Oltre l'estro
In una metropoli
sconosciuta, dove il tempo rimane sospeso e la vita scorre fra le
strade gremite, Omero rinacque.
Il Poeta vide la luce in
una cerchia di spiriti incandescenti, che di lui sapevano poco più
di quel che sapeva chiunque. Gli Antichi gli avrebbero dedicato canti
eccelsi, una lira d'oro a musicarne i secondi; di altrui mille viste
avrebbe goduto e da ancor più onori sarebbe stato vestito. Tuttavia
ebbe la sfortuna di rivedere i raggi di un sole opaco e gli toccò il
misero destino di condursi da sé fra i pezzi di metallo, fra le
lampade abbaglianti, fra i rumori scordati. Il suo sguardo cieco fu
la sua unica guida.
Omero. Il suo nome iniziò
a essere sussurrato quando risorse dietro l'insulsa forma di
caratteri stampati, schiacciato in un angolo di un libriccino mal
impaginato. Comparve nella case di in un quartiere semideserto, dove
le carcasse di gatti anziani si trascinavano sul dipinto ad olio di
palazzi fatiscenti. I vagabondi si accorsero per primi della losca
figura che adagiava piano piano i volumetti nelle buche delle
lettere, come fossero bambini abbandonati in una chiesa. Quando il
manto della notte svelò quanto accaduto, i gatti non si curarono di
narrare dell'accaduto alla decina di abitanti che ancora non erano
riusciti a liberarsi del loro appartamento, e la sorpresa li colse
alle spalle. Distese le rughe degli anziani, che si scoprirono felici
di avere un argomento interessante su cui scervellarsi per qualche
settimana, e avvizzì la fronte dell'unica ventiquattrenne di quei
palazzi.
Amalia ricevette il dono
non richiesto al termine di un esame sfiancante. Non aveva accettato
il ventotto del professore. Non accettava molti voti, da qualche
tempo. Al termine di ciascun esame un insolito senso di nausea si
aggrappava al suo stomaco, come una bestia dagli artigli usurati; il
timore le asciugava la bocca e la sofferenza persisteva finché non
rifiutava il voto. Se avesse proseguito di quel passo, sarebbe
riuscita a superare quell'anno senza ricevere la temuta corona
d'alloro, la consacrazione a un futuro incerto di cui non aveva mai
avvertito il bisogno.
Forzò la serratura
arrugginita ed estrasse dalla buca le tre bollette e il libriccino
dalla rilegatura artigianale. Il titolo, impresso sulla copertina, la
colpì subito.
Oltre l'estro e la
ragion d'orgoglio.
Fu lei la prima ad
accorgersi del nome scritto in basso, che gli anziani vicini avevano
scambiato per un semplice nome stravagante. La memoria nitida degli
studi liceali affiorò, come una ninfea che galleggia in una palude,
e un sorriso le curvò le labbra. Quale scherzo bizzarro!
Nell'ascensore sfogliò
qualche pagina, ma si rese conto presto che si trattava di una
versione incompleta, cui mancava sia l'esordio sia il finale. Da
bizzarro lo scherzo mutò in fastidioso, giacché non appena uscì
dal trabiccolo Amalia stava arrovellandosi sul valore di quei
capitoli mancanti. L'incompiutezza la snervava.
“Amalia!” gracidò il
suo dirimpettaio. “Ha ricevuto anche lei il Libro?”
Non le aveva mai rivolto
la parola, da quando a diciannove anni si era trasferita lì per
frequentare l'università. Eppure nel palazzo abitavano solo loro
due.
“Vuole dire questo
fascio di fogli inconsistenti?” Il sarcasmo di solito sortiva
effetti positivi.
“Vuole dire il
libriccino del Mistero?” Lo sguardo vispo del vicino, che da tempo
aveva oltrepassato l'ostacolo dell'età adulta approdando al
meraviglioso Eden che Amalia vedeva nella vecchiaia, brillò di
divertimento. “La signora della scala B l'ha battezzato così.”
