Red [like fire, blood and love] di Soly_D (/viewuser.php?uid=164211)
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contest
Red
[like fire, blood and love]
Prima
parte
Resuscitare un cadavere o infondere la vita in un oggetto inanimato non
era un lavoro affatto semplice.
Richiedeva una certa dose di coraggio,
nel maneggiare pezzi di corpi e attrezzi insanguinati.
Impegno,
nel selezionare tra tanti cuori disponibili quello più
adatto per la nuova creatura.
Precisione,
nel fare un taglio netto al centro del petto e infilarvi il muscolo con
l’aiuto di pinze e bisturi.
Pazienza,
nell’attendere che il cuore cominciasse a pompare e che il
corpo prendesse vita.
Concentrazione,
nello stabilire un contatto mentale con la creatura affinché
eseguisse gli ordini del suo padrone.
Enoch aveva dedicato la sua intera vita a perfezionare ognuna di queste
abilità: mentre all’inizio le sue bambole si
muovevano solo se incoraggiate verbalmente, con il passare del tempo e
grazie all’esperienza quotidiana il giovane
O’Connor aveva imparato a manovrarle perfino telepaticamente,
trasmettendo loro i suoi stessi pensieri, le sue stesse emozioni. Erano
come tanti burattini tra le sue mani, servi fedeli che si sarebbero
buttati anche in mare pur di eseguire la sua volontà, e
Enoch non poteva che amarli e crearne sempre di nuovi e più
perfetti, arricchendo giorno dopo giorno la sua vasta e lugubre
collezione.
Da qualche tempo, però, tutte le sue abilità
sembravano leggermente... indebolite,
soprattutto la concentrazione. Inizialmente Enoch aveva avuto paura che
i suoi poteri stessero lentamente sparendo, magari per l’uso
eccessivo che ne aveva fatto, ma Miss Peregrine gli aveva assicurato
che erano insiti nel suo DNA e quindi immodificabili. Poi aveva pensato
di essere affetto da una strana malattia tipica degli Speciali, ma
anche qui la saggezza della direttrice aveva messo in chiaro che gli
Speciali si ammalavano esattamente come i Normali.
Rendendosi conto dell’assurdità di quelle ipotesi,
Enoch aveva infine cercato una spiegazione più razionale e
plausibile: forse doveva ancora abituarsi al trasferimento nel nuovo
anello temporale e nella nuova casa, una graziosa casetta in collina
circondata dagli alberi a cui si accedeva tramite una galleria scavata
nella roccia, lontano da occhi indiscreti. O magari era colpa del nuovo
laboratorio, più piccolo e meno attrezzato del precedente, o
forse doveva ancora abituarsi alla nuova aria di pace e
tranquillità che si respirava da quando Spettri e Vacui
erano stati definitivamente sconfitti.
Tuttavia il tempo passava e, nonostante lì Enoch si sentisse
ormai a proprio agio, quegli strani sintomi non accennavano a sparire,
anzi... sembravano rafforzarsi giorno dopo giorno: spesso confondeva i
barattoli contenenti i cuori, a volte tagliava il petto della bambola
nel punto sbagliato, altre volte dava ordini errati e le sue creature
facevano l’opposto di ciò che voleva.
Terribilmente frustrante,
non avrebbe potuto resistere a lungo in quella situazione.
Fu in un pomeriggio come tanti che si rese conto che il motivo della
sua perenne distrazione aveva
un nome e un cognome.
«Olive, passami le forbici».
«Subito».
La mano della ragazza fece capolino nella sua visuale insieme
all’attrezzo che aveva chiesto.
Enoch si soffermò con gli occhi sulle dita sottili che
stringevano le lame delle forbici [quante volte la mano di Olive,
calda, rassicurante, aveva stretto la sua, timida, fredda]. Continuando
a risalire, il suo sguardo trovò la linea che separava il
guanto nero dalla pelle bianca e delicata del gomito [quante volte
quello stesso braccio gli aveva circondato il collo facendolo sentire
forte, coraggioso, amato].
Giunse infine sulla spalla [piccola ma forte, reggeva il peso di
sessant’anni trascorsi in un paradiso che a conti fatti non
lo era davvero], sul collo sinuoso [quante volte aveva desiderato
baciarlo e si era trattenuto dal farlo per non metterle pressione, per
non farla scappare via proprio ora che finalmente era sua], sul volto
luminoso incorniciato dai capelli rossicci [adorava infilarci le dita
mentre la baciava, Enoch, ma questo non glielo avrebbe mai detto].
«Enoch...?».
I grandi occhi verdi di Olive lo guardavano con aria preoccupata.
Enoch, imbarazzato, abbassò immediatamente lo sguardo.
«Io... stavo... riflettendo».
