Glicine, un racconto

di psikodelizia
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Praga. Nastro quasi finito. Il tramonto è agli sgoccioli. Il libro è ancora da scrivere. 5 novembre. La camicia è sporca, bisogna cambiarla. Cammino da due giorni su e giù per i vicoli di questa città, ripetendo e ripetendo storie e annedoti vecchi e ritriti al registratore. La gente mi squadra, parlo da solo e cammino senza meta, è freddo e non mi sono ancora deciso a comprarmi una giacca più pesante. Brrrr......... pochi spiccioli. Almeno un thè...
Sul ponte la nebbia comincia ad avvolgere le statue. Mi sento la gola bruciare, non so che darei per qualcosa di caldo.
Ancora un giorno e me ne torno a Londra.
Un fumo blu, brillante sale da sotto un lampione. Mi sporgo e vedo una barca capovolta usata come tetto, là a bordo del fiume, sulla piccola banchisa. Piccoli mattoni rossi sporchi e una chiglia come tetto, un comignolo buffo, quasi a fungo, nel mezzo. Da lì il fumo saliva sottile verso il bordo del ponte.
Una locanda penso, la scritta al neon è mezza spenta, si legge appena “ ..leone”.
Ok scendo, qualcosa di veloce, e poi a letto. Speriamo di trovare un taxi....
le pietre della banchisa sono scivolose, qualcosa di scuro le avvolge.
Davanti alla locanda non c'è nessuno, nessun rumore, lamento, appena quello dell'acqua che si addormenta lentamente. Non c'è porta. Entro e ho paura di fare rumore. Un silenzio sbronzo, stanco, e un po' nervoso. Su dai, voglio solo qualcosa di caldo, ora ordino, bevo, pago e via a letto.
Il bancone è piccolo di legno nero, due sgabelli imbottiti. Nessuno.
Ecco a sinistra, quattro, cinque persone, cinque. Due uomini, pantoloncini corti, maglietta tirata un po' su, sudati, addormentati, dalle bocche penzolano dei bocchini senza sigarette. Gli altri tre, tutte donne, sono vestite di un rosso un po' scuro, i vestiti vecchi con dei pizzi neri pesanti. Una in particolare, una finta bionda, è triste con le rughe che tagliano l'abbondante trucco rosso sulle guance.
Attorno a loro migliaia di piccole foto. Affogate in piccoli fiocchi e fiori e addobbi e icone dorate. Solo un paio di televisori vecchi, a 4 colori, senza audio interrompono la distesa di ritratti.
Un cristo cangiante su uno sfondo celeste è lasciato in un angolo. Nuvole gli passano di fianco e si notano alcune gocce di caffè rappreso sullo schermo al plasma.

Dylan si avvicina al bancone, non c'è nessuno. Non ci sono bicchieri o bottiglie. Solo un vecchio campanello.
Si guarda indietro. Ha troppo freddo. Suona il campanello ma non fa troppo rumore.
Un cigolio. Compare la testa di un ometto, che monta un cric e sbuffando e sbuffando arriva al bordo del bancone.
-prego, desidera??- dice l'ometto mentre si aggiustava la tutina grigia e una grossa cintura gialla.
-un...thè...è possibile?- dylan si sforzò.
-un momento e  la serviremo subito- biascicò l'ometto mentre si metteva un mantello nero al collo.poi scese dal cric e scomparve di nuovo.




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