ReggaeFamily
Is
it a joke?
[Shavo]
Una
vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare
rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. Mi rendevo
perfettamente conto di dovermi muovere, ma solo l'idea di uscire nel
caos losangelino mi metteva addosso un'ansia indicibile.
Che
palle.
Mi
rigirai nel letto e chiusi gli occhi. Forse avrei dovuto alzarmi,
prepararmi un tè dai tratti giamaicani, poi prendere
qualche vestito a caso e fare una passeggiata. Sì, una
passeggiata...
Le
palpebre pesanti, ecco cosa mi fregava. C'era un meccanismo secondo
il quale io lottavo come Don Chisciotte contro i mulini a vento, e
questi mulini mi fottevano sempre. Merda.
Udii
uno squillo estremamente fastidioso e quasi gridai per lo spavento.
Chi cazzo era? Perché qualcuno suonava alla mia porta? Quando
mi trovavo in questi periodi di reclusione domestica, tutti sapevano
che avrebbero dovuto lasciarmi tranquillo.
Il
campanello suonò ancora.
Probabilmente
era un venditore porta a porta; forse avrei dovuto ricordarmi, la
prossima volta, di staccare il campanello, almeno in certi momenti...
La
persona al di sotto del mio palazzo si attaccò letteralmente
al pulsante, e allora capii di chi si trattava.
Lanciai
via le coperte, conscio che, se non avessi risposto, quel dannato
coglione non avrebbe mai smesso di suonare e avrebbe presto
cominciato a suonare anche i campanelli degli altri condomini.
Mi
precipitai vicino all'ingresso e afferrai il citofono, strappandolo
quasi dalla parete su cui era sistemato.
«Malakian,
giuro che sei morto! Che cazzo vuoi?» strillai, la voce ancora
impastata per il sonno uscì simile a quella di un orco
cattivo. Forse lo avrei spaventato, almeno un po'.
«Ritenta,
sarai più fortunato» gracchiò una voce familiare,
ma che non riconobbi come quella di Daron.
«Ah...
ehm... John?!» farfugliai.
«Già,
Daron mi ha spiegato come fare per costringerti a rispondere»
disse il batterista, utilizzando un tono innocente, per il quale
quasi scoppiai a ridere.
«Mi
ricorderò di scollegare quell'arnese infernale la prossima
volta che decido di...»
«Posso
salire o devo stare qui a fare la muffa?» mi interruppe John.
«Ah
già, okay. Sali.»
Schiacciai
il pulsante per aprire il portone d'ingresso del palazzo e socchiusi
la porta, mettendo fuori la testa e attendendo che John arrivasse.
Proprio
in quel momento, la porta di fronte alla mia si spalancò e ne
uscì una ragazza abbigliata in modo bizzarro, cosparsa di
tatuaggi e piercing, con i capelli arruffati e tinti di blu
elettrico.
«Ehi
pelatone, come te la passi? Hai deciso di uscire dal tuo antro
oscuro?» mi apostrofò la mia dirimpettaia, trascinandosi
dietro una grossa valigia.
«Abby,
è sempre un piacere vederti» replicai in tono
sarcastico. «E anche i tuoi capelli sono piacevoli da
osservare, sì.»
«Sono
sexy, ammettilo!» ammiccò.
John
ci raggiunse e strabuzzò gli occhi nel notare Abby.
«Ah
ecco perché sei uscito dalla tana» commentò la
ragazza, squadrando John da capo a piedi, in maniera del tutto
spudorata. «Per accogliere questo bel manzo! Divertitevi miei
cari, io parto.»
«Dove
saresti diretta? Un altra marcia per i diritti degli omosessuali in
crisi di peso?» la punzecchiai.
«Spiritoso
Shavy, davvero spiritoso.» Abby mi mostrò il dito medio
e si infilò nell'ascensore poco prima che questo si
richiudesse.
«Simpatica»
commentò John.
«La
lesbica più etero del mondo. Entra.»
Lasciai
passare il mio amico e richiusi la porta, per poi appoggiarmici
contro e incrociare le braccia al petto; volevo assumere un'aria
contrariata, ma mi resi presto conto che con indosso un pigiama
azzurro sformato non dovevo incutere molto timore.