Che immensa bugia. Quando mai si era messo a riflettere nel corso del
suo lavoro? Gli era sempre venuto così spontaneo,
così naturale, o almeno fino a quando non aveva trovato in
Olive qualcosa di ben più interessante.
Sospirò cercando di riprendere la concentrazione, poi
afferrò le forbici dalla mano di Olive e cominciò
a fare un piccolo taglio nel petto della bambola che aveva di fronte.
Successivamente svitò il barattolo poggiato poco
più in là ed estrasse il cuore.
«Pinze, per favore».
Di nuovo Olive eseguì in silenzio i suoi ordini. Questa
volta Enoch fu più furbo: afferrò le pinze ad
occhi chiusi cosicché la mano di Olive protesa verso di lui
non lo distraesse. Con l’aiuto delle pinze infilò
il cuore nel petto della bambola, attese che riprendesse a battere e la
fissò intensamente per stabilire con essa un contatto
mentale. Contemporaneamente notò che Olive si era staccata
dalla sua solita postazione per sporgersi in avanti e guardare meglio.
Enoch poteva sentire il suo fiato caldo sul collo, i suoi occhi che lo
fissavano con curiosità. Per non parlare
dell’ondata di profumo che aveva portato con sé,
gli stava dando letteralmente alla testa.
Era sempre stato così forte l’odore di Olive? E
lui era sempre stato così debole, così arrendevole in sua
presenza?
La bambola aprì gli occhi, mosse leggermente le mani, ma
rimase distesa lì sul tavolo. Era viva, sì, ma
non si muoveva.
Alzati, pensò Enoch, ma non sembrava in grado
di sentire i suoi pensieri. «Alzati», questa volta
lo disse ad alta voce, ma non funzionò ugualmente. Enoch era
a dir poco basito, non gli era mai accaduto di fallire così
miseramente in ciò che gli riusciva meglio.
«Che succede?». La voce di Olive gli giunse alle
orecchie decisamente troppo vicina.
Enoch era certo che, voltandosi appena, i loro volti si sarebbero
inevitabilmente sfiorati... e no, non andava affatto bene.
Serrò la mascella e strinse un pugno sul tavolo.
«Olive... tu mi distrai».
«C-cosa?».
«Non riesco a lavorare con te che mi stai... appiccicata».
«Vuoi... vuoi che me ne vada?».
Enoch sollevò la testa e guardò la ragazza negli
occhi. Era terribilmente dispiaciuta.
«No, Olive, certo che no».
Lei gli restituì uno sguardo confuso, le sue parole dovevano
essere suonate parecchio contraddittorie.
Enoch si arrese all’evidenza: da un po’ di tempo la sua ragazza esercitava su di lui un’attrazione così potente da distoglierlo sempre più spesso dal suo amato lavoro in laboratorio e la cosa assurda era che non gli dispiaceva proprio per nulla. Le marionette potevano anche aspettare, Olive no. Tanto
valeva approfittare di quel momento di pausa per godere a pieno della
sua vicinanza.
Si fece indietro con la sedia, afferrò la ragazza per un
braccio e la tirò dolcemente verso di sé,
invitandola a sedersi sulle proprie gambe. Olive si accomodò
con grazia, stando ben attenta a non spiegazzare il vestito; era
così leggera, così delicata tra le sue braccia, e
Enoch non riuscì a trattenersi.
«Tu... tu non puoi nemmeno lontanamente immaginare
l’effetto che mi fai».
A quelle parole, Olive sgranò impercettibilmente gli occhi e
si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, per poi guardare
subito altrove, rossa in volto quanto i suoi capelli. Intenerito, Enoch
le passò una mano dietro la nuca, tra i capelli, per
avvicinarla maggiormente a sé e la baciò sulle
labbra. Olive, dopo un attimo di smarrimento, si lasciò
andare e ricambiò, posando le proprie mani ai lati del viso
di Enoch.
Si baciarono lentamente, senza fretta, una, due, tre volte. Ogni tanto
si staccavano per guardarsi negli occhi, ogni tanto si sorridevano per
poi riavvicinarsi di nuovo come due calamite inevitabilmente attratte
l’una dall’altra.
Le labbra di Olive erano morbide e calde, perfette da baciare. Quando
Enoch le toccò con la punta della lingua, Olive dischiuse la
bocca permettendogli il passaggio e il bacio si fece più
soffice, più umido,
così intenso che Enoch cedette inevitabilmente alle
emozioni. Strinse Olive tra le braccia baciandola con una passione che
non credeva di possedere e che era rimasta sopita dentro di lui per
tanto, troppo tempo.
Olive gli circondò il collo con le braccia, accarezzandogli
i capelli, tirandone qualche ciocca quando lui le mordeva le labbra in
preda alla frenesia del momento. Quando si staccarono, si ritrovarono
entrambi senza fiato. Olive chiuse gli occhi e poggiò la
fronte contro quella di Enoch annaspando alla ricerca d’aria:
le sue guance erano rosse come mele mature, le sue labbra dischiuse e
gonfie di baci. Quella visione ebbe il potere di ridestare nel ragazzo
un nuovo desiderio di baciarla, più potente, meno innocente.
