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Cinquantasette.
Cinquantotto.
Era una di quelle
notti, Bulma lo aveva capito subito.
Nonostante la
confusione delle sue palpebre, intorpidite dal
sonno, aveva visto chiaramente le sue spalle contorcersi, sussultare
per i
singhiozzi soffocati nel cuscino, i bicipiti tesi fino allo spasimo nel
chiudere i pugni, dispersi sotto le coperte, la mandibola gonfia,
contratta nel
tentativo di serrare le labbra per non farsi sentire da lei.
I demoni lo stavano
sbranando vivo ancora una volta, scaltri
nello sghignazzare nell’oscurità.
Vegeta era tradito
dalla sua stessa mente, i cui confini
erano solidi come diamanti durante il giorno, permettendogli un
autocontrollo
prossimo alla perfezione, ed estremamente permeabili durante la notte.
Aveva
sempre vissuto lontano da sé, mimetizzato nel buio dei
viaggi
interstellari, un puntino in un puntino che sfrecciava a milioni di
anni luce
al secondo, reprimendo il terrore negli angoli reconditi della sua
mente.
Adesso il suo cuore
era stato aperto, sfondato a calci,
irrorato dalla stessa linfa vitale che bagnava il suo cervello e i suoi
muscoli.
Paradossalmente da quando aveva iniziato a sentirsi al sicuro aveva
iniziato ad
avere paura, come se finalmente potesse permettersi di tremare, di
gridare
dentro di sé l’orrore subito.
Era invaso dalle
immagini di suo padre che gli diceva addio,
la trama della seta vermiglia del suo mantello, stretta rabbiosamente
fra le
dita e poi improvvisamente lontana. I venticinque anni vissuti al
servizio di Freezer, piegato
come uno schiavo e frustato a sangue alla minima imperfezione,
l’acido della
bile che gli corrodeva la gola e i denti nel doversi inginocchiare di
fronte a
lui. I pianeti, le galassie, la morte che rideva magniloquente
attraverso le
sue mani di Saiyan, portato naturalmente ad uccidere senza rimorso.
La verità
che si era infranta su di lui, disgregando tutte
le sue certezze. La completa impotenza, la morte, l’inferno,
Kakaroth e la sua
pietà. Lo sguardo triste di Trunks, che aveva desiderato
ardentemente il suo
affetto e lui glielo aveva negato, umiliandolo, il suo cadavere madido
di
sangue, il ventre trapassato da parte a parte.
Cinquantanove.
Bulma lo aveva
sentito, come ogni volta. Aveva cercato le
sue mani, infilandosi delicatamente fra le sue dita serrate, stringendo
il suo
corpo vigoroso fra le braccia esili.
Sessanta.
Gli baciava
lentamente la schiena, premendo delicatamente le
labbra sulle sue cicatrici, una dopo l'altra. Le aveva contate, sapeva
la loro posizione a memoria, le crepe
scavate nel suo animo, reificazioni del dolore e della morte che lo
avevano accoltellato. Bulma aveva spesso l'impressione di sentire
l'odore acre del sangue, come se
quegli squarci non si fossero mai rimarginati del tutto.
Sessantuno.
Le aveva baciate
tutte. Le membra di Vegeta si erano
rilassate, come se la corrente elettrica che aveva irrigidito i suoi
muscoli
fosse stata scaricata a terra.
«
Ti amo tanto... » gli
sussurrò piano, sporgendosi per baciarlo in volto. I suoi
occhi erano chiusi,
la mascella nuovamente distesa. Vegeta si era già
riaddormentato, ma la stretta
delle sue mani era ancora salda, come se volesse portarla con
sé anche nelle
altre dimensioni della sua mente.
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