“La signora della scala
B?” Amalia stentava a crederci. Il dirimpettaio che non usciva mai,
il dirimpettaio di cui a lungo aveva ignorato l'esistenza, era uscito
di casa per recarsi dalla loquace vicina e discutere di un
insignificante libriccino?
“Non si faccia strane
idee!” esclamò il vecchio. “Io dopo la mia Beatrice non ho visto
più nessuna.”
Una risata si sciolse
sulla bocca di Amalia. “Ero solo stupita che deste tanta importanza
al libro” lo rassicurò.
“Be', qui non accade mai
nulla. Ci si deve pur arrangiare, signorina.” L'uomo raddrizzò la
schiena con fare altezzoso, superò la ragazza con una falcata e le
diede le spalle. Amalia lo osservò incuriosita, mentre armeggiavano
entrambi con le rispettive chiavi. Le baluginò nella mente un
dubbio, poco prima che la serratura difettosa dell'anziano scattasse.
“Mi scusi, lei che capitoli ha?”
Lo sguardo duro del
dirimpettaio le scivolò addosso. Lei si sentì all'improvviso a
disagio, dalla maturità acerba dei suoi anni, e inchiodò gli occhi
sul suo mazzo di chiavi, e sullo zerbino che aveva ereditato dal
vecchio proprietario, e sul muro scrostato del pianerottolo, pur di
evitare lo scontro.
“Dal sedici al venti”
rispose infine l'uomo.
Amalia aprì in fretta il
libriccino e scorse l'indice. “Sono gli ultimi” osservò
pensierosa.
Ma quando sollevò lo
sguardo, il dirimpettaio era sparito.
Amalia tentò invano nelle
settimane seguenti di trovare un'opera integrale del libriccino.
Domandò al vicinato quali capitoli avesse la loro copia, ma la
ricerca la aiutò ad assemblare solo la seconda metà del libro.
Tranne lei, quasi tutti i vicini possedevano gli ultimi capitoli.
Sconfortata dal mancato successo, Amalia abbandonò l'impresa. Del
resto aveva un esame da recuperare.
Un mese dopo, Omero
riapparve. Stavolta il Poeta si mostrò con la firma slanciata di un
quadro colorato per metà, che fu abbandonato nei pressi di una
scuola elementare. Era prossima alla chiusura, ma la notizia destò
tanto scalpore che l'opera d'arte divenne un vanto per gli
insegnanti. Tutti bambini colorarono la metà in matita e il quadro
fu esposto durante la presentazione della scuola, che ebbe un
vertiginoso aumento delle iscrizioni.
Amalia lesse l'articolo
sul giornale quando ormai aveva definitivamente rinunciato a trovare
l'inizio del libro, ma quella firma riaccese in lei la fiamma della
curiosità. Inviò all'indirizzo del giornale quanto aveva raccolto.
Si firmò Omero.
Il quartiere assunse di
colpo un fascino trasandato. La signora della scala B era la più
felice di tutte. Raccontò a un giovane venuto per un servizio di
come lei si fosse subito curata di riunire il vicinato e di discutere
della straordinaria questione. Si arrogava il merito di aver spedito
le informazioni raccolte, ma affibbiava alla sua stanchezza l'idea di
chiamarsi Omero (“Mai sentito parlare di questo Mero!”).
Amalia non contraddisse
mai Laura, che le suscitava anzi simpatia, perché svolgeva
egregiamente il lavoro in cui lei avrebbe senz'altro fallito.
Omero continuò a
comparire. Graffiti, poesie, disegni per terra, libriccini simili a
quello recapitato nel quartiere di Amalia, recavano la medesima
firma. Una caratteristica singolare fungeva da filo conduttore. Tutti
davano l'impressione di essere incompleti, come se il creatore si
fosse spazientito a metà lavoro e avesse lasciato l'opera nei luoghi
più impensati.
