pare che il banner lo avessi fatto a settembre/ottobre – e
comunque non mi convinceva per niente all’epoca e continua a
non piacermi neanche adesso) mi è venuta fuori una cosa
minimamente decente. Evidentemente è frutto
dell’ispirazione post orrendo
outer code dell’altro
giorno, cosa volete che vi dica. L’unica cosa positiva di
questo dannato episodio di cinque minuti è che ho trovato
nuove fanart della KageKi su pixiv – ergo sfruttiamole tutte
subito, no? yupie--
Ah,
già, la canzone. Concludo dicendo che questa storia
all’inizio non aveva neanche un nome – pensa te oh
– poi avevo pensato di chiamarla “Dark
necessities” ma mi sono ricordata di avere già una
fic in cantiere con lo stesso titolo; alla fine ieri sera continuava a
tornarmi con prepotenza alla mente questa canzone di Halsey (a
proposito, se avete occasione di ascoltarvela mentre leggete la fic
sarebbe fantastico – io l’ho avuta a palla per
buona parte del tempo mentre partorivo questa
‘cosa’) e quando sono andata a sentirla mi sono
resa conto che con questa storia ci sta che è una
meraviglia. Così ecco che vi beccate anche un po’
della musica che piace a me, tie’. L’altra opzione
per il titolo era “Beautiful lies” e devo dire che
anche questo ci stava che è una meraviglia, però
al limite ce lo teniamo in serbo per qualche altra storia, che dite?
Sigh,
adesso devo scappare. Ringrazio come al solito chiunque sia arrivato
fino a qui e più in generale chi ha letto la storia; qualora
voleste lasciare un feedback sappiate che i vostri pareri sono sempre
più che benaccetti ●ᴥ● ♥ se qualcuno dovesse
inserire la storia tra le preferite o le ricordate… lo
sapete, come al solito avete tutta la mia massima gratitudine e
devozione.
A
presto
Aria
P.S.:
forse adesso è il caso di fare una pausa con le OS, con
questa siamo alla terza solo a gennaio… tra
l’altro questa è pure un po’
più lunghina delle precedenti – che diavolo mi sta
succedendo? owo”
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