Allungò una mano per sgombrare il tavolo, allontanando
velocemente la bambola, i barattoli e gli attrezzi, poi si
alzò in piedi tenendo Olive stretta a sé. La
ragazza si lasciò adagiare sul tavolo senza opporre alcuna
resistenza, né tanto meno protestò quando Enoch
le poggiò le mani sulle ginocchia e la invitò a
divaricare la gambe, così da potersi infilarsi nello spazio
compreso tra di esse.
Enoch poggiò le mani sul tavolo ai lati dei fianchi di
Olive. In quella posizione, intrappolata tra il tavolo e il suo petto,
la ragazza sembrava alla sua completa mercé: avrebbe potuto
baciarla dove e come voleva, e il solo pensiero lo faceva fremere. La
guardò negli occhi. Il suo sguardo era sorpreso, forse un
po’ intimorito, ma carico d’amore, come sempre.
Enoch non resistette oltre: la baciò di scatto, tutto
d’un fiato, tanto che Olive si inarcò
all’indietro, incapace di sostenere la sua irruenza. Allora
Enoch la circondò con un braccio posandole una mano al
centro della schiena e la sorresse per tutti i minuti successivi. La
baciò sulle labbra più e più volte,
poi scese lungo la guancia, la mandibola, il collo, e
ricominciò da capo. Contemporaneamente, con la mano libera prese ad accarezzarle la pelle scoperta del braccio, scivolando poi sul fianco e infine sulla coscia nascosta dal lungo vestito chiaro. Su e giù, su e giù, per un tempo che, però, gli parve decisamente troppo breve.
«Cosa... cosa stai facendo?», bisbigliò Olive nel suo orecchio.
Enoch si bloccò all’improvviso, quelle parole lo
avevano appena riportato alla realtà. «Io... non
lo so...». Incrociò gli occhi liquidi di Olive e si rese conto di aver osato troppo, di essersi spinto oltre il limite senza permesso, di aver in qualche modo intaccato la fiducia che Olive riponeva in lui. Si sentì improvvisamente colpevole, quasi stanco, come se quel bacio (che poi solo un bacio non era stato) gli avesse risucchiato tutte le forze. Ingoiò a vuoto e poggiò la
fronte sulla spalla di Olive, sorreggendosi con le mani sul tavolo. Era
come assuefatto
da lei, la sua mente [il suo cuore] non riusciva a contenere un altro
pensiero che non fosse “Olive”. Il problema era che
andavano avanti in quel modo da mesi, ma ora lui voleva di
più: un bacio che durasse più a lungo,
un carezza che si spingesse più
a fondo, un abbraccio che penetrasse fin dentro la pelle.
«Tu vuoi fare l’amore con me, Enoch?».
Quella domanda lo colpì come un fulmine a ciel sereno. Mai
Olive era stata così diretta in sessanta anni che la
conosceva.
Accidenti, se ne era accorta allora. Enoch la scrutò attentamente in volto per capire cosa scatenasse in lei quella scoperta: non sembrava impaurita o arrabbiata, e nemmeno tanto sorpresa, solo curiosa.
Il ragazzo chiuse gli occhi. Fare l’amore,
aveva detto Olive. Vederla completamente nuda, poterla stringere e
sentirla tutta contro di sé, poterla
baciare e toccare non
solo sul volto e sul collo, ma anche sul petto, sull’addome e poi più giù, sempre più giù...
Gli corse un brivido lungo la schiena e dovette fare ricorso a tutto il
proprio autocontrollo pur di non mostrare quanto la sola idea di farla
sua lo eccitasse come il ragazzino alle prime armi che effettivamente
era.
Riaprì gli occhi, cercando di darsi un contegno. «Solo se lo vuoi anche tu», rispose sinceramente.
«Oh, Enoch...». Olive gli accarezzò una guancia e lo guardò con una
tenerezza tale che Enoch si sentì sciogliere come neve al
sole. Lei lo capiva, comprendeva i suoi bisogni, i suoi desideri, e Enoch si sentiva così fortunato ad avere al suo fianco una ragazza tanto speciale. Speciale non per il fuoco che era in grado di produrre magicamente con le mani, ma per il calore [per l’amore] che donava a tutti coloro che la circondavano senza chiedere nulla in cambio.
Enoch si sentì in dovere di rassicurarla. «Non devi per forza. Non ora, almeno. Quando sarai pronta... se lo vorrai».