Dolmayan
mi lanciò un'occhiata interrogativa, poi disse: «Piantala
di fare il cretino, Shavo. Mi offri qualcosa da bere? Sono venuto a
piedi fin qui, sono abbastanza affaticato».
«Ma
che ore sono?» domandai.
«Le
otto e un quarto» annunciò fieramente il batterista,
battendo con un dito sul suo orologio da polso.
«E
tu... tu... hai osato svegliarmi così presto? Merda,
Dolmayan!» sbottai.
«Devo
dirti una cosa. Smettila di rompere, andiamo in cucina.»
Lo
seguii controvoglia, neanche fossi io l'ospite in casa mia. Bizzarro
come possano mettersi le cose, a volte...
«Spero
per te che si tratti di qualcosa di vitale importanza»
sottolineai, decidendomi a preparare un caffè per entrambi.
Conoscevo John, non amava il tè come me, non glielo proposi
neanche.
Mentre
aspettavo che il bollitore facesse il suo dovere, recuperai il mio
materiale per prepararmi una sigaretta e vidi John roteare gli occhi
al cielo.
«Vuoi
favorire, socio?»
«Fottiti.
Ascolta, piuttosto. Ieri qualcuno ha proposto a Rick una data per
noi» mi riferì, tornando improvvisamente serio.
«Per
noi?»
«Per
i System Of A Down, Shavo.»
«Cazzo.
Dove? Quando? Devo prepararmi psicologicamente...» cominciai a
sparare a zero, facendomi subito prendere dall'ansia.
«Odadjian,
stai calmo! Se te lo dico non ci credi.» John mi sorrise.
Mi
alzai per finire di preparare il caffè e lo passai a John
senza porgergli lo zucchero, mentre io me ne versai tre bustine.
«Quello
è zucchero con caffè, Shavo!» commentò
inorridito.
«Macché.
Allora? Me lo vuoi dire o no?» lo incalzai, mescolando la
bevanda fumante con un cucchiaino.
«Al
Dodger Stadium» buttò lì lui con nonchalance.
Avevo
appena sorseggiato un po' di caffè e per poco non glielo
sputai in faccia, rischiando di soffocare. Allontanai la tazza da me
e presi a colpirmi sul petto, cercando di respirare almeno con il
naso.
John
si alzò e venne a picchiarmi sulla schiena, ridendo come un
deficiente.
«Non
mi prendere per il culo!» gli gridai contro. «Se tu e
Malakian avete deciso di farmi uno scherzo, avete sbagliato
giornata!»
«Ma
quale scherzo?! È tutto vero, Odadjian!» si difese il
batterista, tornando a sedersi di fronte a me.
Lo
guardai perplesso. Com'era possibile che noi fossimo stati invitati a
suonare nello stadio dei Dodgers? Mi sentivo male, giuro, mi stavo
sentendo realmente male. Non era possibile, era uno scherzo, sì,
doveva esserlo.
«Devi
calmarti. Non so perché ho accettato di dirtelo io, non mi
aspettavo una reazione del genere.»
«Frena,
amico. Sta' un po' zitto.»
Ripresi
a costruire la canna che avevo lasciato a metà mentre
preparavo il caffè e me la riempii per bene. Osservai il mio
astuccio e aggrottai la fronte: era ora di uscire di casa, dovevo
rifornirmi di erba.
«Quello
ti aiuta davvero a calmarti?» borbottò John, finendo di
bere il suo caffè amaro.
«Sicuro.»
Afferrai
l'accendino e lo feci scattare. Già con il primo tiro,
sentendo la gola bruciare, mi sentii subito meglio; ero in grado di
ragionare, di darmi una calmata e farmi passare quel dannato senso
d'agitazione che mi attanagliava ogni volta che capitava un fuori
programma come quello.
«Quindi,
lo hanno chiesto a Rick?» domandai dopo qualche tiro, notando
che John si avvicinava alla finestra e la socchiudeva appena.
Quell'odore lo infastidiva, ne ero cosciente, ma non potevo farci
niente.
«Sì.»
«Avrebbe
potuto proporre Shakira, no?» scherzai.
«Hanno
esplicitamente chiesto di noi.»
«Ah.»
Il
cellulare di John prese a squillare: la sua suoneria consisteva in un
esercizio eseguito da lui, in cui applicava sulla sua batteria una
roba impossibile come ritmi dispari di percussione araba. Era un
genio, questo non avrei mai potuto negarlo.