Pian piano lo stupore si
affievolì. Scovare un lavoro di questo fantomatico Omero diventò
attività quotidiana, quasi un accadimento banale, e i toni nei
confronti del fenomeno si inasprirono.
Chi si celava dietro
Omero? Era impossibile che un singolo fosse capace di produrre un
tale quantità di dipinti e scritti. Molti cominciarono ad appostarsi
dinanzi ai luoghi più colpiti: la periferia e le scuole. La bramosia
di scoprire quali persone si nascondessero dietro Omero divenne
prevaricante.
Amalia fu spettatrice
esterna.
Un certo Paolo cadde per
primo. Stava disegnando un ritratto sulla strada più trafficata
della città. La polizia lo scoprì e lo diede in pasto alla stampa.
Paolo si rifiutò di rilasciare dichiarazioni o di svelare chi altro
si celasse dietro il nome Omero. Dopo di lui furono scoperti Erica,
la pittrice, Marta, che si destreggiava fra i graffiti e i dipinti ad
olio e Claudio, il poeta.
L'ultima a essere sorpresa
fu Olivia, la scrittrice, l'unica che si prestò a un'intervista.
Amalia seguì con interesse le sue risposte, mentre mordicchiava un
panino per pranzo.
“Saremmo tutti molto
interessati nel sapere il perché di questo vostro strano anonimato”
stava dichiarando di fronte alla telecamera un uomo. Era palese che
fosse un giornalista alle prime armi. Non avrebbero mai sprecato un
professionista d'esperienza per quell'occasione.
“Lo avevo intuito. Ci
avete perseguitati.” La replica glaciale di Olivia gettò
l'interlocutore nel nervosismo, ma l'autrice fu sufficientemente
magnanima da toglierlo dall'impaccio dopo qualche attimo. “Omero è
stato l'unico autore talmente abile da scomparire dietro la sua arte.
Ha persino generato un dibattito moderno attorno alla sua figura, a
distanza di secoli. L'Iliade e l'Odissea sono penetranti tanto
profondamente nell'Antica Grecia che pur ammettendone l'esistenza,
sarebbe riduttivo dare a Omero la totale paternità delle sue opere.
Per questo motivo è il Poeta e non un poeta. Con il suo nome abbiamo
espresso la volontà, il desiderio e anche l'arroganza di volerci
nascondere dietro i nostri quadri, le nostre poesie, i nostri
romanzi. Non ci siamo riusciti.”
“Interessante,
interessante” liquidò la risposta l'altro. “Molti si domandano
tuttavia perché vogliate disconoscere in questo modo la vostra arte.
È controproducente, non crede?”
Olivia s'irrigidì, la sua
voce si tinse di passione. “Noi non disconosciamo la nostra arte.
Noi le diamo valore, più di quanto abbiate fatto voi.” Allora
sorrise, un sorriso che aveva un sapore di nostalgia. “Mi auguro
che in futuro altri Omero possano dare colore a quest'epoca. La vera
arte è indipendente dall'artista che le ha dato vita.”
La connessione saltò
mentre l'uomo balbettava un ringraziamento a Olivia, il canonico
sfondo azzurro tornò sullo schermo. L'intervista era terminata.
Amalia spense la TV. Dopo aver sentito Olivia, si sentì in colpa per
aver contribuito a quello scempio mandando al giornale il suo libro.
C'era qualcosa di estremamente sbagliato nell'accaduto, ma Amalia non
seppe determinare cosa.
Quel pomeriggio sostenne
l'esame un'altra volta. Accettò di buon grado un venticinque.
In una metropoli
sconosciuta, dove il tempo rimane sospeso e la vita scorre fra le
strade gremite, Omero rinacque e morì. Come era destinato a morire
chiunque vedesse l'arte oltre l'estro e la ragion d'orgoglio.
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