Olive abbassò lo sguardo, intrecciando le mani con fare
nervoso. Enoch si chiese se per caso non avesse sbagliato qualcosa, ma poi lei tornò a guardarlo con un bagliore particolare negli
occhi. «Domani Miss Peregrine porta i bambini in gita.
Potrei dire che non mi sento molto bene e che preferirei rimanere a casa... e tu potresti far finta di restare qui a prenderti cura di me».
Enoch avvertì la gola improvvisamente secca. Non era certo di aver capito bene.
«Mi stai proponendo di... insomma...?».
«Potremmo provarci», rispose Olive allusiva,
mordendosi l’interno della guancia per l’imbarazzo.
A quel punto Enoch si rese conto che non solo Olive comprendeva i suoi bisogni, ma li condivideva e per giunta con la stessa urgenza. Mettendo in atto il suo piano, l’indomani sarebbero rimasti soli in una casa completamente vuota per un intero pomeriggio. E cosa poteva desiderare di più Enoch? Gli sembrava quasi un sogno, stentava a credere che una cosa tanto bella stesse accadendo per davvero. Proprio a lui, che aveva sempre pensato di non meritarsi una tale felicità.
«Dici sul serio, Olive?», le chiese allora per accertarsi.
Lei annuì. Enoch la ringraziò con lo sguardo e si sporse per baciarla leggermente sulle
labbra.
«Dobbiamo prepararci per la cena ora», gli ricordò Olive subito dopo.
«Hai ragione». A malincuore, il ragazzo si scostò per farla scendere dal tavolo. «Ci
vediamo dopo».
Olive si allontanò, lasciandolo così, solo nel suo laboratorio, immerso nella penombra, con un sorriso carico d’aspettative stampato sul volto pallido e il cuore gonfio d’amore. Per lei, solo per Olive.
***
A cena Olive non mangiò molto, tanto che Miss Peregrine le
chiese se si sentisse bene. Lei rispose di sì, ma la
verità era che lo sguardo di Enoch fisso su di lei per tutta
la sera le rimescolava tutto all’altezza dello stomaco: mangiava e la guardava, allungava un braccio per prendere il sale e la guardava, si puliva la bocca con il tavagliolo e la guardava. Sentendosi squadrare in quel modo, Olive era arrossita innumerevoli volte. Aveva come l’impressione che Enoch volesse divorarla con gli occhi, penetrarle fin dentro l’anima, e la cosa assurda era che lei glielo avrebbe lasciato fare senza opporre la minima resistenza.
Vuoi fare
l’amore con me?
Dove avesse trovato il coraggio di chiederglielo, Olive non lo sapeva
proprio. In sessanta lunghi anni non era mai stata in grado di compiere il primo passo, preferendo aspettare che Enoch si accorgesse da solo di lei, e ora tirava fuori quella domanda così esplicita, così poco pudica. Non riusciva a credere di averglielo chiesto sul serio, ma non era nemmeno lontanamente pentita. Da un po’ di tempo, infatti, aveva notato in Enoch qualcosa di diverso: i suoi baci erano
più intensi, il modo in cui la stringeva era più
possessivo, i suoi sguardi più accesi e maliziosi.
Nonostante anagraficamente avesse settant’anni, la sua anima
era pur sempre quella di un ragazzo di diciassette anni alle prese con
l’amore e poi Olive stessa non poteva negare che moriva dalla
voglia di sentire le mani di Enoch sul suo corpo, di amarlo e farsi
amare come una qualsiasi coppia di fidanzati della loro età.
Dopo cena, assistettero tutti al film di Horace che mostrò loro la
gita del giorno dopo. Per un attimo Olive, ricordando il giorno in cui lui aveva predetto il bacio di Jake ed Emma, ebbe una paura folle che avesse sognato anche la sua prima volta con Enoch ma fortunatamente la mente di Horace era parecchio ingenua sotto quell’aspetto, com’era giusto che fosse per un ragazzino della sua età.
Successivamente uscirono in giardino per il riavvio
dell’anello, molto meno d’impatto rispetto a quello
precedente: non pioveva, nessuna guerra in lontananza, nessuna bomba
che veniva sganciata sulla loro casa; solo un cielo che da nero
diventava azzurro e poi di nuovo nero.
Quando fu ora di dormire, Olive si infilò con sollievo tra
le coperte. Chiuse gli occhi, ma le ci volle un bel po’ per
addormentarsi, presa com’era dal pensiero di cosa avrebbe
fatto il giorno dopo.
Quella notte sognò Enoch. Enoch che la baciava con ardore,
che la toccava dove nessuno era mai arrivato, che l’amava
come aveva sempre desiderato. Svegliandosi nel cuore della notte sudata
e ansimante, sperò con tutta se stessa che la
realtà sarebbe stata perfetta
come nei suoi sogni.
Grazie
a chi legge e vorrà lasciarmi un segno del suo passaggio
♥
Stay tuned per la seconda parte!
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