Lui
afferrò il telefono e aggrottò la fronte, poi rispose:
«Sì?».
Io
continuai a fumare tranquillamente, sentendomi decisamente meglio.
Tuttavia, ero ancora sotto shock.
«Ah,
cazzo. E adesso?» borbottò Dolmayan con sguardo
preoccupato. «Chiama un medico, no? Che cazzo ne so io?!»
Rimase in ascolto, poi riprese a parlare con fare pratico: «Va
bene, ti raggiungo. Sì, sono da Shavo. Dammi... mmh... sono a
piedi, quindi penso che ci impiegherò una cinquantina di
minuti».
Gli
lanciai un'occhiata interrogativa. Avevo come l'impressione che la
giornata fosse iniziata nel modo sbagliato.
«Okay,
a dopo. Ciao.»
John
si ficcò il cellulare in tasca e sospirò pesantemente.
«Ehi,
che c'è?» gli chiesi.
«Daron»
biascicò. «Ha un attacco di panico e Serj non riesce a
farlo uscire da sotto il suo divano, non si capisce che cazzo gli sia
preso. Dio, quel ragazzo ha seri problemi...»
«Di
nuovo?»
John
annuì.
«E
cosa ci fa a casa di Serj?» mi informai perplesso.
«Ieri
ha cenato da lui, poi a quanto pare si è ubriacato e Serj ha
deciso di lasciare che dormisse da lui. Poi stamattina...»
Annuii.
«Il solito, insomma.»
«Pare
che stessero festeggiando per questa cosa del concerto... okay,
grazie per il caffè. Poi ci aggiorniamo per questa storia, va
bene? Cazzo, devo andare» farneticò John, afferrando la
giacca e avviandosi verso l'uscita.
Lo
seguii e gli posai una mano sulla spalla, prima che potesse lasciare
il mio appartamento. Gli indicai un quadro che avevo appeso poche
settimane prima alla sinistra della porta d'ingresso.
«Un
altro regalo di Malakian Senior?» ammiccò.
«Sì.
È fantastico.»
John
sorrise brevemente, poi mi salutò con un cenno e si avviò
di corsa giù per le scale. Ci avrei scommesso che non avrebbe
preso l'ascensore.
Osservai
il quadro dai colori scuri e tetri, e mi parve di riconoscere in esso
l'animo tempestoso e tormentato di Daron; suo padre dipingeva da dio,
e con i suoi lavori riusciva a cogliere delle emozioni, a metterle su
tela e a trafiggere l'anima di un acuto e appassionato osservatore.
Qualcuno lo definiva sconclusionato, ma del resto l'arte era solo
arte, non era fatta per seguire una logica.
Mentre
mi avviavo in bagno per buttarmi sotto la doccia, fui stranamente
grato a John per aver impedito che la mia reclusione tra quelle
quattro mura proseguisse oltre.
Ciao
a tutti e grazie per aver letto questo primo capitolo.
Sono
fiera di annunciarvi che ho deciso di cominciare a pubblicare questa
long sui SOAD perché sono, per me, i migliori; non so che
dirvi, non ci posso fare niente, è così e basta.
Quest'idea
è nata quasi per caso, e mi fa piacere poter fare qualcosa per
ripopolare una categoria così tristemente scarna qui su EFP...
l'ispirazione per scrivere anch'io su questa band è nata anche
e soprattutto grazie alle storie di StormyPhoenix, di cui vi
consiglio di leggere tutto ciò che ha scritto su di loro, ma
non solo: è davvero brava e merita su tutta la linea!
Il
titolo della storia prende ispirazione dal testo di “Peephole”,
brano presente nel primo e omonimo lavoro dei SOAD. Se non la
conoscete, ascoltate un po' qui,
e preparatevi a ballare un bel valzer XD
Vi
lascio con questa domanda, la stessa che sorge alla band in questo
brano: voi, cari lettori, avete mai creduto di sporgervi nell'immenso
del cielo, di sfiorarlo con un dito?
Forse
ciò che intendono loro è ben diverso, ma io l'ho
interpretata così e vorrei sapere cosa ne pensate... :D
Grazie
a chiunque sia arrivato da queste parti, attendo i vostri commenti e
ci sentiamo al prossimo aggiornamento, che sarà giovedì
prossimo ♥
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